Autore: SummerRain
Titolo: Fairytale
Canzone: Taylor Swift, Today Was a Fairytale
Animale:
piccione
Colore:
viola
Genere: generale, commedia
Rating: verde
Avvertimenti: one shot
Personaggi
principali: Albus Severus Potter (figlio di Harry Potter e Ginny Weasley),
Lucy Weasley (figlia di Percy e Audrey Weasley)
Personaggi
secondari: Harry Potter, Ginny Weasley, Percy Weasley e molti altri
Note: 25
anni dopo la fine della seconda Guerra Magica, Albus Severus Potter e Lucy
Weasley sono migliori amici, talmente amici da preoccupare il famoso Ragazzo
Sopravvissuto… ormai Uomo Sopravvissuto. Solo pochi anni prima quasi non si
parlavano nemmeno.
Come sono
diventati così amici? E soprattutto: cosa c’entra in tutto questo un piccione
indispettito?
Fairytale
Albus Severus Potter avrebbe giurato di scorgere, di
tanto in tanto, nelle iridi altrimenti scurissime di Lucy Weasley, uno strano
lampo di un viola intenso e brillante e questo da bambino gli aveva sempre
fatto un po’ paura. Soprattutto perché succedeva spesso quando lei si
apprestava a mettere a punto qualcuna delle sue “idee geniali”.
Eppure se qualcuno avesse visto Lucy Weasley addormentata,
sdraiata ad occhi chiusi magari su un letto a baldacchino rosa, avrebbe di
sicuro pensato ad una di quelle principesse delle favole.
Aveva lunghi capelli di un biondo ramato, con boccoli che le
scendevano sulle spalle; un viso dai lineamenti fini e morbidi, gote paffute e
labbra rosa acceso. Una vera e propria principessa.
Prima o poi, però, Lucy avrebbe aperto gli occhi.
Ed allora, sarebbe stata tutta un’altra storia.
Perché i suoi occhi erano talmente scuri che non vi si
distingueva la pupilla; erano però sempre così luminosi, vivaci, costantemente
accesi di curiosità e di intelligenza, che nessuno avrebbe mai definito il suo
sguardo cattivo o inespressivo.
In alcuni momenti, in particolare, si accendevano ancora di
più.
Quella scintilla viola.
E allora sapevi che Lucy Weasley aveva in mente qualcosa.
Quel giorno, Lucy aveva condotto il suo coetaneo Albus
Potter, figlio del famosissimo mago Sopravvissuto Due Volte, su una collina
appena fuori dalle mura di Hogwarts. Gli aveva sorriso incoraggiante e poi gli
aveva fatto cenno di appoggiare a terra la grossa gabbia di ferro che il
bambino teneva goffamente con entrambe le mani. E lui, in quell’esatto momento,
aveva visto quella scintilla viola e aveva come al solito rabbrividito al
pensiero dei guai in cui si sarebbero cacciati.
∼∗∗∗∼
(2042)
Albus era tranquillamente seduto su una poltrona del suo
studio, fingendo di leggere il giornale. In realtà, senza quasi accorgersene,
da qualche minuto stava osservando rapito i primi pigri fiocchi di neve che
cominciavano a cadere lenti dal cielo fuori dalla finestra.
Era la vigilia di Natale e tutti gli altri erano chi in
cucina chi nel salone, a prepararsi per la cena. Quell’anno a casa Potter avevano
fatto le cose in grande stile, pensò Albus: come al solito erano stati invitati
i suoi genitori, sua sorella Lily e ovviamente James, che si era presentato con
una ragazza nuova e sconosciuta, come faceva ad ogni festività. Inoltre, erano venuti
persino zia Hermione e zio Ron, insieme ad Hugo e a Rose con il suo fidanzato
storico, Scorpius Malfoy. Per non parlare di tutti gli altri Weasley che, in un
modo o nell’altro, facevano parte della famiglia e dovevano necessariamente
ritrovarsi durante le festività.
