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Maria
Marea
Le onde
scure si infrangevano sugli scogli in quella calda notte d’Agosto, lasciando una
scia di schiuma bianca al ritirarsi, che costellava per alcuni secondi la
piccola spiaggia racchiusa tra le rocce.
Quattro
ragazzi incedevano lentamente sulla riva, godendosi la tranquillità dell’aria
deserta, cullando l’atmosfera con le loro voci divertite, irrompendo di tanto in
tanto con delle allegre risate.
Amici,
fratelli, innamorati.
Stavano
godendosi le ultime settimane di una calda e piacevole estate: un’oasi privata
ritagliata tra le rocce, tra gli orrori di una guerra imperversante, tra timori
e paure troppo grandi per le loro coscienze di adolescenti non più innocenti.
Sorridendo
compiaciuta ed anche un po’ complice, una ragazza dai capelli ramati, richiamò a
se uno degli amici, lasciando in disparte gli altri due, troppo intenti a
guardarsi negli occhi per accorgersi di quella piccola congiura alle loro
spalle.
Sollevando
l’orlo dei jeans smessi, immerse i piedi nell’acqua tiepida della notte,
lasciando che le onde la lambissero, scivolando tra i ciottoli.
Sollevò lo
sguardo, beandosi della miriade di puntini luminosi che si offriva al suo
sguardo, superando le barriere dell’oscurità notturna. La Luna piena era ancora
bassa all’orizzonte.
Raccolse i
capelli sulla nuca, lasciandosi cullare dalla brezza fresca, dallo sciabordio
dell’acqua, dal buio, dalla rara sensazione di precario benessere che la
pervadeva in quelle tarde serate.
Lasciò
vagare la mente per un po’, oltre l’orizzonte, chiudendo gli occhi.
-Ehi, Gin…ti
sei addormentata?-
Chiese il
ragazzo dietro di lei, i capelli corvini spettinati, il flebile riflesso delle
luci lontane sulle lenti degli occhiali.
Lei sorrise,
lasciandosi andare ad una breve risata cristallina, perdonandolo per
quell’involontaria irruzione nel suo universo personale. Allungò una mano nella
sua direzione, trascinandolo insieme a lei ad irrorarsi.
Pervasi da
una lieve euforia, presero a schizzare i due ragazzi rimasti indietro,
interrompendo un bacio e causando l’ilarità della ragazza.
Si
rincorsero sulla spiaggia per qualche metro, in una giocosa battaglia, per poi
lasciarsi andare sfiniti sui sassi, tra risate argentine.
-Siete
noiosi.-
Sbuffò la
ragazza rossa, osservando affettuosa il fratello e la migliore amica, attratti
di nuovo l’uno dall’altra, abbandonarsi in un abbraccio senza degnarla di una
replica. Un’ombra di tristezza le attraversò gli occhi castani, per andare
subito a rintanarsi tra le onde, silenziosa, ed attenta a non lasciarsi
scorgere.
-Chi
racconta una storia stasera?-
Chiese
ansiosa, con l’aria di una bimba compiaciuta, balzando su a sedere subito
seguita dagli altri.
Si
guardarono tra loro, posti in semicerchio, alla ricerca di un volontario. Quello
che era iniziato come un gioco, all’inizio di quella fuga estiva dal mondo, si
era ormai trasformato in un rito.
Ogni sera
qualcuno narrava una storia, intrattenendo gli altri. Non importava che fosse
vera o inventata, originale o altrui. Doveva attirare l’attenzione. Tenere col
fiato sospeso. Divertire, commuovere, impaurire.
Il primo era
stato Ron, l’ideatore di tutto. Intenzionato ad intimorire Ginny ed Hermione e,
magari, anche Harry.
Tutti gli
altri lo avevano seguito, inventando di tutto, fino a quella sera.
-Ron?-
domandò ancora Ginny, dopo qualche attimo di silenzio.
-Io ne ho
raccontate tante, adesso tocca a voi.- ribattè lanciando alcuni ciottoli chiari.
-Hermione?-
-Niente.-
sussurrò abbassando lo sguardo color caffé, spiaciuta per l’impreparazione.
