Alfredo non era ancora avvezzo al lavoro. Nel suo piccolo e roccioso
quartiere di Genova si iniziava presto a darsi da fare per aiutare
economicamente la famiglia, e lui non aveva fatto eccezione; sapeva a
malapena leggere e scrivere, e a metà della sua quarta
elementare il padre aveva deciso che sapeva già abbastanza e
che era tempo per lui di lavorare. Quanti anni erano passati da allora?
Nonostante questo ogni giorno, passando davanti all’Hotel
Bellevue, nome francese che storpiava sempre, si chiedeva
perché a lui toccasse lavorare e servire i ricchi che si
divertivano in quella bella costruzione piena di fiori e statue.
-Sbrigati che dopo devi passare a prendere il pane!-, lo sgridava
sempre Martino, un ragazzotto più grande che era da tutti
considerato un grande lavoratore.
-Madre, come state?-, era una domanda di cortesia, pura
formalità.
Sua madre stava male da troppo tempo ormai.
All’inizio si era trattato di un semplice malessere dovuto al
lavoro pesante ed ai residui di caldo di settembre, ma ormai erano
settimane che la donna era costretta a letto, delirante.
-Graziella, Graziella…-, mormorò flebile lei,
chiamando la figlia, e subito Alfredo corse fuori dalla stanza per
portarle la piccola, impegnata a fare le aste su un quaderno malridotto.
Non appena vide il fratello entrare in cucina posò il
pennino e si affrettò a seguirlo, senza che ci fosse bisogno
di parlare. Quanto giudizio in una bambina di appena sette anni!
Quando la piccola Graziella si accostò al capezzale materno
trovò la donna addormentata, sprofondata in un sonno
inquieto ed agitato.
-Non si può chiamare un dottore?-, aveva chiesto con
speranzosa ingenuità ad Alfredo, che si era limitato ad
accarezzarle la testa.
I dottori costavano, e non potevano permettersi nemmeno il tirocinante
nuovo del signor Rocca.
Aveva visto quattro fratellini morire perché i soldi non
erano nemmeno sufficienti per una visita, ed ora che la madre era stata
licenziata, solo gli stipendi dei due uomini di famiglia sostenevano
quella casa.
-Il dottore…-, iniziò con voce rotta,
-Verrà presto, vedrai.-
E con questa rassicurazione, Graziella tornò alle sue aste.
Quando ad Alfredo veniva concessa una pausa, lui si ritrovava a
bighellonare per la piazza del paese, seduto vicino alla fontana di
marmo bianco. Di solito parlava con Martino o Roberto, ma aveva da poco
fatto conoscenza di Edoardo, un ragazzo per metà francese
che aveva l’abitudine di sedersi poco lontano dalla fontana e
notarlo solo dopo un po’; Edoardo era strano: anche se
iniziava a spirare un venticello freddo non rinunciava ai calzoni corti
blu scuro e la camicia aperta, come se avesse sempre caldo. Aveva
sempre con sé gelati o granite, dolci così
costosi che Alfredo aveva assaggiato per la prima volta solo grazie
alla sua generosità.
-Com’è che ne hai sempre una e non lavori?-, aveva
detto un giorno al suo amico adocchiando il bicchiere di carta nelle
mani di Edoardo, -Rubi?-
Ma questo aveva riso, divertito, e non si era offeso.
-Hai detto giusto, lavoro. Sono un navigatore.-, era stata la risposta
di Edoardo.
Alfredo si era messo a pensare quanto dovesse guadagnare per potersi
mantenere e comprare ogni giorno gelati così dispendiosi,
poi gli venne in mente che Edoardo poteva essere orfano, e quindi
libero di disporre in modo autonomo dei propri soldi.
“Se non ci fosse Graziella”, si ritrovò
a pensare, “Il pane sarebbe meno, ed il medico
verrebbe…”
Scosse violentemente la testa, scacciando questi pensieri malvagi,
mentre Edoardo sorseggiava con calma l’ormai sciolta granita.
Un giorno gli era stata concessa una pausa più lunga ma in
ritardo, dato che si era ritrovato ad aiutare Martino per quasi
un’ora in assenza dell’altro ragazzo, Michele.
