Le parole d’amore, che sono sempre le stesse, prendono il
sapore delle labbra da cui escono. – Guy de
Maupassant –
Breve nota introduttiva: La storia si svolge un anno
dopo la sconfitta di Voldemort. Ron
ha frequentato l’Accademia per Auror assieme ad
Harry, Hermione è tornata ad Hogwarts
per terminare gli studi. Siamo nel giorno in cui si festeggia il buon esito dei
M.A.G.O. La Rowling
non ha mai descritto questo evento, così ho immaginato potesse svolgersi una
cerimonia di diploma. Magari non c’era bisogno che lo precisassi, perché
dovrebbe essere deducibile nel racconto, ma nel caso non dovessi essere stata
abbastanza brava, questo è quanto.
Attenzione: storia
ad alto tasso glicemico. Altamente sconsigliata ai diabetici. Leggete a vostro
rischio e pericolo!
Dedicata a Nadi – così non sarai più gelosa – e a Chicca: siete
entrate nel mio mondo sfondandone la porta, e non mi dispiace affatto!
Il sapore delle fragole
I remember
We were walking up to strawberry swing
I can’t wait until the morning
Wouldn’t wanna change
a thing
[…]
It’s such a perfect day
Strawberry swing – Coldplay –
L’aveva seguita con lo sguardo
durante tutta la cerimonia per i M.A.G.O. Non l’aveva persa di vista neppure un
secondo.
Era strano osservarla da lontano.
Lui ricordava le loro figure
vicine, una accanto all’altra, mano nella mano. Da sempre. Ed ora a separarli
c’era un fiume di persone: visi eccitati, accaldati dall’estate imminente,
occhi gonfi di pianto e cuori dilatati dall’orgoglio per quei ragazzi che
avevano finalmente terminato il loro percorso di studi e che si apprestavano a
diventare adulti.
Quel giorno, tuttavia, per Ron, quella gente quasi non esisteva.
C’erano solo lui, seduto in un
angolo, in fondo alla schiera di sedie bianche rivolte verso coloro che
avrebbero ottenuto il tanto atteso M.A.G.O., e lei, fiera nella sua divisa da
Caposcuola, con i capelli oppressi in una treccia talmente tanto stretta che i
suoi ricci crespi non osavano saltar fuori. Gliel’avrebbe sciolta non appena l’avesse
raggiunta.
L’aveva guardata muoversi sul
palco allestito per l’occasione.
Aveva riscoperto i consueti
piccoli gesti che lei tirava fuori per scacciare l’ansia, mascherati da una
troppo ostentata sicurezza. Era certo che nessuno li avesse notati, ma per lui
erano evidenti, risaltavano tra i sorrisi affettati e le strette di mano di
circostanza: la punta del piede che batteva a terra con un ritmo tutto suo, il
modo insistente con cui lisciava le pieghe della veste, il continuo inumidire
le labbra, le piccole rughe che si creavano tra le sopracciglia mentre, ne era
convinto, lei ripeteva a mente il discorso che aveva riscritto non meno di
cinque volte.
Hermione
era in preda alla frenesia.
Ron era
riuscito a percepirne l’agitazione come se l’avesse provata lui stesso. Una
goccia di sudore freddo gli era scivolata lungo la schiena facendolo
rabbrividire. Si era imposto di respirare e rilassarsi: non era lui quello che
doveva parlare di fronte alla comunità magica riunita nel parco di Hogwarts. Era Hermione, e non
avrebbe avuto problemi.
Aveva sbuffato forte,
guadagnandosi un’occhiataccia da sua madre seduta un paio di file più avanti.
Era tornato anche lui col pensiero a quel tanto agognato discorso imparato
forzatamente a memoria. Negli ultimi due mesi, lei, l’aveva ripetuto così
spesso da farlo diventare una sorta di lunga filastrocca, di quelle che ti
s’insinuano nel cervello e ti tormentano per giorni. Durante i loro incontri ad
Hogsmeade, a volte, Hermione
glielo aveva soffiato tra le labbra mentre la baciava; e lui lo aveva amato ed
odiato quel discorso, amato la passione che lei metteva in tutto ciò che
faceva, odiato il tempo che era stata costretta a togliere a lui.
Poi era arrivato il momento di
parlare.
Hermione
aveva camminato fino al centro del palco, il mormorio della folla era cessato
di botto.
Il cuore di Ron
aveva preso a galoppare irragionevolmente, quasi ci fosse stato lui lì davanti.