Guardò
speranzosa il ragazzo con gli occhiali seduto alla sua destra. -Harry?-
Lui la
guardò scoraggiato, scuotendo la testa e lasciando così sparire le sue ultime
speranze.
-Sembra
proprio che stasera dovremmo arrangiarci.- sussurrò sospirando, pronta a
lasciarsi cadere indietro sulla spiaggia, per ammirare ancora quelle stelle,
ritirar fuori le sue vecchie ombre e crogiolarsi nella sua tristezza ormai
patologica.
-Racconto io
stasera, se permettete.-
Una voce
esordì improvvisa alle loro spalle, subito accompagnata da una figura alta,
vestita di scuro. Tutti sussultarono, prima di riconoscere quel volto che tante
volte avevano intravisto sulla spiaggia o tra gli scogli, che aveva spezzato un
po’ quel prezioso equilibrio ed impregnato l’atmosfera di tensione.
Senza
attendere un invito, prese posto di fronte a Ginny, tra Ron ed Harry, sorridendo
compiaciuto ed anche un po’ presuntuoso.
-Allora, mi
concedete quest’onore?- chiese con una palese nota di scherno nella voce,
consapevole di aver catturato, al suo arrivo, l’attenzione del quartetto.
Lo
osservarono diffidenti, pronti a negargli quel ruolo.
Lo avevano
incontrato, in quella solitaria zona marittima, qualche tempo dopo il loro
arrivo, accettandone loro malgrado la presenza. Sembrava anche lui volersi
riparare dagli orrori al di fuori di quell’oasi pacifica e non aveva, fino ad
allora, recato fastidi.
-Malfoy…-
-Lascialo
raccontare, Ron!- lo interruppe sul nascere la sorella, l’unica a non aver
ancora guardato dritto negli occhi il nuovo arrivato. -Non abbiamo alternative,
stasera.-
La sua voce,
flebile, si confondeva con lo sciabordare delle onde alle spalle, rendendola
appena udibile. Nessuno osò ribattere a quello sguardo strano. Calò il silenzio.
-Grazie,
piccola Weasley.-
Rispose
ancora tagliente il ragazzo biondo, puntando, per il primo di lunghi momenti, i
suoi fieri occhi argentei in quelli timidi di lei. Intenzionato a ricevere
quello sguardo in cambio.
Attese per
qualche secondo che l’attenzione generale gli fosse totalmente dedicata, prima
di iniziare, certo del proprio magnetismo, la sua storia.
-Si racconta
una leggenda, su questa spiaggia…- esordì, lasciando scorrere lo sguardo
bollente sui suoi spettatori, testandone con soddisfazione le reazioni, le
variazioni di attenzione, le emozioni.
-Una storia
inquietante, che narra di solitudini e di passioni…-
Rese la voce
più profonda, più calda, inquinata dal vento tra i ciottoli. Scrutò Ginny.
-…di sogni e
di incubi…-
Ricercò il
proprio tono schernitore, lo sguardo insolente. Occhi su Ron ed Hermione.
-…di vita…e
di morte. Di anime che ritornano…-
Abbassò la
voce, fino a farla divenire un sussurro. Con scintillio divertito, squadrò
Harry.
-Paura,
Potter?-
Un sussurro
separò quella battaglia intrisa di vecchie tensioni, un bisogno strano, una
necessità dagli occhi castani intensi, dai capelli vermigli e dal volto
arrossato.
-Continua…-
E Maria guardava fuori e
spariva con la mente
sulla scia dei marinai al di là dell'orizzonte.
Sospirò poggiando la fronte alla finestra.
Seguiva con gli occhi le scie bianche, lasciate dai pescherecci in partenza dal
porticciolo di paese, intaccare l’azzurro splendente di quel mare mattutino.
Le voci dei pescatori, impegnati già a ritirare i
prodotti non venduti al mercato del pesce, riempivano l’aria soffocando
qualsiasi altro suono.
Una nave da carico straniera, ancorata al molo, si
preparava a salpare, per raggiungere quei mari sconfinati oltre l’orizzonte. Un
uomo in divisa scura uscì dall’imbarcazione, controllando le condizioni del
tempo con occhio da vecchio marinaio esperto.
