Misericordia.
Chiedo
scusa per questa scemenza, non ha proprio senso. Personalmente non
sono una grande fan di questo pairing, ma diciamo che a un certo
punto farci un pensiero diventa inevitabile. Perciò, ecco,
beccatevela, con tante scuse per la melassa in eccesso.
____________________________________________
Punto
a capo
Quando
credi di essere arrivato alla fine, probabilmente devi solo guardare
la riga sotto.
Prologo
(Punto e basta)
Le
migliori risposte sono quelle
che
si trovano quando non le si cerca.
Elena
non riusciva a capire come fosse possibile, una cosa del genere. Come
da un punto cardinale si potesse trovarsi sbalzati all'opposto senza
aver mai mosso un solo passo in quella direzione. Avrebbe potuto
passare anche l'eternità ad interrogarsi senza
raccapezzarsi,
cercando di spiegare quale fosse stata la traiettoria, tentando di
tracciare a ritroso il logico percorso di cause ed effetti
concatenati che doveva essere sotteso al tutto. Perché
doveva
esserci, per forza, un percorso spiegabile, una linea razionale e
identificabile che potesse motivare la volatilità dei
sentimenti più
forti e sinceri.
Ma
questo, anche questo fa parte dell'essere umani. Un giorno pensare di
amare una persona così tanto da immaginare di poter
trascorrere
soli con lei tutto il tempo del mondo, ogni minuto, ogni secondo.
Pensarlo per tanti giorni, settimane, mesi, con tutto il proprio
essere. Poi, un altro giorno, d'improvviso, quella cieca sicurezza si
infrange, la realtà penetra nella sua ineffabile delicatezza
e la
sgretola, smantellando l'illusione perfetta dell'amore. Succede
semplicemente, senza una vera ragione, che guardando altri occhi si
risenta quella stessa, sublime follia, trasferendola su un nuovo
oggetto.
Qualche
volta accade nella stessa maniera in cui cominciano i temporali, il
tempo del un battito di ciglia in cui risuona il tuono e si scatena
la pioggia, senza la minima avvisaglia, specchiandosi nel sorriso di
un estraneo. Altre volte, invece, è una corrente che sgorga
sottopelle, una sorgente infinitesimale e appena frusciante di
comprensione ed empatia, che si allarga nelle vene in un rigagnolo
sciabordante di sintonia, nel ruscello chiassoso dell'amicizia, nei
fiumi sicuri della fiducia, in quelli ampi dell'attaccamento e della
stima e poi sfocia nel mare aperto della passione. Lentamente si
allarga, un po' alla volta, una goccia dietro l'altra con il passare
dei giorni, delle settimane, delle ore condivise, senza che se ne
avverta lo scorrere finché ormai non si è
lì sulla foce, a fissare
l'orizzonte domandandosi come ci si è arrivati,
così lontani dal
luogo della partenza.
Per
lei quel luogo era Stefan. Il punto fermo e inespugnabile nella marea
di virgole e interrogativi dell'esistenza, la domanda che era
già
risposta, la certezza luminosa e roccaforte di felicità. Di
Stefan,
Elena si era innamorata quasi all'istante. Era stato tutto
così
giusto e così semplice, nonostante tutti gli ostacoli che si
erano
frapposti a loro, da convincerla che fosse perfetto. Lo era, ogni
giorno, nel modo in cui riuscivano ad avvicinarsi l'uno all'altro con
una sconcertante facilità, come se si fossero conosciuti da
sempre.
Non erano serviti a niente né le mattane sanguinose di
Damon, né,
la perfidia sottile di Katherine, né i maneggi di John, le
angosce
di Jenna, nessuna strega e nessun Originale erano bastati a
dividerli. Nemmeno Klaus aveva potuto assolutamente nulla per
strappare la bella al vampiro, o viceversa.
Quando
anche lui era diventato un ostacolo alle loro spalle, quando anche
l'Originale più temibile era stato sconfitto contrariamente
ad ogni
ragionevole pronostico, provocando occasionalmente – con un
certo
sollievo di lei – la dipartita non troppo prematura di
Katherine
Pierce, quella era la stata la conferma definitiva, per Elena, che
lei e Stefan fossero fatti l'uno per l'altra, e che sarebbe stato
sempre così.
A
quel punto la loro esistenza aveva potuto ritornare a dipanarsi
dentro argini rassicuranti. Le loro vite erano ritornate normali, per
quanto potessero avere a che fare con quell'aggettivo, e si erano
potuti amare in pace senza più timore di aggressioni, di
misteriosi
nemici appostati nell'oscurità o di segreti pericolosi.
Soltanto due
studenti che camminavano mano nella mano, soltanto sospiri, fremiti e
sussulti nella penombra della camera da letto, e risate, abbracci,
carezze. Stefan ed Elena. Elena e Stefan. Il punto e basta.
Magnifico, definitivo.