Albus spostò gli occhi dalla finestra solo quando vide suo
figlio passare per il corridoio con un’aria da funerale insolita per il paffuto
ragazzino. Rubeus Potter, capelli color sabbia e sguardo scurissimo e
penetrante, frequentava il secondo anno ad Hogwarts ed era da poco tornato a
casa per le vacanze di Natale.
- Ehi, cosa succede? – lo apostrofò il padre, richiamando la
sua attenzione.
- Niente – rispose quello imbronciato, tornando indietro ed
affacciandosi timidamente alla porta dello studio. Dopo qualche secondo si
convinse ad entrare; accorgendosi che il padre attendeva ancora una sua
risposta, continuò: – Ero fuori in cortile che giocavo e volevo provare a… -
sbuffò lievemente e sembrò che non volesse continuare.
Poi, invece, soffiò fuori tutto d’un fiato: - Ho evocato per
la prima volta un Patronus.
Albus rimase esterrefatto dalla noncuranza con la quale suo
figlio gli aveva appena dato quella notizia. Lui stesso aveva imparato
quell’incantesimo quando aveva solo 12 anni e quel giorno era stato uno dei più
felici della sua vita: si era sentito finalmente bravo in qualcosa… e in più,
tutti i suoi compagni ci avevano messo un po’ di più di lui a far apparire i
loro animaletti lucenti.
- M-ma… - balbettò esterrefatto – è una notizia bellissima,
Rubeus! Perché sei…?
Il bambino scosse la testa, sempre più desolato: - È… è un…
- tirò su lievemente col naso prima di continuare - … un piccione.
- Ah, ehm.
Un mare di pensieri e di ricordi vorticò nella testa di
Albus appena sentì quella parola, ma dopo un primo momento di sconcerto, un
sorrisino misurato gli salì alle labbra. Guardò suo figlio negli occhi e gli
chiese: - Quanti tuoi compagni hanno già evocato un Patronus, a scuola?
Rubeus per un attimo sembrò non voler rispondere, poi
mormorò: - Nessuno.
Albus cercò di sorridere in modo sicuro: - Intanto, sei già
stato bravissimo. Probabilmente – aggiunse cercando di convincere anche se
stesso - più avanti il tuo Patronus cambierà, devi soltanto concentrarti e
credere di più in te stesso…
Il bambino alzò gli occhi spalancati verso di lui: - Dici
sul serio?
- Ma certo! Noi Potter siamo sempre stati dei… ehm, dei maghi
in Difesa contro le arti oscure!
Rubeus lo guardò di nuovo in cerca di approvazione e solo quando
vide il sorriso incoraggiante del genitore, si decise a sorridere a sua volta.
- Meno male! – disse poi sollevato – Un piccione non è come
un vero Patronus… non fa neanche paura!
Detto questo, si fiondò verso la porta dell’ingresso ed uscì
in fretta nel cortile, impaziente di riprovare l’incantesimo.
Albus lo seguì con lo sguardo sospirando e solo allora si
accorse della donna che probabilmente aveva osservato tutta la scena nascosta
dietro lo stipite della porta, rigirando pigramente con un mestolo il contenuto
di una ciotola.
- Non ci sarebbe alcun problema, vero Al, se il Patronus di tuo
figlio rimanesse per sempre un piccione? – gli chiese con un sopracciglio
alzato, cercando di nascondere un sorriso divertito. L’uomo fece una smorfia
involontaria; poi, per tutta risposta, si nascose dietro il giornale, ignorandola
deliberatamente.
- Forse non ti ricordi bene come siamo diventati amici. –
continuò lei maliziosa, uscendo poi dalla stanza.
Oh, se lo ricordava bene, invece.
E i ricordi lo sommersero di nuovo.
∼∗∗∗∼
(2017)
Harry Potter quel giorno era tornato a casa dopo il lavoro
di ottimo umore, trasportando una gabbia ricoperta da un panno grigio e
pesante. L’aveva appoggiata sul tavolo della cucina e aveva sorriso a sua
moglie Ginny, che proprio in quel momento era entrata dalla porta. Notando però
l’occhiataccia che la moglie aveva rivolto prima a lui e poi all’oggetto,
l’uomo smise subito di sorridere e spostò la gabbia sul pavimento con un gesto
fulmineo.