Sollevò gli occhi scuri, in direzione di quella bella
casa sul mare, riparandosi con una mano dal sole accecante che si rifletteva
sulle pareti chiare delle abitazioni. Effettuò un breve cenno di saluto alla
donna affacciata al davanzale, ancora in abiti da camera. Un sorriso complice a
rivelare che i ricordi della notte precedente non erano stati cancellati,
ancora.
Poi abbassò di nuovo lo sguardo per occuparsi della
partenza, lasciandole solo la visuale di una testa brizzolata, e di una
corporatura non più giovanissima.
Lei si voltò a guardare il letto sfatto, le lenzuola
sgualcite da quella notte di fredda passione. Un'altra goccia nel mare delle sue
conquiste. Un’altra nuvola nel cielo della sua felicità.
Come guarire un’anima sofferente di solitudine?
Impossibile…
Pensò chiudendo una tenda ed accingendosi a ricomporre
il letto.
Innumerevoli tentativi di riempire quel vuoto
interiore avevano costellato la sua vita in un solo anno, senza successo.
Pensare che aveva abbandonato la sua precedente esistenza perché troppo
opprimente.
Almeno, tra quei mille avvenimenti, quegli
innumerevoli impegni, avrebbe ridotto al minimo il tempo per pensare. Per
scoprire di essere solo un’anima incompleta.
Ed invece era ancora lì, infelice come sempre, e più
insofferente nei confronti della vita. Meno disposta a sopportare.
Si spogliò completamente, entrando nella doccia, col
desiderio di lavar via presenze ed odori dal suo corpo, troppo ingombranti per
farle compagnia. Lasciò l’acqua scorrerle addosso per diversi minuti, quasi a
coccolarla. Poi uscì, lasciando la pelle asciugarsi naturalmente.
Le mattonelle fredde si offrirono ai suoi piedi per
tutto il percorso fino in camera da letto. Si spazzolò i lunghi capelli
vermigli, lisciando i riccioli ed eliminando l’acqua in eccesso. Lasciò che lo
specchio vedesse i mutamenti della sua immagine mentre si truccava con
precisione.
Si vestì velocemente, lasciando che i capelli umidi si
asciugassero alla brezza calda del sud. Scese in strada, salutando con un
sorriso i conoscenti, concedendo qualche battuta al proprietario della bottega
all’angolo della strada.
Giunta ai piedi di un palazzo dalla facciata bianca,
dopo il porto, in un’area non contaminata dall’odore pungente del petrolio, salì
le scale fino all’ultimo piano, ritrovandosi in un locale.
Sulla terrazza stavano disposti i tavoli, con sopra le
sedie rovesciate. Salutò con garbo il barman del turno mattutino già all’opera e
raggiunse la ringhiera, in attesa che iniziasse il suo turno di lavoro.
C’era, lassù, odore di caffè, profumo di brioche
appena sfornate. E, in fondo, anche l’odore del mare.
E
Maria guardava dentro nelle tasche ai forestieri
e sognava ad ogni incontro di attaccarsi al vento
al vento per andare via.
La vista del cielo che si specchiava nel mare, delle
distese oltre l’orizzonte, lì, dove la vista non arrivava, sapevano di
avventura, di libertà, di scoperte, di sogni.
Uno yacht bianco che le sembrò immenso, tagliato a
metà dai vetri scuri, si dirigeva verso il porto.
Ares III era
inciso a caratteri eleganti sulla fiancata.
Un nuovo rampollo dell’alta società forse, che andava
a godersi le vacanze il quella piccola oasi pacifica.
In tanti le avevano scaldato le notti, in passato. Nel
suo disperato tentativo di trovare la vita, tramite la condizione agiata di un
uomo approdato al suo porto personale. Come se le dimensioni delle imbarcazioni
di quei pionieri di vita, corrispondessero a maggiori possibilità di attaccarsi
al vento e volare via.
In terre lontane. Oltre l’orizzonte.
-Maria?-
Richiamata dal suo datore di lavoro, lasciò spezzare i
fili di quei viaggi fantastici, pronta a dedicarsi alle sue attività.
-Sembra che tu conosca molto bene questa ragazza,
Malfoy. Sicuro che sia solo una favola?-
Scoccò un’occhiata furiosa al ragazzo dai capelli
rossi, tentando di coglierne l’espressione alla luce della Luna.
