Desclaimer:Questa
storia, non è a scopo di lucro. I personaggi sono
maggiorenni e non sono miei, ma di Kazuya Minekura. Ogni
fatto e/o riferimento alla vita reale, è puramente casuale.
Capitolo
1
"Sanzo" traduzione in
giapponese di Sanzang; "Hōshi" (法師, letteralmente "maestro del
Dharma"?) è il nome con cui si indicava un monaco buddhista
itinerante.(1)
"All'inizio il signore degli
Esseri, creò gli uomini e le donne e stabilì, in
forma di comandamenti esposti in centomila capitoli, alcune norme per
regolare la loro esistenza secondo Dharma, Artha e Kama. Alcuni di
questi comandamenti, precisamente quelli che trattavano del Dharma,
furono scritti separatamente da Swayambhu Manu."(2)
Nel
Buddhismo, Dharma indica gli insegnamenti del Buddha, a partire
dall'origine del duḥkha (la sofferenza), la pratica di tali
insegnamenti, la via verso l' Illuminazione e di conseguenza il
Buddhismo stesso.(3)
***
Se avesse saputo il contenuto
della lettera, e quindi delle conseguenze che la lettura di essa
stavano per creare, forse avrebbe lasciato perdere. Forse si sarebbe
piegato alla giusta e saggia mente, ed avrebbe gettato la busta tra le
altre carte. Ma il cuore l'aveva colpito e domato, annebbiando la mente
e dimenticando la facilità nello sparire del figlio.
Così aveva aperto la busta, afferrando saldamente
il tagliacarte dall'impugnatura in ebano e la lama in argento
invecchiato. S'era chiesto più di una volta, se in
realtà non fosse soltanto un coltellaccio di metallo,
coperto da foglie d'argento, in realtà non seppe nemmeno
perchè quel pensiero gli stesse balenando in quel momento.
S'alzò dalla poltrona e raggiunse la porta d'ingresso
assicurandosi che nessuno fosse dietro essa. Solo Yaone aspettava,
immobile, sulla panchetta contro la parete. Leggeva il giornale del
mattino, ma per Komyo non era un problema la sua presenza. Yaone,
l'avvocato ufficiale di famiglia, era l'unica in fondo a conoscenza di
tutta la faccenda e di tutta la situazione familiare. Era stata lei ad
occuparsi sin dall'inizio del figlio e seppure parlasse poco, riusciva
ad ostentare in qualsiasi momento volesse un'aria sana, tranquilla e
felice. Una gentilezza fuori luogo per un'avvocatessa. Yaone
alzò lo sguardo verso Komyo, il quale rimase ancora incerto
sull'uscio. La donna, chiusa in un tailleur semplice e nero, dalle
calze trasparenti ed i tacchetti bassi, agitò la
coda morbida che le scivolò dalla spalla alla
schiena. Poi sorrise umilmente, sfogliando il giornale.
"Non l'ha ancora
aperta?" Domandò, scostando gli occhi dall'ingresso dello
studio alle notizie inerenti lo sport.
Komyo sorrise di
rimando. Anche lui, sembrava avere il dono di sorridere sempre, senza
crucciarsi mai troppo sui problemi. Forse per questo aveva preferito
lei, uno spirito affine a cui aggrapparsi nei momenti più
bui, ma il rapporto non era mai sfociato in niente di serio. Komyo era
un uomo di chiesa, e seppure avesse uno spropositato amore verso tutte
le creature dell'universo, comunque non s'era mai interessato all'amor
carnale.
"No, non ancora. E
qualcosa mi dice che non dovrei leggerla, ma sai da quant'è
che non ho notizie di Sanzo, vero?"
Yaone
annuì, sfoggiando l'ennesimo sorriso comprensivo, mentre
s'alzava dalla panchetta, lasciando il giornale come una specie di
segna posto.
"Le preparo il
Thè, padre..." Pronunciò con cameratesco affetto.
Si piegò debolmente in avanti in un cortese e regale saluto
e sparì in una delle numerose porte del lungo corridoio del
tempio.
Komyo la
fissò camminare prima di chiudere la porta dello studio.
