Ok, vi chiedo scusa di nuovo, ma questi esami
mi stanno uccidendo e il capitolo pure. L'avrò riscritto
tipo quattro volte e continuava a farmi schifo. Questa è la
versione "finale" e spero vivamente che vi piaccia .-.
Rispostine...
areon: NO, non è
Jared Leto u_u il mio Jared, detto anche J.J.
per ovvi
motivi,
è un ragazzotto svampito con i capelli fulvi e le lentiggini
e non c'entra un tubo con il figone dei 30stm u_u
Eveline
è scorbutica, ma proprio per questo è puccia
<3 si, la amo tanto. Per sapere se Phil muore devi leggere il
capitolo /awe
RiflessoCondizionato: si effettivamente ho
tifato per Drake anche io, che dovrei essere imparziale, ma Josh... Non
è che mi sia antipatico, è che Josh è
proprio un coglione >_> altro che Eve, lei è
bella, intelligente, forte, tenace, *coffcoff* ok la smetto di
influenzare la gente sui miei stessi pg...>_>
Come sempre, buona
lettura.
______________________________________________
Andy aveva quasi la sensazione di trovarsi in una bolla
d’aria che rendeva tutto il resto dei rumori ovattati e
distanti. Sua madre taceva, e il suo respiro leggero era impercettibile
anche ad un orecchio in ascolto.
Ripensandoci
più tardi, avrebbe attribuito la calma che regnava
innaturale allo shock della notizia appresa, ma non era del tutto
convinto di ciò.
Probabilmente il suo
cervello si stava ancora rifiutando di elaborare ciò che
Monica gli aveva riferito, perché non poteva accettarlo, suo
padre morto, no, era una cosa impensabile. I medici di sicuro
l’avrebbero salvato, non c’era di che preoccuparsi.
E poi non poteva essere così grave, insomma…
Jared aveva perso un braccio, ma era vivo e vegeto, no?
Ma capita spesso,
gli mormorò una voce malefica dall’interno della
sua testa, decisa ad insinuare in lui il germe del pessimismo, capita molto spesso che negli
incidenti qualcuno muoia e qualcun altro rimanga praticamente illeso,
non sarebbe il primo caso…
No, non doveva
pensarci. Sarebbe finito tutto bene, e questo pensiero sarebbe
diventato ben presto distante e sarebbe finito nel dimenticatoio.
Vedeva già lui, sua madre e Philip seduti davanti al loro
camino in un imprecisato inverno futuro, tutti integri e sani, a
brindare alla loro salute e totalmente concentrati sulla meravigliosa
serata.
Ma man mano che si
avvicinavano alla zona dell’ospedale, la stolta sicurezza
lasciava posto a tensione, preoccupazione, e quando
l’imponente struttura color mattone fece capolino tra i
condomini, Andy deglutì, un lampo di panico negli occhi
scuri.
« Mamma.
» mormorò, quando furono scesi dall’auto.
Lei si
voltò a guardarlo ma non sembrò essere in grado
di aprire bocca per rispondergli.
« Quante ore
fa è avvenuto l’incidente? »
Monica lo
fissò a lungo e poi tirò su col naso,
stringendosi nelle spalle.
« Cinque ore
fa, ormai. Non sono riusciti a contattarmi prima di quattro ore dopo
l’arrivo in ospedale, perché hanno dovuto cercare
di stabilizzare le condizioni. Solo in seguito hanno frugato tra gli
effetti personali per avvertire le persone più vicine.
»
La mente di Andy
lavorava frenetica. Se dopo quattro ore dall’incidente le
condizioni di suo padre erano ancora sul
“gravissimo” ma non erano peggiorate, allora forse
c’era la possibilità che si sarebbe salvato?
Non riusciva a fare a
meno di pensare però, che le sue farneticazioni fossero solo
un disperato tentativo di crearsi una ragione, seppur labile, per non
gettarsi dal primo ponte che avrebbe incontrato.
Durante il viaggio in
auto aveva desiderato quasi di poter volare, di raggiungere
quell’ospedale il più in fretta possibile, e ora
che era lì sentiva un assoluto terrore scorrergli nelle
vene, e ad ogni passo che facevano verso il portone lo sentiva
avvicinarsi tanto velocemente che se non fosse stato attento avrebbe
potuto inghiottirlo.
Per un folle momento
aveva sperato di trovarlo chiuso, ma era chiaro che l’entrata
di una clinica non era di certo sprangata alle tre del pomeriggio.
