Il titolo significa
"sventurato desiderio", dal greco antico, dialetto attico.
Riconoscetemi la buona volontà di essermi cercata l'alfabeto
greco su wikipedia.
Il termine "yagire" (da wikipedia): è un vocabolo giapponese
con cui si identifica un personaggio che sia divenuto yandere in
seguito ad un'esplosione di gelosia. Il termine "yandere" è
quello con cui viene identificato un personaggio che all'inizio si
mostra buono e gentile, ma in seguito a un qualche accadimento diventa
irascibile e in alcuni casi anche psicotico.
Fanfiction d'esordio (chiamiamola così) nel fandom di K-ON!.
Buona lettura!
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«Ui!
Ui! UUU~I!»
A Ui era sempre piaciuto il modo in cui sua sorella
chiamava il suo nome. Quando pronunciava la “u”,
sporgeva le
labbra all’infuori; poi, nell’aggiungere la
“i”, la sua bocca
si apriva graziosamente a ellisse.
«Sto arrivando, onee-chan!»
Malgrado la sua età, Yui non era ancora del tutto
autonoma nemmeno per farsi una doccia: Ui rimaneva sempre in una
delle stanze accanto al bagno, mentre lei era dentro, per poter
essere in grado di soccorrerla prima possibile, se per caso ne avesse
avuto bisogno.
Ui si fidava di sua sorella, tuttavia conosceva la
sua tendenza a dimenticare in fretta ciò che doveva fare
– l’unico
particolare che non le passava mai di mente era l’ora di
cena:
quello, quantomeno, Ui non doveva gridarglielo da dietro la porta
chiusa, sforzandosi di sovrastare il rumore di Yui che giocava con
l’acqua e la schiuma.
«Onee-chan…»
Yui le dava le spalle e, china sulla vasca da bagno,
stava saggiando l’acqua che la riempiva quasi del tutto con
la
punta delle dita.
Ui si ritrovò ad arrossire, senza sapere bene per
quale motivo, nell’osservare la pelle nuda della schiena di
sua
sorella, le sue gambe sottili, lo scorcio dei piccoli seni che si
intravvedeva da quell’angolazione, le curve armoniose dei
fianchi.
«Ui, Ui!» Yui si volse a guardarla, del tutto
incurante delle sue nudità, e sorrise. «Facciamo
il bagno insieme,
Ui! È tanto che non lo facciamo, dai!» la
esortò con entusiasmo.
Turbata, Ui si sfiorò una guancia accaldata e si
domandò perché vedere sua sorella nuda le
causasse ogni volta una
simile reazione. «Ma, onee-chan, io devo
preparare la cena…»
tentò d’obiettare, tuttavia Yui
l’afferrò per un polso e la
trascinò con sé vicino alla vasca.
«Oh, Ui, per favore! Per favore~!»
Ui adorava il modo infantile che Yui aveva di
convincere gli altri.
Ui amava sua sorella – cioè, le voleva tanto
bene. Così tanto che, quando Yui le aveva rivelato in tono
incerto e
teso di essere gay e di essere innamorata di Mio, Ui aveva accolto
con delicatezza le sue parole e il loro rapporto non ne era stato
affatto intaccato.
Eccezion fatta per i pranzi e le cene che Ui doveva
consumare da sola, perché Yui era andata a pranzare da Mio,
quelli
ai quali partecipavano in tre e le notti trascorse da sola in casa
perché sua sorella era stata invitata a dormire a casa
Akiyama.
A Ui piaceva Mio: era dolce e intelligente e avrebbe
persino potuto far promuovere Yui, se le fosse stata vicina nello
studio. Al tempo stesso, però, era una ragazza estremamente
timida,
in grado di cadere in stato comatoso per motivi insignificanti e di
rimanere in una condizione simile anche per ore e Ui proprio non
riusciva a capire perché sua sorella si fosse innamorata di
una
così.
