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«Chris
vado a lavorare»
urlai scendendo le scale perché ero in ritardo.
«Moccioso
ma vai a lavorare? Da quando?». Mio fratello rispose comodamente seduto sul divano con un
pacchetto di patatine aperto tra le mani.
«Da
quando voglio comprarmi una macchina nuova perché quella che mi hai lasciato tu
ha il paraurti che si stacca ogni volta che tiro il freno a mano». Fissai Chris
assottigliando le palpebre e il suo viso assunse una smorfia contrariata.
«La
mia vecchia Chevrolet non ha niente che non va. Mi chiedo se tutte quelle
macchie sono rimaste ancora…». Si portò l’indice al mento per pensare e io rabbrividii.
«Non
dirmi niente, non voglio sapere». Agitai le mani e le braccia e Chris cominciò a ridere.
«Frank,
hai diciotto anni, alcune cose dovresti saperle, ora» ghignò schernendomi e lo fissai
acido.
«Non
sono come te Chris, non porto ogni sera una donna diversa in macchina e non
vincerò mai una borsa di studio per il football o per il basket». Chris cominciò a
ridacchiare.
«Dubito che qualche università possa offrire
una borsa di studio ad una schiappa come te. È già tanto se riesci a camminare.
Almeno hai il cervello».
Si picchiettò la fronte con l’indice per prendermi in giro e io uscii sbattendo
la porta di casa senza degnarlo di una risposta.
«Cervello,
quello che tu non hai»
borbottai tra me e me chiudendo la portiera della Chevrolet che cigolò
minacciando di staccarsi.
I miei genitori si erano decisamente impegnati quando ci
avevano procreato.
Chris Hudson, mio unico fratello, più grande di tre anni, aveva
ereditato quasi tutte le qualità fisiche di papà.
Alto, moro con gli occhi azzurri, atletico e portato per il
basket.
Papà e mamma con Chris si erano impegnati nel fronte fisico;
quando era cresciuto però, si erano accorti che faticava a ragionare decentemente,
così con me avevano tentato l’opposto.
Decisamente intelligente, con un quoziente intellettivo sopra
la media, avevo ereditato da papà, il vecchio Richard Hudson, solo gli occhi
azzurri che dovevo nascondere sotto degli spessi occhiali.
Mamma invece mi aveva trasmesso un sacco di qualità.
I capelli biondi, la passione per la musica, la matematica,
la chimica e la fisica.
L’astigmatismo.
Chris e io potevamo sembrare perfetti, uniti.
Tra i due, Chris era di certo il più fortunato. Con il suo
aspetto così sportivo era riuscito a guadagnarsi un posto d’onore tra i ragazzi
conosciuti della scuola, una ragazza cheerleader che l’aveva seguito alla UCLA,
l’Università della città di Los Angeles, con un sorriso sbiancato e le valigie
di Louis Vuitton, e una foto nella bacheca dei quaterback dell’anno.
Chris era diventato una leggenda nel nostro liceo,
nonostante si fosse diplomato due anni prima. Il professor Moriarty, insegnante
di educazione fisica, si ricordava ancora di lui e mi accusava di infangare il nome
di famiglia con la mia goffaggine.
Anche io ero famoso, in alcuni ambiti.
Capitano dei Matematicici
e de Gli elettroni spaiati, da quando
avevo cominciato a frequentare quei club avevamo vinto il torneo di chimica e
matematica della contea per ben quattro volte consecutive.
In più, indimenticabile, era la mia passione più grande: la
musica.
Ero stato costretto ad entrare nella banda della scuola come
suonatore di fagotto.
Lì avevo messo il punto definitivo alla speranza di
diventare popolare almeno la metà di Chris.
Il cerchio dei miei amici era piccolo, noi non disturbavamo
nessuno e nessuno ci disturbava per un semplice motivo: eravamo invisibili, ma
ben assortiti.
