White si
osservò con particolare attenzione
l’unghia dell’indice destro, notando che era
leggermente scheggiata. All’ennesimo, sonoro sbuffo rivolse
un’occhiata truce al ragazzo di fronte a lei, che la guardava
con un’espressione strana: a metà tra il supplice
e l’esasperato. Più o meno come un condannato alla
forca che osserva il proprio boia armeggiare con un cappio
particolarmente difficile da annodare al collo.
“Ne
hai ancora per molto?” –
sbottò infatti N.
“Non
so, sto pensando…” –
rispose White in tono vago, tornando a studiarsi la mano.
“Quanto
tempo ti ci vuole per pensare?”
White
gli lanciò un’occhiata furba.
“Dipende, tu mi hai fatto aspettare sei mesi prima di
ripresentarti…”
N si
battè il palmo della mano sul viso, stizzito, e
realizzò che farsi perdonare da White avrebbe richiesto
maggior impegno che far resuscitare un Pokèmon leggendario
da un fossile.
White
non era mai stata una ragazza particolarmente romantica,
né aveva mai prestato molta attenzione alle favole. Anzi,
era molto pragmatica, e di conseguenza non aveva sprecato i suoi sedici
anni ad aspettare l’arrivo di un principe azzurro su un
cavallo bianco. Sarebbe stato così prevedibile. Ma in
quel
momento, si ritrovava a pregare che le accadesse qualcosa di
anche solo immaginabile, perché le si era appena
ri-presentato
un ex-principe a cavallo di un Pokèmon nero, e
lei non sapeva come gestire la situazione. Tutto ciò andava
al di là della sua più fervida immaginazione. E
lei odiava non sapere mai cosa l’aspettasse. Tanto
più che veder ricomparire N le aveva solo confermato quanto
in realtà le fosse mancato in quei sei mesi, e aveva
prepotentemente risvegliato tutti quegli infantili cori di
“se” e “ma” che adesso parevano
intonare l’alleluia.
E, si
sa, il primo passo per guarire da una malattia è
ammettere di averla. Ma White era fermamente convinta di non essere
malata. O comunque, di non voler
guarire.
“Bene,
sei perdonato, tutto a posto tra noi –
qualsiasi cosa ci sia - vai in pace. Sei più contento,
ora?” – disse infine White, in tono acido.
N
incrociò le braccia al petto. “Sarei
più contento se tu mi ripetessi queste parole in modo
sentito. Sai, più pathos.”
“Oh,
e Sua Maestà gradisce altro? Un vassoio di
pasticcini, magari?” – White prese un bel respiro
– “Mi insegui per tutta la regione. Mi porti a fare
un giro sulla ruota panoramica (si era morsa la lingua per impedirsi di
pronunciare la parola “fantastico”) e subito dopo,
anziché offrirmi un gelato, mi sfidi, dicendomi a bruciapelo
di essere il Re del Team degli Imbranati. Allora ti inseguo io per
tutta la regione, e mi ritrovo prigioniera di un castello a dir poco
inquietante dove sono costretta mio malgrado a sfidare sia te che il
tuo simpatico paparino – perchè io valgo!
– con la scusa che sono l’eroe di turno, e dopo
tutto ciò… tu fuggi.
Scappi. Voli via sul tuo
taxi ambulante. E io rimango qui, l’eroe. La
pirla.” – concluse, col fiato corto e la gola in
fiamme. Guardò gelida N, che aveva nel frattempo lasciato
cadere le braccia lungo i fianchi. La stava fissando con
un’espressione indecifrabile. E infine parlò:
“Quindi,
il tuo problema è che non ti ho offerto
il gelato
dopo la ruota?”
Fu il
turno di White, di picchiarsi in fronte con la mano.
“Non hai capito un cazzo.”
In
fondo, N ci aveva azzeccato. E White lo sapeva, anche se non
l’avrebbe mai ammesso. Il problema era tutto lì,
in quel gelato mancato a Sciroccopoli. Perché per White
contavano di più le piccole cose, e un gelatino dopo quel
fantastico giro sulla ruota panoramica sarebbe stato a dir poco divino.
Anche senza cavallo bianco e livrea blu oltremare, N sarebbe potuto
essere un perfetto principe,
non fosse stato così infantile
– e insensibile. Una vocina nella testa di White le fece
notare che ad essere insensibile in quel frangente era lei, dato che
conosceva la difficile vita di N e nonostante ciò gliela
stava tranquillamente rinfacciando. Ed era sempre lei ad essere anche
infantile, incazzandosi in quel modo, perché stava solo
usando quella situazione come valvola di sfogo, come via
d’uscita in cui incanalare tutta l’ansia e le
preoccupazioni che l’avevano attanagliata in quei sei mesi. E
tutti i biglietti per il luna park sprecati nella vana speranza di
trovarlo ancora una volta lì, ad attenderla davanti alla
ruota. Per lui, solo
per lui.
Ma N
adesso era
lì, ad assorbire come una spugna le sue
accuse. Era
lì immobile, e qualcosa le diceva che non sarebbe fuggito di
nuovo, perché in fondo lui un po’ principe lo era.
Anche senza titolo, poteva essere ancora il principe perfetto.
Perfetto per lei. Per
lei, solo per lei. Bastavano solo le parole
giuste.
N si
schiarì la voce. “Dunque, signorina
White… posso avere l’onore di offrirle un gelato al
luna park di Sciroccopoli, dopo aver avuto il piacere di ammirare il
panorama con lei sulla ruota panoramica?”
White
sgranò gli occhi. “Mi stai prendendo per il
culo, o cosa?”
N la
fissò di rimando, confuso. “No,
perché? Se il tuo problema è solo questo, si
può facilmente rimediare.” Un sorriso felice
comparve sul suo viso. “Si va a Sciroccopoli?”
