La volontà ardente: Il processo.
LA VOLONTA' ARDENTE
Prologo:
Il processo.
La
Piazza Grande di Konoha, un’ampia spianata coperta da grandi e
irregolari lastre di granito, si apriva proprio al centro del
Villaggio, all’incrocio delle due strade principali che lo
attraversavano da parte a parte. Era un luogo sempre molto frequentato,
brulicante vita e movimento in ogni periodo dell’anno: tra Ninja
che attendevano le loro missioni, vecchi Shinobi che discutevano dei
tempi andati della loro giovinezza sotto i grandi ciliegi, ragazzini
vocianti e urlanti che si rincorrevano giocando a fare i Ninja,
semplici abitanti che si occupavano delle loro faccende personali.
Quel giorno,
tuttavia, la folla era ancora più numerosa del solito e, oltre a
questo, era quasi totalmente concentrata in tre grandi settori che
lasciavano libero un ampio spazio, proprio al centro. Sembrava che
l’intero villaggio si fosse dato appuntamento lì per
assistere ad un qualche genere di spettacolo. E probabilmente era
proprio così. A prima vista si sarebbe potuto pensare che la
gente fosse convenuta lì per partecipare ad una festa, ma la
tensione, quasi palpabile che serpeggiava bastava a smentire questo
pensiero. La folla era infatti ben poco rumorosa: solo il cupo brusio
di centinaia di persone che bisbigliavano tra loro a piccoli gruppo
disturbava la calma innaturale di quell’ambiente. Lo
spazio della piazza libero dalla folla era quasi interamente coperto da
una sorta di grande palco che occupava l’intero lato nord della
piazza e bloccava l’accesso alla via degli Hokage, in fondo alla
quale stava il grande palazzo.
Sul palco si
poteva notare una sorta di grande balcone in legno, all’altezza
di almeno tre metri da terra. Lì stavano, come in attesa,
quattro membri delle squadre speciali ANBU il volto come sempre celato
da maschere bianche di forme animali. Un’altra buona ventina di
Ninja, dall’aspetto delle giubbe con ogni probabilità dei
chunin, stava ai bordi della piazza, nei pressi della folla come per
tenerla d’occhio. Uno sguardo attento ed allenato avrebbe forse
potuto notare qualche altro ANBU nascosto che osservava la situazione.
Tutti sembravano
in attesa di qualcosa, e se era impossibile discernere alcunché
dietro alle maschere della squadra speciale, era invece evidente la
tensione sul volto dei chunin di guardia. Tra la folla, invece le
reazioni erano più variegate: c’era chi tradiva solo
impazienza, chi commentava con sprezzo e persino con una sorta di gioia
selvaggia, chi sembrava preoccupato. Una donna, i capelli neri raccolti
in una coda, piangeva silenziosamente appoggiata a quello che doveva
essere il marito: un Jonin con un’ampia cicatrice sul volto.
Accanto a loro stavano due giovani tra loro molto diversi: il ragazzo
era atletico ma piuttosto in carne, indossava un abito vagamente simile
a quello dei samurai, aveva lunghi capelli castani ed un volto che
sarebbe stato gioviale e simpatico se rughe di preoccupazione non
avessero oscurato questi caratteri; la ragazza, invece, era alta e
slanciata i lunghi capelli biondo platino che le ricadevano sulla
schiena legati in una coda fissata da un elegante nastro viola,
anche il suo viso era bagnato dalle lacrime e si stringeva contro la
spalla del ragazzo, come se i due fossero strettamente legati.
Pochi metri più in là un ninja che
indossava un completo verde di dubbio gusto parlava con voce concitata
con i suoi vicini.
«Non posso
credere che il Sesto Hokage abbia permesso tutto questo. Insomma! Un
processo per tradimento così, sulla pubblica piazza! Contro di
lui, poi! Voglio dire, non era meglio tenerlo più segreto,
nascosto?»
«A dire il
vero, Lee, è un’antica legge di Konoha: i traditori devono
essere processati sulla piazza pubblica, alla presenza
dell’intero Villaggio. Anche se è vero che non è
stata mai applicata, a memoria d’uomo. D’altronde non
è facile che un traditore venga catturato»
«La
sentenza di condanna per tradimento non è ancora stata
pronunciata, Neji!» protestò Lee con rabbia «Ma
anche se fosse la legge! Guarda!» e indicò dei palchetti
posti ai due lati dal palco «cosa diamine ci fanno qui i
rappresentanti delle Cinque Terre! Guarda! Il segretario del Raikage,
rappresentanti della Nebbia, della Roccia, persino della Sabbia! E poi
tutti quei signori feudali. Sembra che i capi vogliano fare il
più rumore possibile su questo processo».