Hermione aveva chiuso gli occhi e liberato un respiro
profondo. Aveva iniziato a parlare. La sua voce, magicamente amplificata, aveva
riempito le orecchie dei partecipanti, le parole erano uscite chiare e decise,
il nervosismo era scomparso e lei non aveva avuto la minima incertezza.
Ron si
era sorpreso a fissarla ammirato e rapito come quando, pochi anni prima, la
ascoltava esporre i concetti imparati sui libri di scuola. Quando pensava che
fosse perfetta e irraggiungibile.
Il discorso era scivolato tra i
volti attenti della gente, senza intoppi, andando a sfiorare le cicatrici
ancora fresche lasciate negli animi dalla guerra da troppo poco passata, ma
evitando di tormentarle. Le frasi si erano soffermate sulle persone che non
potevano essere presenti, ma che, in qualche modo, continuavano ad esistere tra
i ricordi, tra le lacrime. Infine aveva toccato quei temi imprescindibili che
tutti attendevano: il lavoro, diventare adulti, il futuro.
Un lungo applauso commosso aveva
decretato la fine della cerimonia.
Le persone si erano scapicollate
per stringerle la mano, per congratularsi con lei. Ron
aveva sorriso mentre notava le sue guance prendere colore, lusingata dai
complimenti.
Si era voltato solo un attimo.
Richiamato dal saluto di Dean Thomas. Quando aveva riportato gli occhi nel
punto in cui erano prima, lei era scomparsa.
L’aveva cercata tra la gente, tra
gli abbracci entusiastici dei genitori verso i figli diplomati, tra le
felicitazioni dei professori, tra le sedie lasciate ormai vuote. Sembrava
essersi dissolta nell’aria come una bolla di sapone.
Una lieve nota di panico si era
insinuata nel suo animo, ma quando, nel tentativo di rintracciarla, si era
imbattuto nella sagoma del castello che si stagliava nell’azzurro del cielo,
una strana consapevolezza gli aveva suggerito dove trovare ciò che cercava.
Hogwarts
pareva non cambiare mai, eppure, la sua immagine, riusciva a stupirla sempre
come la prima volta.
Hermione
fece scorrere lo sguardo sul maestoso ingresso, sulle torri che si disegnavano
tra le piccole nubi bianche che punteggiavano il cielo, sulle mura di pietra
che avevano protetto il suo sonno per tanti anni. La magia impregnava l’aria
attorno come fosse elettricità, ne distingueva la forza mentre sfrigolava tra
le sue dita. Si sentiva potente in quel luogo, in grado di fare qualsiasi cosa.
La stessa sensazione che aveva riconosciuto crescere dentro di lei il primo
giorno che aveva calpestato quel terreno, otto anni prima.
Una parola le affiorò alle
labbra, la raccolse e la ingoiò nel timore irrazionale che, se l’avesse
pronunciata, l’avrebbe persa: casa.
Il sole aveva da poco superato lo
zenit, i raggi caldi le lambiva piacevolmente la nuca.
Hermione
abbassò la testa per goderne a pieno il tepore e qualcosa, muovendosi
sull’erba, entrò nel suo campo visivo.
Un’ombra si allungava lentamente
accanto alla sua. Ne studiò l’ondeggiare nel cammino, riconobbe i suoi
contorni. Attese che lo spazio che intercorreva tra la propria ombra e quella
del visitatore si comprimesse fino a diventare inesistente, finché le figure
disegnate sul prato si fondessero in una sola, poi sorrise.
Lui era alle sue spalle, lei non
si voltò, ma percepì il calore familiare del suo corpo riscaldarla più del sole
stesso.
Così come il sole, lui le sfiorò
la nuca con le dita.
Hermione
socchiuse gli occhi. Solo quando le fu di fianco, capì che era arrivata lì per
incontrarlo.
Si erano aspettati tutto l’anno.
Lei ad Hogwarts, lui a Londra.
Hermione
aveva imparato ad assaporare il gusto dolce-amaro della nostalgia. Aveva
contato i giorni che la separavano da lui sempre con maggiore impazienza. Aveva
scoperto di volersi abbandonare tra le sue braccia e, quando lui non c’era, che
poteva continuare a sognare nel ricordo di quegli abbracci. Il pensiero dei
suoi sorrisi aveva indugiato tra i compiti, le lezioni, tra le responsabilità
dell’essere studentessa, l’aveva aiutata a gestire il tempo nell’attesa di un
nuovo incontro. Si era abituata all’idea di non riuscire a non amare le
giornate che trascorreva fuori dalla scuola, perché le passava con lui.
