I vecchi amici di papà
Harry si asciugò i palmi delle mani sui pantaloni, pensando
nervosamente a quello che lo attendeva con un misto di eccitazione e
ansia.
Remus era stato laconico nella pergamena che gli aveva inviato via gufo qualche giorno prima:
“Ci terrei molto a presentare a Teddy i miei amici di un tempo, per te andrebbe bene sabato prossimo?”
Harry, sicuro di aver capito al volo quello che l’uomo intendeva
proporgli, aveva subito accettato. Era da tanto che attendeva una
simile occasione e inoltre ci teneva a far parte della vita del
figlioccio: il suo ruolo di padrino lo inorgogliva molto.
Allungò il collo oltre l’ingresso dell’abitazione
dei Lupin. Era da dieci minuti buoni che la voce allegra di Tonks
l’aveva invitato ad entrare e ancora nessuno era apparso
fisicamente davanti a lui per accoglierlo.
L’attesa gli stava facendo aumentare l’ansia per quello che il suo ex professore immaginava si aspettasse da lui.
“Harryharryharry!”
Le urla di Teddy anticiparono l’arrivo del bambino di poco
più di mezzo secondo, accompagnate dal rullo di tamburi dei suoi
piedini nudi picchiati sul pavimento.
La corsa a rotta di collo si interruppe bruscamente quando
inquadrò con gli occhi scuri la scopa che Harry teneva
sottobraccio.
L’attimo di stallo non durò: Teddy prese a saltare con i
capelli che si tingevano di un blu intenso, chiaro segno della sua
gioia.
Harry chinò un po’ il capo, lusingato e imbarazzato come
fosse la prima volta che si mostrava tanto entusiasta a causa sua.
In realtà Teddy non perdeva mai occasione di far presente, a
chiunque fosse disposto a dargli retta, che lui era il figlioccio del
grande Harry Potter.
Si era chiesto più volte se Remus non fosse geloso
dell’ammirazione che il figlio mostrava nei suoi riguardi, ma
naturalmente non aveva mai accennato alla questione direttamente a lui.
Quel dubbio che lo tormentava e la sua timidezza gli impedivano di
godere pienamente le gioie di essere un padrino tanto amato.
“Teddy, credo che Harry ne abbia già avuto abbastanza, per oggi.”
Era stato Remus a parlare, la sua voce roca era inconfondibile.
“Scusa il disturbo, Harry,” proseguì. “Ma… ehm… Teddy ci teneva tanto che ci fossi anche tu, oggi.”
Aveva parlato rivolto ai piedi del figlio, su cui stava calzando un paio di scarponcini pesanti.
Teddy fece per aprire bocca, ma venne prontamente scavalcato dalla voce del padre:
“Sai cosa dobbiamo fare sempre prima di uscire, vero?” lo interrogò svelto.
Il bambino ruotò gli occhi verso il soffitto, pensieroso.
“Mangiarci un’altra fetta della torta della nonna?”
“Ci hai provato, ma no. Fila a fare pipì.”
Teddy si voltò verso Harry con gli occhi luccicanti.
“Settimana scorsa io e papà siamo andati a comprare delle
robe per la nonna che doveva farci la torta, e sopra le case del paese
a me ha iniziato a scapparmi da morire,” saltellò, mimando
la necessità fisiologica con grande talento. “Così
papà mi ha dato il permesso di farla giù dalla
scopa!”
Harry fece appena in tempo a notare un sorrisetto divertito spuntare
sul viso di Remus, prima che l’uomo lo congelasse assumendo
un’espressione molto seria.
“Ti sbagli, Teddy. Dovevi per forza essere con la mamma.”
“Eddài, papà!” esclamò lui, fissandolo
dritto negli occhi. “Ridevi così tanto che niente niente
rotolavi giù dalla scopa! Soprattutto quando ho centrato in
testa la sign…”
Tonks si Materializzò all’improvviso accanto ad Harry,
facendogli saltare parecchi battiti cardiaci per lo spavento.
“Teddy! Smettila di essere così sincero, che papà
ci teneva tanto che Harry fosse qui, oggi, e vuole fare bella figura!
Lo sai quanto desidera fargli vedere che bravo papà è
diventato grazie a lui e tu gli stai rovinando
l’atmosfera,” intervenne, infischiandosene di rendere a
quel modo palese a tutti che aveva origliato la loro conversazione.
Remus era rimasto a bocca aperta, ma Harry era troppo sbigottito per accorgersene.