«Ciao». Alzai il viso per
salutare il proprietario della pizzeria che gesticolò salutandomi.
«C’è
da portare quest’ordine subito». Mi consegnò il foglietto con l’indirizzo e lo fissai, convinto
che fosse uno scherzo.
Baker Street, 211B.
«Devo
per forza andarci? Non è libero Joshua? ». Continuai a guardare Andrew che mi lanciò
un’occhiata confusa.
«No,
ci vai tu. Forza!».
Lanciò la borsa con le pizze tra le mie mani e io sospirai uscendo.
«Certo,
perché tra tutti quelli che potevano fare l’ordinazione, io devo portarla
proprio a lei». Agganciai la cintura di sicurezza e
la Chevrolet protestò quando girai la chiave nel quadro.
In fondo non era così brutto, un saluto, un grazie per la
mancia, un sorriso e un nuovo saluto.
Questione di due minuti.
Quando parcheggiai davanti a casa sua chiusi gli occhi e mi sistemai gli occhiali che erano scivolati
sul naso per l’agitazione.
Con le pizze mi diressi verso la grande porta bianca dai
vetri colorati e suonai il campanello.
Pochi secondi dopo la serratura scattò.
«C-c-c-iao Ashley». Sorrisi
appena quando aprì la porta e mi fissò come se fossi stato un alieno.
«E tu chi saresti?». Alzò un sopracciglio schifata, sembrava
non mi avesse mai visto.
«Fr-frequentiamo lo stesso liceo, siamo in
classe assieme per storia e le-letteratura». Perché dovevo balbettare solamente davanti
a lei?
«Non credo di averti mai visto. Sei sicuro?». Continuò a
fissarmi mantenendo un’aria altezzosa, con il suo splendido sorriso da
cheerleader e la sua abbronzatura californiana.
«Amore, come fai a non ricordarti di lui?». Alex, suo
leggendario ragazzo e quaterback della squadra di football, comparve alle sue
spalle e la abbracciò non pensando minimamente di togliere le pizze dalle mie
mani. «Non lo
riconosci? È Frank Fagotto, suona nella banda». Pronunciò l'ultima parola come se fosse
stato qualcosa di brutto.
«Nella banda? Forse per questo non l'ho mai
notato». Ashley
ridacchiò e scosse la testa. «Frank Fagotto assolutamente non mi dice nulla». Mi osservò confusa
sistemandosi la folta chioma bionda.
«Ve-ve-veramente mi chiamo Fr-Francis Hudson.
Cercai di sorriderle ma la vidi fare una smorfia.
«Amore, ma come si chiama?». Si voltò verso il
suo ragazzo e cominciò a baciarlo sotto i miei occhi allibiti.
«Non lo so tesoro. Fino a un secondo fa
credevo si chiamasse Frank Fagotto». Scrollò le spalle parlando tra un bacio e l'altro.
«I-i-io suono il fa-fagotto». Mi schiarii la
voce e sospirai per cercare di calmarmi.
«Be’, se non ti di-di-dispiace, Frank
Fa-fa-fa-fa-fa-fa-gotto, io e lei andiamo a studiare per il test di anatomia di
domani». Ammiccò
e sentii Ashley ridere.
«No-no-non c'è nessun test do-do-domani». Sicuro. Non
c'erano test di anatomia il giorno dopo.
Ashley continuò a ridere e chiuse
la porta alle sue spalle proprio quando Alex cominciò a mangiarle la bocca.
Rabbrividii schifato pensando che
non c’erano sentimenti tra quei due.
I baci erano puramente fisici.
Non avevo esperienza, ma sapevo che
di solito un bacio si donava con il cuore.
«Ehi! Le pizze!» urlai rimanendo fermo come un idiota
davanti alla porta chiusa, quando sentii qualcuno sbatterci contro e gemere.
Oddio, forse qualcuno stava male.