Quando arrivò in piazza non scorse che da lontano i ricci
biondi di Edoardo, con le spalle cinte dal braccio di un uomo alto ed
elegante che camminava vicino a lui; erano diretti
all’Albergo Firenze, ed Alfredo rimase un po’
inquieto osservando quei due entrare.
Quello era il padre di Edoardo? O lo zio? Se Edoardo aveva parenti
vestiti così bene, perché i suoi abiti blu
continuavano ad essere leggeri ed inadatti all’ormai
inoltrato ottobre?
Scrollò le spalle, stringendosi nella sua giacchetta troppo
stretta.
La mattina, uscendo dalla Messa mano nella mano con Graziella, davvero
troppo piccola per la sua età e sempre a rischio di essere
calpestata, Alfredo intravide Edoardo parlare con un uomo elegante,
forse lo stesso del giorno prima. Questo era appoggiato alla fontana e
sembrava prestare poca attenzione alla folla che usciva dalla chiesa.
Quando Edoardo scorse Alfredo accompagnato dalla bambina lo
salutò, ricambiato, e l’uomo distolse per la prima
volta lo sguardo dal ragazzo per posarlo sui fedeli, che non ritenne
più interessanti di un secondo.
-Chi era quel signore elegante con cui parlavi ieri?-, l’uomo
aveva suscitato abbastanza curiosità in Alfredo, che si
immaginava fosse un misterioso parente ricchissimo.
-Un amico.-, rispose Edoardo, lasciando l’amico di sasso.
Amico? Un ragazzino poteva davvero essere amico di un rispettabile
signore benvestito?
Edoardo sembrava essersi accorto dell’incredulità
dell’altro, e si affrettò ad aggiungere, divertito:
-E’ lui che mi dà i soldi, anche se dice sempre
che dovrei comprarmi una camicia nuova.-
-Te li regala così?-, ad Alfredo sfuggivano i meccanismi di
quella strana amicizia.
Edoardo sembrò preso in fallo, -Beh, diciamo di
sì. Me li dà ogni volta che sto con lui.-, e
questa generica risposta lo salvò.
-Sta peggiorando.-, fu il lapidario commento di suo padre a cena.
La moglie stava sempre peggio, i soldi scarseggiavano, chiamare un
medico sarebbe stato impossibile.
-Che fare?-, rimaneva ingenuo Alfredo, si costringeva nella sua
ingenuità, e suo padre sospirò in risposta.
-Graziella era troppo piccola per lavorare, e non sapeva ancora fare i
conti. Era indispensabile nella vita imparare almeno quelli.
Un doppio lavoro gli pareva la scelta più leggera per il
resto della famiglia.
Il giorno dopo Alfredo trovò Edoardo sempre al solito posto,
questa volta con del pane e formaggio, e non riuscì a non
sfogarsi.
La situazione era tragica, e non solo dal suo punto di vista, ma venne
ascoltata da Edoardo con un sorriso, contro ogni previsione.
-So io cosa devi fare.-, lo rassicurò con l’aria
di uno che sapeva il fatto suo.
-Domani chiedi di avere una pausa doppia e lavora di più la
mattina. Quando vieni qua…-, e si fermò per
squadrarlo meglio,
-Arrotolati i pantaloni e apriti la giacca. Quando vedi il mio amico
passare vagli incontro e seguilo, vedrai che ti darà i soldi
per il medico.-
-Sembra davvero facile.-, notò Alfredo dubbioso.
-Lo sarà.-, gli predisse Edoardo rialzandosi.
In realtà per riuscire a fare una pausa doppia il
giovedì, Alfredo aveva dovuto rinunciare a quella degli
altri giorni, e aspettava con un misto d’impazienza e
curiosità quell’evento.
Edoardo non c’era, e lui era seduto alla fontana, stretto
nella sua giacca. Aprirla?
Faceva troppo freddo! E a che sarebbe servito? Era tutto intento a
tremare quando notò l’uomo elegante vestito di
scuro. Passeggiava tranquillo con il bastone, e Alfredo si aspettava
che s’avvicinasse a lui. Invece non gli fu concessa che una
rapida occhiata. Il viso grave ed altero, i capelli curati, quegli
occhi altezzosi… sì, doveva per forza essere
qualcuno d’importante.