“Ma… ma… non avevi detto che era Teddy
a volere che ci fossi anche io?” balbettò incredulo
rivolto all’uomo. Accadeva di rado che avesse l’ardire di
parlare direttamente con Tonks, che ancora aveva il potere di metterlo
profondamente a disagio, ma questa volta la sua attenzione tutta
rivolta a Remus non era solo un modo per sfuggirle.
Lei si parò con una mano la bocca e gli confidò sottovoce:
“Remus è un gran furbacchione, in verità. Su, non
fare quella faccia! Ci farai l’abitudine quando finalmente vi
deciderete a conoscervi meglio,” lo studiò pensierosa, per
poi aggiungere con un che di minaccioso negli occhi: “E quando
succederà, non ci provare nemmeno per ridere a farglielo pesare
come fosse una cosa negativa!”
Harry pensò che di sicuro stava esagerando, Remus non poteva
davvero dare un peso tale alla sua opinione. Guardò Tonks di
nascosto: l’affetto a volte rendeva proprio ciechi!
***
Harry volava davanti a Remus e Tonks, guidando la scopa con attenzione.
Stava ben attento ad aggiustare la rotta con movimenti minimi e dolci
del corpo, assecondando le correnti d’aria.
Il motivo di una condotta tanto assennata era la testolina azzurra che ciondolava sotto il suo mento.
Teddy aveva insistito per andare con lui e gli era stato concesso solo
a patto che non desse troppo fastidio al padrino con le sue chiacchiere.
Non avrebbe potuto mostrarsi più ligio alla promessa fatta a
mamma e papà di così: da come si appoggiava a lui, la
testa inclinata in avanti, temeva che potesse addormentarsi da un
momento all’altro.
“Ottima tattica. Volare in maniera così noiosa,
intendo. Quando era neonato era praticamente l’unica maniera in
cui riuscivamo a farlo addormentare!” gli strizzò
l’occhio Tonks, la guancia appoggiata alla schiena del marito,
con cui condivideva la scopa.
Remus aveva accelerato fino ad accostarsi a lui e stava guardando di sotto, la fronte aggrottata.
“Atterriamo qui?”
gli chiese, notando che Harry si stava preparando a scendere, il manico
della scopa inclinato verso il basso e una mano sul petto di Teddy.
Annuì, senza chiedersi il perché del suo stupore.
Posarono tutti e quattro i piedi a terra con Teddy che si esibiva in
enormi sbadigli, le guance rosse come due grosse ciliegie a causa del
freddo.
“Dov’è Ginny?” si guardò attorno, disorientato.
Harry li aveva fatti atterrare ai margini del paese, in un campo
coperto da rachitici ciuffi d’erba ingialliti dal rigore
dell’inverno e con mucchietti di concime sparsi qua e là,
simili a grassi nei.
Tonks inclinò la testa su una spalla, soppesando il paesaggio.
“Questa non è casa Potter, ma è un panorama
apocalittico che credo di aver già visto di
recente…” piegò la testa dall’altro lato,
schioccando poi le dita. “Ci sono: tale e quale alla nuca di un
Troll! Quindi siamo a… ”
“Malgrado la somiglianza, sei fuori strada,”
l’avvertì Remus, con una voce appena udibile. “Mi
credi sul serio tanto pazzo da azzardarmi di nuovo ad innaffiare il
giardino di Andromeda con uno dei miei tentativi di Pozione
Polliceverde? Tua madre mi ha quasi ammazzato…”
“Uff… però, quando ha cercato di fartela
assaggiare, l’hai capito subito che quella prima versione della
tua torta era avvelenata! Insomma, da qualche parte dovevo pur iniziare
per insegnarti a preparare pozioni decenti…” si
giustificò lei. “Magari ho un filo sbagliato la scelta
della location… Poi non fingere con me, guarda che lo so che far
saltare i nervi alla mamma ti diverte da morire! A maggior ragione se,
una volta tanto, sei davvero innocente!”
Remus gettò un’occhiata preoccupata ad Harry, prima di cambiare repentinamente argomento:
“Teddy, che dicevi a proposito dei Troll?”
“La mamma ha detto dei Troll! Dove sono i Troll? Eh? Che Harry mi
presta la sua bacchetta così gliela ficco su per il naso come
solo lui sa fare?” esplose lui, parlando tutto d’un fiato
mentre aggiravano la recinzione fino al cancello d’entrata al
cimitero.
“Niente Troll, temo,” lo deluse Tonks. “Magari qualche fantasma.”
