Bellissimo così
L’aria
in quel buco sembrava rarefatta, faceva quasi male alla gola e al naso;
bruciava, nelle narici. La ragazza si portò una mano alle
labbra, cercando di calmare il respiro e di lasciare ai suoi polmoni il
tempo di abituarsi a quella nuova sensazione. Era come soffocare.
La speranza di
averlo trovato per davvero la animava, ma per un momento la ragione la
spinse a domandarsi se non fosse meglio per tutti che quella nuova
pista, recente, fosse errata.
Come augurare
a qualcuno di passare dieci anni della propria vita rinchiuso
lì? Come augurarlo all’amore della tua vita?
Eppure pensare
di essere ad un punto morto, nuovamente, la faceva sentire come serrata
in una morsa. Quella doveva essere la volta buona, punto. Aveva fatto
abbastanza buchi nell’acqua da riempire una intera esistenza.
Si fece forza
e con una mano spinse in avanti la porta, aprendola. Il legno era
gonfio d’umidità, marcio. Il puzzo che impregnava
il corridoio di pietra era niente, in confronto a quello che
uscì dalla cella vera e propria, un’onda che la
fece barcollare per un momento, prima di racimolare nuovamente il
coraggio ed entrare all’interno della stanza.
E
lì morire.
Ricomincio da qui
e battezzo i miei danni
con la fede in me
senza illudermi
ma con un principio da
difendere
Sakura
rabbrividì, ricordando la sensazione di gelo che quel corpo
morto, mezzo decomposto, le aveva gettato addosso. Per un attimo aveva
sentito una voragine aprirsi dal centro esatto del suo cuore, pronta a
espandersi e a uccidere anche lei -grazie, grazie, morti loro non
avrebbe potuto continuare a vivere - ma poi aveva capito. Quel cadavere
non era Sasuke.
Prima di tutto
perchè era troppo basso, troppo tozzo, secondo
perchè, nonostante la sensazione, non era morta davvero.
L’aveva
sentito, che non era lui. Era stato chiaro come il sole.
E con
altrettanta chiarezza sentiva che stavolta era la volta giusta.
Aveva
attraversato il paese del fuoco in meno di due giorni, attraversando
senza nemmeno vederli villagi e foreste, viaggiando incessantemente,
con in mente una sola cosa.
Una foto
segnaletica. Vecchia, sbiadita, arrivata sulla sua scrivania ancora non
sapeva in che modo, ma capace di dare un senso ad un intera esistenza;
un viso, seminascosto da un cappuccio troppo ampio e da una frangia
nera decisamene troppo lunga, nulla di più.
Ma in quelle
labbra, imbronciate ovviamente, nella linea di quel mento, nella
geometria morbida del collo la verità era evidente agli
occhi di chi sapeva vederla.
I raggi del
sole spiovevano dalle feritoie del soffitto tagliando la stanza a
metà. Sulla porta c’era lei, contro la parete
più lontana - dalla parte opposta, tanto per cambiare - lui,
nel centro solo un muro di luce. La polvere che vorticava
nell’aria era talmente fitta che poteva essere scambiata per
nebbia.
Sakura
avanzò nella stanza di qualche passo, badando
però a restare nel buio, così da poterlo vedere
senza avere la luce che le batteva negli occhi.
Visto
così poteva sembrare chiunque, poteva essere chiunque;
poteva essere un criminale di seconda mano, uno scarto di vita gettato
via alla rinfusa. Poteva essere giovane, vecchio. Poteva essere
orribile, oppure normale. Bello mai, visto così mai, nessuno
avrebbe avuto dubbi in proposito.
Il suo corpo
era coperto da una veste lacera, troppo dura e incrostata di sporco per
proteggere davvero dal freddo. Non gli scivolava addosso, si limitava a
sporgergli sulle ossa, a spiovere da quelle spalle che un tempo erano
larghe, forti. Oh, sì. Sakura se le ricordava bene.