Neji fece un
vago cenno d’assenso indirizzato all’amico e tornò a
fissare la piazza con i suoi occhi di un bianco quasi spettrale.
Improvvisamente chiese.
«Dunque, tu sei convinto della sua innocenza? Ci sono numerosi testimoni, e molte prove, sai?»
«Beh…» fece Lee un po’ confuso «Cavolo,
tutto sembra contro di lui! Ma chi potrebbe credere…? Insomma,
è vero, tutta la situazione non è mai stata facile
nemmeno per noi. Figurarsi per lui. Ma che sia diventato un traditore,
contro di noi… non posso crederlo. Voi invece? Cosa ne pensi Ten
Ten?».
Neji
continuò a tacere, come se nemmeno si aspettasse una risposta
dall’amico alla sua domanda. Ten Ten, invece, in piedi accanto a
lui, mostrò un certo interesse.
«Sai, io
non l’ho mai conosciuto molto bene. Voglio dire… ci si
saluta quando ci si vede… una missione insieme ogni tanto. Nulla
di più. Però nemmeno io posso credere che sia colpevole.
Certo, è sempre stato un tipo strano… ma un traditore
no.»
Lee annuì
vigorosamente. «Proprio così» esclamò a voce
un po’ troppo alta. «Lui è a posto.»
«Abbassa
la voce, Lee!» ringhiò Neji «sai quanto mi dà
fastidio. Anzi, per favore, stai proprio zitto. Sembra che stia per
cominciare».
Neji aveva
ragione: di lì a poco, infatti, dalla strada Est si avvicinarono
due AMBU che tenevano delle robuste catene al termine delle quali,
saldamente ammanettato, le mani incrociate dietro la schiena, stava un
giovane bruno, mediamente alto i lunghi capelli sciolti sulla schiena.
Doveva essere il presunto traditore, colui che doveva essere giudicato
sulla piazza di lì a poco. Sul viso aveva un’espressione
curiosa: non sembrava né spaventato dall’idea di essere
processato, né, come tante persone, cercava di mantenere
un’aria altera o di sprezzo: sembrava piuttosto infinitamente
annoiato come se tutto ciò che gli stava per accadere non
destasse in lui il minimo interesse.
Mentre il prigioniero passava tra le due ali di folla, molti presero ad insultarlo, gridando forte.
«Traditore
maledetto!»; «A morte, a morte lo devono
condannare!»; «Schifoso bastardo. Come hai osato tornare a
Konoha?»; «Vorrei averlo tra le mani.» Molti
cominciarono persino a tirargli contro ortaggi marci e pietre; alcuni,
addirittura, cercarono di avvicinarsi trattenuti quasi a fatica dai
chunin di guardia. A tutto ciò il ragazzo parve totalmente
indifferente. Continuò a camminare lentamente, preceduto dalle
due silenziose guardie; sempre camminando passò accanto alla
donna bruna che ancora piangeva e che al suo passaggio affondò
ancora di più il viso nel petto del marito.
«Madre…Padre...» mormorò il ragazzo, lo
sguardo fisso a terra. «Perdonatemi…»
I due giovani,
in piedi accanto alla donna, trasalirono al suo passaggio ma non
trovarono la forza di dire nulla. Il prigioniero li fissò per un
istante e sorrise. «Ino, Choji…amici miei.»
sussurrò. L’AMBU alla sua destra gli diede uno strattone e
Ino pianse più forte abbandonandosi all’amorevole stretta
di Choji. All’improvviso un bambino riuscì
sorprendentemente a sfuggire al controllo dei chunin: doveva avere
quasi sette anni e probabilmente frequentava già
l’accademia ninja, i suoi occhi erano di un rosso sorprendente.
«Zio
Shikamaru!» urlava «Zio Shikamaru! Che cosa ti stanno
facendo?!». Strillava e piangeva, fissando uno sguardo incredulo
e disperato al Ninja prigioniero. Shikamaru si fermò,
inutilmente spintonato da uno dei due ANBU, e rivolse uno sguardo
dolente al bambino che si era fermato e continuava a piangere. Tutta la
folla taceva, come ammutolita dal gesto di quel bambino, dal suo
affetto per il prigioniero.
«Hiruzen!» urlò allora Shikamaru, con le lacrime
agli occhi «Vattene, Hiru! Torna da tua madre.»
«Vieni qui
piccolo…» una giovane ragazza, molto carina, bruna di
capelli con l’incarnato piuttosto pallido e due straordinari
occhi, privi di pupille e di una strana sfumatura lilla, aveva
abbracciato il piccolo Hiruzen e lo conduceva via gentilmente ma con
fermezza; il bambino fece resistenza solo per un attimo. Poi si
lasciò condurre via, ma ogni tanto si voltava verso Shikamaru
con gli occhi umidi delle lacrime che gli solcavano il viso. Quando
giunse al bordo della piazza, dove si trovava la folla, il bambino si
abbandonò tra le braccia di una donna che doveva essere la madre
visto che aveva i suoi stessi occhi.