Harry spinse il cancello e lo tenne aperto fino a che non furono tutti
dentro: aveva ascoltato le loro chiacchiere solo superficialmente, la
mente altrove.
Remus era l’ultimo della fila e gli pareva più pallido del solito.
“Il cimitero di Godric’s Hollow,” scandì,
preso alla sprovvista. “Io… è la prima volta che ci
metto piede.”
Harry era confuso: non era forse lì che voleva essere portato?
Non approfondì la questione, distratto nuovamente dai propri
pensieri. Il ricordo di quando aveva visitato quel luogo la prima volta
era ancora vivido in lui, così come il rammarico per non aver
potuto affrontare quella prova accompagnato da Albus Silente, i cui
cari giacevano a poche lapidi di distanza da quella dei suoi
genitori. Per lui avrebbe significato tantissimo: aveva desiderato
intensamente un legame più profondo con il preside e
l’amarezza provata quando aveva scoperto quanto poco sapesse di
lui gli lasciava ancora un sapore spiacevole in gola.
Ma pensò che, forse, poteva avere una seconda possibilità.
Remus era lì con lui; Remus, che non aveva mai mancato di far
sentire la sua voce quando si trattava di lui, anche se Harry non aveva
mai prestato molto orecchio ai suoi consigli. Era stato un adolescente
avventato e cocciuto e le parole di Sirius, l’ardore di quel
padrino che gli era stato strappato tanto presto, erano sempre state
molto più allettanti, capaci di affascinarlo oltre ogni buon
senso.
Silente aveva voluto tenerlo a tutti i costi lontano dalla sua
famiglia; Remus, invece, aveva voluto che facesse parte della propria,
rifletté, osservando il figlioccio passeggiare tra le lapidi
assieme alla madre.
Entrambi si rammaricavano quando ne trovavano una senza neppure un
fiorellino gelato e Tonks ovviava al problema disegnando ghirlande
nell’aria con la bacchetta, che divenivano reali quando Teddy
allungava le manine per coglierle dal cielo.
“L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte,” lesse lei ad alta voce. “Forte!”
“Sono loro,” mormorò Remus con una voce strana, carica di una commozione quieta, pacata.
Non era scosso come dopo la morte di Silente né felice come
quando aveva annunciato la nascita del figlio, ma una via di mezzo.
Sembrava venuto a patti con la morte dei suoi amici: l’accettava,
come aveva imparato a fare Harry, il dolore diluito in malinconia.
“Piacere, io sono Tonks!” esclamò sua moglie,
accarezzando il nome di James e soffermandosi poi su quello di Lily.
Attirò Teddy accanto a sé. “E questo è
Teddy, il figlio monello mio e di Remus.”
Il bambino si scoprì il capo, cercando invano di appiattirsi i capelli elettrizzati dal berretto di lana.
“Piacere, signori,” disse tutto compunto.
Harry li osservava stupito: sembravano non vedere il pezzo di freddo
marmo conficcato nel terreno come un grosso dente, ma due persone in
carne ed ossa sorridere loro.
Rendevano James e Lily reali come Tonks aveva fatto con le ghirlande,
tanto che, mentre proseguivano la conversazione, gli parve di cogliere
i loro volti sospesi nell’aria.
“Mamma, di’ loro quanto sono bravo a scuola!” implorò Teddy, deciso a fare bella figura.
“Teddy ha ottimi voti a scuola,” si intromise
inaspettatamente Remus, posando una mano sulla spalla del figlio e una
sulla sua. “Avevi ragione, James, non c’è nulla di
più bello.”
“Di me?” fece Teddy.
“Di te ed Harry, sì.”
Harry si fissò i piedi, sentendosi arrossire un poco.
“Su, Remus, ora basta, non vedi che lo stai mettendo in
imbarazzo?” intervenne Tonks. “E tu, Harry, sii carino con
Remus, oggi. È il suo compleanno.”
Harry trasalì per la vergogna.
“Oh… io… io… ehm… mi spiace, non lo sapevo…” balbettò.
Remus si strinse nelle spalle.
“Non ti preoccupare, non è importante. E poi avrei potuto dirtelo…”
“Questa e altre dieci milioni di cose!” sbuffò
Tonks. “Tutto questo è stato molto dolce, sai, Harry? Ma
Remus aveva in mente un modo un filo più spensierato
per presentare Teddy ai suoi amici. Però ci tiene troppo a non
deluderti smettendo i panni del padre responsabile per chiedertelo
chiaramente e tu non l’hai capito da solo come sperava che
facessi.”