Ron
armeggiò con la sua pettinatura. Le districò i capelli dalla costrizione
dell’intreccio.
Lei immaginò i suoi ricci
allargarsi e ritrovare spazio attorno al capo, osservò la cute rilassarsi dopo
essere stata tirata tutto il giorno.
Le massaggiò la testa
scompigliandole la chioma.
Un sospiro di sollievo si liberò
involontario dalla bocca di Hermione. Era quello di
cui aveva bisogno.
Ron era
quello di cui aveva bisogno.
Girò il volto per cercare i suoi
occhi e incontrò il suo sorriso.
«Cominciavano a chiedersi dove
fossi finita» esordì lui.
«Anche tu?» disse lei, a metà tra
una domanda e un’affermazione.
«No, io lo sapevo».
Hermione
distinse la smania di accorciare la distanza che li separava, premere
insistentemente dentro di sé, ma represse l’impulso di buttargli le braccia al
collo e strofinare il viso sul suo petto. Era sempre così quando non si
vedevano per un po’ di tempo: si creava una sorta di strana insicurezza nei
loro gesti, come se, ogni volta, dovessero re-imparare a conoscersi, come se
dovessero ricominciare dall’inizio.
«Com’era il discorso?» si limitò
a chiedere.
«Perfetto» la rassicurò Ron.
Hermione
scosse la testa: «Ho saltato una parte…»
Lui fece spallucce: «E ne hai
aggiunta un’altra altrettanto commovente, mia madre non smetteva di piangere».
«Tua madre piangeva per
l’emozione di vedere Ginny col diploma in mano».
«No. Per quello è una settimana
che piange». Hermione sorrise e Ron
continuò: «Oggi era in lacrime per il tuo discorso. Pendevano tutti dalle tue
labbra. Non ho mai visto Lumacorno gongolare a quel modo,
penso che voglia adottarti».
Hermione
alzò gli occhi al cielo: «Non esagerare…»
«Non scherzo, Hermione»
proseguì lui. «Non faceva che ripetere quanto fossi brillante. La strega più
dotata degli ultimi vent’anni!» annunciò cercando d’imitare il vecchio
professore, senza riuscire a nascondere una nota d’orgoglio nella voce che lei
colse compiaciuta.
«Non essere così indisponente col
professor Lumacorno, l’ho sorpreso a superare tre
file di sedie per venire a stringerti la mano».
«Già». Ron
non poté trattenere una smorfia disgustata. «Pensa che ricordava esattamente il
mio nome. Ha persino detto che vuole una mia foto».
Hermione
soffocò una risata. «Non sei contento? Ti metterà nella sua collezione assieme
alle altre celebrità».
«Non vedevo l’ora. Pensa, ho solo
dovuto distruggere un pezzo dell’anima di Voldemort
per ottenere questo onore!» concluse lui arricciando le labbra.
Sorrisero entrambi, uno verso
l’altro, quasi imbarazzati di ritrovarsi soli dopo tanto tempo.
«Ti stai perdendo il meglio» le
riferì Ron indicando, con un cenno della testa, la
direzione da dove era arrivato. «La McGranitt e il
Ministro Shacklebolt hanno preso di mira Harry,
vogliono che anche lui tenga un discorso prima della fine della giornata. E’
divertente vedere come cerca di mimetizzarsi tra la folla utilizzando i trucchi
che abbiamo imparato all’Accademia per Auror, fallendo
miseramente nel suo intento…»
Hermione
annuì, ma il suo sorriso si appannò di malinconia. Riportò lo sguardo al
castello.
«Avevo bisogno di un attimo per
me. Volevo salutare un vecchio amico…» sospirò.
Anche Ron
fissò l’edificio riportato all’antico splendore dopo l’ultima battaglia contro Voldemort. Era passato un anno.
«Se vuoi, ti lascio sola» le
sussurrò, quasi avesse paura di disturbarla.
«No» Hermione
gli prese la mano senza guardarlo. «Rimani con me».
Ron
decise di non continuare a dare ascolto alla sua goffaggine che gli suggeriva
di evitare di starle troppo vicino. Le scivolò nuovamente alle spalle,
mantenendo il contatto con le sue dita, le cinse i fianchi e abbassò il viso
all’altezza di quello di lei. Hermione si appoggiò a
lui. Guancia contro guancia.
