Le Bambole

di Lena1897
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LA PIGOTTA
 
Il rumore delle scarpine che sbattevano sul pavimento di legno della soffitta era l’unico suono percepibile, così ritmico ed ipnotico da sembrare quello di un metronomo. La piccola Liselle si
aggirava per la stanza nervosa scuotendo il capo e tenendo stretta attorno a se la sua bambola di pezza.
- No! No! NO! Io mi rifiuto di lasciar andare Jenevieve! Lei è la mia bambola, siamo cresciute insieme - la voce così soffice eppure acuta attraversò la stanza come un lampo improvviso. Dall’altra parte della porta qualcuno bussò, forse attirato dalla voce di Liselle.
- Non voglio vedere nessuno! - sbottò furiosa. Ma la persona che aveva bussato non parve darle molta retta e aprì la porta entrando nella soffitta. Era una donna sulla cinquantina, molto minuta e con il viso segnato da numerose e profonde rughe, strano che nonostante questo risultasse bellissima. Marguerite scivolò lenta fino a raggiungere la bambina inginocchiandosi davanti a lei, e cominciando ad accarezzarle il viso, con dolcezza, quasi avesse paura di romperla, o peggio di irritarla.
- Liselle, lo sai che devi restituirla. Jenevieve dev’essere liberata.
- Ma è la mia bambola! Lei vuole stare con me!
- E’ questo che ti ha detto?
- Non gliel’ho chiesto - ammise lei colpevole
- Non credi che dovresti?
- Jenevieve - disse lei tendendo le braccia e trattenendo la bambola con entrambe le mani così da poterla guardare dritta negli occhi - Tu vuoi lasciarmi? Inspiegabilmente la bocca disegnata della pigotta si mosse e proferì con vocetta metallica un “no”.
- Vedi! Lei vuole restare con me! - urlò trionfante Liselle stringendosela al petto e aggirando la madre.
- Hai imbrogliato. Tu lei hai chiesto se vuole lasciarti… perché sai che non è così. Ma non è quella la domanda che devi farle - spiegò saggia e comprensiva sedendosi sul pavimento e guardando la ragazzina bionda, che nel frattempo si era imbronciata , consapevole della sensatezza dell’obiezione a lei mossa.
- E va bene - ammise contro voglia e con le lacrime agli occhi, stringendo la bambola contro il suo petto - Jenevieve, tu vuoi tornare a casa? Stavolta non fu possibile assistere al miracolo del giocattolo parlante, perché il suo viso era serrato contro il petto della sua proprietaria, eppure come prima una voce stridula e innaturale disse “sì”.
- No! - strillò Liselle cadendo in ginocchio e mettendosi a singhiozzare disperatamente, accarezzando con dolce furia i capelli di lana della sua amica di sempre e cullandola contro il suo petto. Gattonando Marguerite strisciò accanto a loro. Prese la figlia e se la strinse al petto emulando i gesti e le attenzioni che lei aveva per la sua bambola. Restarono abbracciate per un tempo indefinito fino a che gli occhi azzurri e antichi della bambina non si piantarono in quelli della madre. Era il segnale. Insieme iniziarono a recitare la formula di liberazione.

Angeli caduti
Camminano per le strade
Accanto agli uomini.
Angeli senz’ali e senza perdono
Costretti a vagare in eterno
Su questo mondo di disperazione
Dove non ci sono gioie
Ma solo sogni.
Angeli che nell’oblio
Pensano al paradiso perduto.
Angeli che come me
sono destinati ad essere raminghi
Senza la speranza
Di rivedere la propria casa.
 