Tornò alla sedia e notò solo in quel momento che
aveva tenuto il tagliacarte sempre nella mano sinistra, e la lettera
nella destra. Sospirò quindi, come in una strana forma di
autoincoraggiamento e tagliò il lato destro e corto del
rettangolo cartaceo, sfilò la lettera piegata in quattro e
l'aprì. La scrittura era curata e pulita, e da
quel che ricordava Sanzo aveva sempre avuto un comportamento da uomo
fuori dal tempo. Sorrise entusiasta, Komyo, convinto che fosse davvero
Sanzo a scrivere. Pregustò il momento della lettura. La
gioia prese il sopravvento ed il tagliacarte gli cadde dalle mani,
graffiando il pavimento di legno. Poco contava, in quel momento.
S'alzò
dalla poltrona e s'avvicinò alla grande portafinestra che
dava sul balconcino dello studio, inforcò un paio di
occhialetti, presi da sopra la scrivania e prese a leggere. Se vi
fossero stati testimoni, al momento della lettura, forse qualcuno
avrebbe finalmente visto, per la prima volta, il volto di Komyo
contratto dal dolore e dal dispiacere. Sgranò gli occhi, il
labbrò inferiore tremò mentre
un'accenno di lacrime sembrava stare per esplodere. Corse alla
scrivania, dove aveva lasciato la busta, l'aprì
squarciandola di netto e qualcosa di piccolo e violaceo volò
per terra, rimbalzando un paio di volte sul pavimento, rimanendo poi
immobile ai piedi di Komyo, il quale fissò inorridito
l'oggetto. L'anulare di una mano destra.
L'uomo
annaspò, mentre il cuore prendeva a battere frenetico.
Cercò di raggiungere la porta ma presto la vista prese ad
annebbiarsi, ed il petto a pulsare violentemente. Scivolò
per terra, e nel tentativo di non cedere al dolore, tirò
giù con se un vaso di vetro, il quale si frantumò
in mille pezzi. Si tagliò le mani e piccole tracce di sangue
presero a sporcare il pavimento di legno.
Caddè a
pancia in giù. La faccia contro il suolo, forse rompendosi
il naso.
Komyo Sanzo Hoshi,
morì d'infarto a 58 anni nell'umile studio del proprio
tempio.
***
Il telefono
squillò, violentando il sonno propizio dei coniugi Cho.
Hakkai, il marito, nonchè investigatore privato ad Osaka,
grugnì infastidito da quell'intrusione inaspettata nei loro
sogni. Kana, piuttosto, si alzò lentamente, senza nemmeno
farsi troppe domande, scivolando verso la cucina, poco distante dalla
camera da letto. Hakkai faticò a smuoversi dalle coperte
calde, ma comunque cedette alla sua diligente professione e rispose al
telefono, portandosi seduto sul bordo del letto.
"Pronto..?" La voce
uscì rauca e stanca, come se quel pronto, non fosse rivolto
a chi v'era dall'altro capo del telefono, ma a se stesso. Forse non era
davvero pronto, prima gli ci sarebbero voluti un paio di
caffè.
"Fai le valige, dai un
bacio a tua moglie e raggiungi l'aereoporto, dobbiamo partire subito."
"Chinyiso, ho sonno
per gli scherzi telefonici e domani mattina avevo intenzione di portare
Kana a vedere la fioritura dei ciliegi..."
"Nessuno scherzo, Cho,
abbiamo due biglietti prenotati all'Osaka Kansai International, ci
aspetta una scena del crimine a Partinico, Sicilia e ci aspettano non
poche ore di volo, pensi ti farei scherzi telefonici?"
Shignazzò malignamente il collega di Hakkai, il quale in un
primo momento sbuffò, poi cercò d'essere lucido,
analizzando la frase appena sentita da quel crudele oggetto che l'aveva
strappato dal mondo dei sogni.
"Sicilia? Che
c'entriamo noi, con la Sicilia?"
"Hai presente Shigeo
Mito(4)?"
"Si, il musicista?"
"Esattamente, ha
chiamato al nostro studio poco fa, dice che hanno ammazzato un suo caro
amico originario di Osaka che si era trasferito in Sicilia a quanto
pare per pregare e distaccarsi dal mondo... stronzate da preti..."
Cho mugugnò
qualcosa d'incomprensivo, stiracchiandosi dolorante.
"Bè,
insomma, i biglietti li paga lui, la retribuzione in denaro
è ottima quindi... mi passi a prendere tu?"
Hakkai
sbadigliò malamente, stropicciandosi mezzo lato della
faccia, con la mano libera dalla cornetta, mentre Kana gli porgeva
comprensiva una tazza fumante di caffè.