Varcarono la soglia e
si guardarono entrambi attorno, per un momento spaesati; la quiete
congelata che regnava nel vasto parcheggio si trasformò di
botto in un brusio concitato mischiato a varie voci da nastro
registrato provenienti dalla sala d’aspetto e dalla fila di
ascensori sulla loro destra.
I cartelli colorati
indicavano vari blocchi di reparti, e poco sotto quello del Pronto
Soccorso videro una targa recante la scritta “Urgenze
– rianimazione – terapia intensiva, piano terra,
corridoio giallo”.
Di nuovo un torpore
mistico si era impossessato di Andy, e il percorso gli
sembrò durare ore, quando invece con tutta
probabilità avevano impiegato non più di due o
tre minuti per raggiungere la sala dove suo padre era ricoverato. Un
paio di volte aveva creduto di urtare della gente che camminava in
senso contrario, ma non era mai riuscito a produrre sufficienti sinapsi
per scusarsi, e quando la porta scorrevole dai vetri lucidi si
aprì davanti a lui e alla madre, pensò che le
porte dell’inferno avrebbero prodotto di sicuro un rumore
più gradevole.
Fu grato a Monica per
aver preso l’iniziativa con la signorina della segreteria,
perché si sentiva le mascelle cementate, e in ogni caso non
avrebbe probabilmente saputo mettere in fila nemmeno il proprio nome
col cognome.
La donna chiese loro i
nominativi e un documento d’identità valido per
poter permettere loro di proseguire oltre; Andy frugò nella
cartella che teneva addosso, ancora piena dei libri che si era
dimenticato di deporre in auto, così che si accorse solo in
quel momento che la cinghia della tracolla gli stava segando la spalla
e gli provocava una certa dose di dolore.
Estrasse la patente di
guida, la prima cosa che gli era capitata sotto mano, e la porse alla
signorina che gli sorrise dolce, scrutandolo da capo a piedi con i suoi
limpidi occhi azzurri.
« Siete la
moglie e il figlio del signor Nolan? » chiese infine.
Monica
annuì. « Possiamo vederlo? »
Elga, Andy
riuscì a leggere il nome sul cartellino di riconoscimento,
scosse il viso incorniciato di corti capelli biondi con
un’espressione che pareva sinceramente dispiaciuta.
« Mi dispiace signora. » disse «
Purtroppo le sue condizioni sono tali che a nessuno è
permesso entrare nella stanza. Si trova nella sala di rianimazione, che
è riservata esclusivamente al personale medico e deve
rimanere totalmente sterile. Quando verrà trasferito nella
camera apposita per i ricoverati gravi ma in condizioni stabili, allora
potrete visitarlo. Mi risulta che la persona che si trovava con lui al
momento dell’incidente sia nel reparto di chirurgia qui a
fianco – e indicò un corridoio con la porta rossa
sulla sinistra della segreteria – e sia possibile andarlo a
trovare. Come desiderate. » concluse.
Monica aveva lo
sguardo perso nel vuoto, ma poco dopo si riscosse e chiese al figlio
cos’aveva intenzione di fare. Questi si strinse nelle spalle
e propose di raggiungere Jared; entrambi lasciarono la sala
d’aspetto di quel pianerottolo e si diressero
nell’altra corsia secondo le istruzioni
dell’infermiera.
Qui trovarono
un’altra segretaria e ripeterono la procedura di
identificazione, e dopo aver ottenuto il numero di stanza dove si
trovava l’amico, la raggiunsero senza dire una parola. Appena
entrarono, Monica si trattenne a stento dal premersi una mano sulla
bocca e Andy strinse quasi convulsamente la cinghia della borsa,
finché le nocche delle mani diventarono livide.
Il ragazzo giaceva
sull’ultimo letto vicino alla finestra oscurata da pesanti
cortine grigie, e non aveva nulla a che fare con il giovanotto energico
e dalla pelle abbronzata che avevano sempre visto: il suo volto
sembrava un ammasso di carne tritata, circondato da ciocche di
scomposti e arruffati capelli fulvi, che ricadevano sulle spalle.
Ciò che non era coperto di tagli rossastri e freschi, era
pallido o violaceo. Un grosso livido si estendeva sullo zigomo destro,
e il labbro inferiore era spaccato lungo un angolo.
Avvicinandosi Andy si
accorse che l’aspetto dell’amico non era poi
così terribile, e le sue ferite non erano gravi come
sembravano da lontano.
Sembrava che stesse
dormendo profondamente, ma quando furono quasi a livello del letto, il
ragazzo alzò lo sguardo e puntò su di loro due
iridi grigie, a malapena visibili sotto gli occhi pesti.