Le ricordava
allontanarsi lungo una strada solitaria, giovani e vestite di blu, le
ricordava seminascoste da un paio di ali enormi, deformi, comunque
splendide e scintillanti per il sudore della lotta. Le ricordava
scintillanti di sangue, rosse, mentre veloci fuggivano da una Konoha
semi annientata, la lasciavano sola con le sue macerie, il suo terrore,
i suoi fantasmi.
Scappavano,
correvano via in mezzo al fumo degli incendi, ed erano forti ma lei le
ricordava talmente fragili, sotto il peso di quel dolore, di quella
colpa, da sembrare spalle da bambino.
Era
l’ultima volta che le aveva viste.
“Sasuke”
esalò piano, quasi un respiro troppo forte, avanzando infine
sotto la luce. Avrebbe voluto che lui potesse vederla, in quel momento,
bella e scintillante d’oro e di rosa, come aveva sempre
voluto essere -per lui - e come non era mai stata -sempre e solo per
lui- .
Ma
c’erano bende strette suoi suoi occhi, bende che dovevano
essere state bianche, una volta, bianche come lo era stata la sua
pelle, e che ora erano grigie e macchiate. Anche quello come la sua
pelle.
- Ma basta
lavarle. Tutto si lava. Ogni dannata cosa. -
“Sasuke”
ripeté Sakura, ma non sapeva come continuare. Buffo come le
parole che ripeteva nel buio, di notte, a un misero sogno, ora non
volessero uscirle dalla bocca. Sapeva esattamente cosa dire, ma non
riusciva a farlo.
La figura
dall’altro lato della stanza si mosse, tirandosi
più dritto.
Erano davvero
le sue mani quelle?
La pelle dei
suoi zigomi era così tirata che sembrava sul punto di
lacerarsi, e lei non riusciva a vedere altro che le guance che aveva
bramato baciare, anni prima, così tanti anni prima, e dio,
non poteva rischiare di guardare le sue labbra o...
Le parole le
uscirono fuori da sole. “ Ci ho messo anni a trovarti, Dio,
mi dispiace così tanto... se solo fossi stata...”
“No.”
La voce di
lui, la sua
voce, la interruppe bruscamente. “Non stare nemmeno a
cominciare.”
Forse voleva
essere tagliente, o cattivo, ma che diavolo, era anni che Sakura non
sentiva quel suono, non sentiva l’inflessione,
l’asprezza, che lui riusciva sempre a imprimere in una
qualunque frase, anche la più banale e innocente.
La donna
scoppiò a ridere. “Ci ho messo anni a trovarti,
“ ripeté “ma vedo che il tempo non
cambia ogni cosa alla fine”.
“Il
tempo non cambia niente, Sakura”.
Sentire come
Sasuke pronunciava il suo nome le diede i brividi. L’aveva
sempre riempita
sentire il proprio nome nella sua bocca, era come stare tra le sue
labbra.
“Hai
ragione, non cambia niente,” concordò allora, con
dolcezza, prese un respiro profondo, guardarndosi intorno ed
avvicinandosi ancora a lui. “Beh, la tua idea di nasconderti
dal mondo ha funzionato, eh? Sei sparito, per tutti”
si interruppe
un attimo, riflettendo: “molti a Konoha pensano che tu sia
morto” il suo tono si incrinò un poco, il dolore
che quel semplice pensiero le provocava era evidente, poi
però sorrise, “ma io no. Io lo sapevo, che non era
così. E Dio, ora ti ho trovato.”
Gli si
avvicinò ancora, tirandosi giù lo zaino da una
spalla e aprendo piano, con attenzione, la cerniera. Ne estrasse un
contenitore rotondo. “Ingegnoso cambiare nome, ingegnoso
farsi rinchiudere in un posto come questo... non sapevo nemmeno che
questo paesino fosse segnato nelle mappe! Ma sai, se si ama qualcuno...
avresti potuto anche cambiare pelle, Sas’ke, io ti avrei
trovato lo stesso”.