Insieme
alla loro, anche le vite dei loro amici si erano appianate nella
serenità. Quella di Bonnie e quella di Jeremy, quella di
Caroline e
di Matt, quelle di Jenna e Alaric – che ormai era diventato
una
sorta quarto inquilino fisso di casa Gilbert. John aveva lasciato
Mystic Falls senza troppo disturbare, per una volta, come se persino
lui avesse intuito che lì non c'era più posto
nemmeno per le sue
macchinazioni e le sue mezze bugie. Elena l'aveva guardato andare via
senza dispiacere, ma anche senza gioia, combattuta tra i sentimenti
divergenti che le arrecava quel padre non padre. Ne era stata
relativamente toccata, perché comunque ciò che
contava era Stefan.
L'altra
partenza, invece, era stata un po' più traumatica ma
altrettanto
inevitabile, a conti fatti.
Damon
aveva sceso le scale di camera sua in un tramonto tiepido di mezza
estate, con una sola valigia in mano – come la prima volta
che se
n'era andato pensando di non fare ritorno, più di un secolo
e mezzo
prima. Li aveva raggiunti davanti al divano, su cui erano stravaccati
l'uno nelle braccia dell'altro, mai sazi di loro, e aveva annunciato
le proprie intenzioni senza interessarsi dei loro volti sbalorditi.
“Non
c'è più nessun pericolo qui. Non avete bisogno di
me, e io mi
annoierei sicuramente. Sapete, adesso che ho messo alla prova le mie
capacità voglio andare a fare il supereroe da qualche altra
parte.
Salvare fanciulle dai draghi, spegnere indomabili incendi e questo
genere di cose,” aveva detto col suo sorriso beffardo e la
sua posa
noncurante. “E poi non ci sono abbastanza donne a Mystic
Falls.”
Sorrideva,
ma Stefan non aveva sorriso. Lo aveva solo osservato intensamente, e
le labbra di Damon erano rimaste arcuate, magistralmente, in
quell'allegria artificiosa e convincente, di cui non si capiva mai
quanta percentuale fosse sincera – forse tutta, forse nessuna.
Elena
non aveva voluto capire. Non poteva capire, anche se in
realtà
sapeva, che l'unica vera ragione della sua partenza era lei. Lo aveva
abbracciato sulla porta, e si era sentita strappare via un pezzo di
corpo nel momento esatto in cui lui aveva fatto un passo indietro,
verso il crepuscolo. La prima volta che l'aveva visto, l'aveva
detestato. Poi si era creata una catena di intesa reciproca tra di
loro, poi l'aveva odiato di nuovo e poi era diventata sua amica, e
dopo ancora si erano incastrati l'uno della vita dell'altro in
maniera obliqua ma radicata. Era difficile l'idea di perderlo,
più
difficile di quanto si sarebbe aspettata. Sarebbe stato semplice
dirgli di rimanere, ma anche troppo egoista. Elena l'aveva lasciato
andare pensando che fosse meglio per tutti, che c'era un ruolo per
ciascuno e andava rispettato.
“Tieni
d'occhio mio fratello,” le aveva detto Damon, con uno sbuffo,
“che
non mi torni a fare il Prozac boy.”
Elena
aveva riso forzatamente, la mano poggiata sullo stipite della porta.
“E
tu non ricominciare con la mania del pulp e degli spargimenti di
sangue,” lo aveva rimbeccato con lo stesso tono che si voleva
lieve.
Damon
aveva annuito.
“Sii
felice, Elena. Subito, prima che succede di nuovo qualche
tragedia.”
Lei
aveva sorriso di nuovo della sua aria esasperata, poi Damon si era
voltato.
E
con la scomparsa dell'ultima nota stonata, era cominciato l'anno
più
perfetto del mondo, quello che avevano aspettato, quello che Elena
pensava meritassero fin da quando si erano incontrati per la prima
volta. Così colmi l'uno dell'altro, e completi, da non
sentire
nemmeno nostalgia. Di niente. Erano solo felici.
Quando
Damon tornò, alla fine di marzo, iniziava a malapena la
primavera. Lei e Stefan avevano passato il pomeriggio a letto, nella
vecchia casa dei Salvatore, e stavano scendendo per prepararsi cena.
Erano arrivati quasi in fondo alle scale e si stavano facendo il
solletico, abbracciati tra una spinta e un bacio, quando
aprì la porta sulla propria figura asciutta, i capelli
appena un
filo più lunghi, la solita valigia ed il solito sorriso
sornione.
“Salve.
Vi sono mancato?” salutò ironico, senza calcolare
il loro
stupore immobile.
Elena socchiuse
le labbra e lo guardò in faccia, dritto negli
occhi, azzurri e sconfinati, e lì c'erano la foce,
l'orizzonte, il
mare. Le gambe le diventarono leggere e il respiro
inconsistente
nella sua gola, mentre il suo punto
e basta diventava un punto a capo.
|