dirty little secret
AUTORE: Unsub
TITOLO: Dirty little secret
RATING: Verde
GENERE: introspettivo.
AVVERTIMENTI: One-shot
PERSONAGGI: Sarah Collins, un po’ tutti
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me
inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS.
Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: il primo giorno all’unità per Sarah, un piccolo segreto costudito gelosamente.
Il motivo del suo ingresso nella squadra era il suo piccolo sporco segreto.
Sedeva, disinteressata, nella sala riunioni. Aveva gli occhi chiusi e
le braccia abbandonate sui braccioli, la mente altrove, ansiosa di
indagare su un nuovo caso per non dovere pensare a tutto quello che le
stava succedendo intorno. Aveva imbrogliato con Morgan, ne era ben
consapevole, il fatto che il suo collega non potesse sapere che non
tutto quello che aveva scritto sul suo profilo era il risultato delle
sue osservazione era una magra consolazione.
Si era resa conto che la consideravano solo una ragazzina spocchiosa ed
aveva deciso che doveva dimostrarsi all’altezza, non permetteva a
nessuno di prenderla sottogamba. Quando aveva saputo di quale squadra
avrebbe fatto parte, aveva preso provvedimenti per studiare a fondo le
persone che avrebbe dovuto tenere sott’occhio. Oltre a farsi
consegnare dalla Strauss i loro dossier personali, si era introdotto
nel database dell’F.B.I., naturalmente era un hacker abbastanza
brava da non lasciare traccia delle sua piccola incursione.
Aveva scaricato anche quello che non era stato messo sul cartaceo e,
per giocare sul sicuro, si era impossessata di tutti i fascicoli
relativi ai casi che avevano affrontato fino a quel momento. Certo la
caposezione le aveva dato tutte le armi che le servivano per portare a
termine l’incarico che le era stato affidato, ma c’era
qualcos’altro.
Sorrise soddisfatta, nessuno poteva immaginare che aveva ricevuto
un’altra richiesta relativa all’unità. Qualcuno
aveva saputo che sarebbe stata trasferita lì ed aveva fatto di
tutto per mettersi in contatto con lei prima che prendesse servizio,
qualcuno che le aveva fatto una richiesta specifica. Non sapeva chi dei
due accontentare, non conosceva abbastanza quelle persone per decidere
se affossarle o proteggerle.
Non le piaceva lo sguardo insistente di Rossi, era qualcosa che non si
sarebbe mai aspettata. Non la guardava come Hotch, tutto preso dal suo
corpo per rendersi conto che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.
Non la fissava come Morgan, che ora provava soggezione di lei e la
vedeva come un’agente preparata e una collega che sapeva il fatto
suo. Il modo in cui la guardava non aveva niente a che fare neanche con
il dottor Reid, che la guardava con un misto di curiosità e
aspettativa.
Aveva avuto la sgradevole sensazione che l’agente supervisore
Rossi sapesse perfettamente perché si trovava lì, peggio,
sembrava quasi che conoscesse il suo segreto e quello che c’era
in ballo. Come se sapesse qualcosa che avrebbe dovuto ignorare, come lo
ignoravano tutti. Eppure quello sguardo paterno, come se volesse
consolarla… no, impossibile! Era qualcosa che non risultava dal
suo curriculum e sicuramente neanche Garcia sarebbe riuscita a trovare
il collegamento, nonostante questo aveva la sgradevole sensazione che
lui sapesse.
Doveva partire, quindi si affrettò verso la sua postazione per
prendere la borsa da viaggio. Dave la chiamò con un cenno,
mentre gli altri si dirigevano a passo spedito verso l’ascensore.
Sicuramente avrebbero consolato JJ, dopo il loro scontro durante
l’esposizione del caso. Si accigliò contrariata, da quando
si permetteva ad un agente di collegamento di essere così
approssimativa nel suo lavoro? Forse la Strauss non aveva tutti i torti
a voler far fuori Hotchner e mettere al suo posto qualcuno con il pugno
di ferro che sapesse tenere a bada quegli agenti che si comportavano
più come amici che come colleghi.
Era qualcosa che in cinque anni non aveva mai visto, rapporti
così stretti e poco professionali da far rizzare i capelli in
testa ad un tipo così ligio al protocollo come Battemberg, il
suo ex caposezione. Si diresse verso l’ufficio di Rossi,
notando lo sguardo interrogativo di Hotch che la fissava, stupito di
quel colloquio privato a pochi attimi dalla partenza.
Decisamente non le piaceva che il suo capo la trovasse fisicamente
attraente, non voleva quel genere di relazione. Mark era stata una
lezione difficile da dimenticare, l’ultima cosa di cui aveva
bisogno era un altro maschio alfa con la mania del controllo che la
sorvegliasse da vicino. Preferiva passare la mano a qualcuna che fosse
abbastanza stupida da ritenere che quel tipo di uomo potesse trovare il
modo di essere anche un buon marito, oltre che un bravo agente.