Andy lasciò
cadere di malagrazia la cartella su una sedia e si gettò al
capezzale del degente.
« Oh
Jared… Come ti senti adesso, fa male? »
L’interpellato
cercò di sollevare un braccio tremante e di estrarlo da
sotto le lenzuola, e seppure la cosa sembrò costargli uno
sforzo immane, riuscì a posargli un avambraccio sulla spalla
e a tirarlo più vicino a sé.
« Non
molto… A dire il vero. » gli borbottò
all’orecchio. « Ho mezzo corpo anestetizzato.
» tossì, e riuscì a schiarire la voce
impastata. « Acqua. » gracchiò.
Monica, che era la
più vicina al comodino, afferrò una bottiglietta
di plastica e la passò al figlio, che la aprì e
la posò sulle labbra di Jared.
Bevve avidamente, ma
riuscì ad ingollare solo qualche sorso, e quasi subito si
scostò come se anche quello fosse uno sforzo eccessivo per
lui. Strinse gli occhi, sofferente, e si lasciò ricadere
pesantemente sui guanciali.
«
E’ stata colpa del ghiaccio. » disse dopo un
po’, guardando affranto il soffitto bianco. Era tutto bianco,
lì dentro. Le lenzuola, le pareti, il soffitto, gli armadi.
Anche la pelle di Jared era bianca, dove non era rossa o viola.
Sembrava che il dolore avesse portato via tutti i colori tranne quelli
più forti e terrificanti.
O forse, di nuovo, era
Andy ad essere troppo suggestionabile.
« Cosa
è stata colpa del ghiaccio? » chiese Monica, anche
se era consapevole di conoscere già la risposta.
«
L’incedente. » rispose il ragazzo, senza
distogliere lo sguardo dalle lampade al neon spente. « Quel
camion… Non credo che corresse troppo forte. Eravamo in
autostrada dopotutto. E sembrava davvero
pulita. C’era il sale, anche. Ma… » e
qui sembrò doversi concentrare per ricordare con precisione.
« Deve aver perso il controllo del veicolo. Si. Ha sbandato.
Ha divelto il guardrail, ma non quello di lamiera, quello di cemento
che divide i due sensi di marcia, capisci? E quando ce ne siamo
accorti, ormai ci era addosso. » concluse, con la voce che
sfumava. « E Philip… »
Guardò
entrambi con uno sguardo interrogativo, anche se il terrore che vi si
scorgeva nascosto faceva capire che temeva il peggio. «
Nessuno mi ha detto niente. » aggiunse con voce strozzata.
« Non
sappiamo. » disse Monica, scuotendo la testa. «
E’ ancora vivo. » disse poi, tanto per chiarire il
dubbio principale.
Jared volse lo sguardo
dall’altra parte, mentre il suo petto sussultava leggermente,
quasi come se anche piangere fosse troppo devastante per il suo fisico.
Andy prese un fazzoletto, e dopo aver costretto l’amico a
voltarsi, tamponò le lacrime dalle sue guance segnate e
dagli occhi che teneva chiusi, un po’ per la vergogna, un
po’ per il dolore.
« E
tu… » azzardò Monica. « Ci
hanno detto… Il braccio… »
« La mano.
» la corresse Jared. « La mano destra. Tranciata di
netto. Andata. Per fortuna che sono mancino. » aggiunse dopo
una breve pausa.
« Ti fa
male? »
« Figurati.
Almeno quello… Mi hanno dato talmente tanto anestetico che
credo basterà per una settimana. Non riesco mica a tirar
fuori il braccio da sotto le lenzuola sai, non me lo sento neppure.
»
La donna
annuì comprensiva e gli chiese se aveva bisogno di altro. Il
ragazzo stava per rispondere, quando entrò un medico seguito
da un altro paio di robusti infermieri.
« Lei
è il signor Jared Johnson? » chiese al paziente,
che annuì.
« Dobbiamo
parlare con lei. Da soli. » aggiunse poi in un eloquente tono
che non ammetteva repliche.
I due visitatori
uscirono in corridoio, dove rimasero a ciondolare per circa
mezz’ora, senza avere la minima idea di cosa fare. Nessuno
dei due propose di ritentare la fortuna con la segreteria del reparto
di rianimazione, consapevoli del fatto che le condizioni di Philip
erano talmente gravi e instabili che molto probabilmente sarebbero
stati mandati via a vista.
Quando il dottore
uscì, Andy notò che aveva in mano un generoso
plico di fogli, ma non riuscì a leggere quello che dicevano
le stampe; si avvicinò al medico e gli domandò se
potevano tornare nella camera.
« Siete
amici del signor Johnson? » ribatté questi.