Aveva sognato di prenderla tra le
braccia dal primo momento in cui l’aveva vista quella mattina. Invece era stato
capace di rivolgerle solo un timido cenno di saluto da lontano, poi lei era
stata fagocitata dalla cerimonia per i M.A.G.O. e lui aveva dovuto mettersi da
parte e aspettare.
Ora che riusciva a riconoscere di
nuovo il profumo dei suoi capelli, si sentiva in pace col mondo.
«C’è così tanto di me lì dentro,
così tanto di noi» disse piano Hermione, riferendosi
ad Hogwarts. «Tanto da ricordare, tanto da
dimenticare…»
Ron
captò la tristezza insinuarsi tra le parole, strinse di più Hermione,
si aggrappò a lei per non esserne sopraffatto a sua volta. Sebbene avesse
lasciato la scuola per realizzare il sogno di diventare Auror,
nonostante avesse intravisto Hogwarts solo da lontano
nell’ultimo anno - quando arrivava ad Hogsmeade per
vedere Hermione - Ron era
convinto che, finché ci fosse stata lei, una parte di sé avrebbe continuato a
vivere in quelle mura. Adesso che anche Hermione se
ne andava, lui avvertiva il legame che aveva con il castello allentarsi. Sbuffò
per scacciare l’amarezza che, per un istante, gli aveva serrato la gola.
Hermione
nascose il viso nel suo collo. «Non voglio dire addio ad Hogwarts».
Ron le
baciò la fronte, voleva consolarla e consolare sé stesso. «Allora non farlo»
suggerì.
Lei si scostò un poco. «Come?»
«Non devi dirgli addio» spostò lo
sguardo sull’edificio, come se volesse parlare direttamente con esso. «Sai, in
fondo, penso che nessuno di noi possa davvero dire addio ad Hogwarts,
in un modo o nell’altro rimarrà nelle nostre vite. Dì “arrivederci”, agli amici
si dice “arrivederci”».
Hermione
si voltò a guardarlo, sembrava colpita. «Davvero?»
Ron
annuì, poi riportò gli occhi nei suoi.
«E da quando sei così saggio?» lo
canzonò lei.
Lui finse di pensarci su. «Da
quando frequento una ragazza piuttosto saccente…» e bisbigliandole in un
orecchio: «Credo mi abbia attaccato la sua malattia…»
Percepì Hermione
rabbrividire mentre le sue labbra le sfioravano la pelle del lobo.
«Che malattia?» chiese lei,
infilando il mento nel colletto della divisa.
«Quella di dire la cosa giusta al
momento giusto».
Hermione
rise. Anche Ron sorrise, era riuscito ad arrestare il
flusso della nostalgia.
«Mmm…
sembra grave. Dovrei essere gelosa di questa ragazza?» scherzò lei.
«Forse. Io l’ho aspettata per un
anno intero».
«Spero ne sia valsa la pena».
Ron
assentì ancora. «Lei ne varrebbe sempre la pena, anche se dovessi aspettarne
mille di anni!»
Ed Hermione
si arrese.
Sapeva che prima o poi, Ron, l’avrebbe travolta.
Si crogiolò in quel momento di
debolezza e stabilì che non voleva più arginare quello che provava per lui.
Ron era
una tempesta che spazzava via ogni cosa sotto il suo incedere, era un vortice
che divorava quello che si trovava davanti.
E lei voleva annegare. Voleva che
lui le togliesse il respiro. Voleva perdersi.
Forse era già perduta.
Ron era
il caos, lei l’ordine. Non poteva esistere senza di lui.
Le parole fuggirono via dalle sue
labbra e lei neanche tentò di riacciuffarle.
«Sono innamorata di te».
Ron
doveva aver capito male. Doveva, senza dubbio, aver capito male.
Si staccò un poco da lei, mentre
il suo cuore sbatteva impazzito contro le costole come se volesse uscirgli dal
petto.
«Che hai detto?» domandò con un
filo di voce.
Lei si limitò a guardarlo con un
sorriso appena accennato sulle labbra. Aveva le guance tinte di un rosa più
intenso di un attimo prima, gli occhi scintillanti, raggianti, gli occhi di una
donna decisa. Della sua donna.
Non aspettò che rispondesse.
Le prese il viso fra le mani e la
baciò con foga.