Detestava essere interrotto.
-Nessuno resterà offeso, Weasley se terrai per te le
tue manifestazioni di stupidità.- ringhiò tentando di ritrovare la
concentrazione adatta a proseguire. Prese nota degli occhi della ragazza di
fronte a sé, diventati improvvisamente lucidi.
E tanto bastò per incitarlo ad andare avanti.
La sera, tra le luci soffuse che illuminavano la
spiaggia, i profumi delle trattorie e la musica in sottofondo, quel vecchio
paese di mare, che al mattino appariva dimenticato dal mondo, prendeva una forma
propria, diventando il ritrovo di molti turisti, alla ricerca di atmosfere
magnetiche.
Della brezza che tirava quella mattina era rimasto
solo un flebile ricordo, e l’aria appariva immobile, quasi afosa.
Il pianista, su un angolo della terrazza, lasciava che
le note si rincorressero sui tasti, tra i tavoli, tra le orecchie della gente,
fino a disperdersi nella calma piatta del mare, tra un leggero tintinnio di
posate.
Scrisse velocemente sul block notes l’ordinazione
della coppia al tavolo ventidue, per poi dirigersi in fretta all’interno, dove
già la attendevano le pietanze da portare al tredici. Serata piena, poco tempo
per pensare, finalmente.
Servì in fretta, rischiando persino di inciampare, i
piatti pieni, elargendo qualche sorriso più o meno spontaneo ai volti più
affabili o tristi. Intanto un nuovo cliente, uno straniero forse, dai capelli
chiari, aveva preso posto in un tavolo riparato, all’angolo del terrazzo, nel
punto in cui il profumo del mare era più intenso.
Decise di raggiungerlo, notando di essere l’unica del
personale momentaneamente libera. Prese carta e penna dal taschino del
grembiule, pronta ad esordire con voce squillante il suo benvenuto, mentre si
avvicinava al nuovo arrivato, apparentemente privo di compagnia.
-Buon…-
Le parole le morirono in gola mentre lui si voltava,
piantandole due occhi grigi terribilmente penetranti sul viso.
Lineamenti affilati, capelli chiari, occhi di
ghiaccio.
Non si sentiva ancora pronta a quel confronto. Il suo
passato, seppur rimpianto, avrebbe dovuto restare rinchiuso tra i ricordi, e
quell’improvvisa irruzione nel suo presente la stava spiazzando.
-Signorina, vorrei ordinare…-
La solita voce conosciuta, resa calda e matura dal
tempo, la riscosse, lievemente impaziente, dal turbinio di pensieri che avevano
preso ad affollarle la mente, estraniandola da quell’universo.
Non l’aveva riconosciuta.
Era stata, in passato, troppo poco degna di nota,
poiché qualcuno si ricordasse della sua presenza. E il pensiero che coloro da
cui era fuggita non pensassero più a lei, le apparve più insopportabile di
quanto avrebbe mai sospettato.
Farfugliò qualcosa, ricordando improvvisamente di
trovarsi al locale. Si chinò per raccogliere il block notes che le era scivolato
dalle mani, riacquistando la padronanza di sé.
-Prego…-
E
Maria imparò di tutto, anche come avvelenare
con la bocca, con il petto, a graffiare come un gatto.
Proseguiva lentamente verso casa, accompagnata dal
ticchettare dei tacchi sull’asfalto della banchina. La Luna piena regnava nel
manto notturno, illuminando le imbarcazioni.
Il mare era leggermente mosso e il pigro sciabordare
dell’acqua sul molo, aveva un effetto rilassante sui suoi nervi tesi e sul suo
mal di testa provocato dalla dura giornata di lavoro. Le strade erano deserte,
essendo troppo tardi per passeggiare e troppo presto per il mercato.
Una nuova presenza attirò la sua attenzione. Proprio
di fronte l’emporio in cui quella mattina si era fermata a chiacchierare, era
ormeggiato un grande yacht bianco.
