Call Me "Rose"
Miriam sciolse ancora una volta i capelli, che ricaddero come una cascata di riccioli rossi, sulla schiena bianca.
Era stanca,
sfinita e persino il semplice gesto di alzare la spazzola per
rassettare la matassa ribelle le sembrava più faticoso del
solito. Restò ferma a guardare il proprio riflesso nella
specchiera ovale, il mento appoggiato sul palmo della mano, le dita
affusolate che picchiettavano sulla guancia rosa. Si alzò e con
movimenti lenti si diresse all'armadio. Che vestito indossare? Era
meglio un verde pastello o un semplice abito bianco latte? Optò
per il bianco.
Strinse il petto
fra i lacci del corsetto e coprì le gambe con la lunga gonna. Ai
piedi i soliti stivaletti bianchi dai bottoni dorati. Ed ora gli
accessori. Bloccò la foresta di ricci rossi, intrappolandola
sulla nuca con una spilla argentata dalla forma di fiore, e alla vita
avvolse un nastro di raso dal colore rosa pallido, sopra al quale
legò la piccola borsa di stoffa.
Dopo aver aggiunto qull'ultima cosa si osservò allo specchio.
Si, passabile.
Sebbene in molti le facessore le lodi per i capelli e per quegli occhi
azzurri, così chiari da sembrare quasi freddi, lei si era sempre
ritenuta una ragazza come le altre.
Scese nell'ingresso, soffermandosi solo per mettersi i guanti bianchi
ed uscì, immergendosi nella Londra magica del XI secolo.
Camminò a lungo, fino ad arrivare alla libreria dove lavorava.
Il padrone era già arrivato, quando la vide entrare le
rivolse un saluto brusco e senza troppi complimenti la mandò
subito nel retro del negozio.
Certo, doveva cercare di nasconderla. Del resto era una mezzosangue,
anche se di seconda generazione. Ovviamente il padrone non la
nascondeva per buon cuore, ma perchè non avrebbe trovato altre
ragazze disposte a lavorare per la misera paga che lui offriva.
Non che Miriam ne avesse veramente bisogno, il padre le aveva lasciato
un'eredità esostanziosa, ma lavorare era per Miriam un modo per
distrarsi da quello che le accadeva attorno.
Mezzosangue e Babbani che sparivano ogni giorno.
Miriam viveva con il segreto terrore di vedersi arrivare in casa i Mangiamorte da un momento all'altro.
Sbuffò mentre prendeva i registri delle vendite per
ricordinarli. Dopo pochi minuti dal suo arrivo i clienti cominciarono
ad affacciarsi nella libreria. Di quando in quando il padre si
affacciava per chiederle dove aveva messo un volume o se avevano finito
le copie di un determinato libro.
La giornata passava con la solita noiosa velocità. Miriam
alzò la testa e guardò l'orologio, ancora le quattro.
Solo tre ore e sarebbe tornata a casa. Tornò a chinarsi ui
registri mentre sentiva che il campanello della porta nuonava ancora.
Solo che non sentì la voce gentile del padrone che salutava i clienti, ma un ossequioso saluto e poi una voce profonda.
Miriam ebbe un tuffo al cuore. La portà della stanza si aprì e lei scattò in piedi, il volto chino.
Tre Mangiamorte fecero il loro ingresso in quella stanzetta, fermandosi
ad osservarla. Poi ne entrò un quarto. Era alto , dai capelli
neri e ricci e dagli occhi blu. Si fermò davanti a alla ragazza
"Miriam Gray?" chiese passando in rassegna tutta la figura della
giovane donna. La rossa annuì a capo chino, sentiva gli occhi
dell'uomo sul suo corpo, e la cosa la metteva molto a disagio. Questi
le afferrò il mento fra due dita e la costrinse a guardarlo
"Dovete venire con noi Miss".
Miriam tremava. Avrebbe voluto fuggire a gambe levate, proclamare la
proprio innocenza o qualcosa del genere. Ma invece restò in
silenzio.
Il padrone della libreria sulla soglia la fissava impaurito e per la
prima volta la ragazza lesse negli occhietti piccoli di quell'uomo
qualcosa di simile alla pietà.
Il Mangiamorte davanti a lei la afferrò per un braccio "Buona giornata" disse rivolto al libraio.
Poi, con la stessa facilità con cui si spenge una candela, si
smateriallizò insieme ai suoi compagni ed alla giovane donna.
|