make you feel better 1
Trovare un motivo convincente non è mai facile.
-Perché l’hai fatto?-
Sempre la stessa domanda.
Per ventisette anni gli avevano posto sempre lo stesso identico quesito.
Qualsiasi motivazione trovasse, a loro non andava bene.
-Allora?-
Rimase in silenzio.
Non aveva voglia di faticare per trovare un motivo convincente.
Tanto lo avrebbero sbattuto in cella lo stesso.
-Ti avverto, se non rispondi a breve sarò costretto ad abbandonare le buone maniere. –
Sempre la stessa minaccia, non cambiavano mai le persone.
Poteva anche abbandonare le buone maniere, lui non gli avrebbe risposto.
Anche con le cattive, la sua motivazione non sarebbe stata accettata.
L’uomo davanti a lui
sbuffò, sollevando le mani dal banco su cui erano appoggiate.
Cominciò a camminare per la grigia stanzetta, forse pensando a
una nuova strategia d’attacco.
Con lo sguardo lo seguiva
svogliatamente Vincent, quasi gli scappava un sorriso. Il suo silenzio
aveva messo in difficoltà il tenente, eppure era una
semplicissima assenza di parole.
Il tenente camminava avanti
e indietro e ritorno, sbuffando di tanto in tanto. Il suo assistente,
seduto vicino alla porta, seguiva la vicenda con aria spaurita.
Sembra un coniglietto, pensò Vincent e per poco non scoppiò a ridere.
Quella situazione gli
pareva divertente e se qualcuno gli avesse chiesto il perché, la
sua motivazione molto probabilmente non sarebbe andata bene.
-Te lo ripeto un’ultima volta, perché?-
Il tenente si era fermato e ora lo guardava fisso negli occhi, la mano destra che lenta accarezzava il mento.
Un’ultima volta, aveva detto…
Vincent ora sì che
avrebbe voluto ridere. L’ultima? Per carità, non ci
sarebbe mai stato un ultimo perché, un’ultima domanda
senza una risposta adatta.
Quella serie infinita di quesiti tutti uguali si sarebbe ripetuta all’infinito nella sua vita, sembrava inevitabile.
Una maledizione che lo accompagnava sin dalla nascita.
Aveva dovuto vivere qualche
anno e ricevere qualche schiaffo prima di capire che l’unica sua
arma di difesa sarebbe stata il silenzio.
E così, con la bocca
ben chiusa, Vincent continuava a fissare il tenente, le labbra
inconsciamente stirate in un sorrisetto beffardo.
L’uomo a sua volta
sosteneva lo sguardo indecifrabile del giovane seduto dinanzi a lui,
scervellandosi per capire come far parlare quel dannatissimo teppista.
Come se non bastasse il suo
sottoposto era dietro di lui, attento osservatore di quella patetica
scena. Era conscio della misera figura che stava facendo e ciò
lo irritava ancora di più.
Raccolse i fogli sul tavolo
e li sfogliò distrattamente, fingendo di riflettere prima della
domanda decisiva, quella che avrebbe incastrato quello stronzetto.
Quei fascicoli li aveva
letti così tante volte che ormai li conosceva a memoria, riga
per riga. A ogni rilettura si innervosiva sempre di più.
Sbuffò sonoramente, posando malamente i fogli sulla scrivania e rivolgendosi nuovamente a quel ragazzetto.
Sperò che il suo sguardo fosse abbastanza cattivo da intimidirlo.
- Vincent , ha
volontariamente appiccato un fuoco nel terrazzo del suo vicino,
provocando un incendio che si è propagato nel resto
dell’appartamento. E’ solo per grazia divina che
l’inquilino non fosse in casa in quel momento, se invece
per disgrazia ciò fosse successo tu ora ti ritroveresti con una
pena sicura e un lungo soggiorno gratuito in prigione. –
Elencare i crimini commessi spesso aiutava a far sentire in colpa il criminale.
Sfortunatamente Vincent non era così facilmente influenzabile.
- Hai la possibilità
di trovare un buon motivo e ridurre la pena. L’importante
è che tu mi dica la motivazione che ti ha indotto a compiere un
gesto simile. -
Vincent lo guardò in silenzio, come aveva continuamente fatto dal momento in cui aveva messo piede in quella stanzetta.
La sua mente era affollata da tante possibili risposte.
Perché ero
disgustato dalla faccia soddisfatta e goduriosa del mio vicino mentre,
in vestaglia e ciabatte, innaffiava le sue dannatissime piante.
Come motivo non andava
bene, lo avrebbero definito mentalmente instabile, nascondendo
l’imbarazzo che provavano accorgendosi che anche loro odiavano
per lo stesso motivo il loro vicino.
Perché le voci nella mia testa me l’hanno suggerito.
Sarebbe stato divertente usarlo come motivo, ma avrebbe sicuramente ricevuto un pugno.
E poi c’era quella solita, vecchia motivazione.