«Va bene, ma facciamo presto, devo andare a
preparare la cena…» si arrese infine alle
suppliche di Yui e prese
a sfilarsi la T-shirt, colta poi da un rossore inaspettato nel
rendersi conto che sua sorella l’avrebbe vista nuda e che
aveva
insultato Mio con le sue riflessioni.
Fare del male agli altri o pensare male di loro non
faceva parte della sua natura, eppure non era la prima volta che
avveniva un episodio di quel genere. Al contrario: da quando Mio e
Yui si erano messe insieme, quei suoi scatti d’ira
incontrollata
avevano cominciato ad avvenire quasi regolarmente, in un modo che
spaventava Ui.
«Ehi, Ui! Ehi, Ui!» la scosse Yui. «Su,
sbrigati
a spogliarti, perché ho freddo e ho tanta fame!»
Fece per aiutarla
a togliersi la maglietta, ma quando Ui tremò al suo tocco si
ritrasse di scatto, come fosse stata morsa. «Oh, Ui,
scusa!» chiese
perdono, mortificata. «Non volevo metterti in imbarazzo,
io…»
Yui non era stupida come poteva apparire:
semplicemente, il più delle volte non aveva voglia di
ragionare. Era
pigra, non sciocca, perché quando rifletteva le sue
conclusioni
davano sempre mostra di intelligenza e sensibilità. Yui
aveva
pensato a quanto sarebbe stato difficile essere lesbica e temeva
costantemente di allontanare qualcuno da sé con il suo modo
di fare,
che improvvisamente – se prima lo riteneva del tutto innocuo
– si
ritrovava a considerare sfiorante il perverso.
Avrebbe dovuto smettere persino di spogliare sua
sorella. In realtà, avrebbe dovuto smettere di voler fare
quello in
particolare.
Smettere di volerla spogliare, di voler toccare la
sua pelle morbida, di volerla abbracciare, di volerla baciare e di
voler stare con lei. Anzitutto perché era disgustoso che lei
desiderasse a quel modo sua sorella; in secondo luogo,
perché non
sarebbe stato giusto nei confronti di Mio.
Lei voleva molo bene a Mio, ma aveva ormai compreso
che quell’affetto non sarebbe mai andato oltre. Le piaceva
baciarla
ed essere baciata da lei e il suo corpo era fresco e soffice al
tatto, tuttavia Mio Akiyama non era Ui Hirasawa. Forse, aveva
riflettuto una volta, si era convinta di essere innamorata di Mio per
dimenticarsi di sua sorella.
«Non preoccuparti, onee-chan»
la confortò
Ui, per quanto le sue guance fossero adesso color porpora.
«Non c’è
nessun problema, davvero…» soggiunse debolmente,
quando
l’espressione di sua sorella non sembrò
rischiararsi.
Allora, profondamente avvilita perché stava
mortificando Yui senza volerlo, scelse di fare qualcosa che non aveva
mai trovato la forza di fare prima.
Prima che Yui si accorgesse di essere attratta dalle
ragazze, prima che, nello specifico, si accorgesse di essere attratta
da Mio, prima che loro si mettessero insieme, prima che fosse troppo
tardi per porre rimedio all’esitazione che Ui aveva avuto nel
rivelare la verità a sua sorella.
Si sporse verso di lei e la baciò sulle labbra.
La bocca di Yui aveva il sapore delle pesche e la
loro medesima consistenza; Ui godette di quel bacio, più di
quanto
ritenesse giusto fare, e allungò timidamente le braccia
attorno al
collo di Yui, che d’altra parte era pietrificata dallo
stupore.
Infine Ui si ritrasse, aprì più volte le labbra,
senza trovare nulla da dire, sino a ridursi a un patetico:
«T-ti
avevo detto… di no-non preoccuparti, onee-chan».
Rimase
immobile, a testa bassa, a tormentarsi le mani, consapevole di aver
appena rovinato il legame che aveva faticosamente tentato di
mantenere intatto, malgrado la propria divorante gelosia.