Ares III
Gli stessi caratteri scuri ed eleganti che aveva
intravisto sulla terrazza stavano adesso immobili davanti a lei. Le sarebbe
piaciuto salirvi a bordo e salpare finalmente facendo rotta verso il suo
orizzonte. Ma per quella sera si sarebbe accontentata di quella solitaria casa
che si affacciava sul porto. Non aveva rimediato nemmeno una fredda compagnia.
Vide scendere dal ponte di attracco una figura in
camicia grigia.
Le puntò gli occhi addosso, fissandola con intensità.
Avrebbe dovuto supporre che quella manifestazione aperta di lusso avesse
qualcosa a che fare con lui.
-Sei talmente abbagliata dal mio fascino da restare
immobile ogni qualvolta mi vedi?-
Era ormai a terra, immobile, con le braccia incrociate
al petto. Dalla camicia semi sbottonata, si intravedeva un medaglione con
l’emblema di famiglia.
Era lui. Era un ponte col passato che non ricordava
nemmeno della sua esistenza. Qualcosa che avrebbe unito passato e presente.
Affondò gli occhi nei suoi, restituendogli uno sguardo
bruciante che aveva ormai utilizzato tante volte, fino alla notte precedente.
Avanzò lentamente verso di lui, con movimenti felini, fermandosi a pochi
centimetri dal suo viso.
Gli passò provocatoriamente un dito sulla camicia,
salendo fino al primo bottone sciolto, percorrendo la sua pelle con le dita
gelate.
-Dimostrami di non aver preso solo un abbaglio…-
Si lasciò baciare, mentre lo trascinava, tentoni, fino
al portone di casa sua. Lo lasciò andare solo per qualche secondo, mentre
apriva, poi si aggrappò di nuovo a lui, salendo nel suo appartamento,
incespicando su per le scale.
Entrarono nella sua camera.
Lui la fece cadere sul letto, chinandosi subito su di
lei, catturandole le labbra, ricercando la sua pelle sotto la stoffa dei
vestiti. Le lambì la gola, la clavicola, il torace.
-Sei meglio di quanto ricordassi.-
Lo scrutò stupita, tentando di farsi spazio tra le sue
iridi, mentre una mano di lui sulla gamba le rendeva meno lucido il pensiero.
-Credevi non mi ricordassi di te?- chiese beffardo,
continuando a lasciar correre i polpastrelli sulla sua pelle. L’altra mano
stretta sulla nuca, tra la cascata di capelli rossi.
-E’ quello che hai dimostrato.- rispose lei
flebilmente mordendosi le labbra per soffocare un gemito.
-Credevo fosse quello che volevi.-
Gli scoccò un’altra occhiata, portandogli le mani
dietro il collo ed attirandolo a sé.
E
Maria lasciò ben poco a quell'uomo che dormiva
una scia di buon profumo in riva al mare e via.
Era sdraiato prono sul letto, dormiva respirando
silenziosamente. I capelli biondi erano sparsi sul cuscino ed un braccio le
avvolgeva la vita. C’era un tatuaggio scuro su quell’avambraccio pallido, che
era a contatto in quel momento con la sua stessa pelle.
Raffigurava un serpente nero. Le faceva uno strano
effetto.
Distolse lo sguardo posandolo su quei tratti
apparentemente angelici, rilassati nel sonno.
Le lenzuola lo coprivano fino alla base della schiena
levigata.
Aveva un profumo pungente, che impregnava la stoffa,
l’aria. Se lo sentiva perennemente addosso. Aveva immediatamente cancellato
qualsiasi profumo degli uomini che avevano occupato quel letto tempo prima.
Gli accarezzò la schiena con le punte delle dita,
piacevolmente attratta da quella consistenza.
Era la prima volta che andasse a letto con un uomo
conosciuto.
Era la prima volta che andasse a letto con lo stesso
uomo per tanto tempo.
Non era la prima però che andasse a letto con un
individuo poco affidabile. Aveva chiamato Ares la sua barca. Le aveva
dato il nome del dio della guerra.
Seducente, inebriante, passionale, ma pericoloso.
Lei, navigata ammaliatrice, gli era invece caduta tra
le braccia come una giovane inesperta. Gli aveva concesso il corpo, ed anche
l’anima. Si era lasciata incatenare, senza possibilità di tornare indietro.