Suonai di nuovo il campanello e la porta si spalancò
lasciandomi vedere Alex a petto nudo e con tutti i capelli in disordine.
«Che
vuoi?». Un
ruggito, ecco che cosa era stato.
«Le-le
pi-pi-pizze» balbettai.
Mi accorsi che Ashley era dietro a lui e si stava tenendo una maglietta davanti
al seno.
«Dammi
queste pizze e levati dai piedi, Fagotto». Strappò le pizze dalle mie mani
lanciandomi cinquanta dollari sul viso e ghignò «Tieniti il resto, magari potrai comprarti un
paio di occhiali alla moda, o delle lenti a contatto». Ashley cominciò a borbottargli
qualcosa ma non sentii nulla perché richiuse la porta alle sue spalle.
Maleducato, ecco che cos’era.
Ancora non riuscivo a capire perché Ashley si ostinasse a rimanere
con lui dopo quattro anni.
‘Per la popolarità’, così aveva risposto Mac.
Io non ci avevo creduto nemmeno per un secondo.
Ashley era già popolare prima di cominciare il liceo, quando
aveva fondato il progetto de Le
infermiere della scuola si era dimostrata una ragazza intelligente e con
ambizioni.
Ashley era… Ashley.
Mi ero innamorato di lei dal primo anno di asilo.
Era amore da quando mi aveva raccolto i piccoli occhiali
tondi con la montatura rossa perché ero scivolato sopra a una buccia di banana
correndo davanti a lei.
«Ti
sei fatto male?».
Quando si era avvicinata per chiedermelo, con le sue treccine bionde, avevo
capito che lei sarebbe stata la donna che avrei sposato.
Stupidi sogni infantili.
Non avevo fatto i conti con il liceo e tutte le classi
sociali che c’erano.
Ashley si era dimenticata di quel bambino biondo che le
aveva sorriso anni prima e aveva scelto altre compagnie: Kathrina, Luke, Alex…
tutte quelle persone bellissime e stupide che si vantavano di avere una borsa
di marca.
Consegnai le altre pizze senza veramente prestare attenzione
alle persone o gli edifici.
Quando tornai a casa e trovai papà e Chris seduti sul divano
a urlare davanti a una partita di football, cercai di svignarmela senza farmi
vedere.
Sorbirmi una partita di football con loro equivaleva a rimanere
nella stessa stanza con Alex per otto ore.
«Frank!». Papà agitò la
manona di spugna rossa e mi chiamò.
«Dannazione» sussurrai
avvicinandomi a loro. «Come
procede la partita?». Evitai di sedermi nello spazio libero.
«Stanno
per fare touchdown».
Chris indicò il televisore inginocchiandosi di colpo ed esultando.
«Bene,
allora io vado in camera». Indicai le scale quando papà e Chris si abbracciarono per la
felicità.
«Francis,
sei tornato?». Misi
il piede sul primo gradino della scalinata di marmo e sentii la voce di mamma
chiamarmi dall’altra stanza.
«Sì,
stavo andando a studiare». Mi avvicinai al suo plastico quasi completo ammirandolo
soddisfatto.
Mia madre era uno dei migliori architetti della zona.
«Che
te ne pare Francis?».
Si posizionò la matita dietro all’orecchio destro e si versò un bicchiere di
succo.
«Mi
sembra perfetto, anche se forse potresti ampliare di più qui, di poco, ma
sarebbe luminoso».
Indicai una piccola finestrella e subito mamma sorrise soddisfatta.
«Tu
sei un genio, figlio mio!». Stampò un bacio sulla mia guancia e io ridacchiai salutandola.
Quando mi chiusi la porta della mia camera alle spalle,
sospirai stanco.
Quell’incontro a casa di Ashley mi aveva tolto tutte le
forze.
Ogni volta che la vedevo e cominciavo a balbettare era come
un’ora con il professor Moriarty: stancante, imbarazzante e decisamente mi
faceva sudare come se fosse stato agosto.