Per Vincent la più sincera fra tutte e al contempo la meno credibile secondo l’opinione altrui.
Perché ne avevo voglia.
Perché quel giorno
volevo vedere quelle dannatissime piante disperarsi nelle fiamme,
volevo godermi quel rosso spettacolo di distruzione con un sorriso
soddisfatto sulle labbra, volevo gustarmi l’espressione del mio
adorato vicino al suo rientro a casa.
Quella era la sua verità, ma per quanto potesse ripeterla non gli avrebbero mai creduto.
Tanto valeva allora
rimanere in silenzio a fissare il tenente che piano piano cominciava ad
agitarsi sempre più e il suo assistente a mostrare
un’espressione sempre più spaurita.
-In questo modo stai aggravando la tua posizione, lo sai ragazzino? –
Un altro tentativo fallito del tenente.
Parlando avrebbe peggiorato ancora di più la situazione.
Lo sapeva bene, lo aveva imparato in quei lunghi anni passati assieme alla sua famiglia.
Era sempre la stessa solfa. Si cacciava in qualche guaio, anche il più stupido, e subito sua madre lo scopriva.
Passava così dieci
minuti buoni ad ascoltare passivamente sua madre che sbraitava e gli
chiedeva il motivo del suo gesto. E da bambino ingenuo, rispondeva
sempre dicendo la verità.
‘Perché ne avevo voglia’ .
La verità, purtroppo, in pochi la accettano.
Sua madre non era fra questi.
Uno schiaffo seguiva sempre la sua risposta, lasciandolo senza cena e con la guancia in fiamme.
Col tempo aveva imparato a rimanere in silenzio davanti a quei continui perché.
Per lo meno rimaneva solo senza cena con la guancia ancora intatta.
Piano piano aveva capito
che bastava fingere di ascoltare tutte le urla di sua madre e aspettare
pazientemente che questa si stancasse e lasciasse perdere.
Così quello era
diventato il suo metodo per mettere la parola fine a quelle inutili
discussioni senza uscirne con danni maggiori.
Certo, a volte rimanere a
fingere d’ascoltare buoni buoni era noioso e gli capitava di
distrarsi fissandosi su qualche particolare.
Per esempio il tenente dinanzi a lui aveva dei folti baffi che ogni volta che parlava si muovevano in modo buffo.
Sembravano uno spazzolone
che avanzava e retrocedeva continuamente, spazzando la superficie
invisibile davanti alla bocca dell’uomo.
A Vincent sembrava un
personaggio dei cartoni animati e lo divertiva, ma se fosse scoppiato a
ridere sarebbe stato come dare in risposta una delle sue motivazioni.
E non sarebbe andata bene.
Alla fine dei conti nessuna
motivazione sarebbe stata valida: il tenente voleva incastrarlo,
buttarlo in cella con violenza e fare bella figura davanti al suo
sottoposto.
Ecco, il suo silenzio dava una motivazione all’uomo per procedere con le cattive maniere.
Era molto ironico,
così ironico che quasi metteva tristezza. Quel circolo vizioso
sarebbe continuato in eterno, a meno che…
Perché ne avevo voglia.
Se questa motivazione fosse stata accettata, tutto sarebbe finito.
Trovare motivazioni
complicate ed argomentate è difficile, fa male alla testa tanto
ci fanno pensare e ci sarebbe sempre stato qualcuno a cui quel motivo
non andava bene.
Perché ne avevo
voglia, questa era una motivazione universale. Ogni nostra azione
è fatta perché lo vogliamo, per farci sentire meglio.
Vincent sorrise fra
sé e sé: aveva trovato la risposta teorica alla sua
dannazione. Purtroppo, però, non era ancora arrivato il momento
di attuarla. Non c’erano le condizioni, sarebbe stato un
tentativo vano.
Così, mentre il
tenente continuava a sbraitare, alzando sempre più il tono della
voce, e il suo sottoposto nell’angolo si faceva sempre più
piccolo; Vincent nella sua mente giocava con una frase, facendola
rotolare da una parte all’altra della mente, accarezzandola e
avvicinandola alla bocca, per poi ritrarla velocemente.
“L’avresti fatto anche tu.”
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Scritta un bel po' di tempo fa (quest'estate all'incirca), l'ho portata a termine solo ora.
Dovrebbe essere una raccolta di storie autoconclusive incentrate su
ciò che ci fa stare bene ("Make you feel better", appunto), che
sia lecito o meno, e sulle conseguenze o le cause che ci portano al
momento in cui diciamo "faccio questo perché ne ho voglia,
punto". E' difficile da spiegare, dovrebbe rappresentare il punto di
rottura, in cui seguiamo l'istinto e ci liberiamo di ciò che ci
opprime in un colpo solo.
Il titolo è ispirato all'omonima canzone dei Red Hot Chili Peppers, ma non ha niente a che fare con il testo.
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