Minuscola one-shot scritta in mezza serata giusto per sfogare un
momento di amarezza. Vuol dire che non dovete
aspettarvi un’opera d’arte :P
Ma vi sarei lo stesso
immensamente grata se mi lasciaste un parere, in fondo
non scrivo mai niente senza metterci dentro il cuore!
LA NEVE NON FA RUMORE
Piove. E fa freddo, un freddo cane
che penetra fin dentro le ossa.
Qualunque viaggiatore abbia raggiunto questa
anonima cittadina stasera, si deve essere lanciato alla ricerca di una
sistemazione decente per passare la notte perché nemmeno nelle stalle c’è più
un buco dove dormire. Ma in fondo a nessuno verrebbe
in mente di campeggiare con questo tempo.
Per fortuna esistono
pochissime cose a questo mondo che una carta di credito, un Sanzo
e la minaccia di un proiettile in mezzo agli occhi non siano
in grado di comprare e infatti eccoci sistemati per
bene in men che non si dica.
Quattro camere singole all’ultimo piano in
modo che il rumore che proviene dalla locanda al piano terra non disturbi
troppo il meritato riposo di sua mestà Genjo Sanzo Hoshi.
La povera locandiera ha fatto del suo meglio, credo che l’abbiamo terrorizzata per bene. Non era nostra intenzione,
non di tutti e quattro almeno e se avesse avuto qualche decina d’anni di meno avrei trovato il modo di consolarla.
Di sotto si beve per scaldarsi e gli animi sono un po’
troppo allegri. Ho bevuto qualche birra, ho vinto un paio di mani, ma è stato
così facile che mi è passata subito la voglia di giocare e sono tornato in
camera.
Sarei andato da Hakkai ma non si
vede nessuna luce filtrare da sotto la sua porta e ho deciso di lasciar
perdere, starà dormendo già e in fin dei conti non avevo
niente in particolare da dirgli.
Ma so che la pioggia lo rende
malinconico e il fatto che non ne voglia parlare, ho fatto fatica ad ammetterlo
con me stesso, un po’ mi ferisce.
Anche Sanzo
detesta la pioggia, se possibile ancora più di quanto non la odi Hakkai, o forse è solo che lui esprime la sua amarezza in
modo più plateale.
A me invece non da fastidio, anzi direi
quasi che mi piace.
Quando ero appena un ragazzino giocavo
spesso da solo sotto le gocce d’acqua battenti. Poi una volta sentii
qualcuno dire che quell’acqua che cadeva dal cielo
poteva purificare ogni peccato e una sera mi misi in piedi in mezzo ad una
radura poco lontana da casa con le braccia aperte e lo sguardo rivolto in alto.
Aspettai che la pioggia lavasse via il colore rosso dei miei
capelli.
Aspettai minuti, ore.
Aspettai finchè non fui troppo
stanco per restare in piedi, mi sedetti e aspettai ancora.
La serata mi costò nell’ordine una sgridata memorabile di
mio fratello, un raffreddore particolarmente crudele e la consapevolezza che ci
sono macchie che nemmeno tutta l’acqua mandata sulla terra dagli
dei può lavare via, ma avrei compreso l’entità di quest’ultima
scoperta solo più tardi.
Non credo che smetterà stanotte, l’acqua cade con lo stesso
ritmo da un tempo indefinito. Il ticchettio sul tetto della locanda è insistente
e regolare. Se uno si ferma ad ascoltarlo troppo a lungo
diventa ossessivo.
Nelle notti come queste c’è chi ha voglia
di stare da solo. E c’è chi ne avrebbe voglia
ma non ci riesce.
Ormai è diventata routine. Tra poco Sanzo
entrerà senza bussare, prima nella mia stanza, poi nel mio letto e io lo
lascerò fare, come sempre. E farò finta che le sue mani non siano così fredde,
che non ricambi i miei baci contro voglia, che non se
ne andrà prima dell’alba.
Che sia Hakkai.
Che Hakkai
non sia innamorato di un fantasma.
Che un demone innamorato di un
fantasma non sia ironico da piangere.
In quei momenti vorrei che nevicasse, la neve almeno, quando
cade non fa rumore.
Mi chiedo perché Sanzo continui a tornare da me quando sa benissimo tutto
questo. Lo sa perché l’ha provato sulla sua pelle sebbene forse non ne sia
completamente consapevole. Ma io che posso osservarli
dall’esterno ho visto con estrema chiarezza quello che c’è tra lui e Goku.
La scimmietta non è in grado di
trovare un nome per il legame che li unisce e Sanzo
non oserebbe mai chiamarlo amore. Oppure sporcarlo con
il sesso.
Ma sento già dei passi fuori dalla
mia porta, Sanzo ha perso quella purezza molto tempo
fa, a me è stato insegnato che non l’ho mai posseduta perciò mi sfilo la
maglietta, apro la porta e lo attiro verso di me con uno strattone.
Lui mormora qualche imprecazione che non riesco
ad afferrare, ma credo che mi abbia chiamato ‘animale’. Sorrido per il
complimento del bonzo ipocrita.
Come si fa ad essere moralisti con un’erezione di quella portata?