« Si, siamo
i parenti di Philip Nolan, quello… Che ha avuto
l’incidente con lui. »
Il primario
annuì, pensoso.
« Beh,
suppongo che non ci sia nessun problema nel farvi rimanere un
pi’ con lui. » disse, alludendo a Jared con una
fugace occhiata alla porta socchiusa. « Ma non potrete
rimanere più di tanto, perché il nostro paziente
sarà presto trasferito. »
«
Trasferito? » gli fece eco Monica, mentre il dottore
aggiungeva di avere una certa fretta e di non poter restare a dare
esplicazioni a loro. Li salutò con un cenno molto distinto e
una stretta di mano, e se ne andò seguito dai due infermieri
che l’avevano accompagnato.
Quando la testa di
Andy fece capolino dalla porta, Jared sussultò, come
interrotto nel mezzo di riflessioni particolarmente intense. Sembrava
turbato.
Il ragazzo si
avvicinò al suo letto.
«
C’è qualcosa che non va? » gli chiese
timido, ma non era sicuro di voler davvero sapere la risposta.
« No.
» sospirò Jared. « Mi hanno proposto di
farmi fare un intervento alla mano, all’ospedale di
Charlotte. Un trapianto. »
« Beh ma
è fantastico, no? » disse Monica, con
un’espressione vagamente più rincuorata.
« Ormai la medicina dei trapianti delle mani è
progredita parecchio dai primi interventi, e hanno più volte
mostrato, anche ai notiziari, che la ripresa dei pazienti è
stata molto buona, e che riescono ad utilizzare la mano come se fosse
la propria, o quasi. »
Jared
guardò altrove, leccandosi velocemente le labbra secche.
« Non lo so. » rispose dopo una breve pausa.
« E’ sempre una cosa… Pericolosa. Devono
connettere tutto, anche i nervi, e se sbagliano… Potrei
rimanere paralizzato dalla spalla al polso per sempre! »
concluse, disperato.
«
Ma… Hanno sempre delle mani a disposizione? »
chiese piano Andy, preferendo spostare il fulcro del discorso
perché non sapeva come lenire la devastazione interiore
dell’amico, perfettamente comprensibile, di fronte ad un
dilemma da cui probabilmente sarebbe dipeso il suo futuro.
« No.
» ribatté Jared. « A dire il vero
è… » scrollò le spalle
incapace di continuare, ma poi si fece forza e concluse «
E’ una mano bionica. »
Alle sue parole lo
sguardo di Monica sembrò sprofondare in un abisso.
«
Una… Cosa? »
Jared
annuì, sorpreso dalle sue stesse parole. « Non
sarebbe il primo intervento di questo tipo, e di sicuro non
sarà l’ultimo. E’ tutto per un progetto
delle università mediche, l’hanno già
fatto anche in Italia, il primo è stato più di
due anni fa, e mi hanno anche detto che il paziente sta ancora bene e
anzi, va alla grande. Io sono giovane e in forze, sono il candidato
ideale, capite? E’ meglio di una mano presa da un…
cadavere, poi. Non c’è pericolo di rigetto per
un’altra pelle, ma per metallo o quello che è
insomma, che è sterile… Anche se ovviamente
all’inizio dovrò prendere un sacco di farmaci
immunodepressori, o mi inietteranno delle cellule staminali, non lo
so… Meglio di niente però, eh? » e li
guardò entrambi sperando che almeno loro potessero dargli un
qualche responso.
« Per me
dovresti provare. » disse la donna, animata da una strana
luce negli occhi umidi, protendendosi verso Jared quasi a rafforzare le
proprie parole. « Insomma, se è un progetto
così particolare, nuovo, quello che vuoi…
Chiameranno un’equipe di esperti, non dei chirurghi generali
che non sono abbastanza qualificati, no? » chiese scuotendo
la testa, come se anche solo l’ipotesi di un tale azzardo
fosse inimmaginabile.
« A dire il
vero – disse l’altro con un mezzo sorriso
– ho già accettato. Preferisco rischiare piuttosto
che condannarmi ad una menomazione certa. Non voglio credere di essere
già spacciato. Non posso. Ci saranno un sacco di
bioingegneri… »
Monica
annuì, e gli scostò i lunghi capelli dal viso con
fare materno.
« E
poi… » aggiunse il ragazzo « Mi portano
via in elicottero. Figo, no? Io ho sempre sognato di volare, anche se
ovviamente non per una ragione simile. » e si
sforzò di nascondere la nota di panico che aveva pervaso la
sua voce.