Eppure proseguì per la piazza lasciandolo solo, e Alfredo si
alzò per guardare dove stesse andando. Dall’alto
della fontana lo vide accostarsi ad un giovane dai capelli rossi,
mentre lo attirava a sé, baciandolo.
Alfredo tornò correndo al porto, gli occhi sbarrati. Cosa
voleva dire?
-Io non ti voglio costringere, il mio era solo un suggerimento.-,
Edoardo era noncurante mentre rispondeva al racconto di Alfredo,
paonazzo. Che intendeva dire?
-Paga bene, e tu non devi fare niente.-, continuò. Niente?
Cosa voleva dire niente?
Sembrava un po’ in difficoltà anche Edoardo.
-Sai…-, provò a ripescare dalla memoria qualche
esempio discreto ma adatto, e ci pensò su un bel
po’.
-Maria Maddalena.-
Alfredo fissò incredulo l’amico.
-Ti… vendi?-, mormorò sconvolto.
-Non mi sembra sia mai stato un problema.-, si difese Edoardo stizzito.
-E’ contro la Bibbia!-
-Pensaci.-, lo interruppe l’amico, -Pensaci. Un tuo piccolo
sacrificio può salvare tua madre.-
-E’ peccato!-, e non lo sapeva Alfredo che era un doppio
peccato,m o forse non ci voleva pensare.
-Non ti voglio costringere.-, ripeté Edoardo, -Il mio
è solo un suggerimento.-
Lavorò normalmente Alfredo, fino alla domenica. Suo padre
era rimasto a casa, sfruttando quei momenti di pausa per stare vicino
alla moglie malata.
Sua madre stava morendo, era ormai questione di poco.
Ascoltò la Messa con più attenzione del solito,
cantò con più passione che mai, incoraggiando la
piccola Graziella a fare lo stesso.
E il giovedì, silenziosamente, restò alla fontana
per più del solito, rinfrancato dall’assenza di
Edoardo.
Vide avvicinarsi l’uomo elegante, e solo quando vide il suo
sguardo inquisitore posarsi su di lui, Alfredo prese il coraggio a due
mani e si alzò con decisione.
E’ peccato! Ma
posso salvarla…
Fece per arrotolarsi le maniche della giacca ma rinunciò
stringendo le labbra, e con passo incerto si avvicinò
all’uomo che ora lo fissava con un sorrisetto.
I lineamenti di Alfredo non erano nulla di eccezionale, e la sua pelle
scurita dal lavoro estivo era quella di tanti altri ragazzi. Comuni
erano i suoi capelli castani, e comuni erano i suoi occhi scuri, eppure
in quel momento quel giovane popolano aveva forse più
dignità di certi re e regine.
-Come ti chiami?-, l’italiano dello sconosciuto era
riconoscibile a fatica, tanto marcato era l’accento straniero.
-Alfredo, e lei?-, gli si rivolse con cortesia, con la voce agitata ed
un italiano altrettanto incerto, lui che nella sua vita aveva parlato
soprattutto il dialetto genovese.
-Oscàr, à
la française.-, fu la risposta che Alfredo
comprese solo a metà, prima di irrigidirsi quando
l’uomo gli cinse la vita con il braccio, accompagnandolo
all’Albergo Firenze, così diverso dal bel Hotel
Bellevue.
In realtà lui non sapeva ancora cosa stava facendo. Aveva
paura, sì. Aveva intuito tutto. Ma i due lavori del padre lo
stavano uccidendo, e la madre si stava consumando giorno dopo giorno.
Pater Noster, qui es in
caelis…
Iniziò a recitare tra sé la preghiera,
percorrendo i corridoi dell’albergo, ma
s’interruppe sconvolto quando vide un cameriere abbassare la
testa in segno di rispetto ed aprire loro la porta.
Quando questo alzò la testa, testa che Alfredo conosceva
bene, anche troppo, lui inspirò forte, così forte
da stordirsi per un attimo, gli occhi spalancati.
Dal basso della sua condizione servile, le labbra strette e le lacrime
trattenute a stento, suo padre non si mosse.
Oscàr non sembrò curarsene e spinse dentro il
ragazzo, chiudendo la porta.
Pater Noster…
Alfredo deglutì forte, sopraffatto dalla vergogna, dal
rimorso, dalla paura, ma deciso a non piangere, mentre suo padre,
appoggiato alla porta, ritenne saggio andarsene.
