Questa
storia ha partecipato al contest 'Le
Petit Prince' indetto da Only_Me sul forum di EFP,
classificandosi quarta.
Sono contenta,
contentissima per la posizione e per il giudizio, davvero. Ringrazio
Only_Me per avermi dato l'opportunità di scrivere questa
storia.
E dunque,
sì, ecco, spero di non essere diventata ripetitiva
scegliendo di scrivere sempre sul personaggio di Regulus: questa storia
è stata scritta un bel po' di tempo fa, ma ultimamente ho
deciso di distaccarmi un po' da lui e sperimentare nuovi personaggi.
Non perchè per Regulus io abbia perso il mio interesse,
tutt'altro: non voglio prosciugare la vena Black e spendere tutte le
parole in maniera spropositata, forse, come mi sembra di aver
già fatto. Dopo una (breve o lunga) pausa, credo,
sarà ancora più bello scrivere di lui... diciamo
che ho bisogno di sentirne un po' la mancanza.
Mi sento un po'
triste, adesso, perciò taccio.
Grazie ancora.
♥
Titolo: Lui andava e veniva, come una
marea d'inverno.
Personaggi: Sirius
Black, Regulus Black
Citazione scelta: «Non ho saputo capire
niente allora! Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole. Mi
profumava e mi illuminava. Non avrei dovuto venirmene via! Avrei dovuto
indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I fiori sono
così contraddittori! Ma ero troppo giovane per saperlo
amare». (VIII, 44)
Lui andava e veniva, come una
marea d’inverno
«Non ho saputo
capire niente allora! Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle
parole. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei dovuto venirmene via!
Avrei dovuto indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I
fiori sono così contraddittori! Ma ero troppo giovane per
saperlo amare». (VIII, 44)
*
Quell’orologio
a pendolo era lì da chissà quanti anni.
Lo
ricordava, intrappolato tra quella vecchia credenza e la trapassata
vetrina accanto, fin da quando aveva memoria, eppure non
l’aveva mai guardato veramente.
Non che
avesse una ragione particolare ora per farlo: di certo
l’ultima cosa di cui si sarebbe dovuto preoccupare, da
qualche mese a quella parte, era proprio di arrivare puntuale ad un
qualsiasi appuntamento.
Ma
camminando per Grimmauld Place, in quella dimenticata stanza, in cerca
di una camicia pulita – ahilui!
non aveva ancora imparato gli incantesimi di pulizia domestica, e
cercava una camicia pulita da un’intera mattinata -, aveva
posato distrattamente lo sguardo su di esso, nascosto sotto un lenzuolo
bianco, e l’aveva liberato dall’oscurità.
Era stata
Molly ad averlo coperto.
Quell’orologio
era uno dei pochi mobili risparmiati alla serie di incantesimi
scrostanti e delucidanti che solo lei era in grado di conoscere alla
perfezione. Sirius non ricordava chiaramente quale fosse stata la
ragione per cui la signora Weasley l’avesse in quel modo
obliato, ma gli tornava nettamente alla mente qualcosa che gli aveva
detto riguardo la brutta sensazione che quel pendolo le trasmetteva.
Per essere
una strega, Molly era tremendamente suggestionabile.
Afferrò
lo schienale di legno di una sedia lì accanto e la
trascinò fin davanti l’orologio. Si sedette,
prendendo a fissarlo.
Il colore
del legno era spettralmente scuro, opaco, tetro. I colori degli
intarsi, finemente ricamati nel legno, un tempo accesi e brillanti,
erano ora come il resto di un orrendo e macabro marchio a fuoco.
Le lancette
sembravano smagrite, prive di quello scatto croccante che, ricordava,
amava ascoltare quando in quella casa non era ancora che un piccolo,
ignaro Black.
Il grosso
pendolo si trascinava avanti e indietro, con una stanchezza disarmante,
come un corpo senz’anima che vaga in una valle vuota.
Sembrava stranamente lento rispetto a come lo ricordava, come se
compisse un enorme sforzo a portarsi a destra e a sinistra, trasportato
unicamente per inerzia, passivo e spento.
Più
che scandirlo nel suo trascorrere, il tempo, sembrava rallentarlo
enormemente.
Nonostante
credesse che buona parte dell’avversione di Molly per quel
mobile fosse dettata da mere e fasulle suggestioni, Sirius doveva
ammettere che quell’orologio era decisamente disturbante.
Era una
sensazione negativa, quella che gli trasmetteva, un senso di lugubre.
Il pendolo
andava avanti e indietro, avanti e indietro...
Penoso...