La strinse con violenza, senza
preoccuparsi di poterle fare male.
Non voleva trattenersi.
Non poteva trattenersi,
soprattutto mentre Hermione rispondeva al bacio con
la stessa veemenza.
Gli si mozzò il fiato in gola.
Si obbligò a calmarsi per poter
riprendere aria. Si distanziò dalla sua bocca solo di un millimetro, lei non
gli permise di allontanarsi di più, lo trattenne attaccato a sé e continuò ad
accarezzargli le labbra con le sue dolcemente, finché il respiro non divenne
più regolare.
La ascoltò ridacchiare felice
contro le sue labbra mentre era ancora in balìa del suo bacio.
«Sono innamorata di te, Ron» ripeté Hermione.
Anche Ron
sorrise stavolta, stando attendo a non slegare le loro bocche, la pregò: «
Dillo ancora! »
«Ti amo» soffiò lei.
Non era la prima volta che si
sentiva rivolgere quelle parole.
Lavanda glielo aveva ripetuto
continuamente quando stavano insieme. Glielo aveva detto con leggerezza, come
se non avesse importanza; lo aveva urlato ai quattro venti, come se fosse una
cosa da condividere con chiunque; l’aveva dichiarato ogni giorno della loro
breve relazione, come se fosse una lezione fastidiosa da imparare a memoria.
Ma Hermione
non era Lavanda e le parole d’amore, anche se sono sempre le stesse, prendono
il sapore delle labbra da cui escono.
Fragole.
Quando assaggiava le labbra di Hermione, Ron, pensava alle
fragole: al loro gusto acidulo all’inizio, che diventava tanto dolce fino a
renderti dipendente dal loro nettare; alla consistenza morbida e succosa della
polpa che ti portava a sospirare di piacere; a quella voglia di assaporarne
ancora e ancora l’essenza fino ad estinguere la fame che, Ron
ne era certo, non sarebbe mai passata. Così come era sicuro che non gli sarebbe
mai passata la voglia di ascoltare quelle parole ripetute da quelle
labbra.
Tutto il suo corpo fu percorso da
una scarica elettrica.
Si sentì vivo come non lo era mai
stato. Avrebbe potuto restare in quell’istante, con Hermione
stretta addosso a lui che gli confessava che l’amava, per sempre.
Ron la
baciò come non aveva mai fatto prima.
Hermione
non aveva bisogno di ascoltare le stesse parole che aveva appena pronunciato,
lui era capace di dimostrarle che
provava lo stesso sentimento semplicemente con quell’abbraccio.
Le sue mani l’accarezzavano e lei
capiva di essere al sicuro, il respiro di lui si fondeva col suo e lei sapeva
di essere protetta, invulnerabile.
La sollevò da terra come durante
il loro primo bacio. Hermione si sentì felice e
leggera, non poté trattenersi dal ridere mentre lui la faceva girare tenendola
tra le braccia.
Un giro. Due giri. Anche Ron rideva.
Si fermò davanti alla facciata
del castello e le permise di poggiare i piedi a terra. Indirizzò lo sguardo all’edificio
e disse serio: «Grazie per esserti occupato di lei».
Hermione
lasciò una carezza sul suo viso, allora si voltò anche lei verso Hogwarts. Si preparò a congedarsi dal luogo che era stato una
parte così ampia della sua vita, in cui aveva imparato a credere in sé stessa, dove
aveva appreso che poteva diventare straordinaria, che era stato testimone della
sua crescita. Premuta contro il fianco di Ron, sapeva
di essere finalmente pronta.
«Che succederà ora? Che farò da
domani?» chiese, forse a lui, forse al castello stesso come ultimo monito.
«Non credo che avrai problemi,
faranno la fila di fronte alla tua porta per offrirti un lavoro» rispose Ron.
«Chissà...» fece spallucce. «Ma
non ti preoccupa un po’, il futuro?»
Era strano pensare che poteva
davvero esserci qualcosa dopo, che non finiva tutto una volta superati i
cancelli, che c’era ancora da vivere ed era così tanto da vivere. Hermione vide davanti a sé una strada bianca, immacolata,
che nessuno ancora aveva percorso, quella strada sarebbe stata segnata dalle
sue decisioni, dalle sue scelte.
Ron le
sorrise incoraggiante. «Assolutamente no. Io so che sapore ha il futuro».
Hermione
aggrottò le sopracciglia nello sforzo di capire. «Che sapore ha?»