Mi distesi supino a letto senza nemmeno togliermi i jeans, tolsi
le scarpe senza muovermi e seppellii la testa sul cuscino deciso a dormire.
Non avevo voglia di studiare, non avevo voglia di
chiacchierare con John o Zac perché sapevo che mi avrebbero tartassato di
domande, bastava solo aspettare qualche ora e il mattino dopo, nel tragitto tra
la loro casa e la scuola, mi avrebbero fatto il terzo grado; me li immaginavo
già, elettrizzati perché avevo intravisto Ashley senza maglia e divertiti
perché avevo balbettato.
Chiusi gli occhi e cercai di dormire.
«Esco» urlai chiudendo la
porta di casa con un tonfo.
Forse avevo svegliato Chris, ma sinceramente in quel momento
non mi interessava.
Poteva tornare nel suo appartamento al Campus, visto che le
lezioni per lui sarebbero cominciate due giorni dopo.
Salii in macchina e girai la chiave nel quadro sorridendo
quando il motore finalmente si accese; ingranai la retro e partii allegro verso
le ville di John e Zac.
Abitavamo a qualche isolato di distanza, era più comodo
andare in bici o in skateboard, ma nei giorni di scuola era decisamente più opportuno
utilizzare la macchina.
Suonai due volte il clacson e John e Zac uscirono dalle loro
case contemporaneamente.
Si salutarono a vicenda e una volta saliti in macchina
salutarono anche me.
«Frank,
ti aspettavamo connesso ieri sera». John strattonò la cintura di sicurezza che si era bloccata.
«Sì, be’, diciamo che ero abbastanza stanco». Guardai la strada
davanti a me senza aggiungere altro; ero quasi sicuro che Zac avrebbe capito.
«Che
è successo? A chi hai consegnato la pizza?». Si voltò a guardarmi sistemandosi la borsa
di scuola tra i piedi.
«Ashley». Una parola.
«Lei?». John urlò posando
le sue mani sulle mie spalle; la sua faccia, vista dallo specchietto
retrovisore era comica. Annuii svoltando ad un incrocio. «Racconta» continuò
scuotendomi leggermente.
«Che
cosa devo raccontare? Ho consegnato le pizze con una figura delle mie e poi me
ne sono andato».
Posteggiai la macchina facendo manovre.
«Oh
no. Non dirmi che hai balbettato anche ieri sera». John si portò una mano davanti agli occhi
con fare teatrale.
«Direi
che il balbettare è stata la parte meno imbarazzante». Scendemmo dalla macchina prendendo
in mano contemporaneamente tutti e tre le borse.
«Che
cosa hai combinato?».
Zac mi fissò confuso, sedendosi a cavallo di una piccola panchina mezza rotta;
la nostra piccola panchina mezza rotta, il nostro punto di ritrovo.
«Ciao ragazzi». Mac si sedette sorridendo di fianco a John
e io la guardai sorridendo.
«Mac,
che cosa hai fatto ai capelli? Non erano blu ieri?». Indicai le meches rosse e Mac sorrise.
«Avevo
voglia di cambiare».
Si sistemò la molletta e lanciò la borsa ai suoi piedi.
«Allora,
che cosa è successo?».
John, curioso, faticava a rimanere fermo.
«Ho
suonato e mi ha aperto lei, quando l’ho salutata mi ha detto che non sapeva chi
ero e mi sono presentato. È arrivato Alex e mi ha preso in giro, poi hanno
cominciato a baciarsi e si sono chiusi la porta alle spalle». Mi fermai per
riprendere fiato e Mac ridacchiò.
«Spero
che tu non li abbia interrotti, altrimenti ho paura di sapere come li hai
trovati». Si legò
i capelli con un elastico.
«Ho
suonato, avevo le pizze in mano». Fissai i loro volti sconvolti e curiosi.