- È un regalo per Al. Per il suo primo anno ad Hogwarts –
disse timidamente, quasi per giustificarsi. Non era però riuscito a far svanire
quel sorriso compiaciuto anche dagli occhi, oltre che dalle labbra.
Lui non era stato un bambino fortunato, almeno non prima dei
suoi 11 anni: quindi, stava cercando di recuperare il tempo perduto attraverso
i suoi amati pargoli. Sua moglie Ginny lo sapeva bene ed infatti lo lasciava
fare… anche se spesso era proprio lei a farne le spese.
Anche quella volta, gli sorrise e lo rimproverò dolcemente:
- Harry, lo sai che non devi viziarli troppo… Hai già regalato a James una
Nimbus 3000 e ha già rotto metà dei soprammobili di casa, visto che poi gli hai
vietato di volare in giardino!
- Be’, ho dovuto: aveva distrutto il prugnolo dei vicin…
- COS’HA FATTO?
Harry si era reso conto troppo tardi di aver detto troppo e
stava cercando disperatamente un modo per evitare una delle famose scenate alla
Molly Weasley, dalla quale Ginny aveva senza dubbio ereditato la voce
stentorea, quando il piccolo Albus entrò in cucina trotterellando.
Harry colse la palla al balzo per sfuggire le ire della
donna: - Ehi, c’è un regalo per te, Al – disse indicando la gabbia coperta e
guardando la moglie di sottecchi per controllarne le reazioni.
Il bambino spalancò gli occhi luminosi e disse eccitato ma
educato come sempre: - Posso vederlo?
Albus aveva sempre desiderato avere un gufo per il suo primo
anno alla Scuola di Magia e non stava più nella pelle dalla felicità e dalla
curiosità ora che, evidentemente, suo padre gliene aveva regalato uno. Gli
chiese conferma anche con lo sguardo e quando lo vide sorridere incoraggiante
si avvicinò alla gabbia e con un solo gesto tolse il panno.
Poi, rimase fermo immobile, a bocca aperta, a fissare la
gabbia e ciò che conteneva, mentre Harry guardava preoccupato sua moglie, a cui
sembrava uscire del fumo dalle orecchie.
Lucy Weasley, qualche giorno più tardi, aveva visto Albus
trasportare quella stessa gabbia, sempre coperta da un telo, nel corridoio del
settimo piano diretto al suo dormitorio ed era corsa verso di lui esclamando: -
Uau! Fammi vedere il tuo gufo!
- No! – era scattato lui, con un tono insolitamente rude per
quel bambino così gentile e pacato – È… ehm… malato.
- Oh – aveva mormorato Lucy, evidentemente delusa. Poi,
aveva scrutato sospettosa Albus, che intanto si era fermato e si osservava le
scarpe con ostinata determinazione; poi aveva esclamato: - I miei mi hanno
preso una Rana Lunare.
Albus aveva sgranato gli occhi: - Davvero?
Lucy però aveva ridacchiato: - No, le Rane Lunari non
esistono! – sbuffò – Papà dice che se voglio diventare prefetto al quinto anno
devo smetterla da subito con tutte le “stupide distrazioni” come gli animali da
compagnia. O gli amici, se è per questo.
Il bambino ridacchiò e lei gli fece l’occhiolino; poi, senza
aggiungere altro corse via, diretta chissà dove. Albus rimase per qualche
secondo immobile, a guardarla sparire dietro l’angolo. Poi, sbuffando, riprese
in mano la gabbia e riprese il suo tragitto a testa bassa verso il dormitorio.
Albus e Lucy non erano grandi amici.