Ron si
chinò su di lei e le rubò un bacio a fior di labbra; fece schioccare la lingua
come se avesse in bocca qualcosa di gustoso. «Il sapore delle fragole».
Lei sorrise e gli prese la mano.
Le bastava.
Era serena. Il domani era
incerto, ma aveva la sicurezza che Ron le sarebbe
rimasto accanto. «Andiamo, penso che questo sia un buon giorno per concludere
un’avventura».
S’incamminarono verso gli amici
che li aspettavano, verso la vita che li reclamava.
«Io credo che sia un buon giorno
per iniziarne una nuova» precisò Ron.
Hermione
si girò un’ultima volta in direzione del castello, soffermò lo sguardo sugli
alberi intorno, sul Lago Nero, sulla Foresta Proibita, sul cielo limpido,
infine lo puntò sulla mano di lui che stringeva la sua.
Era tutto quello di cui aveva
bisogno.
«Sì, un giorno perfetto!»
Se qualcuno di voi mi aveva dato
per dispersa, scusatemi. Avrei voglia di scrivere a tutte le ore del giorno e
della notte, ma la stanchezza a volte la fa da padrona e non mi lascia spazio,
tanto meno ispirazione. Ma per la gioia di qualcuno ( sai che sto parlando di
te, vero?? ) e probabilmente la disperazione di qualcun altro, sono tornata e
credo che mi rivedrete presto. Promessa! ( o minaccia? )
Questa storia è stata concepita
per il contest “Tutto l’amore che ho” indetto da PaytonSawer
sul forum di EFP.
No, non sto diventando troppo
romantica, no, no, no, no… beh, magari solo un pochino! D'altronde il tema era
l’amore e la coppia su cui dovevo scrivere era la mia preferita, quindi mi sono
data alla pazza gioia!
Qui di seguito trovate il
giudizio di Payton che mi ha riempito d’orgoglio.
Ovviamente se anche voi avete
voglia di farmi sapere cosa ne pensate mi farete felice, qualsiasi sia il vostro
commento è ben accetto e mi aiuterà a fare sempre meglio, quindi non esitate!
Grazie a coloro che continuano a leggere
le mie storie, a recensirle e a metterle nelle preferite/ricordate/seguite. Siete
fantastici!
A presto.
Emmahp7
Terze classificate a pari merito
Emmahp7- Il sapore
delle fragole
Grammatica: 10
Stile e lessico: 8.5
Originalità: 14.5
IC e caratterizzazione: 10
Gradimento personale: 10
Trattamento del tema: 5
Bonus coppia: 1
Bonus frase: 1
Tot: 60 / 62 punti
Mi
hai fatto amare le Ronmione come mai nella mia vita,
con questa shot. Io sono ‘nata’ come Dramionista, ma sono le storie come le tue che, prima o
poi, mi convertiranno del tutto.
La
caratterizzazione dei personaggi è impeccabile, leggendo la tua shot avevo la sensazione d’essere nel mezzo di uno dei
diciannove anni di cui la Rowling non ci ha parlato. Perfino Harry Potter, è
bene caratterizzato, il che non mi porta che ha farti tanti, tanti complimenti.
La tua storia e quella di Lilyblack sono quelle che
più mi hanno emozionata, nel gruppo Canon.
Anche
l’originalità è molto buona. Parli di un momento abbastanza fruttato nelle ff, ma lo fai in un modo completamente nuovo.
L’unico
punto che stona è che a volte lo stile risulta pesante, inceppa la lettura. Ti
faccio un esempio.
“Quando
assaggiava le labbra di Hermione, Ron,
pensava alle fragole: al loro gusto acidulo all’inizio, che diventava tanto
dolce fino a renderti dipendente dal loro nettare;”
Le
virgole che separano il nome di Ron rallentano
notevolmente la lettura, stonano.
“Quando
assaggiava le labbra di Hermione, Ron
pensava alle fragole” sarebbe stato più fluido e piacevole. Ho preso questa
frase come esempio, ma sono molti i punti in cui ho trovato questi ‘blocchi’,
ed è un peccato, perché non permettono di godersi pienamente la splendida
storia che hai scritto.
Comunque,
posso solo farti tanti complimenti, perché hai scritto una storia splendida.
Grazie d’aver partecipato. Payton
Miglior
Canon Pairing – Emmahp7
Una storia troppo bella per non essere premiata