Morto...
Regulus.
Non sapeva
per quale motivo - non aveva ricordi della loro infanzia che lo
legassero a quell’orologio, nonostante avessero vissuto
insieme in quella casa per lunghi anni - eppure improvvisamente glielo
fece ricordare.
Forse
perché aveva sempre creduto che Regulus fosse un
po’ così, come una bandiera, sventolante dove tira
il vento migliore, proteso verso la parte in cui pende più
comodità, potere e prestigio.
O, forse,
perchè era semplicemente morto.
Non aveva
pianto, non l’aveva fatto né quando
gliel’avevano detto, né dopo.
Mai.
Non una
sola lacrima.
E forse
proprio per quel motivo, lì, davanti a quel pendolo che
tanto glielo ricordava, appena il tempo di rifletterci davvero su
qualche secondo, la vera consapevolezza della sua morte giunse, infine,
come la sorpresa di una malattia improvvisa: lo colpì
disarmante, rovinandogli addosso in tutta la sua fredda
realtà.
Avanti,
indietro.
Come lui,
come Regulus era sempre stato: una perenne sorpresa da una parte e
un’incessante delusione dall’altra.
Avanti,
indietro.
Aveva
saputo che era morto perchè, semplicemente, aveva cambiato
idea.
Sempre
Sirius si era domandato il perchè di quel cambiamento e
soprattutto il perchè non fosse giunto prima.
Eppure, ora
l’unica cosa riusciva a chiedersi era perchè non
gli avesse mai chiesto aiuto.
Sapeva,
Regulus, che Sirius aveva scelto da che parte stare e che in lui
avrebbe trovato appoggio.
Doveva
saperlo.
Invece no,
aveva deciso di agire da solo, di consegnarsi alla morte pur di non
chiedere aiuto, di sicuro per orgoglio.
Proprio
come quel pendolo, ripensandoci, si trascinava avanti e indietro, senza
mai cedere alla debolezza del riposo, troppo presuntuoso per farlo.
Ecco,
probabilmente era per questo che glielo ricordava: avanti e indietro
sempre, in ogni momento solo.
Orgoglioso.
Presuntuoso.
Regulus.
Stupido.
Lo aveva
sempre pensato di lui, lo aveva sempre immaginato così, come
il pendolo di quell’orologio: capace di andare avanti, ma
incapace di non ricadere nei propri sbagli.
Era andato indietro una
volta, diventato Mangiamorte, si era spinto avanti, verso il
pentimento, e poi era scivolato nuovamente indietro,
inciampando nel suo stesso, cieco orgoglio, marchio Black.
E lo aveva
sempre detestato per questo, lo aveva sempre detestato per i suoi
continui errori. Così stupido. Così stupido ad
essersi cercato la morte da solo.
Eppure, mai
e poi mai nella vita Sirius avrebbe detto che si sarebbe un giorno,
davanti ad un orologio marcito, pentito per non esserci stato.
Sentì
il cuore stringersi di rimorso.
Quanta
paura? Quanta paura doveva aver avuto Regulus, dopo aver capito di
avere sbagliato tutto nella vita?
Quanta
paura?
Rabbrividì.
Ma lui
c’era stato, Sirius c’era stato per sedici,
lunghissimi, maledettissimi anni!
Avrebbe
dovuto approfittare della sua presenza, fino ad allora, e invece no,
Regulus non l’aveva fatto. Lo aveva ignorato grandemente,
aveva ignorato ogni suo tentativo di spingerlo a scegliere il
proprio destino in maniera diversa.
Eppure,
sebbene la scusante reggesse alquanto, Sirius non riusciva a non
domandarsi come, a quindici anni, Regulus avrebbe potuto mai prevedere
lo sbaglio che avrebbe commesso.
E lui?
Dove era
stato quando Regulus aveva scelto?
Dove era
stato?
Cercò
di distogliere lo sguardo dall’ingranaggio, ma il lento
andare e venire del pendolo in onice era diventato cupo, silenzioso,
accusatore.
Non
riusciva più ad evaderne.
Rimase a
guardarlo.
E lo aveva
sempre odiato, quel suo fratello, lo odiava, e lo avrebbe odiato per
tutta la sua schifosissima vita da condannato, ma ora se solo gli
avessero detto che Regulus respirava ancora da qualche parte
dell’universo, se solo gli avessero detto che era vivo,
avrebbe mollato tutto per cercarlo fino in capo al mondo, magari per
poi dirgli, dopo averlo trovato nella foresta Amazzonica, che in
realtà non era lui l’oggetto della sua ricerca, ma
lo era solo una maledettissima camicia pulita.