La sua
dichiarazione cadde nel silenzio, senza badarci troppo la donna si
inginocchiò sulla pietra, e con uno strappo tolse il
coperchio di plastica dal barattolo.
“Tieni”
disse, allungandolo verso l’altro, “dai, mangia
qualcosa.”
Sasuke
chinò la tesa, palesemente scocciato da
quell’attenzione, scocciato da un gesto che rimarcava solo la
sua debolezza in una situazione che, tanto per cambiare, si era scelto
lui e gli si rivoltava contro. Ma Sakura gli si avvicinò
ancora un po’ di più, piano “non
è il cibo che ti danno qua, sciocco. Sono
ciliegie.”
L’uomo
sollevò la testa, le narici contratte in una smorfia
supponente. Aveva le bende, ma Sakura intuiva benissimo quale sarebbe
stato il suo sguardo. Era quello che le aveva riservato tantissime
volte, nella loro adolescenza. Sakura stentava a crederci, che un tempo
del genere fosse mai esistito. Non per via dei ricordi sbiaditi, no,
mai. Ricordava ogni singolo frammento di quella vita - Dio, sembrava
davvero un’altra vita - ricordava il coprifonte lucente che
gli tirava indietro quei ciuffi che ora, impazziti, gli spiovevano
flosci sulla fronte. Ricordava il brillare del sole, il brillare
dell’arancione della tuta di Naruto, il brillare dei suoi
occhi il giorno in cui, con una tenerezza tremenda, le aveva sussurrato
di non lasciarlo mai, mai, mai più. E lei ridendo gli aveva
mollato un cazzotto e l’aveva rinproverato, che semmai era il
contrario, semmai era lui che l’aveva lasciata, semmai era
lui che non avrebbe dovuto osare farlo mai più e.... basta.
Oddio, basta.
Fu la voce di
Sasuke a salvarla. “Credi che abbia bisogno di
ciliegie?!” sbottò, capriccioso come un piccolo
principe viziato.
Lei rise, una
risata che portò via qualche ombra scura e qualche luce
troppo chiara, che non poteva ricordare a cuor leggero. Lui
sentì che qualcosa non andava nel suo tono,
perchè si fece più attento. Le sue mani, quelle
che erano divenatate le sue mani, strinsero la stoffa della sua casacca
con più forza.
“Preferivi
che ti portassi delle arance?” cercò di scherzare
Sakura.
L’altro
riabbassò la tesa, continuando a brontolare contro di lei.
“E
comunque sì, credo proprio che tu abbia bisogno di ciliegie
adesso. Dai, mangiane una almeno.”
“Va
al Diavolo.”
“Sasuke!”
sbottò lei, “ti prego! Una sola. Senti
com’è. È dolcissima, te lo giuro, ti
piacerà!”
Sakura si
allungò e gli premette uno dei frutti sulle labbra,
schiacciandolo appena contro il suo viso. Lui non si aspettava quel
gesto, forse lo sentì come un attacco, perchè,
ancora prima di poter pensare e di poter rendersi conto della
situazione, l’aveva già spinta un po’
più lontano.
Si
leccò le labbra però, e resistere, avvertendo
quel sentore, zuccherino, fresco, si domostrò molto
più difficile; si sporse appena in avanti, quasi
inconsciamente. Alla donna si allargò il cuore,
chissà da quanto tempo lui non mangiava qualcosa che non
fosse solo cibo, qualcosa che fosse buono.
“Sas’ke...” lo pregò.
Lui
miracolosamente allungò un braccio, facendo come per
prendere quel benedetto frutto, ma sbagliò mira, nella foga,
e le sue dita scarne annasparono nel vuoto.
Sakura si
morse un labbro, sapendo che l’uomo avrebbe percepito quello
sbaglio come un fallimento, quindi spazientita, prima che tutto
acquistasse troppa importanza, protese una mano e fermò la
sua (che stava già ritirandosi) piazzanogli la ciliegia in
mezzo al palmo.