«Ti
ringrazio, Hinata.» disse lei, prima di stringere forte il
piccolo Hiruzen portandolo via da quel triste spettacolo. Hinata si
voltò per un solo istante verso Shikamaru che le rivolse uno
sguardo grato prima di girarsi con un sospiro e continuare la lenta
marcia verso il centro esatto della piazza dove si fermò,
proprio di fronte al palco ancora vuoto dei giudici.
La tensione del
momento divenne ancora più evidente: persino il cupo brusio
delle chiacchiere degli abitanti del villaggio si era improvvisamente
spento, un silenzio carico di attesa e di inquietudine, improvvisamente
interrotto da una voce forte e autorevole.
«Entra il
collegio dei Giudici!». I cinque giudici dovevano essere giunti
dalla “via degli Hokage” che conduceva al grande palazzo e,
dietro di esso, ai sei grandi volti scolpiti nella pietra. Ad uno ad
uno, salirono sulla tribuna, tutti indossavano una sorta di toga scura
ad eccezione dell’ultimo che invece portava il tipico abito da
cerimonia dei Kage. Il primo giudice era un uomo alto e imponente con
lunghi capelli corvini e lisci, aveva gli stessi occhi della ragazza
chiamata Hinata, ma lo sguardo che per un solo istante si posò
su Shikamaru era duro e severo; il secondo era un uomo piuttosto
anziano ma in apparenza ancora vigoroso, sia i capelli che la barba
erano bianchi e indossava un paio di occhiali; poi veniva un ragazzo
che non poteva avere molto più di vent’anni, biondo e con
gli occhi azzurri, diversamente dai due che lo avevano preceduto
rivolse al prigioniero uno sguardo quasi amichevole ed anche un accenno
di saluto; il quarto era una donna anziana con i capelli bianchi legati
in una crocchia. Infine giunse l’Hokage in persona che si sedette
al centro, sulla sedia più alta. I quattro ANBU di guardia
rimasero immobili, sempre in attesa, mentre quattro loro compagni,
apparsi da chissà dove sulla piazza evocavano una barriera che
brillò di una luce rossastra prima di divenire invisibile.
Quando i giudici
si furono accomodati, ciascuno al proprio seggio, Shikamaru tenne fisso
lo sguardo negli occhi dell’Hokage che, insolitamente, aveva lo
Sharingan scoperto, poi si accasciò al suolo con un gemito,
colpito alle reni da una delle due guardie:
«Inchinati
davanti ai consiglieri, cane traditore!» gli aveva sussurrato
quello a mezza bocca con voce colma di disprezzo. Shikamaru lo
fissò senza traccia di astio per poi rialzarsi lentamente,
tornando a fissare i suoi giudici. Dopo qualche istante l’Hokage
prese la parola.
«Shikamaru
Nara, figlio di Shikaku e di Yoshino, esponente del Clan Nara dei
cervi! Sei stato accusato dall’Alto Consiglio del Villaggio di
Alto Tradimento. Ed in particolare di aver volutamente ostacolato lo
svolgimento di una missione importante per la sicurezza del paese del
Fuoco, di avere rapporti con i ribelli nostri nemici, di avere
volutamente ucciso il Jonin Speciale Genpaku Funakoshi. Hai qualcosa da
dichiarare prima che quest’Alta Corte pronunci la sua
sentenza?»
La risposta di
Shikamaru, se ce n’era stata una, fu inghiottita dal vociare
della folla, pervasa da un mormorio cupo ed intenso con
sentimenti che variavano dal semplice stupore, all’indignazione e
persino alla rabbia. Un ragazzo alto e bruno dall’aspetto
piuttosto selvatico che stava in piedi accanto alla ragazza chiamata
Hinata diede voce ai suoi sentimenti:
«La
sentenza!? Ma che diavolo dice? Non c’è ancora stato il
processo? A che gioco stanno giocando?»
«Calma,
Kiba!» disse un ragazzo dall’aspetto piuttosto misterioso,
il volto quasi interamente coperto da un grosso cappuccio con il bavero
molto alto e gli occhi oscurati da un paio di occhiali sa sole neri.
«è evidente che il processo si è già svolto
anche se a porte chiuse. È solo la condanna che vogliono rendere
pubblica».