Poi Yui si piegò sotto di lei e la baciò ancora.
In quel modo maldestro che era proprio di Yui, con le labbra premute
contro quelle di Ui e il naso schiacciato contro il suo.
«Ui…» mormorò infine nello
spezzare anche quel
contatto. «Mi dispiace. Mi vuoi ancora bene, vero?»
La guardava con
quei suoi occhi color del cioccolato al latte, grandi e spalancati in
un’espressione impaurita e speranzosa a un tempo, come quella
volta
in cui Ui l’aveva sorpresa con le mani invischiate nella
marmellata, il cui barattolo era rovesciato sul pavimento; come fosse
stata tutta colpa sua, sebbene fosse stata Ui a baciarla per prima.
«Eh, Ui? Vero che non sei arrabbiata? Vero
che…?»
La sorella appoggiò un indice sulle sue labbra per
interromperla. «Sei innamorata di me, Yui?»
domandò con estrema
serietà.
In quei momenti, quando si comportava in modo tanto
maturo, Yui taceva e si limitava a cenni d’assenso o di
diniego,
messa quasi in soggezione e colma d’ammirazione per la
sorellina,
come accadeva quando andavano a vedere la fioritura dei peschi e Yui
li ammirava ammutolita dall’emozione.
Quando si limitò ad assentire col capo una volta,
in silenzio, Ui le prese le mani e sorrise. «Anche io sono
innamorata di te, onee-chan» ammise,
arrossendo.
Yui la guardò meravigliata. «Davvero?»
Ui annuì ripetutamente, sorrise ancora e attirò
la
sorella in un abbraccio; Yui si rifugiò tra le sue braccia e
appoggiò il mento sulla sua spalla, mentre Ui le accarezzava
i
capelli e la baciava piano sul collo.
«Ui, ma… sei sicura che va bene?»
sussurrò Yui
nell’avvertire le mani di sua sorella sui fianchi.
Non voleva mettere Ui nei guai; non le importava di
essere indicata come diversa, purché sua sorella ne
rimanesse fuori.
Aveva esitato tanto a metterla a parte del proprio orientamento
sessuale in parte perché si vergognava di averlo scoperto a
causa
della sua attrazione per lei, in parte perché era atterrita
dall’idea che Ui potesse ricambiare i suoi sentimenti ed
essere
ricoperta di vergogna per questo.
«Non vuoi, onee-chan?»
Yui sostenne a lungo il suo sguardo totalmente
appagato, come se avessero già fatto l’amore, e
comprese che la
più grande gioia di Ui era sapere che lei la amava. Sarebbe
stato
crudele mentire a se stessa affermando di nutrire nei suoi confronti
del semplice affetto fraterno e separarsi da lei; Yui non voleva.
Scelse di essere egoista.
«Ui, Ui! Facciamo il bagno insieme?» chiese nel
cingerle il collo con le braccia. Le loro bocche erano nuovamente
vicine e gli occhi di Ui rifulgevano di sollievo mescolato a dolce
desiderio.
«Sì, onee-chan».
Ui amava sua sorella – non le voleva tanto bene;
la amava profondamente.
«Ciao, Mio-chan, scusa se ti chiamo a quest’ora,
forse starai mangiando, però…»
Yui sentiva il cuore battere, soffocante, contro la
sua gola. Aveva tentato di parlare con Mio di persona, ma non aveva
voluto farlo davanti alle altre ragazze.
«Yui-chan?»
Yui si stupì nel riconoscere, dall’altra parte,
la voce della madre di Mio, Shiori Akiyama, incrinata e intervallata
da risucchi del naso, come se stesse trattenendosi dal piangere.
«Shiori-san?» rispose, allarmata.
«Shiori-san,
c’è Mio-chan?» Nel suo intimo, tuttavia,
aveva già capito che
era accaduto qualcosa di molto grave, se Shiori si era permessa di
rispondere a una chiamata destinata a sua figlia.