Lui
esitò un istante solo, poi se la infilò
direttamente tra le labbra, famelico.
“Un’altra”.
Ordinò, inghiottendo all’istante, senza masticare
e, tanto meno, sputare il nocciolo. Sakura gliene diede
un’altra.
“Ancora”
La donna
eseguì.
“Ancora”.
“Ancora”.
“Ancora”.
Vedere il
succo rosso sul suo mento bianco fu un colpo al cuore. Era sempre stato
chiaro, ma così pallido, così emanciato, non
l’aveva mai visto.
La linea della
sua bocca era rimasta la stessa, disegnata come da
un’artista, ma la pienezza, la morbidezza delle sue labbra
erano solo un vago ricordo. Erano spezzate, secche come sul punto di
rompersi. Lei si chiese come sarebbe stato baciarle, e dentro di lei si
profilò l’immagine dell’unico bacio che
avesse mai dato in tutta la sua vita, all’unica persona -
Sasuke a parte, ma di lui non c’era nemmeno bisogno di dirlo
- che avesse mai amato.
Rivide
l’angolo delle labbra di Naruto, che si era alzato, da solo,
in quel sorriso un po’ storto e un po’ incredulo,
come se un sorriso normale non bastasse a dimostrare la gioia, quando
lei aveva allontanato il viso dal suo, alla fine.
Risentì
sulle proprie quelle labbra grandi, molto più morbide di
quanto le avesse immaginate - panna - e il profumo di miele. La pelle
di Naruto ne aveva anche il colore, del miele.
Quella di
Sasuke adesso sembrava latte cagliato. Ma Sakura non ricordava di aver
mai desiderato qualcosa di più, mai, mai da quando era nata.
Se ne sarebbe presa cura, lo avrebbe tenuto al riparo, lo avrebbe
protetto, cresciuto, gli avrebbe risoffiato nei polmoni la vita.
“Dammene
un’altra”.
Sakura sorrise
“e per fortuna che non le volevi, eh?”
Posso essere io
L’occasione
che aspetti da una vita
Ed io sarò
di più
Io sarò la
certezza che chiedevi tu
All’istante
lui ritirò la mano, su cui lei stava per mettere
l’ennesimo frutto, e la ciliegia cadde per terra.
Sakura la
osservò rotolare, silenziosa. Quando il frutto si
fermò, incastrato in una fenditudura del terreno,
capì che era arrivato il momento.
Guardò
l’uomo davanti a lei, in attesa.
“Perchè
sei venuta a cercarmi?”
Si aspettava
quella domanda. “Lo sai” rispose.
“Perchè...
fammi pensare, perchè mi ami? Immagino sia per
questo”.
Il tono
dell’uomo era beffardo, Sakura batté le palpebre
un paio di volte; “esatto”.
Sasuke
restò in silenzio per qualche minuto. “Sei una
stupida” sentenziò alla fine. Cominciò
a tastare a terra, distratto, cercando la ciliegia che aveva fatto
cadere.
La donna
osservò la sua mano lisciare il pavimento, a vuoto. Raccolse
con due dita il frutto, lo passò sulla gonna per pulirlo e
glielo tese, sfiorandogli un’avambraccio per farsi notare.
“Sì, questo me lo dici spesso. Ma non sono io
quella rimasta sotterrata in questo cesso negli ultimi dieci
anni”.
Sasuke
trattenne il fiato bruscamente, allontanò con un gesto secco
la sua mano, poi si alzò in piedi - era così
magro - e si allontanò da lei, distendendosi sul suo
giaciglio, la faccia rivolta contro la parete.
“Perchè
ti stai facendo questo?” Chiese lei, lo sguardo piantato
sulla sua schiena.
Lui non
rispose.
“Non
è stata colpa tua, Sas’ke. Hai dovuto
farlo”.