Lo sentì muoversi sopra di lei, disturbato forse dalle
solite voci del mattino inoltrato. Scostò lentamente quel braccio che la teneva
per la vita, sollevò adagio le lenzuola e scese dal letto.
Non si curò del pavimento gelido, né della finestra
aperta. Raccolse velocemente i suoi vestiti sparsi per terra, scovò la
biancheria, tentando di salvare quella dignità ormai usurpata, e corse ad
indossare degli abiti puliti.
Attenta a non fare il minimo rumore aprì la porta
dell’appartamento, pronta a lasciarlo prima pentirsi di quel gesto. Poi, come
colta da un lampo, si abbassò a raccogliere i pantaloni di lui per terra, frugò
nelle tasche, ed andò via definitivamente, con addosso ciò che era riuscita a
rubargli.
Scese in strada, accecata dal sole del mezzogiorno,
alla ricerca di una via di fuga. La seconda, nella sua vita. Si voltò solo per
un momento verso quella finestra che l’aveva vista tante volte sognare
l’orizzonte, prima di sparire per le vie del paese.
Aveva usato del profumo forte quella mattina, sperando
che fosse lui, per una volta, ad essere ossessionato dal ricordo del suo odore.
E cosi
se ne andò senza idea di dove andare,
prese terra in mille porti, porti da dimenticare.
Si concesse una pausa ad effetto, per accrescere la
curiosità del quartetto.
Harry e Ron stavano in silenzio, tentando di
dimostrare scarso interesse per tutta quella storia, mentre persino Hermione
appariva totalmente estraniata dalla realtà, con gli occhi fissi sul mucchio di
ciottoli davanti a lei.
Ginevra sembrava invece incapace di staccare gli occhi
da quelli del Serpeverde che le sedeva di fronte. Incatenati da fili invisibili,
sguardi che scottavano.
La voglia di fuggire da lui, quando aveva riconosciuto
se stessa in quella storia, si era improvvisamente affievolita, vinta dalla
forza magnetica che la imprigionava lì, ad affogare in quello sguardo.
Arrossì, voltando il capo.
-Vagò per mesi, nella sua ennesima fuga dalla vita.
Disprezzandosi persino, per aver trovato il modo di riempire la propria
esistenza abbandonandosi all’incarnazione del male.-
Il fischio del vento riempì il silenzio.
-Poi, accompagnata dalla disperazione, troppo indegna
per tornare dai remoti affetti, ancora violata da esperienze da dimenticare,
approdò alla sua ultima spiaggia…-
Maria marea oltremare c'è sempre altro mare
e di più.
Maria marea con le ombre più amare nel cuore
e di più, e di più.
Osservava da
ore quella figura sulla spiaggia che avanzava lentamente, apparentemente senza
meta. Aveva varcato i suoi orizzonti, ma evidentemente non aveva trovato ciò che
sperava. Tutte le sue speranze si erano rivelate mere utopie, vero Maria?
Trangugiò
l’ennesima tequila, chiudendo gli occhi.
Era a bordo
dell’Ares III, come quotidianamente ormai da molti mesi, invischiato in
loschi affari. E beveva.
La barba
bionda incolta, i capelli scarmigliati. Quando quella piccola sirena l’aveva
abbandonato l’aveva stravolto più di quanto avrebbe mai voluto dare a vedere.
Aveva desiderato non incontrarla mai più…eppure il suo desiderio non era stato
esaudito.
Il pessimo
senso dell’umorismo del destino, l’aveva portato ad attraccare in quella
spiaggia. E adesso la stava osservando attraverso i vetri scuri del suo yacht,
curioso di scoprire dove l’avrebbe condotta quella passeggiata solitaria.
E
Maria non incontrò mai cuori buoni e intelligenti,
solo il petto dei cattivi, tatuato coi serpenti.
Si fermò ad
osservare il serpente sul suo avambraccio sinistro, ed abbassò istintivamente la
manica. Iniziava a rinnegare la sua essenza, forse?
Aveva visto
tante volte gli occhi di lei soffermarsi su quello sfregio, con un singolare
sguardo, a metà tra l’affascinato e l’impaurito. Chissà, magari anche la mattina
in cui era scappato via l’aveva visto. E magari sfiorato.