Pur essendo entrati a far parte della stessa casa proprio
quell’anno e pur conoscendosi già, essendo cugini, non si erano mai scambiati
più di due parole di circostanza. Semplicemente, erano troppo diversi: lui
indeciso e pasticcione, lei determinata e combina-guai. Lui con la sua
capacità, che aveva evidentemente ereditato dal padre, di attirare le disgrazie
più assurde e fenomenali e lei con la sua abilità nel risolvere qualsiasi
problema. Erano sempre stati troppo distanti per trovare un punto di contatto
tra le loro vite, ancora così brevi eppure già così diverse.
Era ora di cena in Sala Grande, quando Albus non ne poté
proprio più.
Erano giorni che moriva dalla voglia di dirlo a qualcuno, di
condividere la sua innominabile sventura, magari con qualcuno che avrebbe
saputo cosa fare e come farlo. Per un caso decisamente fortuito, in quel
momento aveva di fianco proprio la persona giusta.
- È un piccione – disse deciso, quasi in uno sbuffo. Lucy,
che gli sedeva accanto, smise di masticare il suo arrosto e lo guardò stranita,
ma non troppo sorpresa: - Intendi il tuo gufo malato?
Albus annuì mesto: - Papà dice che sono i migliori,
“all’ultimo grido per la posta aerea”.
Roteò gli occhi e fece un gesto per aria con due dita, ad
indicare che quelle parole non erano evidentemente farina del suo sacco.
- Nel senso che arrivano solo se li chiami per ultimi e
urlando? – borbottò la bambina ironica, riprendendo a mangiare e guardandolo di
sbieco, con un sorriso appena accennato.
- Papà ci teneva così tanto che io avessi il porta-lettere
migliore… - continuò lui sottovoce, più parlando a se stesso che con Lucy. Poi,
rialzò gli occhi verso di lei: - A me… a me fa paura. – sputò fuori
imbarazzato, arrossendo lievemente.
- Odio i piccioni: sono brutti, fanno strani versi e sono
sicuro che questo qui sia anche più cattivo degli altri… mi guarda male. –
continuò imbronciato.
Anche Lucy arrossì, ma per un motivo diverso: si stava
sforzando di non ridere. Con gli occhi lucidi e le guance gonfie e tese, cercò
di pensare a Voldemort, alla Mc Grannitt in mutande, a qualsiasi cosa pur di
non scoppiare; non era carino prendere in giro così gli altri, le aveva detto
papà. E poi lei sapeva quanto Albus fosse sensibile ed inconsciamente si
sentiva quasi in dovere di proteggerlo.
- E poi - continuò Al, che evidentemente aveva pensato molto
a quella situazione e all’argomento in generale - somiglia un po' a zio Percy.
E zio Percy mi fa paura.
Questa volta Lucy non riuscì più a trattenersi e scoppiò in
una risata fragorosa, tenendosi la pancia con le mani. Al la guardò per un
attimo sconcertato, poi mise il broncio; in realtà fu solo per nascondere che stava
lottando contro se stesso per non ridere anche lui, perché la risata di lei era
davvero contagiosa.
- Possiamo liberarlo e poi dire che è scappato! – saltò
fuori Lucy una sera che stavano facendo i compiti di Pozioni in sala comune.
Albus alzò gli occhi dalla pergamena e si girò con cautela verso di lei,
timoroso di vedere il famoso lampo viola nello sguardo della bambina. E infatti,
eccolo lì.
- Non so, Lucy. - disse tornando a guardare il libro con
aria colpevole, nonostante ancora non avessero fatto niente di male.
- Per i calzini a pois gialli di Silente! Sei troppo
ansioso! Io ho fatto di moooooolto peggio… - gli rispose lei e Albus deglutì a
vuoto, per niente rassicurato da quell’affermazione.
Lucy sembrò non notare la sua espressione, perché continuò:
- Non ti puoi immaginare cosa ha detto papà quando gli ho messo in disordine i
fogli del suo nuovo manoscritto “Biografia di Percy Weasley. Anche gli
impiegati del Ministero piangono”…
Alzò un sopracciglio, con fare divertito e misterioso: -
Prima mi ha sgridato, poi mi ha guardata in modo strano e poco dopo l'ho
sentito bisbigliare alla mamma in cucina “Cara, sei proprio sicura di non aver conosciuto
George prima di me, vero?”…
Al la guardò con complicità, sorridendo. Poi, però, tornò
serio e chiese candidamente: - E… cosa vuol dire?