Il corpo
dell’uomo si irrigidì, Sakura si alzò
in piedi, le gambe le formicolavano un po’, dopo essere state
inginocchiate sulla la pietra. “Era l’unico modo.
Tu sai che lui sarebbe stato daccordo,” insistette.
“Beh
non possiamo saperlo, giusto?”
Il tono di lui
era amaro.
“Naruto
amava Konoha, Sas’ke” lei gli si
avvicinò, gli posò una mano - leggera, quasi
senza sfiorarlo - sui capelli; “amava noi”.
Con uno scatto
improvviso lui si girò ad afferrarle il braccio e lo
usò per trascinarla sotto di sè, inchiodandole il
collo al materasso logoro della brandina.
“Esatto...” sussurrò, “e ormai
io sono diventato bravo, ad uccidere le persone che mi amano”
avvicinò la bocca all’orecchio di lei,
aspirò piano il suo odore, “te lo posso far
vedere”.
Ma entrambi
sapevano che stava bleffando. Se lei restava immobile, se rimaneva
ferma sotto di lui, non era per una costrizione reale, per una
minaccia. Dio no, lui era debole come un bambino.
Lei restava
lì solo perchè lo voleva. Solo perchè
lo lasciava fare.
Sakura
alzò la mano e, con le dita, seguì il profilo del
suo volto, l’incavo dei suoi zigomi, delle sue guance, fino
ad arrivare alle sua labbra. Sentiva sul polso i fili scuri dei suoi
capelli.
Sasuke
allentò la stretta, appoggiando il gomito di fianco al viso
della donna, poggiandoci il peso del proprio corpo e spostandolo
così dalla mano con cui le schiacciava il collo.
Avvicinando al
contempo il proprio viso al suo.
Erano
vicinissimi.
“Lascia
che io ti aiuti” la voce di lei era un respiro appena, era
una carezza sul viso, “lasciati amare da me, solo da me, ti
prego. Lo so che non è facile per te, lo so che ti sto
chiedendo tanto, ma... posso darti molto di più”.
Vieni a me come sei
Fallo immediatamente
non voltarti mai
L’essenziale
l’hai tu
Lo nascondi ai miei
occhi
Ma vale di
più
Sei perfetto
così
Sollevando il
viso con lentezza Sakura gli lasciava una scelta, gli lasciava il tempo
di decidere, di rendersi conto delle cose, e lui la lasciò
fare, assecondò i suoi movimenti piegando sempre di
più il braccio, lasciandole comunque quella mano sul collo,
un gesto che gli dava controllo, che gli lasciava la facoltà
di rigettarla all’indietro se avesse voluto.
Ma non voleva.
Le labbra di Sakura, semiaperte, umide, sfiorarono appena le sue, senza
appoggiarsi del tutto, la punta della lingua rosea accarezzò
appena la sua bocca, un assaggio e una promessa insieme. Lui si chiese
chi fosse quella donna, perchè il profumo di Sakura non
poteva essere così buono, o lui l’avrebbe
già sentito. Perchè la labbra di Sakura non
potevano essere così morbide, o lui se ne sarebbe reso conto
mille anni prima.
Con impeto
fece forza col braccio, piantando il suo viso al cuscino quasi con
violenza, nella foga di premere la sua bocca su quella di lei, di
andare di più a fondo, di entrarle dentro e prendere tutto
quello che c’era da prendere.
Gli era
mancato il calore, gli era mancato quello che stava provando. Gli era
mancato a dodici anni, quando aveva scelto di abbandonare Konoha, gli
era mancato più tardi, quando aveva scelto di distruggerla,
Konoha, gli era mancato per tutto il tempo trascorso in quella cella,
da quando aveva scelto di isolarsi lì, di punirsi, da quando
lui...
Si
tirò in piedi di fretta, come scottato, e scappò
dall’altra parte della stanza, attraversando il muro di luce,
ringraziando quella misera barriera che riusciva a mettere tra di loro,
nel momento in cui le barriere che aveva sempre eretto dentro se stesso
stavano vacillando.