Mandò giù un
altro bicchiere, mentre quella donna, lì fuori, si avvicinava pericolosamente
all’acqua. Spense le luci, intenzionato a vederla meglio, sotto il solo riflesso
lunare.
E
Maria, la principessa era rosa troppo rossa
per potersi far toccare da amori senza amore.
L’acqua era tiepida, nonostante la temperatura esterna fosse piuttosto bassa.
Incurante del vestito zuppo, si immerse fino al ginocchio. La stoffa galleggiava
nell’acqua, creando uno strano gioco di forme.
Effettuò
qualche altro passo, sentendo il fondale sempre meno consistente.
Si leccò
le labbra. Erano salate.
Anche
lui, alcune notti, quando si incontravano, aveva un sapore salmastro. Forse a
causa dell’acqua del mare, o magari solo dell’aria circostante. Non gliel’aveva
mai chiesto.
Non gli
aveva mai chiesto nulla. L’aveva amato, a modo suo, e basta.
Poi era
scappata via, ormai esperta fuggitiva, quando si era resa conto di esserne
troppo succuba. Quando il peso di essersi lasciata usurpare da amori senza
amore, si era fatto schiacciante.
Troppo tardi per i moralismi, Maria.
Adesso
si ritrovava su una spiaggia, ancora con la sensazione di avere lo sguardo
bruciante di lui marchiato a fuoco sulla pelle. Una presenza assente divenuta
insostenibile. Quell’acqua calda invece, sembrava alleviare il dolore.
Sembrava
rendere tutto più leggero.
Fuori
era freddo.
E cosi
se ne andò con l'idea di dove andare
camminò sulla marea, prese l'onda e l'abbracciò.
Si lasciò
sommergere.
Le
orecchie diventate insensibili. I capelli che fluttuavano nel mare, ed anche la
stoffa del vestito.
Maria
marea sotto il mare c'è sempre più mare
e di più. Maria marea affondare è un po' come volare
e di più, e di più.
Divenne
leggera, non sentì più nulla.
Nelle notti
di troppa luna
quando il passato balla col presente
sull'isola nella corrente
c'è chi vede Maria ritornare alla sua prima spiaggia.
Maria, la sirena regina selvaggia,
pioggia dolce e pungente sul cuore,
allegra sfortunata e veloce come un pesce volante,
stella che sbaglia cielo e cade,
imbrogliona innocente.
Ron
rabbrividì, mentre Hermione tentava di evitare che le lacrime di commozione che
le inumidivano gli occhi scivolassero giù.
Harry
manteneva gli occhi fissi sul mare, un po’ inquieto.
-La sua
anima ritorna! E questa…- disse Draco sottovoce, indicando con una mano
l’ambiente circostante -…è la sua prima spiaggia…-
Nonostante
tutto, Malfoy aveva raccontato una bella storia.
Maria che sognava tutto e niente…
Camminò a
lungo sulla riva, tra le onde divenute ormai alte. Incedeva lentamente,
intervallando con mille pensieri ogni passo, lasciandoli danzare alla luce della
Luna piena.
Lo
sciabordio era più forte, le entrava nella testa, rilassandola nonostante tutto.
Si sentiva leggera, o forse vuota, un’anima libera. I capelli ondeggiavano al
vento meridionale che si era alzato in quelle poche ore, i raggi lunari la
illuminavano donandole un aspetto etereo.
Le mani
aperte dondolavano accanto ai fianchi, seguendo la sua lenta marcia.
Giunse al
limitare della spiaggia, dove iniziava la scogliera. Salì più in alto, si
arrampicò fino in cima ad una roccia, tagliandosi i piedi e assaporando il
profumo del mare trasportato dalla corrente. Lasciò che gli spruzzi provocati
dall’infrangersi delle onde sugli scogli le bagnassero il viso e l’ampia casacca
che indossava, gonfiatasi per via del vento.
Era in alto.
Molto in alto.
Le luci
delle spiagge lontane si specchiavano sul mare, il suono lontano di una chitarra
acustica si confondeva con lo sciabordio sotto di lei. Chiuse gli occhi,
rallentando i battiti ed assaporando con tutti i sensi l’atmosfera.