La bambina fece spallucce e lui sorrise di nuovo,
compiaciuto: allora in fondo c'era qualcosa che Lucy ignorava, al mondo.
- Quindi... – disse Lucy cambiando all’improvviso argomento;
si girò verso Albus con uno sguardo malefico e a lui sembrò di scorgere di
nuovo nei suoi occhi quella pericolosa scintilla viola.
- Liberiamo Ziopercy.
Dopo il primo momento di sconcerto per la rivelazione del
“qualcosa di male” che Lucy aveva effettivamente in mente, Albus si riebbe e la
implorò rabbrividendo: - Non chiamarlo così!
- Ok - rispose lei tranquilla - Liberiamo Pig.
Lui sgranò ancora di più gli occhi: - Pig?!? Come maiale?
Lucy sorrise: - Ma no, come “pigeon”...!
– lo guardò di traverso - Lo sapevo, preferivi Ziopercy...
Albus fece solo un sorrisino
tirato e nervoso a quell’uscita che avrebbe dovuto essere una battuta.
A lui non faceva ridere per
niente.
Lucy aveva condotto il suo coetaneo Albus Potter, figlio del
famosissimo mago Sopravvissuto Due Volte, su una collina appena fuori dalle
mura di Hogwarts. Gli aveva sorriso incoraggiante e poi gli aveva fatto cenno
di appoggiare a terra la grossa gabbia di ferro che il bambino teneva
goffamente con entrambe le mani. E lui, in quell’esatto momento, aveva visto
quella scintilla viola e aveva come al solito rabbrividito al pensiero dei guai
in cui si sarebbero cacciati.
Fu sempre lei a prendere la
gabbietta dalle mani del bambino, per poi guardarlo negli occhi in cerca di
conferma e chiedergli: - Pronto?
Al fece semplicemente un
cenno con la testa, troppo spaventato da quello che stavano facendo per riuscire
a parlare. Lucy aprì di scattò la gabbia ed il piccione inizialmente sembrò
stupito di quella possibilità di libertà improvvisa e ingiustificata. Aspettò quindi
diligentemente che qualcuno gli desse una lettera o qualcosa da consegnare, ma
vedendo che i due bambini non si muovevano, volò su un ramo e piegò la
testolina di lato, ancora incerto sul da farsi.
- Pensi che abbia capito che
voglio che se ne vada? - chiese a bassa voce Al in direzione di Lucy.
Lei stava per rispondergli,
quando l'animale, dopo aver emesso uno strano verso, prese il volo. Al lo vide
librarsi appena sopra la sua testa e subito dopo sentì qualcosa di umido
precipitargli su una spalla. Spalancò gli occhi e lentamente si girò a
guardare: la grossa macchia di liquido bianco sulla sua maglietta confermò in pieno
il suo timore, mentre Lucy tratteneva a stento un risolino.
- Sì, mi sa che ha capito.
Il Natale si sarebbe festeggiato in casa Potter quell’anno e
come al solito tutta la parentela, Weasley vari compresi, era stata invitata. Il
piccolo Albus era seduto nei pressi del grande albero ricoperto da cima a piedi
di piccole candele rosse fluttuanti e accese da fiammelle blu, opera di zia
Hermione. Poco più in là, Lucy stava giocando con uno dei regali che aveva
ricevuto quell’anno.
I due, dopo la liberazione di Ziopercy erano diventati
inseparabili e chiunque li conoscesse giurava che erano proprio come i famosi
Harry Potter ed Hermione Granger, o come Hermione e Ron Weasley.
Proprio Harry e Ron stavano discutendo in un angolo, con due
bicchieri pieni di Firewhiskey in mano.