Sakura si
raddrizzò lentamente, restando seduta.
Ciuffi di
capelli le cadevano sulla fronte, rimanendo incollati alle sue labbra,
bagnate dal loro bacio. Guardava verso di lui con gli occhi verdi pieni
di stupore, e di mille altre cose. Pieni, pieni come erano sempre.
Muschio verde e corallo sulle sue guance. Sulle sue labbra, sui suoi
capelli.
“Wow,
Sas’ke” disse solo.
Lui scosse la
testa, “va via di qui.”
Lei sorrise,
senza riuscire a ricomporsi. “Sapevo che saremmo arrivati a
questo. Anzi, a esser sincera pensavo mi cacciassi alla mia prima
parola, quando ho detto...”
“Io.
Ho. Ucciso. Naruto” il modo in cui lui scandì
quelle parole gettò il gelo nella stanza e fece morire il
suo sorriso “e nulla di quello che farai o dirai
potrà cambiare questo.”
La donna si
tirò in piedi, “io credo di
sì”. Gli si avvicinò, attraversando
secca il confine di luce, lui rimase sorpreso dalla facilità
con cui lei ultimamente spezzava le sue mura, le sue difese. Le
abbatteva con la facilità con la quale spianava gli
ostacoli, con la facilità con cui, alla fine, lo aveva
trovato. “Il fatto che Naruto in quel momento non fosse Naruto
credo che cambi le cose, e anche di parecchio!”
Lui
imitò il suo tono secco; “quindi se Orochimaru
fosse riuscito a controllarmi, anni fa, tu non avresti avuto rimpianti
nell’ammazzarmi, vero?”
“Certo
che li avrei avuti! Non riesco nemmeno a pensare a quello che avrei
patito. Ma l’avrei fatto”.
“Tu
menti.”
E mentiva
davvero, Sakura. No, non l’avrebbe fatto, non avrebbe mai
ucciso Sasuke, nemmeno se da questo fosse dipesa la sua vita e la vita
di ogni persona esistente sulla Terra. Ma Naruto l’avrebbe
fatto. Naruto non era come Sakura, voleva diventare Hokage, lui, e
avrebbe fatto la cosa giusta.
L’avrebbe
fatto per lei anche, per non far sì che Sasuke le facesse
del male, facesse del male agli altri e soprattutto, per non farle
vedere quello che Sasuke sarebbe stato capace di diventare,
perchè sapeva che quello l’avrebbe fatta uscire di
senno.
E lei lo
avrebba amato per quello, l’avrebbe curato e avrebbe dedicato
a lui la sua vita, tutta intera, solo per lui, per portare quel peso
insieme a lui.
Lo stesso peso
che ora Sasuke non voleva cederle, perchè la donna lo
sapeva, e forse lo sapevano entrambi, che se l’uomo aveva
ucciso Naruto quel giorno, se aveva voluto farlo lui e non lo aveva
lasciato fare a lei, era stato per proteggerla.
Ma non era
quello che doveva dire in quel momento. Non poteva dire che non sarebbe
riuscita a farlo, o che l’avrebbe fatto ma che poi sarebbe
morta. Perchè lui avrebbe detto - sono morto io -.
Invece lui era
sopravvissuto, come sarebbe sopravvissuto Naruto.
Perchè
loro erano forti, era lei ad essere debole. Però, nella sua
debolezza, poteva reggerli sulle spalle. Aiutarli a rialzarsi,
insegnargli a respirare di nuovo.
Lo avrebbe
fatto con Naruto, lo voleva fare adesso con Sasuke.
Così
gli si gettò addosso, facendolo crollare senza peso e fatica
contro il muro. “Non sto mentendo, credimi! Sas’ke!
Naruto era Kyuubi!
Stava distruggendo Konoha e andava fermato. Andava fermato.”