*
Dopo ore di attesa che
parvero interminabili, senza più Jared che ormai era
già stato trasportato nella struttura ospedaliera di
Charlotte, un dottore uscì trafelato dalla sala di
rianimazione e andò a parlare con Andy e Monica. Le
condizioni di Philip sembravano stabili, e finalmente qualcuno sembrava
propenso a dire loro concretamente quali traumi aveva subito,
dacché ormai ne avevano le scatole piene di sentirsi dire
solo che versava in “gravissime condizioni”, senza
un’esplicazione in più.
Il verdetto non era
comunque dei più felici, anzi.
Frattura cranica, per
fortuna non profonda, e una costola spezzata aveva perforato un polmone
e la sua pleura, causando il collasso della parte ferita
dell’organo.
Purtroppo Philip aveva
manifestato sintomi di febbre già dopo tre ore
dall’incidente, e oltre all’applicazione del
drenaggio avevano dovuto somministrargli una certa dose di antibiotici
per prevenire infezioni gravi.
« Lo teniamo
in coma farmacologico. » spiegò il dottore.
« Dopo numerosi controlli abbiamo verificato che non ci fosse
nessun danno alla corteccia cerebrale, ma quello è il
problema minore. La frattura si sanerà, ma il capo deve
stare in immobilità completa. Il trauma peggiore
è comportato dal pneumotorace, che è abbastanza
esteso. A causa della forte lesione dovuta all’incidente si
è rischiato di ottenere un emopneumotorace, ma il deflusso
forzato del sangue è stato applicato tempestivamente, e
questo non si è mescolato alla miscela d’aria del
polmone. Abbiamo stabilizzato le condizioni, e al momento è
fuori pericolo. »
«
E’ salvo quindi? » mormorò Monica,
facendo chiaramente intendere che al di là di specifici
dettagli medici, era quella risposta a starle maggiormente a cuore.
« Si, posso
affermarlo quasi con certezza. Naturalmente lo teniamo sotto controllo
costante. »
« Posso
restare qui per la notte? »
Il medico
indugiò un po’ prima di rispondere. «
Signora… Al momento suo marito non è in grado di
avvertire la presenza di altre persone, neppure degli infermieri, ed
entrare nella sala dov’è ricoverato è
vietato per chiunque non faccia parte del personale addetto. Vada a
riposare, di sicuro è rimasta qui per molto tempo. Se ci
sono emergenze la chiameremo, ma per il momento può
ritornare domani. »
Anche se riluttanti, i
due seguirono il consiglio e andarono a casa; Monica ebbe qualcosa da
ridire quando Andy annunciò che il giorno dopo non sarebbe
andato a scuola, ma i suoi tentativi di rifiuto furono talmente deboli
che dopo un po’ capitolò. Dopotutto era
l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, e
non sarebbe sicuramente stato una grave perdita.
Una parte difficile di
tutta quella faccenda fu spiegare a Joy e agli altri cos’era
successo, l’indomani, quando non lo videro
all’istituto; dovette raccontare tre volte a tre persone
diverse l’accaduto, perché come al solito Eve e
Josh non si trovavano mai a casa nello stesso momento e avevano scelto
momenti diversi per contattarlo. Tutto ciò fu molto penoso
per Andy, che ormai aveva ripercorso mentalmente o verbalmente il
giorno prima tante di quelle volte da avere la nausea al solo pensiero.
Quando il telefono
squillò per la quarta volta, immaginò con gioia
di gettarlo fuori in giardino e lasciare che si congelasse.
Era Drake:
probabilmente Joy o Josh avevano raccontato tutto anche a lui e Shawn,
ma Andy sentì che non ne poteva più di parlare
con degli estranei di Jared e suo padre, e fu molto tentato di non
rispondere. Infine quasi solo per cortesia, premette il piccolo tasto
verde e ascoltò la voce squillante di Drake raggiungerlo
metallica dall’altro capo dell’apparecchio. Per
fortuna il ragazzo fu molto comprensivo; non gli fece domande su
ciò che era capitato ma chiese semplicemente se Philip stava
migliorando, e se lui a la madre avevano bisogno di qualcosa, anche
solo di un po’ di conforto.
Fino a poco prima si
sentiva in guerra con il mondo, non aveva voglia di parlare –
o meglio discutere – con nessuno, ma appena sentì
la voce di Drake sentì che il peso che da ore gli opprimeva
il petto stava leggermente scemando, lasciando posto ad un calore
corroborante, che lo avvolgeva come un abbraccio.
Aveva un nodo alla
gola, che gli costò un doloroso silenzio mentre Drake gli
chiedeva preoccupato se fosse tutto a posto.