«Yui-chan, Mio non… non è tornata a
casa…
L’hanno trovata poco fa ed è…
è…»
Yui non ebbe la forza di ascoltare ancora; quando le
sue sinapsi reagirono, permettendo ai neuroni di trasportare
l’informazione dal cervello al cuore, perse un battito e
chiuse di
scatto la telefonata.
Gettò il cellulare sul letto e portò una mano
alla
tempia, incurante dei capelli che si scompigliavano e venivano tirati
con forza dalle sue dita, che si muovevano convulsamente sul cuoio
capelluto. Le lacrime presero a rigare le sue guance arrossate dal
pianto, mentre tra i singhiozzi invocava il nome di sua sorella,
impaziente di trovare conforto nel suo abbraccio.
Ui indossava un grembiule quando accorse, un
grembiule bianco sporco del rosso dei pomodori, del verde
dell’insalata e dell’arancione delle carote,
poiché stava
preparando il pranzo. Stringeva ancora in mano uno dei grossi
coltelli conservati in cucina, di quelli che usava per tagliare la
carne, la cui lama era macchiata di sangue rappreso.
«Ui, Ui… Mio-chan, Mio-chan
è…» Yui crollò
in ginocchio, schiacciata dal peso di quella consapevolezza. Mio era
morta. Non sarebbe più venuta nell’aula di musica,
non avrebbe più
suonato il basso né avrebbe partecipato ai loro ritiri. Mio
era
morta.
Ui si inginocchiò accanto a lei e le passò le
braccia attorno alla vita per trarla a sé con dolcezza e
permetterle
di seppellire la testa nella sua spalla.
«Ui…» Yui strattonò un lembo
del suo grembiule
e scoppiò in un pianto ferocemente disperato.
«Volevi più bene a Mio che a me, onee-chan?»
mormorò Ui al suo orecchio in tono mite. «Ieri
sera abbiamo fatto
l’amore e abbiamo dormito insieme, ma poi tu hai detto di
voler
parlare con lei… La preferivi a me, onee-chan?»
Ui era stanca di dover dividere sua sorella con
altre persone e Yui sembrò cogliere la minaccia, malgrado i
gesti
dolci e la voce pacata, perché si divincolò
dall’abbraccio e si
ritrasse da lei.
«C-cosa stai dicendo, Ui?» biascicò, con
la bocca
colma di lacrime. «No-non capisco…»
Il volto di Ui era una maschera d’indifferenza che
sua sorella non riconobbe; al contrario, ne ebbe timore e
tentò
invano di allontanarsi da lei, ma Ui la teneva stretta, sino ad
affondare le unghie nella sua pelle attraverso i vestiti.
«Perché non puoi amare solo me, onee-chan?
Io ti amo molto più di Mio, molto più di chiunque
altro potrebbe
mai fare» riprese con il medesimo modo di parlare del tutto
sereno,
sebbene la stretta sulle braccia di Yui e lo sguardo intriso
d’odio
e gelosia come sua sorella non l’aveva mai visto.
«Perché non
vuoi restare con me e basta, per sempre?»
«M-ma cosa dici, Ui? Tu no-non volevi bene a
M-Mio-chan…?» rantolò a fatica, poi si
lasciò sfuggire un gemito
di dolore quando la presa su di lei aumentò.
«U-Ui, mi fai male…»
Ui, solitamente così attenta a ogni suo bisogno,
non prestò la minima attenzione alla sua sofferenza.
Fissandola, Yui
dovette confessare a se stessa che sua sorella era fuori di
sé. Che
era stata lei a uccidere Mio, perché Yui non aveva saputo
amarla
come chiedeva. Aveva fallito nell’educazione della sua
sorellina:
non le era stata vicina nel momento del bisogno e lei era impazzita
di dolore.