N era
ancora un bambino, e malgrado White odiasse gli adulti infantili,
il carattere cristallino
di lui aveva semplificato parecchio le cose.
Aveva scoperto che era facile - addirittura rigenerante -
gettare
l’orgoglio e le remore alle ortiche, e farsi aiutare a salire
in groppa a Zekrom per partire alla volta di Sciroccopoli. Un gesto da
principe e principessa. Da favola,
proprio. C’erano migliaia
di motivi per cui White avrebbe potuto dirgli di no, e queste ragioni
si personificavano nella sua testa sottoforma di Vendetta, Orgoglio
ferito, Rabbia e Tradimento. Le gridavano a gran voce nelle orecchie il
loro disappunto, costringendola a rivivere l’angoscia di quei
sei mesi passati a pensare a lui, a chiedersi dove fosse, a cercare di
andare avanti e lasciarsi tutto alle spalle. Ma N, tornando, doveva
essersi portato dietro anche le sue due dee, Antea e Concordia,
perché le sembrava di sentire anche i loro sussurri; e le
parole che le bisbigliavano erano lo specchio dei
desideri del cuore di White.
Avvampò,
fissando assorta il giocattolino che N portava
sempre appeso alla cintura, con il quale lui le aveva gentilmente
concesso di trastullarsi. La Spugna
di Menger. Infinite superfici, zero
spessore. Tutto meno che un giocattolo in realtà, in quanto
era un ammasso di regole geometriche e formule matematiche. Tipico di
N, che amava la ruota panoramica non tanto per la bellezza del
panorama, ma per quella insita nella sua particolare costituzione.
Alzando lo sguardo verso il ragazzo seduto di fronte a lei, White
sorprese N a fissarla placidamente, come se non stesse guardando
l’aspetto con cui appariva, ma la stesse osservando da dentro.
“Mi
hai perdonato, allora?” – chiese
all’improvviso.
White
si drizzò sul sedile, improvvisamente allarmata.
Guardò ancora la Spugna di Menger, e pensò che,
se non avesse conosciuto realmente N, avrebbe detto che lui era proprio
come quel cubo: infinite facce, e zero spessore psicologico.
“Forse”
– mormorò infine,
sospirando.
“Conta
che dopo ti offro il gelato.” –
riprese lui, sorridendo trionfante.
E
White rise di riflesso. “Allora sì.”
– concesse infine.
N si
appoggiò allo schienale, col sorriso ancora sulle
labbra, e lo stesso fece White, che si sentiva decisamente
più rilassata.
“Ti
sono mancato molto, eh?” – chiese a
bruciapelo lui, spezzando il silenzio.
White
si sollevò di scatto, sbiancando dapprima e avvampando
subito dopo. Oh merda. Scosse
la testa con veemenza.
“No,
e infatti non capisco tutta questa messinscena.
Dopotutto, tu sei libero di fare quello che vuoi, e in
realtà non c’era da proprio nulla da perdonare,
e~ ” – si bloccò,
irrigidendosi tutta, perché N si era alzato dal suo posto
per sedersi accanto a lei.
Le
posò un braccio attorno alle spalle.
E
White cominciò a sentire gli Emolga nello stomaco.
“Sì,
in effetti me lo sono chiesto
anch’io, cos’avessi tanto da arrabbiarti”
– le sussurrò, a pochi centimetri dalla sua
guancia. White si ricordò improvvisamente che N, dopotutto,
non era un
bambino.
“E,
chiaramente, mi sono anche dato delle
risposte.” – riprese lui, senza che lei avesse
spiccicato parola. White sussultò spalancando gli occhi,
quando avvertì il contatto delle labbra di N contro la sua
pelle. Era come essere pervasi da una scarica di corrente elettrica.
Forse erano gli Emolga nello stomaco che avevano deciso di usare il
Tuonoshock.
“Mmh… e
sarebbero?” –
riuscì a mugugnare, mentre si aggrappava
istintivamente alla maglietta di N.
Lui
non rispose, ma si scostò un tantino, giusto per
posizionarsi meglio sul sedile e farle scorrere le dita sul collo.
“Sei
la mia eroina,
White.” –
dichiarò infine, serio in volto.
La
Spugna di Menger cadde a terra.
Non studiare fa bene alla
salute. E boh, non so, avevo voglia di questi
due. E' la seconda cosetta a tema Ferriswheel che scrivo, ma la prima
probabilmente non vedrà mai la luce su questo sito. Ho dato
un po' di cose per scontato in questa oneshot, dalla Spugna di Menger
(qui e qui per ulteriori spiegazioni), ad Antea e Concordia, le due dee
presenti nel Palazzo di N. Quelle coi capelli osceni, per intenderci.
Non avendo letto il manga B/W
non so se i personaggi siano IC o
pesantemente OOC, benchè propenda più per la
seconda, però mi piace immaginarli così,
perchè è questa la caratterizzazione che ho immaginato nel videogioco. White in particolare come personaggio mi
dà più l'idea di "donna con le palle" (passatemi
il francesismo). L'età è ipotetica, ma Bulbapedia diceva che i pg di B/W sono più grandi rispetto
agli altri - che comunque per me dimostreranno sempre più di
dieci anni... Anche il tempo dopo quanto N ritorna è
puramente inventato, soprattutto perchè N non ritorna
ç_ç
E... ehm, io alla ruota panoramica
ci torno davvero, nel gioco. Guai a
voi se dite qualcosa. Okay, ammettiamolo, non è White che
è cotta di N: sono io.
EDIT 2/08/2011 - ri-cambiato titolo. Che vi avevo detto? xD Inoltre, ringrazio infinitamente Mimi18, perchè a lei devo quella magica scritta in grassetto lassù. Grazie.
|