Aprire la porta e
vedere tutte quelle persone intorno al tavolo l'ha messo un po' a
disagio. Non ama vedere troppa gente, gli mette tipo ansia. Ma è
una riunione, è al sicuro e non deve poi temere troppo. Sono
in periodo di pace, no? E allora tipo di cosa si preoccupa?
Si siede nel posto a
lui assegnato, un po' rigido, alzando gli occhi un secondo per
cercare la figura rassicurante di Liet, vergognandosene subito dopo e
pentendosene amaramente quando vede uno sguardo freddo e azzurro
ricambiare il proprio.
Ma non abbassa lo
sguardo. Oh, tipo quello mai. Mai davanti a lui. Anche se ha male in
sedici punti diversi del corpo, anche se quello accanto al cuore gli
spezza il respiro, affronta il suo sguardo.
Si è
preparato anche a questo, Feliks. Anche a quello sguardo senza più
l'ombra di rabbia e derisione, senza quella luce sadica in fondo agli
occhi. Stringe i pugni, piantandosi le unghie nella carne, cercando
di respirare calmamente mentre le immagini di quegli anni continuano
a passargli davanti agli occhi.
Vorrebbe ammazzarlo,
non c'è dubbio su questo. Massacrarlo, mandando tipo
totalmente al diavolo quelli che dicono che la vendetta è
qualcosa di totalmente sbagliato, che non fa bene a nessuno. Sì,
ma vuoi mettere tipo la soddisfazione di sentirlo supplicare?
Vorrebbe massacrare
il tedesco, ma invece sorride, riconoscendo la colpa e la vergogna,
un attimo prima che abbassi lo sguardo. Allora il sorriso si fa
trionfale.
Non lo guarda per il
resto della riunione, ma sente spesso il suo sguardo su di sé,
uno sguardo forse in cerca di perdono, di approvazione. Ma non conta
nulla di ciò. Contano le grida, la fame, le persone -donne,
uomini, bambini- lasciate per strada a morire e tutti gli altri...
gli esperimenti, il dolore, l'umiliazione, anni di esistenza in cui
avrebbe potuto sorridere, continuare a risollevarsi come stava
facendo, completare la propria rinascita, che nessuno gli restituirà.
Come nessuno darà
il nome alle ossa, nessuno cancellerà l'inchiostro, nessuno
scaverà alla ricerca di una verità troppo atroce per
essere vera.
Ricorda il momento
in cui è rientrato a Varsavia, Feliks. Lo ricorda bene, perché
ingenuamente credeva di poter ricominciare, ancora, non vedeva ancora
l'ombra dell'est. Si illudeva, tipo, che il dolore fosse finito, che
le armi potessero essere riposte e gli eroi celebrati.
Ricorda le poche case
rimaste in piedi, con le finestre come occhi vuoti che lo fissavano,
ricorda le strade deserte, come se quella non fosse una capitale, ma
una città qualunque, una città senza più
palazzi. Ricorda di aver camminato quasi senza volerlo, sfiorando
quei muri grigi, di aver raggiunto, chissà come, il punto in
cui credeva ci fosse il Castello, ma non aver trovato che macerie.
Ricorda e gli capita
ancora di sognarli, quei momenti e risvegliarsi in lacrime, perché,
se allora si è trattenuto o forse non ne aveva neppure più
la forza, nei sogni non ha volontà ed è costretto ad
abbandonarsi a quel dolore.
E le parole dei
sopravvissuti -quanti? Mille, duemila? Quando prima erano più
di un milione!- gli rimbombano nella testa, ancora. L'accanimento di
quella Nazione contro la propria, il voler distruggere ogni singola
pietra dei palazzi che aveva fatto tanta fatica a costruire, la
cultura e i libri andati persi per sempre, quell'odio... non può
dimenticare.
Quando la riunione
finisce, si affretta ad alzarsi, facendo scivolare discretamente
qualcosa verso il tedesco, con un nuovo sorriso di trionfo.
Sì, ricorda
le macerie, ricorda di essere stato un Paese ferito e in ginocchio,
ma ricorda anche che quella condizione non è durata a lungo.
Si è ricostruito, ha ricostruito. Ed è il Castello
Reale quel magnifico palazzo sulla foto che Germania fissa,
sbigottito. Ed è una Varsavia migliore di prima, quella che si
intravede.
“A nulla
servono i tuoi sforzi, Niemcy. Sarò sempre totalmente sopra il
tuo livello.”
Era un po' che avrei
voluto scrivere questa storia e la notte insonne me ne ha dato
l'occasione. Molti non si rendono conto di cosa abbia passato la
Polonia durante la seconda guerra mondiale e nel periodo successivo e
spesso sottovalutano l'argomento. Ho visto storie ambientate in
questo periodo prese sottogamba, solo perché il personaggio
principale era Feliks.
Ora, non starò
a fare un trattato su Feliks e la sua psicologia contorta, ma
comunque, dal momento in cui si tratta un argomento delicato, forse
sarebbe il caso di informarsi o, almeno, essere cauti. Ho cercato di
esserlo il più possibile, qui, ma temo che il mio filtro
naturale e le mie letture mi abbiano evitato uno sforzo eccessivo.
Detto ciò, io
personalmente, autrice, non odio i tedeschi. Non credo che tutti i
tedeschi abbiano colpa così come non credo che gli italiani
siano fascisti, i francesi mangiatori di rane o qualche altra
generalizzazione idiota. Semplicemente, questo è il punto di
vista di un personaggio che rappresenta una nazione distrutta da
altre, quindi forse ha anche il diritto di farsele girare un pochino.
E i Polacchi sono terribilmente orgogliosi (e anche nel manga si
nota)...
Infine, vi consiglio
di guardare ciò:
http://www.kuriositas.com/2011/01/warsaw-city-of-ruins.html
per farvi un'idea di cosa fosse Varsavia alla fine della guerra.
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