- Ma Ron! – esclamò il primo in direzione dell’amico - Non
sei aggiornato! Dovresti…
- Piccioni, Harry? Sul serio? Non sono mica aquile, sono…
piccioni! – rispose Ron infervorato e divertito.
- Dicono che siano i migliori… intelligenti… - quasi
balbettò l’altro a voce più bassa.
Ron però fece un sorrisino e commentò ridacchiando: - Così
intelligenti che quello di Al è scappato…
Harry però non rise; volse lo sguardo intorno fino a quando non
scorse il figlio e, lasciando Ron al suo whiskey, gli si avvicinò con aria
abbattuta.
- Mi spiace che tu abbia perso il tuo animaletto… - gli
sussurrò mettendogli una mano sulla spalla, mentre Ginny dall’altra parte della
stanza, intenta a preparare la tavola, gli scoccava l’ennesima occhiataccia.
Irrigidendosi un po’, l’uomo continuò: - …te ne ho comprato
un altro, per il resto dell’anno. E – continuò facendogli l’occhiolino - vedrai
che questo non scapperà.
Quella precisazione, aggiunta al sorriso enigmatico che il
padre gli aveva fatto prima di porgergli una scatola di cartone con due piccoli
buchi in cima, non erano affatto piaciuti ad Albus. Il bambino sbirciò da uno
dei buchi, ma non riuscì a scorgere niente se non buio; quindi si rassegnò con
un sospiro ad aprire la scatola.
Non appena ne vide il contenuto, per la prima volta in vita
sua ebbe la sensazione che sarebbe svenuto. Harry però gli diede una leggera
pacca sulla spalla, dicendogli in tono paterno qualcosa che non sentì e si
allontanò, sussurrando poi quando fu nei pressi della moglie: - Gli è piaciuto,
è rimasto senza parole!
Il bambino era davvero rimasto immobile e muto a fissare il
suo nuovo “animaletto”, ma in realtà aveva dipinta in viso un’espressione tra
il deluso e lo schifato.
- Lucy? – chiamò piano, per richiamare l’attenzione della
cugina che poco distante stava sfruttando il poco tempo rimasto con la sua
nuova bambola di Voldemort, prima che il padre la vedesse e gliela
sequestrasse.
- Sì? – rispose, distratta da alcune scintille verdi che il
pupazzo aveva emesso da una mano.
Il bambino alzò una mano e le mostrò la grossa tartaruga
rugosa che aveva trovato nella scatola con i buchi e sentenziò:
- Mi sa che preferivo Ziopercy.
Lucy finalmente si avvicinò ed osservò con attenzione la
creatura, che muoveva piano le zampine come a voler nuotare nell’aria. - Ma no,
è carinissima! – esclamò alla fine, allegra. Fece spallucce e aggiunse con
noncuranza: - E poi le ho già trovato un nome.
Albus la guardò attonito e lei girò lo sguardo intorno, fino
a fermarlo su un angolo della sala, dove su una poltrona stava dormendo serena
una donna con i capelli bianchi che doveva avere più di cent’anni.
Si voltò di nuovo verso il cugino (quel lampo viola! Era
sicuro di averlo visto, stavolta!) ed esclamò con un sorriso rivolto alla
tartaruga: - Benvenuta, Ziamuriel!
∼∗∗∗∼
(2024)
Albus Potter, diciassette anni, vagava senza meta per la
casa paterna, dove era ritornato per le vacanze estive seguenti al suo ultimo
anno a Hogwarts. Gli era venuto voglia di uno spuntino ma, mentre si dirigeva
verso il frigorifero, sentì le voci dei suoi genitori provenire dalla cucina e
qualcosa gli suggerì che sarebbe stato meglio acquattarsi dietro la porta senza
fare rumore ed origliare. Anche perché, a quanto pareva, l’argomento della
discussione era proprio lui.
- Sto solo dicendo che passano molto tempo insieme… - disse
Ginny alzando le spalle con un sorrisetto.
- Albus e Lucy? Be’, ma sono… molto amici! – rispose
Harry calcando esageratamente sull’ultima parola.