Il tempo parve fermarsi per alcuni secondi, poi tutto divenne grigio, privo di vita o colori. Fuori dalla finestra il vento cominciò ad ululare forte, e le nuvole si addensarono a celare il tiepido sole primaverile; tuoni scossero l’aria e fulmini violenti squarciarono il cielo.
Dentro la soffitta l’odore d’incenso si sparse forte, come durante una messa della domenica. Il giocattolo, che la bambina teneva ancora stretto, si fece sempre più ardente fino a costringere Liselle a lanciarlo lontano per evitare di ustionarsi. Fece bene. Perché pochi secondi dopo prese fuoco. Marguerite teneva la figlia stretta a se e la cullava dolcemente canticchiando una vecchia canzone gitana. Quando della bambola rimase solo la cenere la fiamma da sola si spense, e i suoi resti cominciarono ad emettere una luce bianca, sempre più intensa. Più cresceva la forza di quel bagliore più la donna e la bambina si stringevano, fino a che lo scintillio non prese forma, plasmando una figura umana.
- Grazie Liselle - disse l’essere, la cui voce vellutata si riversava nelle orecchie ristoratrice come miele caldo d’inverno - la tua generosità è la tua forza.
- Jenevieve - la chiamo la ragazzina scostandosi dalla madre per correrle incontro ed abbracciarla esitando solo quando ormai le separavano pochi centimetri. Aveva paura che non ci fosse nulla da abbracciare. La creatura sorrise gentile e colmò la distanza inginocchiandosi e stringendola a sé.
Contro il suo seno Liselle si abbandono di nuovo al dolore, piangendo accorata e dispensando carezze sui capelli biondi, che adesso non erano più di lana ma erano ugualmente morbidi.
- Io… non… Ti… dimeticherò…mai - singhiozzava avvilita.
- Neanch’io, mia riccioli d’oro. Fai sempre la brava e non fare arrabbiare la mamma - si alzò, trattenendola ancora forte e canticchiando a bocca chiusa. Fuori dalla finestra il caos, veloce com’era arrivato se ne andò. Era giunto il momento. Jenevieve diede la bambina a sua madre, nonostante le proteste della ragazzina ed il fatto che le si fosse irrimediabilmente ancorata al collo.
- Marguerite, grazie anche a te. Per avermi custodita e avermi data a lei.
- Di nulla Jenevieve. Sono lieta che tu sia riuscita a trovare in lei la forza che serviva a risvegliare la tua magia.
- Abbi cura della mia dolce Liselle.
- E tu abbi cura di te - Sorrisero insieme, e poi lo spirito aumentò la potenza del bagliore di cui era costituita e sparì.
- Ma cosa è successo a Jenevieve e di quale forza aveva bisogno? - chiese la piccola calmandosi a poco a poco e appoggiando la testolina sulla spalla della madre.
- A Jenevieve era stata fatta una maledizione. Siccome lei non riusciva a provare sentimenti per nessuno, fu trasformata in una bambola e lo sarebbe rimasta fino a che non avesse amato abbastanza qualcuno da trovare la forza di svelarle la formula di liberazione, ed è successo con te. L’amore è l’unica, vera, grande magia.
- Ma come farò ad addormentarmi senza lei che canta per me?
- Lei sarà lì per te sempre. Basta che tu la chiami come lei ti ha insegnato. Quando ti sentirai sola continua a cantare in silenzio quella melodia fatta di vento e tutto ciò che è stato sarà la tua favola della buonanotte - Abbracciate le due si avviarono verso la porta e poi l’oltrepassarono. Senza che nessuno la toccasse, la porta si chiuse alle loro spalle, lasciando che il silenzio calasse sulla soffitta illuminata da un rosato tramonto.




Note dell'autrice: Grazie per essere arrivati fino in fondo. Mi rendo conto dello stile un po' acerbo. Ho scritto questa storia quando avevo diciassette anni, in realtà era una specie di favola che avevo inventanto per far contenta la mia nipotina che esigeva sempre storie nuove. Forse proprio per il valore affettivo non me la sono sentita di rimaneggiarla e renderla meno "banale" nello stile e nei contenuti. Spero comunque sia stata una piacevole lettura!




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