Aripiprazolo
Tu
non lo sai cosa significa soffrire.
Davvero.
Non lo dico con disprezzo,
ma rido quando penso al tuo mondo schifosamente perfetto, al tuo
volermi essere
accanto quando - cazzo! - non puoi
capire.
Sento
di poterti odiare, a volte.
Di poter odiare il tuo volto perennemente sorridente. Vorrei prendere
un sasso appuntito
e sfregarlo sopra quel tuo bel viso… Sopra le guance rosee,
sopra le labbra sempre
stirate all’insù. Farebbe male, vero? Pensa, non
farebbe la metà del male che provo
io in ogni dannatissimo minuto d’esistenza. Mi chinerei su di
te, ti graffierei
quella tua bella pelle, la bacerei solo per poterne succhiare il sangue
che scorre.
E la mia bocca sarebbe veleno, per te. Io
sono veleno, per te.
Sarebbe
come versare dell’alcol sulle
tue ferite. Lo senti questo crepitio? Sono le tue future cicatrici che
agonizzano
nel mio piacere. È il suono della mia mente malata. Trovo
conforto nel tuo dolore,
chissà perché. Forse perché cerchi
sempre di avere una risposta per me, quando le
risposte non me le darebbe nemmeno Dio. Se mi dai una risposta vuoi
essere migliore
di me, ti credi migliore di me. E non lo sei. Hai semplicemente avuto
una vita più
facile. Quanto vorrei tapparti il becco, in quei momenti…
Stringerei le mie dita
sulla tua bocca, premerei i palmi aperti su di essa. Vedrei i tuoi
occhi spalancati
sul buio, sul marcio - su me.
Avresti
paura. Capiresti la mia sofferenza. E quella dannata paura - forse te
la faresti
persino sotto, che dici? - mi darebbe una scossa di piacere
così forte da provocarmi
un orgasmo. Stringerei le mie gambe intorno alla tua vita, ti spezzerei
il bacino.
Urleresti? Forse, ma io te lo starei impedendo. Il dolore non ti
farebbe avere neppure
un’erezione decente, quindi dovrei accontentarmi di fare da
sola - una mano sulla
tua bocca, una mano dentro di me. Sei mai stato dentro di me? Dentro di
me davvero,
intendo. Hai mai fatto un giro dentro il mio inferno personale? No? Che
peccato.
Lì ho a disposizione le mie torture migliori - sai, quelle
che ora non si trovano
più in giro - e le userei tutte, tutte su di te.
Ti
rigurgiterei addosso tutto il
mio dolore, vedendoti implorare pietà, chiedendo perdono
perché tu sei innocente,
perché hai solo cercato di aiutarmi, davvero. Hai cercato di
fare il buono. I buoni
sono sempre ripagati dalla vita, essa li coccola e li porta in palmo di
mano…
Spiacente,
tesoruccio, ti svelerò
un segreto: qui nessuno ha ciò che si merita, fattene una
ragione. E muori come
lo stupido escremento umano che sei…
Le
porte della cella si aprirono
con un cigolio assordante. Non aveva sentito i passi avvicinarsi, ma il
tono della
guardiana la scosse nel profondo. Odiava quella donna.
C’erano
visite, stava dicendo. Prese
un bicchiere dal lavandino, lo riempì d’acqua e lo
svuotò con un solo sorso. Si
pettinò con le dita, alla bell’e meglio, e si
presentò con ancora i segni del cuscino
sul volto.
L’uomo
la fissava sorridente e fiducioso.
Si sentì profondamente stomacata.
«Oggi
è finito il tuo isolamento,
sono venuto per farti una sorpresa».
Il
suo odore era insopportabile.
Riusciva a sentire il sole mattutino che gli aveva accarezzato la
pelle, l’asfalto
bagnato che aveva abbracciato le sue scarpe, l’orgasmo di
qualche puttanella che
si era stretta a lui la sera prima, le parole dolci che si erano
scambiati. Stronzo.
«Grazie,
doc».
Perché,
sì, era in cura psichiatrica.
Ma stava decisamente meglio quando non doveva iniettarsi quella merda
nel braccio.
Era più lucida. Più forte. Più
sé stessa.
«Come
va?»
Lo
guardò socchiudendo gli occhi.
Quale tentativo patetico di iniziare una conversazione…
«Bene».
Vaffanculo. Muori.
«Sono
contento».
«Stanotte
l’ho sognata, doc», continuò
lei, in tono estasiato. L’uomo sorrise, vagamente
compiaciuto.
«Spero
sia stato un bel sogno».
Lo
fissò con la testa inclinata,
un sorriso osceno che solo lei poteva sentire sulle labbra.
«Oh,
sì. È stato bellissimo».
Unico
appunto: non ho nulla contro
San Valentino, lo giuro. L’ho persino festeggiato! XD
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