Finalmente
guardò giù mentre, per via dell’acqua salata, sentiva i piedi bruciare laddove
la superficie irregolare delle rocce l’aveva ferita.
Il moto
delle onde la ipnotizzò. Avanti, indietro.
Avanti.
Indietro.
Come un
valzer.
La schiuma
candida risaltava sull’acqua scura, riflesso della notte.
E la
attraeva. La affascinava.
La
richiamava a sé, come un gioco proibito.
-Basterebbe
un passo per farla finita…-
Non si stupì
nel sentire quella voce. L’aveva quasi attesa. Quel timbro caldo e avvolgente,
quel tono profondo. Accompagnato dall’acqua e dalla musica.
Mantenne
fisso lo sguardo sul fondale scuro, pur di non affrontare quegli occhi grigi.
Percepì i
suoi movimenti felini dietro di sé, mentre si sedeva su uno sperone di roccia.
-Che fai?-
chiese senza voltarsi, sentendo adesso il vento nelle orecchie.
-Sono
curioso di scoprire se lo farai davvero…-
Percepiva il
sorriso nelle sue parole, privo di scherno. Strinse i pugni sui fianchi,
vacillando. Era una fantasia. Una via di fuga che spesso l’aveva tentata. Che,
come aveva dimostrato lui quella sera, narrando quella storia, avrebbe
costituito il perfetto finale della sua vita.
-La storia
che hai raccontato stanotte…-
Occhi fissi
in basso, pausa…
-…è vera?-
Chiese con
voce flebile, mentre la voglia di spostarsi di lì la coglieva. Avrebbe voluto
sedere anche lei su quelle rocce, e smettere finalmente di credere di trovarsi
in bilico tra la vita e la morte.
-Forse…-
rispose lui laconico. -Io non vedo ancora alcun fantasma, però. Vedo solo una
rosa troppo rossa.-
Ancora quel
timbro. Quella profondità. Quella voce che aveva riempito le sue notti di troppa
Luna, in una vita solitaria, sussurrandole tra i capelli, come il vento.
-Un stella
che ha sbagliato cielo ed è caduta giù…-
Un
bisbiglio. Un movimento alle spalle.
Due mani le
si poggiarono in vita. Non era solo il vento adesso a sussurrarle tra i capelli.
Sul collo, sfiorandola con le labbra.
-Voglio
sapere da te se quella storia è vera.-
Lasciò
ancora le proprie mani a dondolare nel vuoto, troppo incerte per fidarsi e lei
troppo stordita per lasciarle andare.
Deglutì,
tentando di mandar giù quel peso che le impediva il respiro.
-Lui, l’uomo
tatuato…- chiese finalmente, sudando freddo, mentre i ricordi la sommergevano,
incitati dalla pelle di lui sulla gola. -…la amava?-
Una mano
gelata le strinse con forza il polso, costringendola senza delicatezza a
voltarsi. Sentiva il suo fiato sulle guance adesso, il suo respiro accelerato,
l’aria e l’acqua intorno a loro. E quella chitarra acustica ancora lontana.
La attirò
possessivamente contro di sé, mentre il contatto li lasciava fremere.
Una mano
alla base della schiena, lo sguardo imperscrutabile.
-No, lui
no…perché non le impedì di abbracciare l’onda.-
Due sorrisi
spontanei balenarono sui loro visi. Poi si fusero in un contatto di labbra.
In un bacio,
che raccontava…
…di passioni
senza solitudini…
…di sogni
senza incubi…
…di
vita…senza morte. Di anime che si ritrovano…
…ma è
sempre meglio sognare troppo che non sognare
ed è meglio vivere un'ora che non esser mai nati
ed è meglio essere indimenticabili
…che dimenticati.
Fine…?
Che ne dite? Io, ad essere sincera, non ne sono pienamente soddisfatta…come sempre del resto!^^ Faccio parte del club degli eterni scontenti!!
Vi sarò grata se mi farete sapere che ne pensate!^^
P.S.: naturalmente i versi che compaiono non appartengono a me, ma agli zietti Pooh^^ e ciò che io ho trasformato in leggenda è in realtà una delle loro canzoni (Maria Marea, appunto). Due delle scene che ho utilizzato sono tratte dal videoclip.
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