«E
ti ha aperto nuda?».
John si sfregò le mani soddisfatto. «Come sono le sue tette? Grandi come
sembrano dentro alla divisa da cheerleader?». Si avvicinò a me scansando Mac che sbuffò.
«Non
capisco perché voi ragazzi vi fissiate sempre sulle tette di una ragazza». Pizzicò una gamba
a John perché si spostasse e le sorrisi capendo che forse, unica ragazza tra
tre maschi, alcune volte per lei poteva essere imbarazzante sentire i nostri discorsi.
Ci conoscevamo da più di dieci anni però, e avevo capito che
ormai non si scandalizzava più per nulla.
«Mi
ha aperto lui, senza maglietta. Lei si teneva la maglia quindi non ho visto
nulla». Abbassai lo sguardo imbarazzato ripensando alla sera prima.
«E
che cosa ti ha detto mr.
Sono-il-più-bello-della-scuola-nessuno-mi-eguaglia-per-bellezza?». Mac ridacchiò del
soprannome che anni prima avevamo dato ad Alex.
«Che
con i cinquanta dollari che mi ha dato potevo prendermi un paio di occhiali
nuovi o delle lenti a contatto». Fissai Mac in attesa di una risposta che morì sulle sue labbra.
«Che
stronzo. Se solo avessi un po’ di potere in questa scuola gli farei vedere io
che non sono i muscoli a comandare». Zac, di solito sempre tranquillo ed educato, picchiò un pugno
sulla panchina facendoci sussultare tutti.
«Calma
Zac. Non possiamo fare nulla, siamo solo i cervelloni, invisibili». Mac indicò gli
studenti attorno a noi che camminavano ignorandoci.
«Verrà
il giorno in cui i nerd prenderanno il potere». Zac annuì convinto e Mac ridacchiò
tenendosi una mano sulla pancia.
«Tanto
non si ricorderanno più di me quindi non mi preoccupo» Sbottai. Ci alzammo tutti per andare
in classe quando la campanella suonò.
«Che
lezione abbiamo ora?».
John fissò l’orologio di Star Wars che aveva ricevuto in regalo dalla nonna per
il suo nono compleanno.
«Biologia,
come ogni lunedì».
Zac chiuse il suo armadietto dopo aver preso i libri.
«Spero
vivamente che non ci facciano sezionare una rana oggi perché potrei vomitare». John assunse
un’espressione schifata che fece ridere tutti.
«A
proposito, che cosa si mangia oggi in mensa?”. Sussurrò Zac sedendosi tra me e
Mac sul tavolo di biologia.
Ci dovrebbe essere quella zuppa grigia, quella che sembra
colla». John si
allungò sul tavolo dietro al nostro per sussurrarcelo.
«Che
schifo, mi chiedo perché non possiamo essere come tutti gli altri licei, con
una mensa decente».
Rabbrividii al ricordo della zuppa e Zac ridacchiò.
«Signor
Hudson, signor Bolton, avremmo cominciato la lezione, se non vi dispiace». La voce del
professore fece sogghignare John dietro di noi. Il povero Zac non aveva
minimamente fiatato.
«Scusi
professore» sussurrammo
entrambi.
«Dite
che se chiedo una pizza o un hamburger me lo danno?». Guardai rabbrividendo il piatto grigio
davanti a me e Mac scosse la testa.
«Ne
dubito, altrimenti la squadra di football e le cheerleader avrebbero già chiesto
qualcosa di commestibile». Posò il vassoio su una tavola vuota e io avanzai di qualche
passo per sedermi.
«Ehi
Fagotto». Mi
bloccai sentendo quella voce e fissai stupito Mac, Zac e John.
Gli occhi azzurri di Zac erano spalancati per la sorpresa.
«Si
ricorda di te».
John si sedette lentamente, come se non avesse voluto attirare l’attenzione di
nessuno.