« Grazie.
» riuscì solo a mormorare, e riattaccò
il telefono.
Andy diede per
assodato che quello era il peggior Natale della sua vita. Non era
disperato e non si strappava di certo i capelli urlando come in una
pantomima, ma si sentiva costantemente ansioso, all’erta, con
il panico nel cuore ogni volta che un dottore gli si avvicinava per
dargli notizie del padre. Aveva il terrore di sentire che era
peggiorato, che aveva avuto una ricaduta, che le ferite non si
sanavano, che aveva riportato un danno irreversibile. Invece poco a
poco Philip migliorava, anche se con una lentezza quasi esasperante.
*
Andy aveva appena
finito di apparecchiare la tavola per il pranzo; si sedette, e lo
sguardo gli cadde sulla madre, che stava ancora ai fornelli e gli dava
la schiena.
La osservò,
con un misto di amore e sofferenza, il cuore più pesante.
Era sempre stata una donna così bella, alta, formosa, dai
tratti dolci e decisi e i colori scuri tipici di
un’ascendenza ispanica.
La guardò a
lungo, e gli parve che portasse sulle spalle il doppio degli anni che
aveva, infagottata in abiti sgualciti, con i capelli in disordine e
occhiaie violacee che non si curava più nemmeno di
nascondere.
Cosa poteva fare?
Aveva provato a darle tutto il conforto che poteva. Le aveva detto
“Io sono qui, mamma” e l’aveva racchiusa
nei suoi abbracci di uomo acerbo, accarezzandole la testa e baciandole
le guance. Ma a mano a mano che i giorni passavano, le telefonate di
amici e parenti lontani si facevano più rade, le visite dal
padre - che pur essendo cosciente a tratti, non aveva la forza di
parlare o di interagire con loro – si contornavano di
un’atmosfera greve e pesante.
E Monica si chiudeva
lentamente in un silenzio carico di pensieri che non voleva
condividere, nemmeno con lui.
L’olio nella
padella era caldo, e sfrigolava rilasciando il suo aroma; la donna vi
svuotò la confezione di straccetti di carne, e prese a
mescolare fino a quando si rese conto che aveva preparato troppo per
due persone sole. Quando lei cucinava, erano sempre in tre a casa.
Sempre.
Andy se
n’era accorto, come si rendeva conto di ogni minimo
movimento, espressione, allusione gestuale, da un po’ di
tempo a quella parte. Voleva dirle che non importava, che avrebbero
messo da parte quello che avanzava, ma il suo pensiero si era appena
articolato nella mente che il campanello suonò.
Era un rumore
squillante, ma gli sembrò profondo come quello di un gong da
monaci buddhisti, e lo fece trasalire. Sperò vivamente che
chiunque fosse l’avventore, avesse poco da riferire;
sbirciò da dietro la tenda del soggiorno, e il suo cuore
ebbe un tuffo quando riconobbe la sagoma smilza che si sporgeva oltre
le punte del cancello per vedere se c’era qualcuno in casa.
Era tremendamente
tentato di fare orecchie da mercante, ma all’ultimo non
resistette ed aprì l’uscio. Attese in silenzio e
con la porta socchiusa, finché i passi si fecero
più vicini, e si trovò faccia a faccia con
l’ospite.
Prese come di consueto
il cappotto e la sciarpa, e notò che Drake recava in mano un
involto piuttosto grosso.
« Spero di
non disturbare… » mormorò, anche se non
era necessario parlare così piano.
In realtà
Andy si sentiva disturbatissimo, ma allo stesso tempo era felice di
avere qualcosa che lo distraesse dal sentimento di impotenza e dai
sensi di colpa che provava ogni volta che guardava sua madre persa
nella propria tristezza, e si sentì un po’ crudele
di aver pensato questo.
Il ragazzo venne
accompagnato in cucina, dove la stufa recava un po’ di calore
e vita, con la legna che scoppiettava allegra dietro lo sportello.
«
Oddio… Stai mangiando! Scusami, è che pensavo che
alle tre del pomeriggio… Che tempismo pessimo, mi
dispiace… Ti lascio in pace, me ne vado…
»
« No, fermo,
non ci disturbi affatto! » Andy lo trattenne per un braccio.
«
“Ci”? C’è qualcun
altro… » non fece in tempo a formulare la domanda
che Monica era appena uscita dalla dispensa con un vasetto di salsa al
curry in mano.
Andy le
mostrò un sorriso forzato e balbettando presentò
Drake sperando che sua madre non se la prendesse con lui per non averla
avvisata della visita. Con suo immenso stupore, il viso della donna si
illuminò e le sue belle labbra si aprirono in un sorriso
dolce e sincero come non ne vedeva da giorni.
