promessi tomati 1
Capitolo
1
Quel
ramo del lago di Como Varsavia, che volge tipo a
ore dodici, nel bel mezzo di qualche posto sperso nel nulla, tipo il
Canada e
tante belle cosine rosa …
In
questo bel posto, per le vie sterrate di un paesino, Don
Felibondio passeggiava leggendo il breviario, come
d’abitudine: «Veee~», ma a
un bivio vide due quattro loschi tizi
indistinguibili l’uno dall’altro:
il loro nome d’arte è “i bravi del
Nord” e sono in promozione al quattro per
due.
Berwald,
il capo in quanto il più stalker di tutti, si
avvicinò aggiustandosi gli occhiali e dall’alto
del suo metro e ottantadue
guardava di sottecchi il timoroso Don Felibondio.
Costui
comprendendo che i bravi lo stavano attendendo; si
guardò intorno per trovare una via di fuga, la fedele
bandiera bianca pronta,
ma non trovandone alcuna si lasciò sfuggire un:
«Tasukete, Doitsu!» e si
avvicinò sconsolato al quartetto ostentando
tranquillità: «Vee~».
Il
più rumoroso, il danese, gli corse incontro ghignando poi
si fermò e lo guardò intensamente negli occhi; a
questo punto Don Felibondio,
mano alla fida bandiera bianca, stava già sudando freddo.
«Vuoi
comprare il nostro CD, “dal Wallah con
furore”?»,
rise il ragazzo con il capello nero.
Il
prete sospirò di sollievo per il pericolo scampato:
“Sono
solo venditori ambulanti, meno male, vee!”.
«Danmark,
sei un idiota», disse un ragazzo non molto alto,
l’espressione apatica e la divisa alla marinara.
«R’cordat’vi
p’rché s’amo qui! D’n
F’ l’ibond’o», disse
Susanno, l’uomo-stalker.
«Cosa
comanda, ve?», rispose il curato aprendo gli occhi per
lo spavento.
«Lei
ha intenzione di maritare domani Lovino Tramaglino e
Lucia la belga?», chiese il norvegese.
«Ve,
cioè …», rispose con voce tremolante
Don Felibondio,
«Lor signori sono Nazioni di Mondo, ve! Sanno benissimo come
vanno queste
faccende, un povero curato non c’entra nulla! E poi ho
parenti in Finlandia!»,
disse comprendendo che il finlandese era l’elemento chiave
del gruppo.
«Or
b’ne, qu’sto m’trimonio non
s’ha da f’re, né ora né
mai!»,
concluse il capo
«Signor
curato, il tomatissimo don Antrigo, nostro padrone,
la riverisce tomatamente», disse Tino, «Cosa vuole
che gli dica in suo nome?»
«Il
mio rispetto …», disse preoccupato da qualcosa.
«Si
spieghi meglio», intimò Danimarca, che non aveva
capito.
«Disposto
… disposto sempre all’ubbidienza … pur
di poter
continuare a mangiar la PASTAH!».
«Benissimo,
e buona notte, Messere PASTAH!», salutò il
ragazzino con il cane, seguito a ruota dagli altri due.
«Ma
allora non lo compri il CD?», tornò
all’attacco Denmark
«Vieni,
piuttosto mangerebbe della pasta!», lo richiamò
Berwald, e a questo il danese si lasciò sfuggire un lamento:
«Ahhh! È proprio
un tirchio!!!» e se ne andò con gli altri,
rannicchiato come un bambino.
Pensino
ora i nostri … tre lettori – ad essere ottimiste:
se
Manzoni ne ha venticinque, noi tre è pure troppo
… - dicevamo, ripensino ora i
nostri tre lettori a che impressione dovette fare sull’anima
del povero
Felibondio quello che si è raccontato: lo spavento di quei
visacci, le minacce
di un signore noto per non minacciare in vano; tutti questi pensieri
gravavano
l’animo del tremolante curato, che poteva essere rinfrancato
solo da un buon
piatto di pasta preparato dalla sua Perpetua, la Ludwiga, nome di
incerto
gusto.
Entrato
in casa, la bellissima teutonica lo accolse con un
fiaschetto di vino e un piatto di wurstel con patate, ma lo vide
così turbato
che gli chiese: «Misericordia! Padrone, cos’ha?
Voleva della pasta?».
«Niente
niente», rispose Don Felibondio con le lacrime agli
occhi.
«Allora
dovrò chiedere ad Inghilterra e alle sue creaturine
magiche un incantesimo che faccia sparire tutta la pasta dal
Mondo»
«No,
no pietà, parlerò, ve!»,
annunciò il curato.
E
così raccontò tutta la storia che aveva preceduto
il suo
ritorno a casa a Ludwiga che gli consigliò di scrivere una
lettera al cardinale
Rodoromeo per chiedere aiuto, però il curato temeva che
tornassero i bravi a
vendergli il CD; perciò decise di tacere.
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