Sakura sospirò, sentendosi crollare come al solito nel
pensare a quei ricordi. “Ha ucciso Kakashi...credi che
l’avrebbe mai fatto se non fosse stato un’altro? E
anche Kiba,” cercò di controllare le lacrime nella
voce, “ha ucciso anche Hinata, lo sapevi? È morta
in ospedale, qualche ora dopo. Io ero lì”.
Era
lì davvero. Era lì ad aveva le braccia rosse di
sangue fino ai gomiti, mentre cercava di fermare l’emorragia
allo stomaco. Ma non capiva dove fosse, lo stomaco, o se ci fosse
ancora. E gli occhi di Hinata erano rimasti aperti sino alla fine, e
anche dopo, ed era come se vedessero oltre. Avevano sempre visto oltre,
forse.
Neji non era
stato più lo stesso dopo quel giorno, nessuno lo era stato.
Rock Lee aveva
perso la gamba sinistra, vederlo andare in giro sulla sedia a rotelle
le aveva quasi fatto perdere la voglia di vivere, di continuare. Ma poi
c’era stata la festa che gli avevano organizzato quando aveva
imparato ad usare le stampelle, e se lui rideva, lì in
mezzo, lei non poteva permettersi di non farlo.
“Tu
non sei rimasto a Konoha dopo, Sasuke, non c’eri,
non sai com’era. Io sì. E quindi credimi, credimi
se ti dico che sì: andava fermato. E solo tu avevi il potere
di farlo.”
Lui aveva il
viso a pochi centimentri da lei, di nuovo. La donna alzò una
mano e seguì coi polpastrelli la forma dei suoi occhi, sotto
le bende. “E sei diventato cieco, per farlo.”
Sakuke
scansò la testa, abbassando il viso e cercando
così di far sì che i capelli lo nascondessero, ma
lei lo fermò; gli bloccò il viso con le mani e lo
tenne fermo, poggiando la guancia contro la sua, chiudendo gli occhi
come lui. “No, lasciati guardare. Ti prego. Perchè
non credo tu possa capire quanto mi sembri bello in questo
momento”.
Stretta contro
il suo corpo lo sentì scuotersi in un tremito, forse un
singhiozzo. Lo strinse più forte, nascondendolo dentro di
sè, accogliendo quel dolore contro la propria pelle, fino a
che lui la strinse di rimando, aggrappandosi, e spinse la fronte contro
la sua spalla.
Sakura lo
lasciò calmare. “Vieni via con me”
“Non
dovevi sprecare metà della tua vita a rincorrere me. A
rincorrere quello che è rimasto di me.”
Lei strinse le
palpebre, scacciando quelle parole incomprensibili, per quello che era.
“Abbiamo
ancora così tanto” disse. “Ho qui una
pergamena della Godaime. Sei libero, Sas’ke, ti posso tirare
fuori da questa prigione e riportare a Konoha. Nessuno ti da la colpa
di quanto è successo.”
Lui
sospirò, stanco. “Io ho ucciso Naruto”
dichiarò.
“Naruto
era già morto. E noi siamo vivi!”.
Lascia il tuo passato
com’è
Lo porterai insieme a
me nel tuo presente
Mezza vita
è molto per chi
Ti vuole e ti dice si,
e lo fa per sempre
Uscirono
all’aria aperta mano nella mano.
Le crearono
qualche problema, le guardie, ma la donna tirò fuori dallo
zaino i documenti che portava, le carte più importanti che
aveva mai stretto tra le mani, e nessuno si impose
sull’allieva del Quinto Hokage di Konoha.
Vederlo sotto
la luce era come respirare per la prima volta, come imparare a parlare
e camminare, come scoprire che la vita può essere qualcosa
di diverso, di di più.
Sasuke ai
piedi aveva un paio di sandali mal’andati, e, sotto la
casacca lurida e sbrindellata non portava niente. le sue gambe erano
magrissime, le ginocchia sporgevano come nodi di un tronco nodoso e
invecchiato dal tempo.