"Si... dammi mezzora e
sono lì..." Riagganciò malamente osservando la
moglie, poco felice. Per quanto non avesse sentito tutta la
spiegazione, solo il fatto d'avere sentito la parola Sicilia, le
lasciava intendere che il giorno dopo non sarebbe andati a vedere la
fioritura dei ciliegi.
Hakkai
sospirò.
"Mi dispiace..."
Mormorò profondamente affranto, ma Kana fece spallucce,
baciò la fronte del marito e prese ad allestire la valigia.
Hakkai bevve il suo caffè velocemente. Come se quei risvegli
bruschi l'avessero portato a berlo, così tanto volte, che
ormai non percepiva più il calore bollente della bevanda. Si
fiondò in bagno, quindi, e dopo meno di venti minuti,
baciò le labbra della moglie, afferrò le chiavi
della macchina e partì per l'aereoporto.
Lirin, era una
simpatica donna, i cui ormoni forse s'erano svegliati troppo tardi.
Piccola, minuta, dal seno prosperoso, sembrava uscita da qualche gioco
con le amiche in cui bisogna truccarsi da grande e fingersi la mamma.
Hakkai e Chinyiso fissarono Lirin, la quale si presentò con
una stretta di mano energica che risvegliò i due
investigatori, troppo stanchi per rendersi conto che il lungo viaggio
era finito. La donna era l'interprete. Originaria di Sakai,
città situata nella prefettura di Osaka ed amica, anch'ella,
del defunto prete, era laureata in psicologia infantile. Appena venuta
a conoscenza dell'accaduto, s'era fiondata lì ed aveva
avvertito il noto musicista. Non s'era mai fidata troppo della polizia
in generale, per cui era stata lei a pregare Shigeo Mito di ingaggiare
un investigatore privato. O comunque fu questa la versione che diede ai
due mentre raggiungevano in taxi il luogo del delitto.
Hakkai e Chinyiso
erano atterrati a Trapani. Tramite macchina, Partinico distava meno di
quaranta minuti dall'aeroporto, per cui ebbero il tempo di riposare o
quanto meno di chiudere gli occhi per un breve periodo. E seppure Lirin
continuasse a parlare ed a spiegare la situazione non sembrò
infastidire i due. Soprattutto Hakkai, il quale per quanto ostentasse
una certa stanchezza, a giudicare dalle occhiaie violacee ed il volto
pallido, comunque aveva scelto quella professione perchè sin
da piccolo gli erano piaciuti i rompicapo. Per questo, lungo il
viaggio, segnò mentalmente tutti nomi dei paesi scritti sui
cartelloni autostradali. Erano pur sempre in un luogo sconosciuto. Di
quelli che si aspettava un giorno di vedere, in compagnia della moglie,
per qualche bel viaggio in vacanza. Di certo non a causa d'un omicidio.
Vero era, però, che nessuno aveva pronunciato la parola
Omicidio. Sapevano semplicemente che questo prete era morto.
Fissò il collega, interessato a fotografare i paesaggi
Siciliani. Chinyiso ed Hakkai, erano stati compagni al liceo e colleghi
all'università. S'erano persi di vista durante il tirocinio,
ma s'erano ritrovati in un bar una sera d'inverno. Lì
avevano deciso di aprire lo studio privato. I casi, erano arrivati
subito, e pian piano, stavano avendo una certa fama ad Osaka.
L'accoppiata, in realtà, era strana ma infallibile proprio
per la diversità dei due caratteri. Hakkai era un tipo mite,
ma machiavellico ed ogni caso era sempre seguito con distacco ma
ossessiva curiosità.
Chinyiso piuttosto,
era un tipo scostante e fondamentalmente egoista. La sua mente
essenzialmente diabolica, lo portava ad essere una persona spesso
crudele ma per questo riusciva a vedere della gente il lato peggiore e
quindi capire della scena del crimine il lato più
raccapricciante, sia dei gesti che dell'animo umano. In pratica, se
Hakkai capiva il meccanismo con cui era stata uccisa persona X ma non
riusciva a spiegarsi il movente, Chinyiso entrava in campo e trovava
sempre una motivazione atroce, che poi alla fine rispecchiava la
realtà. Per il resto, non erano grandi amici. Colleghi,
affiatati sul piano lavorativo, ma Hakkai non sarebbe mai uscito con
lui a bere in un Pub. Per certi versi, Cho provava una forma di
disgusto verso il collega, non aveva mai saputo il motivo,
però non gli aveva mai ispirato chissà quanto
fiducia. Ma allora, perchè s'era messo in affari con lui?