«Girati
Frank». Mac mi
incoraggiò e Zac fece un segno con la testa per farmi capire che sarebbe stato
meglio girarsi.
«Sì?». Trovai Alex molto
più distante di quanto mi fossi aspettato.
«Vieni
un attimo qui, devo chiederti una cosa importante». Rimase seduto, a gambe aperte, sulla sedia
e sentii tutta la tavolata ridacchiare.
Avevo gli occhi della mensa intera puntati addosso.
Mi avvicinai lentamente, con il vassoio in mano, concentrato
al massimo per non cadere.
«Andiamo
Fagotto, velocizzati un po’». Luke, amico di Alex, parlò non distante da me.
Stranamente era seduto a un tavolo diverso di
quello di tutta la squadra.
«Che
cosa vuoi fare?».
Chiese Ashley ad Alex toccandogli una spalla.
«Dimmi
Fagotto…». Alex
lentamente si alzò dalla sedia e girò attorno alla tavola avvicinandosi a me.
«S-s-sì?». Cominciai a
balbettare e l’intera squadra di football rise.
«Che
cosa pensi di questa zuppa?». Indicò il mio piatto.
«Ch-ch-ch-che
non è ta-tanto buona».
Deglutii per cercare di calmarmi.
Non dovevo pensare ad Ashley a pochi passi da me.
«Quindi
tu la mangi sempre volentieri?». Ghignò appena e io annuii. «Sai che ho sentito che fa bene alla vista?». Rimase appoggiato
alla tavola e non mi mossi. «Dicono che se te la spalmi sul viso poi ritorni a vederci bene». Indietreggiai di
un passo perché non mi convinceva quello che mi stava dicendo. «Luke, proviamo, che
ne dici amico?».
Successe tutto velocemente.
Chiusi gli occhi appena in tempo, quando sentii il vassoio
sparire dalle mie mani.
Quando li riaprii, pochi secondi dopo, notai che il danno
era molto peggiore di quello che avevo ipotizzato.
Mi tolsi lentamente gli occhiali perché non riuscivo a
vedere nulla.
La zuppa era completamente divisa tra il mio viso, la mia
maglia e i miei pantaloni.
L’intera mensa stava ridendo a crepapelle.
Mi abbassai per riprendere il vassoio e i piatti dal
pavimento e qualcosa mi sorprese.
«Perché
l’avete fatto?».
La voce di Ashley non era per niente divertita.
«Andiamo
tesoro, era per divertirci un po’». Alzai lo sguardo e notai Alex con un sorriso divertito.
Kathrina, migliore amica di Ashley, che ne approfittava solo
perché voleva conquistare Alex, continuava a ridere asciugandosi le lacrime con
un fazzolettino di carta.
«Non
ti ha fatto nulla di male». Di nuovo quel tono serio da parte di Ashley.
«Era
per farti ridere tesoro, se non l’hai capito non so che cosa farci». Alex si girò
ridendo e abbracciò Kathrina che lo lodò per lo scherzo.
Quando mi alzai per cestinare il mio pranzo i miei occhi
corsero subito verso Zac, Mac e John: pietà, ecco quello che i loro volti
esprimevano.
Mi incamminai verso l’uscita, circondato dalle risa di tutta
la mensa e poco dopo sentii delle persone seguirmi.
«Che
stronzo». Mac
tirò fuori dalla sua borsa le salviettine e me le allungò quando la ringraziai
con un gesto del capo.
«Gli
avrei pestato la faccia. Solo un idiota come lui può fare una cosa del genere.
Non ho capito perché si siano messi tutti a ridere». John cominciò a camminare avanti e
indietro agitando le braccia.
«Lascialo perdere, Frank. Solo gli stolti seguono gli idioti
come Alex». Zac
iniziò ad aiutarmi a pulire la mia maglia dalla zuppa.