E avrebbe
inventato qualcosa sul momento, se Regulus gli avesse chiesto
perchè mai cercava una camicia pulita nella foresta
Amazzonica.
Avrebbe
inventato qualunque cosa sul momento.
E adesso,
come quel pendolo si trascinava indietro e avanti, avanti e indietro,
senza mai fermarsi, Sirius capiva che, forse, così doveva
essere stato Regulus: troppo debole, troppo insicuro per scegliere tra
il bene e il male.
E forse per
questo glielo ricordava.
Ma era
sempre stato così.
Continuamente
incerto, sempre trasportato: come la luna attrae il mare verso di
sé, Regulus andava e veniva, come una marea
d’inverno.
Solo che,
per lui, non c’era mai stato un Sole a riportarlo dolcemente
al suo posto.
Non
l’aveva mai capito, Sirius, non aveva mai capito che avrebbe
dovuto aiutarlo, che avrebbe dovuto esserci.
Avrebbe
dovuto fare lui il Sole per riportarlo al suo posto, quando cominciava
ad albeggiare e le sue onde erano arrivate troppo vicine alla Luna
incantatrice, inseguendo stoltamente il fascino di una notte.
Come quel
pendolo.
Avanti,
indietro, indeciso.
Avanti,
indietro, una sorpresa.
Avanti,
indietro, e una delusione.
Avanti,
indietro, una battaglia tra orgoglio e rimorso.
Ma ora
Sirius sapeva, solo ora aveva capito.
Aveva
capito che in quel pendolo di Regulus non c’era né
la sorpresa, né la delusione che gli procurava, non era
l’indecisione ciò che glielo ricordava,
né l’orgoglio, né il suo colore spento
come la morte: in quel pendolo, di lui, c’era solo un
bambino, divenuto uomo troppo presto, che cerca disperatamente di
aggrapparsi a qualcosa, ma che inevitabilmente viene trascinato
indietro da una forza più forte di lui, troppo
più grande di lui.
Ed era
stato troppo debole per opporsi.
Era stato
troppo solo per rendersi conto.
Scattò
in piedi, talmente bruscamente da far rovinare la sedia per terra,
afferrò il lenzuolo e lo gettò alla meglio sopra
l’orologio, per nasconderselo alla vista.
Uscì
dalla stanza quasi di corsa, chiudendosi a chiave la porta alle spalle.
Nessuno gli
aveva detto che avrebbe dovuto fare il Sole.
Con lui
nessuno l’aveva fatto!
Avanti,
indietro.
Come un
pendolo.
Avanti,
indietro.
Come
Regulus.
Avanti,
indietro.
Avanti,
indietro.
Avanti,
indietro.
Avanti, e
poi... indietro.
Per sempre.
“Ero
troppo giovane per saperlo amare.”
Lui
andava e veniva, come una marea d’inverno, Marselyn
• Grammatica e forma:
14.25/15
• Caratterizzazione dei
personaggi: 10/10
• Originalità
della trama: 5/5
• Attinenza al tema
assegnato: 10/10
• Gradimento personale:
5/5
Totale:
44.25/45.
Commento: non so
davvero cosa dire di questa fic. È semplicemente
meravigliosa.
Andando con ordine, la
penalizzazione nella grammatica è dovuta a due errori (un
“mai” che poteva essere tranquillamente omesso e
una frase che non mi quadrava molto). Mi è dispiaciuto
sottrarti quei tre quarti di punto, ma non ho potuto fare altrimenti.
Sirius è
caratterizzato divinamente, è completamente IC, credibile e
la sua introspezione è spettacolare; il modo in cui pensa a
Regulus mi ha emozionata, sul serio. È dolce, rabbioso,
frustrato, sconfitto… davvero, uno splendido lavoro.
Hai ottenuto il
punteggio massimo nell’originalità
perché l’intera situazione – e il
pendolo, santo cielo, il pendolo! – è costruita
con una maestria da lasciare senza fiato, perfetta.
Il massimo del
punteggio anche nell’attinenza, perché sia la
citazione iniziale che l’“estratto”
finale sono completamente attinenti a tutto il resto della fic, non
risultano forzati o altro; anche se non l’avessi inserita,
probabilmente si sarebbe compresa lo stesso. Davvero, complimenti.
E dopo questo commento
entusiasta, mi sembra superfluo spiegare perché mi sia
piaciuta così tanto da assegnarti il massimo anche nel
gradimento; rileggi le righe qui sopra e avrai il motivo. Complimenti,
davvero! Una fic splendida!
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