- Perché ti spaventa così tanto l’idea che potrebbero essere
innamorati? – gli chiese la donna tranquillamente ed Harry avvampò, poi si
lasciò andare con un tonfo su una sedia: - Ma Ginny, non capisci!
Suo padre era letteralmente sconvolto all’idea e, sebbene
Albus sapesse che per il momento i suoi timori erano del tutto infondati, non
riusciva ad immaginare a cosa fosse dovuta tanta avversione nei riguardi di
quell’ipotesi.
Forse era semplicemente perché lui e Lucy, in fondo, erano
cugini.
Proprio nel momento in cui si poneva quegli interrogativi, però,
Harry gli rispose inconsapevolmente, esclamando diretto alla moglie, con gli
occhi sbarrati e vuoti: - Consuocero di Percy!
Albus sorrise di gusto.
Lui stesso aveva dovuto abituarsi, con il passare degli anni
e in quanto migliore amico di Lucy, a vedere zio Percy in modo diverso; e,
soprattutto, a non aver più paura di lui.
La storia di Ziopercy infatti era solo il primo dei tanti
esempi che Albus poteva richiamare alla memoria. Sebbene Lucy, almeno quando
dormiva, potesse sembrare una principessa, era in realtà stata sempre lei ad
accorrere in suo aiuto sin da quando erano bambini, come un principe che vada a
salvare la sua damigella.
Solo che, in quel caso, la damigella era lui.
You were the prince, I used to be your damsel
in distress
Fin da piccolo, ancora prima di riuscire a pronunciare la
parola “lumos”, Albus adorava la magia, ma niente gli era mai sembrato più
magico del colore degli occhi di Lucy.
Can you feel this magic in the air?
Albus Severus Potter avrebbe infatti giurato di scorgere,
di tanto in tanto, nelle iridi altrimenti scurissime di Lucy Weasley, uno
strano lampo di un viola intenso e brillante.
Seguito poi da un sorriso al tempo stesso enigmatico e
irresistibile.
You’ve got a smile that takes me to another
planet
Con il tempo, aveva imparato a non avere più paura di quella
scintilla, anzi, ad esserne divertito e ad apprezzarla. Perché se c’era
qualcosa che la piccola Lucy gli aveva insegnato, era che, con l’aiuto degli
amici, si può sconfiggere qualsiasi paura.
E niente gli era mai sembrato più magico di passare le sue
giornate con quella bambina che, anche da adulta, quando dormiva, sembrava una
principessa delle favole e che quando era sveglia, invece, era davvero capace
di rendere il mondo che li circondava favoloso.
Today was a fairytale
∼∗∗∗∼
2042
- Papà, papà!
Albus scattò in piedi e buttò il giornale a terra. In pochi
attimi aveva afferrato la bacchetta ed era corso fuori dallo studio, nel
corridoio, oltre la porta di ingresso e poi in cortile, da dove erano provenute
le urla del suo primogenito. La sua mente, in quei pochi secondi, aveva già
partorito i pensieri più truci: aveva immaginato che si fosse ferito con il
rimbalzo di qualche incantesimo oppure che avesse incendiato qualche passante,
com’era d’altra parte era già successo.
Se l’era invece trovato davanti intatto, in mezzo alla neve
che iniziava a depositarsi a terra, con la bacchetta in mano e le guance
colorite, ansante.
- Papà, l’ho fatto ancora! Il Patronus! – aveva esclamato
Rubeus, entusiasta - È cambiato davvero, come dicevi tu!
Il padre tirò un sospiro di sollievo per almeno un centinaio
di motivi e gli sorrise. Poi, vagamente impaziente, contagiato da
quell’entusiasmo e spinto anche da un sentimento meno nobile, chiese: - E
cos’era, stavolta?
Gli occhi del bimbo si illuminarono per un momento e ad
Albus sembrò per un attimo di scorgervi quel presago lampo viola che conosceva
fin troppo bene. Finalmente, il piccolo, allargando le braccia più che poteva,
esclamò soddisfatto: - Un piccione gigante!!!
FINE