Entrò e chiuse piano la porta dietro di sé, mentre Dave
le indicava una sedia davanti alla sua scrivania. Sorrideva ed era
seduto con una gamba sul bordo del tavolo, sembrava una chiacchierata
informale e questo la metteva ancora più in apprensione. Cosa
diavolo voleva da lei? Durante il colloquio di quella mattina,
nell’ufficio del capo dell’unità, aveva già
risposto a tutte le domande possibili ed immaginabili sul suo passato
lavorativo. Non le veniva in mente nient’altro che potessero
chiederle, visto che avevano spulciato fino all’ultima riga di
quel dossier.
- Agente Collins – esordì con tono conciliante – Volevo parlarle in privato.
- Di cosa, signore? – usò il tono più professionale che aveva.
- Lei è la figlia di Mary Elizabeth, vero?
- Conosce mia madre? – la ragazza era stupita, nessuno dei due l’aveva messa in guardia.
- Sì, anche se sono molti anni che non la vedo. Spero stia bene.
- E’ attaccata ad un respiratore da otto anni
– rispose la ragazza con tono indifferente – Ormai è
solo un vegetale.
- Sono mortificato – Dave sembrava estremamente partecipe – Come? Se posso…
- Un incidente. Un guidatore ubriaco a preso in pieno
la macchina dei miei genitori, mio padre è morto sul colpo.
- Mi dispiace molto, Collins. Le mie più sentite condoglianze.
- E’ passato molto tempo, ormai. Non si
preoccupi, l’ho superato – era diventata una bugia
standard, non aveva superato un bel niente.
Sentiva ancora la rabbia nei confronti di quell’uomo, che aveva
riportato solo lievi ferite nell’impatto e che l’aveva
privata di entrambi i genitori all’età di diciassette
anni. Ma aveva imparato che a nessuno importava veramente,
perché mostrare un dolore di cui nessuno sarebbe stato partecipe
se non per mera cortesia?
- Sua madre era una donna eccezionale, mi dispiace
moltissimo… Era anche estremamente bella ed intelligente.
- La conosceva molto bene, dunque.
- Sì, uscì con noi dell’unità per un periodo. Se non erro i suoi si erano separati.
- Sono tornati insieme e poi sono nata io, come vede
a volte le crisi matrimoniali vengono superate – altra bugia, ma
in fin dei conti cosa ne poteva sapere quell’uomo?
- Certo certo – sospirò alzandosi,
prontamente seguito da lei – Per qualsiasi cosa il mio ufficio
è sempre aperto. Anche solo per fare due chiacchiere.
- Lo terrò presente, signore.
Rossi parve ripensarci mentre lei era già sulla porta.
- Il suo istruttore in accademia è stato Jason Gideon, vero?
Sarah si girò ad osservarlo, mascherando il suo stupore dietro la facciata di indifferenza che ostentava sempre.
- Sì, signore.
- Credo sia molto orgoglioso di lei, Collins.
- Non saprei, signore. Sono anni che non lo vedo – piccola omissione, non proprio un’altra bugia.
- Ci vediamo sul jet.
- Certo.
Era stata una giornata lunga e snervante, quell’indagine sul capo
era qualcosa che lei non aveva mai fatto. Oltretutto ripensava in
continuazione a quello strano colloquio con l’agente Rossi, le
era sembrato che le parole dell’uomo nascondessero dei
sottintesi, come se lui sapesse la verità sul suo passato.
Scosse la testa e cercò di chiarirsi le idee.
Decise che era solo una sua impressione, lui non poteva sapere la
verità ne intuire i due motivi che l’avevano spinta a
tornare a Quantico. Due richieste diverse, fatte da due persone agli
antipodi. Eppure erano tutto quello che le rimaneva della sua famiglia,
anche se nessuno dei due pareva preoccuparsi di lei, si limitavano ad
usarla come un’arma.
Il cellulare squillò, il display diceva “numero
riservato” e lei rispose stizzita. Probabile che fosse la Strauss
che le chiedeva già aggiornamenti sul suo piano per distruggere
Hotchner. La voce che sentì dall’altro capo le fece venire
un groppo un gola.
- Sarah, sono Jason.
- Dimmi.
- Ha pensato a quello che ti ho detto?
- Vuoi sapere se proteggerò la tua adorata
squadra dalla zia Erin? – il tono era acido, tradiva tutto il suo
risentimento.
- Sarah… sono brave persone, non si meritano il risentimento di tua zia.
- Ti ho promesso di tenerli d’occhio, beh
è quello che farò. Stanno tutti bene, compreso il tuo
prezioso Reid.
- Sarah…
- Vai al diavolo!
Riattaccò stizzita. Sua zia l’usava contro Hotchner, suo
padre le aveva chiesto di vegliare sulla squadra. Le aveva raccomandato
in particolar modo il giovane dottor Reid, il suo pupillo. Si chiese
cosa ci fosse di speciale in quel ragazzo, decidendo che
l’avrebbe scoperto in un modo o nell’altro.
Fine
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