«Ui, mi dispiace… mi dispiace… Io ti
amo, ti
amo davvero e non volevo che tu fossi triste»
tentò di blandirla,
di placare la sua sofferenza, accarezzandole dolcemente il volto,
malgrado ogni movimento del braccio le costasse diverse fitte di
dolore, laddove le unghie di Ui ancora laceravano le sue carni.
«Volevo parlare con Mio-chan soltanto per dirle che non
volevo più
stare con lei, perché… è con te che
voglio stare, Ui, te l’ho
detto, io ti amo… UI!»
Mentre il coltello affondava ripetutamente nella
schiena di Yui, Ui rievocò il momento in cui aveva ucciso
Mio. La
ragazza si era trattenuta nell’aula di musica per metterla in
ordine e Ui l’aveva aspettata in corridoio e le aveva
infilato il
coltello nel petto, tra i seni. Aveva spinto sino a udire il rumore
delle ossa che si rompevano, poi aveva tirato fuori l’arma
dal suo
corpo e l’aveva colpita ancora e ancora, dovunque riuscisse
ad
arrivare.
Mio era indietreggiata, urlando e implorandola di
smettere, sino alla parete, tuttavia a quell’ora la scuola
era
vuota e nessuno aveva sentito le sue grida.
Ui le aveva staccato di netto un braccio, che la
ragazza aveva sollevato nel vano tentativo di ripararsi dagli
affondi, e Mio si era accasciata contro il muro ed era crollata a
sedere sul pavimento. Ui si era chinata su di lei, l’aveva
guardata
negli occhi e aveva visto il colore delle sue iridi che cominciava a
sbiadire, perché Mio stava morendo. Allora aveva praticato
un taglio
nel suo collo, di modo che morisse con estrema lentezza, dissanguata,
nel dolore più grande.
Infine era corsa via e aveva preso l’autobus per
riuscire a precedere Yui a casa e sviare in questo modo ogni
sospetto: era convinta che Mio non sarebbe stata ritrovata quantomeno
sino al giorno dopo, ma si era sbagliata.
E quando aveva visto con quanta sofferenza Yui aveva
accolto la perdita della ragazza, Ui aveva compreso che non avrebbe
mai potuto essere l’unica persona amata da sua sorella. Ci
sarebbero sempre stati altri, inutili esseri umani a frapporsi tra
loro.
Adesso Yui giaceva riversa su un fianco, con la
schiena lacerata dalle ferite e una pozza di sangue che si allargava
sotto il suo corpo steso in una posizione innaturale. Persino nella
morte si era dimostrata migliore di Mio: aveva urlato soltanto una
volta il nome della sorella, poi si era limitata a osservarla, senza
mai chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo, sino a che non era
morta e aveva giaciuto, immobile, accanto a Ui.
Sembrava triste, considerò tra sé Ui nel ripulire
il coltello sul grembiule un tempo bianco, mentre la fissava.
Dispiaciuta di qualcosa, come se avesse capito che Ui non avrebbe
voluto davvero che morisse e l’avesse perdonata per aver
deciso di
ucciderla. Ui si domandò se Yui avesse realizzato il motivo
per cui
l’aveva fatto, ma non l’avrebbe saputo mai.
Si mise carponi sopra il corpo di sua sorella e si
abbassò su di lei per baciarla sulle labbra: erano ancora
calde e
morbide, com’erano state la sera prima nel posarsi ovunque su
di
lei – sulla bocca, sul naso, sulle spalle, sui seni, sulle
cosce,
tra le sue gambe.
«Ti amo, onee-chan» le disse,
scostandole
amorevolmente una ciocca intrisa di sangue dal volto spento.
«Adesso
staremo insieme per sempre e ci ameremo, lontano da tutti coloro che
potrebbero farci del male. Te lo prometto».
Intrecciò alle sue dita
le dita di una mano, poi si piantò il coltello nel cuore con
un
unico movimento ad arco, a suo modo grottescamente aggraziato.
Ui amava sua sorella.
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