Forse proprio per il lato cinico di Chinyiso, al quale non interessava
davvero la professione in se, quanto i soldi. Ad Hakkai, bastava avere
la sua parte, anche minima, di retribuzione. Per il resto necessitava
semplicemente di giocare a fare il detective e seguire la propria vita
in tranquillità.
"Ecco, siamo quasi
arrivati.." Lirin additò una distesa desolata, su cui
serpeggiavano strade diroccate con palizzate vecchie ed arrugginite,
che forse servivano da divisori nel territorio. Una grande casa bianca,
svettava nel cielo azzurro. Un cancello di ferro, ormai arrugginito e
due palme centenarie, smosse dal vento leggero di Aprile. Attorno,
qualche ulivo, alberi d'arance ed alberi di limone.
"Credevo si trattasse
di un tempio..." Arguì subito Hakkai, una volta scesi
dall'auto. E notò immediatamente come la temperatura fosse
decisamente differente da Osaka. Non c'era caldo, ma
l'umidità era svanita, lontana. Soltanto un vento
secco gli scompigliava i capelli neri.
"Infatti lo
è..." rispose prontamente Lirin, avviandosi al cancello. Due
strisce gialle, segnavano il divieto d'ingresso. La polizia era
già stata lì, lasciando il tempio intatto. Erano
già passati due giorni dall'omicidio. "... ma Komyo non ha
mai voluto costruire un tempio in tipico stile Giapponese, a quanto
pare non credeva nella sacralità della struttura, quanto in
quella dello spirito... Infatti il palazzo non è nemmeno
benedetto, è stato ristrutturato attorno al 2005, ma solo
all'interno, all'esterno per tutti sembrava solo una vecchia casa
abbandonata.."
Hakkai
aggrottò le sopracciglia osservando il collega, il quale
sorrise, come se già avesse compreso l'intero misfatto.
"Com' è
morto? L'autopsia è già stata eseguita?" Chinyiso
s'umettò viscidamente le labbra mentre seguivano Lirin sino
all'ingresso del tempio. Una grande porta in legno di quercia, alta
all'incirca tre metri, con strane iscrizioni incise nel legno, si
presentò agli occhi dei tre.
"Il medico legale se
ne sta occupando in questo momento, ma dai primi accertamenti, a quanto
sembra, Komyo è deceduto per arresto cardiaco.."
"Un infarto?" Cho
fissò stranito la donna e lei, di rimando, sembrò
non capire quello sguardo. "Se è stato solo un infarto,
perchè ci avete chiamati?" Domandò poco convinto.
Strappato dalla moglie e dal proprio letto solo per un malore biologico?
"Ahm, seguitemi..."
Lirin e i due investigatori, superarono l'ingresso, addentrandosi nella
struttura del tempio, che per quanto grande potesse sembrare
all'esterno, in realtà era stato diviso in modo tale da non
esserci nessun ambiente che superasse i 20 mq.
Sette rampe di scale
salivano in direzioni diverse. Loro imboccarono quella all'estrema
destra. Il tempio si divideva in tre piani, ed ogni piano sembrava
uguale all'altro. Un lungo corridoio e tante stanze, quindi tante
porte. Hakkai si ritrovò a pensare che forse anche
ogni stanza doveva essere uguale all'altra. Quando raggiunsero lo
studio del prete, la luce gli aggredì gli occhi. Una porta
finestra prendeva quasi tutta la parete destra della stanza. La sagoma
di Komyo era stata disegnata a terra col gesso, attorno ad essa pezzi
di vetro, di un vaso rotto, qualche traccia di sangue e vicino la
scrivania stava un tagliacarte. Hakkai aggrottò le
sopracciglia nel notare un dito umano, vicino allo stesso tagliacarte.
"A quanto pare
c'è stata un'aggressione..." Pronunciò l'uomo
sposato e Lirin annuì, come per motivare la domanda
precedentemente posta. "Il dito è della vittima?"
"No..."
Mormorò Lirin. "...ma gli esami non sono ancora stati fatti,
hanno semplicemente preso le impronte ed hanno rimesso il dito nel
posto in cui era..." Spiegò concitata.