« Drake
Foster… » ripeté assorta. «
Non disturbi, figliolo, non devi preoccuparti… Vieni,
siediti. Mi dispiace che tu sia venuto adesso, pranzando saremo di poca
compagnia… Tu hai già mangiato,
immagino… »
Drake si strinse nelle
spalle, imbarazzato. « A dire il vero torno giusto adesso da
un allenamento con la squadra, ehm, della scuola, e non sono passato da
casa perché volevo venire a trovare Andy, per cui in
realtà no… »
Lo sguardo della donna
si illuminò, e lei si affrettò a prendere un
piatto e delle posate dalla credenza.
« Perfetto!
Spero che ai tuoi genitori non dispiaccia se resti qui per pranzo,
sempre se ti va… »
« Non
c’è nessuno a casa, signora Nolan, i miei sono
entrambi al lavoro. Ma è sicura che non sono di troppo?
»
Monica non avrebbe
potuto essere più convinta che Drake fosse una manna dal
cielo, e glielo fece capire con svariate pacche sulla spalla e inviti a
prendere posto a tavola. Quasi dimentico dell’altro motivo
per cui era lì, il ragazzo si batté un palmo
sulla fronte e consegnò ad Andy il pacco che teneva in mano,
spiegando che era un dolce natalizio che aveva chiesto a sua madre di
fare – « Perché io sono proprio negato
in cucina… » - per un amico che voleva andare a
trovare.
Il ragazzo lo
accettò, pensando che in fondo la signora Foster si stava
dimostrando una buon’anima molto più di quanto
avrebbe potuto credere; e dopo averlo assaggiato, tutti si convinsero
che aveva anche delle mani d’oro.
Drake passò
con loro tutto il pomeriggio, e la loro casa si riempì di un
po’ di vitalità, che negli ultimi tempi aveva
fatto sentire la sua mancanza, lasciando un vuoto grigio e opprimente.
Andy capì, d’un tratto, cosa serviva alla madre.
Lui le aveva di certo
offerto tutto il conforto e l’affetto che era in grado di
offrire, ma nonostante questo il loro nucleo familiare, già
di per sé ristretto, si era chiuso e isolato sempre di
più. Drake era non solo un estraneo, ma un elemento che
almeno per Monica era completamente nuovo, e non semplicemente una
“distrazione”, che era una definizione fin troppo
superficiale e semplicistica, ma una finestrella sul mondo esterno, una
ventata di luce. Andy benedì quel suo carattere solare ed
esuberante, perché lo stava facendo rinascere. Sentirlo solo
per telefono, se ne rese pienamente conto, non era neppure lontanamente
sufficiente. Aveva bisogno di lui, di averlo accanto, di poterlo
toccare con le mani per convincersi che non era un miraggio lontano.
Dopo aver sistemato la
cucina alla fine del pranzo, Monica decise che era ora di dare una
sistemata anche a se stessa, e li lasciò per recarsi al
piano superiore.
Drake la
seguì con lo sguardo e poi si voltò verso Andy.
« A quanto
pare ho fatto una buona impressione, o no? »
Il ragazzo gli sorrise
senza rispondere. Si protese verso di lui e gli poggiò la
testa su una spalla, chiuse gli occhi e inspirò il suo
profumo. « Si. » mormorò. «
Un’ottima impressione. »
Drake gli
accarezzò il viso, dolcemente. « E tu come te la
passi? »
«
…vorrei tanto che mio padre stesse bene in fretta. La casa
è vuota senza di lui. Non che fosse mai stato presente
fisicamente, era sempre in giro per lavoro, ma il solo pensiero ch lui
c’era, là fuori, era come averlo sempre
accanto… »
Drake
abbozzò un sorriso amaro che Andy, ancora ad occhi chiusi,
non colse.
« Pensa un
po’ che con il mio, di padre, la situazione è
all’esatto opposto. La sua ditta non è certo
distante da casa, e ce l’ho anche troppo tra i
piedi… Ma mai un abbraccio, un sorriso, un gesto
d’amore. A volta mi chiedo se io e Kat siamo davvero figli
suoi. Lei ha la sua stessa faccia, ma io sono tutto mia madre,
chissà, potrei essere il risultato di una scappatella. A
volte… » e qui la voce si fece più dura
ma incerta « A volte vorrei davvero che non fosse mio padre.
Almeno non soffrirei così tanto per le sue non-attenzioni.