Al sole le
occhiaie, quel poco che si vedeva al di sotto delle bende, spiccavano
ancora più nitide, come un contorno violaceo dei suoi occhi.
Ma le ossa
erano sempre le stesse, le linee eleganti del suo corpo non erano
cambiate e la postura non era stata toccata dai lunghi anni di
prigionia.
Il naso era
quello di una volta, il mento pure, la fronte liscia, i capelli neri,
neri come nemmeno la notte poteva essere, e sulle labbra...Sakura aveva
già sperimentato che, a contatto con le proprie, le sue
labbra erano perfette.
Era come
guardare una fotocopia sbiadita dell’uomo che poteva essere e
che sarebbe stato se le cose fossero andate in un altro modo.
Se Naruto
fosse stato vivo, se Kiba, Hinata, il maestro Kakashi lo fossero stati.
Se chiudeva
gli occhi Sakura non aveva problemi ad immaginarla quella vita. Il Team
Sette ancora in piedi, all’inizio, Kakashi che li fa
aspettare ore, ogni mattina, ma che quando arriva ne fa valere la pena,
di averlo aspettato. E più tardi, dopo gli esami, il
diventare ANBU, per Sasuke e per Naruto, e per lei la carriere del
ninja medico. Vivere nella stessa casa, tutti e tre, una sola cucina,
un solo tavolo, tre sedie. E colazioni e pranzi e cene insieme. E
Naruto che non è capace di fare la spesa, che non sa
cucinare, che non sa fare le pulizie, ma ci prova. E Sasuke che sa fare
tutto, ma che non alza un dito per fare niente.
Sasuke forte e
bello e ammirato da tutti, Sasuke che ha ancora intorno i suoi
genitori, i suoi parenti, Itachi.
Ino che la
invidia, Sakura, per l’uomo che si è trovata.
Sarebbe stato bellissimo, lo era stato sempre. E la donna sapeva che
poteva tornare ad esserlo, e anche se così non fosse stato,
se quello che aveva in quel momento al fianco doveva essere
l’uomo che le sarebbe stato accanto tutta la vita, non
avrebbe potuto comunque credere alla sua fortuna. Se quello era
l’inferno, allora l’inferno era l’unica
cosa che volesse. Forse a lei non importava del paradiso.
Proprio in
quel momento lui scelse di parlare, cavolate, come al solito. Sakura
non riusciva a crederci, a quante cavolate fosse in grado di dire
Sasuke quando ci si metteva.
“Mi
spiace di non essere quello che ero una volta.”
“Mmh?”
“Mi
sento il tuo sguardo addosso, e mi hai lasciato andare la mano. Posso
immaginare quello che stai pensando.”
Sakura
sorrise. “Io non credo. Tu sei quello che voglio,
Sas’ke, sei il mio passato, il mio presente, il mio futuro.
Sei il mio tutto, il mio ogni-cosa.”
Lui
puntò il viso in un’altra direzione, esitante e
indeciso se essere in imbarazzo o lusingato.
Lei rise
“sei così bello, Sas’ke!”
esclamò prima di baciarlo di nuovo.
Lasciati ammirare un
po’ di più, senza pudore
Provochi la mia
reazione tu,
Bellissimo così
__________________________________________________________________________________
Allora, qualche appunto veloce:
- La canzone si chiama "bellissimo così" ed è di
Laura Pausini. Sinceramente io non è che adori la Pausini, o
per lo meno non è che la ascolti abitualmente, ma mia madre
sì, e quando guida costringe anche me a sentirla. Mi
sembrava indicata, tutto qui.
- L'immagine non è mia, ma di una bravissima artista che si
chiama Nami86, secondo me una delle migliori disegnatrici di SasuSaku,
e la trovate su deviantart. Io ci ho solo photoshoppato un po' sopra.
- I personaggi descritti nella fic non mi appartengono, e la storia non
è scritta a scopo di lucro.
Finito, grazie a tutti per aver letto fino a qui, spero vi sia
piaciuta^^
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