Hakkai si mosse per la
stanza, analizzando la situazione e poi parlò.
"Quindi... in teoria,
qualcuno è entrato nella stanza, lui e Komyo hanno avuto una
specie di colluttazione. Komyo, magari per l'età, magari per
lo spavento gli prende un infarto..."
"Ma magari nel
tentativo di difendersi taglia un dito al suo aggressore con il
tagliacarte?" Azzardò immediatamente Chinyiso.
"Aveva
parenti?"Domandò quest'ultimo, distraendo quindi Hakkai
dalla sua solita analisi della stanza. Osservò Lirin la
quale annuì.
"A quanto pare, aveva
un figlio, ma di lui non si ha più traccia dal 2003.. la
polizia ha cercato di rintracciarlo, ma da quel che so, l'ultima volta
è stato visto ad Osaka, quando frequentava il liceo, ma
quando Komyo si è trasferito qui, lui è sparito
nel nulla.. Shigeo afferma che possa essere mort..." S'interruppe, il
cellulare vibrava nella tasca dei jeans. Lo afferrò
distratta, rispondendo alla chiamata.
"Si, sono io... si,
sono qui con me..." Camminava parlando. "Cosa? Allora è
vivo... Si, riferirò subito, grazie Shigeo, ti
farò sapere..."
Hakkai e Chiyiso si
fissaro titubanti prima di rivolgersi alla donna, la quale
sgranò gli occhi cercando le parole giuste. "Hanno scoperto
di chi è il dito..." Deglutì, facendo fatica. In
realtà non seppe nemmeno lei il perchè. Forse per
il semplice fatto che per lei non aveva alcun senso tutto
ciò. "... Genjo Sanzo Hoshi... Il figlio di Komyo..."
Continua...
Fonti
di ricerca per la storia: Wikipedia (1 - 3 - 4); Kamasutra
a cura di Richard Francis Burton e Forster Arbuthnot (2); Atlante
Geografico.
Shigeo
Mito: Musicista nato ad Osaka e spostatosi in Europa a
Madrid. E' un liutista, tiorbista e vihuelista giapponese.
Perchè ho scelto lui, come tramite? Perchè
è un personaggio che esiste davvero, rende la storia un
pò più reale, per quanto in realtà sia
pura immaginazione e soprattutto ha studiato il Vihuela (italianizzato:
viella). E' il nome di un antico strumento musicale della famiglia dei
liuti, apparso in Spagna. Il termine identifica in particolare la
cosiddetta vihuela de mano distinta dalla vihuela de arco, sinonimo
della viola da gamba o della viella medievale. Analogamente alla
chitarra alla quale assomiglia, si suona pizzicando le corde con le
dita. Diciamo che trovo affascinante l'idea di Komyo che suona uno
strumento simile. E' complicato ma in futuro, capirete.
Note
dell'autrice: Allora, spero il primo capito sia risultato
interessante per le lettrici di Efp. Partendo dal presupposto che
solitamente quando penso ad una storia, solitamente butto
giù le prima immagini che mi passano per la testa, senza
riflettere troppo sullo svolgersi della storia, e forse per questo non
concludo mai granchè. In questo caso, tutto è
partito da una scaletta. Cioè, mi sono messa a tavolino e mi
sono chiesta: come si scrive una storia interessante? Partendo
dall'inizio senza sapere la fine? Oppure scrivendo la fine e ponendosi
delle domande, sul perchè accade quel qualcosa?
In pratica, prima di
buttare giù, questo primo capitolo, ho scritto la storia a
parte, analizzando personaggio per personaggio, chiedendomi
perchè si sarebbe dovuto trovare lì, e
perchè una certa situazione si sarebbe dovuto svolgere in
quel modo e devo essere sincera, sono entusiasta del lavoro che ho
scritto PRIMA del capitolo UNO. In pratica, la storia già
è finita, ora devo semplicemente renderla interessante e
snodare, punto per punto, aggiungendo descrizioni e scegliendo come
presentare i vari avvenimenti. Perchè dico ciè?
Perchè sto tentando una via un pò più
ricercata del modo di scrivere. Per il resto, spero la trama
vi abbia un pò incuriosito :) sarò felice di
rispondere a qualsiasi dubbio o consiglio sia positivo che negativo.
Baci. Emilastra.
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