Harry si volse dispiaciuto verso Remus, pensando che forse
l’aveva portato lì non perché aveva frainteso, ma
perché era quello che lui desiderava fare.
Remus non disse nulla: stava fissando la moglie come aveva fatto con il
figlio, quando questi aveva preso a raccontare di aver fatto
pipì giù dalla scopa.
“Andiamo, Remus!” si difese vivacemente lei. “Ammetti
che ti fa comoda la mia schiettezza… se no, ora che vi dite
qualcosa, voi due, si fa notte! Presi singolarmente siete ok, ma
abbinati diventate due imbranati tali…”
Harry nascose il disagio per la verità insita nelle sue parole
giocherellando con gli occhiali, notando tra le dita che Remus
sorrideva.
“Va bene,” tossicchiò. “Harry… io avevo pensato a…”
***
“Come funziona?” chiese Teddy, prima di dare un altro morso all’enorme fetta di torta di compleanno.
“Scoprilo da te, sarà più divertente,” gli
rispose il padre servendo il dolce ad Harry, che si stava spolverando
la cenere del camino dal mantello. Aveva dovuto fare una capatina a
casa propria per prendere una cosa. “Quando sarai vicino alla soluzione, interverrò io con la bacchetta.”
Teddy era ancora troppo piccolo per frequentare Hogwarts e ne avrebbe posseduto una solo tra qualche anno.
“Accenditi!” ordinò il bimbo, concentratissimo.
“Buttami nel camino, vedrai che luce!” apparve scritto sulla mappa.
Teddy guardò Harry, poi il papà.
“Ma è spento!” protestò. “Papà, potresti…”
“Il signor Felpato prega il
signor Ramoso di lasciar parlare lui, visto che ne va della loro
incolumità. Il ragazzino con i capelli blu – blu! Ma
è legale? – sembra abbia la tendenza a prendere le cose
troppo alla lettera.”
“Io sono Teddy Remus Lupin!” urlò il bimbo scuotendo
la pergamena, dopo aver letto la risposta seguendo con il dito le
parole man mano che prendevano colore.
“Il signor Codaliscia,
trattenendo un conato per la scrollata ricevuta, chiede al signor
Lunastorta come mai lui e il variopinto ragazzino condividono gran
parte del nome,” lesse mentalmente Harry.
“Il signor Lunastorta non ne ha
idea, ma da’ al ragazzino mezza clessidra di tempo per dimostrare
che è all’altezza di portare il nome di uno dei
Consiglieri e Alleati dei Magici Malfattori.”
Harry pensò che il bambino avrebbe chiesto consiglio a lui,
invece, con suo enorme sollievo, si rivolse senza esitare al
papà.
Fu felice di vedere chiariti i loro ruoli. Lui era il suo idolo, ma a
suo padre spettava il compito più importante e difficile: era il
suo punto di riferimento.
“Gli dico dei bei voti a scuola?” tentò.
“Ehm… meglio di no. Quello andava bene con Lily e il James
adulto. Trovo che la pipì giù dalla scopa, magari con il
conteggio delle vittime, sarà un’argomentazione molto
più valida per i Malandrini!”
Mia prima ff con il POV di Harry… com’è? Non è stato facile.
Lo so, è idiota trovarsi a
disagio con questo personaggo, i libri della Row sono tutti scritti con
il suo punto di vista, ma… insomma, la prima volta è la
prima volta ^^
Noticine:
Remus ci tiene molto a non deludere
le persone a cui tiene e allo stesso tempo non è capace di dire
di no a certe “tentazioni”, cosa che lo spinge a mentire a
se stesso e tacere informazioni anche molto importanti. Nei libri, ad
esempio, quando nel terzo non dice a Silente che Sirius è un
Animagus, malgrado anche lui fosse convinto che stesse cercando di
uccidere Harry. Tace perché non vuole che il preside venga a
sapere che da ragazzo tradiva la sua fiducia, andando a spasso con i
suoi amici con la luna piena (è lui a dirlo, eh, sto solo
parafrasando ^^).
Immagino che davanti ad Harry avrebbe
desiderato mostrarsi come un padre sempre e comunque responsabile per
paura di venire giudicato male, visto quello che aveva combinato quando
era venuto a sapere della gravidanza di Tonks.
Oh! Andromeda non voleva sul serio uccidere Remus con la torta, eh! Solo procurargli un brutto mal di pancia XD!
ciao
Fri
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