»
Andy alzò
il volto fino ad incontrare gli occhi dell’altro, lucidi, che
fissavano ostinatamente il tavolo senza battiti di ciglia. Non sapeva
che dire. Non aveva mai avuto di questi problemi, e si rese conto in
quel momento di quanto fosse fortunato. Aveva paura a dire qualcosa,
paura di pronunciare parole vuote, di circostanza, che non avrebbero
aiutato nessuno. Prese il volto di Drake tra le mani e lo costrinse con
dolcezza a guardarlo.
« Tu sei un
ragazzo tenace, Drake. Di sicuro un giorno troverai anche la forza di
affrontare tuo padre e di mostrargli le tue paure e le tue insicurezze.
»
« Non lo
so… E’ sempre stato una figura
così… Autoritaria? Non lo so. Imponente, di
sicuro. »
« Si, magari
incute timore, ma anche lui è un essere umano. »
Drake
sospirò. « Mai parole furono più sagge.
E’ umano, soprattutto quando sbaglia. »
Andy aveva esaurito i
consigli. Gli si avvicinò. Dal piano superiore giungevano i
passi della madre che stava probabilmente facendo la spola tra la sua
camera da letto e il bagno, ma li ignorò. Si era riproposto
di avere un rapporto platonico con Drake, aveva giurato che dopo quella
faccenda ci sarebbe andato con i piedi di piombo, che lo avrebbe
guardato da lontano e gli avrebbe parlato quando c’erano
altri amici con loro.
Si, vabbè.
Scalciò
prepotentemente tutti quei pensieri nefandi, e baciò le sue
labbra dolci, che sapevano di crema, di zucchero e di caramello.
Drake rispose al
bacio, stringendogli la nuca tra le dita affusolate, e portando
l’altro braccio a cingere i fianchi sottili di Andy.
Com’era bello dimenticarsi di tutto e sentire solo i loro
corpi che strusciavano l’uno contro l’altro come
due gatti…
Andy lasciò
la propria sedia e si sedette a cavalcioni dell’altro,
gettandogli le braccia al collo e continuando a baciarlo con vigore.
Sentiva le sue mani dappertutto e si scostò i capelli dal
viso, gettando alcune ciocche dietro le orecchie.
All’improvviso
Drake si staccò come se avesse avuto
un’illuminazione folgorante.
« Andy.
»
« Dimmi.
»
« Tua
madre… » esitò « Lei sa che
tu sei… »
« Cosa?
»
Abbassò la
voce e si guardò intorno. « Lei sa che sei gay?
» bisbigliò.
Andy lo
fissò, e pensò che probabilmente Drake si era
fatto qualche scrupolo nel caso Monica tornasse da loro e li trovasse
in quella posizione non giustificabile con “lo stavo solo
abbracciando”.
« Si che lo
sa. E anche mio padre. » riprese a baciarlo, ma Drake lo
scostò dolcemente da sé.
«
E… Come l’hanno presa quando gliel’hai
detto? »
«
Allora… » cercò di far tornare alla
mente le scene del fatidico giorno. « Mia madre si
è messa a piangere, mio padre è rimasto in
silenzio, ma non l’ho mai visto tanto sconvolto. Per un
po’ non mi hanno parlato, ma ero abbastanza piccolo, e
l’accettazione è stata poco traumatica. Hanno
sempre tentato di cambiarmi, anche se non apertamente, fino
all’anno scorso, ma alla fine si sono messi l’anima
più o meno in pace. Sono stati loro a
“spingermi” a mettermi con Eveline. Fino a che non
mi sono letteralmente buttato su Josh, e allora hanno rinunciato al
diabolico piano. »
Ridacchiò
quando notò Drake fare un movimento stizzito al nome di
Josh, e gli stampò un bacio sulle labbra a mo’ di
scusa.
« Se io lo
dicessi ai miei… Beh, probabilmente sentiresti parlare del
mio brutale assassinio al notiziario serale. »
« Ad ogni
modo adesso sei a casa mia, no? »
Il ragazzo lo
fissò con quegli occhi dorati che sembravano poterti
guardare dentro, e gli sorrise mettendo in mostra i canini affilati.
« Si.
» rispose, e lo attirò a sé riprendendo
a baciarlo. Aveva voglia di lui. Aveva fame di lui. Non
poteva starne senza, o sarebbe impazzito. E se un giorno avesse dovuto
affrontare l’ira di suo padre, l’avrebbe fatto,
sarebbe sceso in campo, perché aveva qualcosa per cui
combattere, e quel motivo che lo faceva andare avanti per la propria
strada, non se lo sarebbe mai fatto portare via.
|