Dolore e disgusto, ecco quello che aveva provato mentre
l’uomo quasi lo soffocava, baciandolo, mentre un dolore
indicibile lo dilaniava, fuoco che nemmeno le carezze erano riuscite a
smorzare.
Raggomitolato tra le lenzuola, sanguinante, percorso da tremiti
febbrili, Alfredo recitava le preghiere che gli aveva insegnato la
madre, troppo scosso per fare altro, per voler pensare.
Si vergognava dei graffi sulla schiena, si vergognava della sporcizia
che lo imbrattava, di quello che aveva fatto.
Del sale sul viso, residui di lacrime che gli avevano lavato il volto
pieno di saliva no; era grato a quelle lacrime, ne era fiero.
Quando riuscì a calmarsi barcollò fuori dal
letto, dolorante, alla ricerca tentoni dei soldi che Oscàr
gli aveva lasciato sul tavolino vicino alla porta.
Il medico era al capezzale della madre, vicino a Graziella.
Quando il padre aveva visto entrare Alfredo, con una smorfia sul viso
ed il passo incerto, non aveva osato dire nulla. Quando aveva scorto il
sacchetto di pane nella sua mano ed il medico dietro le sue spalle, era
uscito dalla stanza, commosso.
30 marzo 1899, Svizzera:
“Parto
domenica per Genova –Albergo di Firenze. Mi è
impossibile andare a Parigi: non mi bastano i soldi. Voglio provare a
trovare un posto vicino a Genova, dove poter vivere per dieci franchi
al giorno (ragazzo compris). La castità della Svizzera mi ha
dato sui nervi”
{Oscar Wilde}
31 marzo 1899, Svizzera:
“Parto
domattina per Genova – Albergo di Firenze – una
piccola locanda sul lungomare, abbastanza mal-famée ma
economica.
Spero di trovare a
Genova, ad aspettarmi, un giovinetto di nome Edoardo Rolla, uno dei
navigatori. Ha capelli biondi, e veste sempre di blu scuro. Gli ho
scritto.
Dopo la gelida verginità delle Alpi svizzere e della neve,
bramo i rossi fiori della vita che macchiano il piede
dell’estate in Italia.”
{Oscar Wilde}
I documenti sono
originali. Li ho presi da questo
sito, che ha anche ottimi rimandi bibliografici. Iniziamo...
dall'inizio. E' una storia che mi è uscita di getto, subito
dopo aver letto quella pagina. Il nome di Alfredo è
citato più avanti come un suo amico; si è
trattata di una mia svista. Avrei potuto chiamarlo Edoardo, ma avrei
snaturato il personaggio, e ho preferito lasciare il nome di Alfredo,
relegando all'altro il ruolo di comprimario.
Nonostante l'ambientazione, il linguaggio è moderno,
così come corretto è l'italiano parlato. Volevo
quasi riportare il discorso diretto il ligure, ma ho parecchi problemi
già con il mio
veronese, figuariamoci con il genovese.
Alfredo è disperato. Ho glissato sulla fame e sul disagio,
concentrandomi più sull'ambigua figura che lo spinge a
prostituirsi a tutti gli effetti. Dieci franchi, ragazzo compreso,
è sinceramente una frase orribile.
Orribile. Non c'è amore nell'atto, e non ho voluto
descriverlo: mi è parso più opportuno concentrare
il risultato, il disgusto di Alfredo. Non fraintendetemi, amo Wilde ed
amo lo slash.
E di slash si parla: non il dolciucchioso mondo delle yaoi
no-lubrificante yes-godimento. E' un'esperienza traumatica e solo in
parte consensuale.
L'età di Alfredo ed Edoardo? Non ci voglio pensare. In
un'Italia riunita da pochi anni, la povertà portava alla
prostituzione molti giovani, ragazzi e ragazze. Fa riflettere. Era la
necessità a spingerli, non una borsa firmata.
Termino tutto questo lungo commento chiedendovi di farmi un favore:
è la prima storia che tratta di tematiche così
forti, e una cosa che voglio assolutamente evitare è la
superficialità.
Vi ha comunicato qualcosa? Vi ha fatto riflettere? Ho trattato bene
l'argomento? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Grazie :)
Nyappy
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