«Mi
chiedo perché non abbia cominciato a ridere anche lei». Levai la maglietta rimanendo con
una a maniche corte grigia dei Rooney.
«Forse
ha un po’ più di cervello». Ridacchiò Mac allungandomi una nuova salvietta.
«Scusatemi,
vorrei solo scusarmi per quello che è successo poco fa». Quando sentimmo quella voce tutti e
quattro ci voltammo a guardarla.
«No-no-no-non
fa nie-e-nte».
Abbassai lo sguardo timidamente per non farmi vedere in quelle condizioni.
«Alex
ha esagerato e mi scuso a nome suo, anche se non è la stessa cosa». Cominciò a
torturarsi le dita e indossai gli occhiali semipuliti.
«Va-va-va
bene lo st-st-stesso. Gr-gr-grazie». Quando, dopo aver indossato gli occhiali, la guardai, mi
accorsi che era veramente dispiaciuta.
«Ash!
Ash piccola dove sei?».
Sentii la voce di Alex chiamarla e Ashley cominciò a guardarsi attorno
imbarazzata, poi sparì di colpo.
«Almeno
lei ha chiesto scusa».
Strizzai la maglia impregnata di zuppa e Zac si avvicinò sconvolto.
«Ma
era Ashley Foster quella che è appena andata via?». Indicò il punto esatto in cui era sparita
e ridacchiai.
«Forse
non è così stupida come sembra. No aspetta, mi sbaglio. È una cheerleader, non
può avere cervello».
Mac gettò le salviette nel cestino e si sedette di fianco a me pensierosa.
«Ragazzi, devo ricordarvi che è la ragazza di Alex Kingston?
Secondo voi può essere intelligente? Bella, con due belle tette, ma intelligente no. Viene rimandata
ogni anno in matematica e fisica, una persona che non capisce la fisica non può
essere intelligente, è una delle cose più facili che ci siano». John assunse
un’espressione strana, come se avesse creduto veramente in quello che aveva
detto.
«Sai John, ora comincio a capire perché non hai una ragazza». Mac parlò seria e
non riuscii a trattenere una risatina che contagiò anche Zac.
«Senti
chi parla, sei decisamente circondata da ragazzi». Zac canzonò Mac che si arrabbiò
all’improvviso.
«E
che cosa c’entri tu, ora? Parla per te. Scusatemi, devo sistemare un pc della
scuola». Sparì all’improvviso
dopo aver preso la sua sacca.
«Potevi
risparmiartela, Zac».
Ammonii il mio amico con lo sguardo e lui mi fissò confuso.
«Che
cosa ho detto di male? Ho solo difeso John!». Si sistemò gli occhiali sul naso e io scossi
la testa.
«Mac
è una donna, sono più sensibili rispetto a noi». John parlò al posto mio e non lo
contraddissi.
«Ma
se è la prima che fa battute sul fatto che è piccola e non è bionda». Zac,
continuando con la sua idea, cominciò a correre seguendoci verso la biblioteca.
«Sei
un piccolo genio della chimica Zachary Bolton, ma le donne sono ancora un
pianeta oscuro per te».
Picchiettai una sua spalla con la mano quando entrammo in biblioteca.
Salve ragazze!
Allora, nonostante abbia pubblicato
molte storie/os qui su EFP è la prima volta che pubblico un’originale
romantica…e spero che non mi tiriate i pomodori marci! :P
Prima di tutto un
doveroso grazie a Malia85
che mi beta la storia! Questo
ringraziamento ci sarà in ogni capitolo quindi fateci l’abitudine! :)
Poi… spero di essere riuscita
a incuriosirvi con questo primo capitolo!
I volti dei personaggi li ho
pubblicato nell’album in FB, sul mio profilo. Ci sono tutti quelli citati in
questo capitolo.
Ringrazio in anticipo chi
vorrà lasciare una recensione anche solo per criticare! :)
Al prossimo capitolo!
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