«Capisco, Shino! Ma è comunque una cosa assurda»
Non appena la
folla si fu completamente chetata –compreso l’impetuoso
Kiba- Kakashi rivolse nuovamente la domanda al ragazzo che questa volta
ebbe la possibilità di rispondere
«Non ho
nulla da dire» disse «Se non che ho fatto sempre ciò
che ho ritenuto giusto fare». Nuovi mormorii indignati dalla
folla accompagnarono questa dichiarazione.
«A questo
punto, se nessun giudice ha nulla da dire, possiamo procedere con la
votazione.» disse Kakashi, fissando sempre l’imputato con
il suo Sharingan. Nessuno intervenne, anche se il giovane giudice
biondo si agitava nervosamente sul suo seggio. Kakashi compose una
breve serie si sigilli e da una pergamena evocò una grossa urna.
Ognuno dei giudici estrasse dalla toga una palla bianca ed una nera.
«La palla bianca per l’assoluzione; la
palla nera per la condanna» annunciò la stessa voce di
prima.
«Vota
l’onorevole consigliere di Konoha Hiashi Hyuga» il primo
dei giudici, quello alto e bruno dallo sguardo severo, si
avvicinò all’urna e vi fece cadere una delle palle, in
modo da non far notare se fosse bianca o nera. «Vota
l’onorevole consigliere di Konoha, Homura, Mitokado». Il
giudice più anziano seguì lo Hyuga. «Vota
l’Alto Consgiliere e Sannin Naruto Uzumaki» Il giovane
ragazzo biondo fece cadere nell’urna una terza palla. «Vota
l’Alta Consigliera Koharu Utatane». «Vota il Sesto
Hokage, Kakashi Hatake».
Quando tutti i
giudici ebbero votato, l’urna fu rovesciata. Quattro palle erano
nere. Una sola Bianca. Shikamaru era stato dichiarato colpevole. Dopo
un breve consulto con gli altri giudici (il giovane biondo rimase quasi
del tutto in silenzio, con un’aria vagamente stizzita),
l’Hokage prese a parola.
«Shikamaru Nara. In nome del Villaggio di Konoha, Io,
Kakashi Hatake, Sesto Hokage del paese del Fuoco, ti dichiaro colpevole
di Alto Tradimento. E ti condanno all'esilio perpetuo dai territori di
Konoha e del Paese del Fuoco. Tu sei destituito dal rango di Jonin, ed
il tuo nome sarà cancellato dal novero dei Ninja di Konoha. Se
oserai rimettere piede in questo villaggio o nel paese del Fuoco sarai
condannato a morte. La sentenza di esilio verrà eseguita tra una
settimana a partire da oggi. Io ho parlato».
«Un ultima
cosa, Nara» disse Hiashi Hyuga, alzandosi dal suo scranno e
fissando con un sorriso di disprezzo il ragazzo «Dal momento che
non puoi più essere considerato un Ninja di Konoha, dovrai
restituire il tuo coprifronte. Non hai nessun diritto di portarlo
ancora».
Il volto di
Shikamaru perse il poco del colore che gli era rimasto. «Il
c-coprifronte?» balbettò
«Si»
insistette Hiashi sorridendo «come ho detto hai perso ogni
diritto di portarlo. Avanti voi! Toglietegli il copri fronte e
consegnatecelo!» aggiunse rivolgendosi ai due ANBU di guardia.
«Vorrei
che mi fosse concesso di restituirlo personalmente» rispose
Shikamaru, lo sguardo fisso sull’Hokage. «Per il rispetto
dovuto al mio clan».
Prima ancora che
lo Hyuga potesse intervenire, Kakashi assentì, facendo cenno ai
due ANBU di liberare i polsi di Shikamaru, pur seguitando a
controllarlo. L’ormai ex-Jonin di Konoha sciolse lentamente il
laccio del suo coprifronte che, come da abitudine, portava legato al
braccio sinistro, fissò per qualche istante il simbolo della
foglia poi, con un gesto improvviso, prese un Kunai ad un ANBU vicino e
lo usò per tracciare un profondo solco proprio nel centro del
coprifronte. Poi lo gettò per terra. Immediatamente gli ANBU gli
furono addosso immobilizzandolo: piuttosto inutilmente dato che lui non
accennava a fare resistenza. Ad un cenno dell’Hokage Shikamaru fu
portato via.
Poco dopo anche
i giudici abbandonarono i loro scranni e il palco su cui stavano fu
rimosso. Lentamente la folla abbandonò la piazza, lasciandola
pressoché deserta; solo il soffio leggero del vento disturbava
una calma quasi innaturale. Il coprifronte di Shikamaru giaceva ancora
per terra, in mezzo alla piazza.
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Quella notte,
Choji Akimichi non riusciva a chiudere occhio: camminava per le vicoli
deserti di Konoha, come senza meta. Quasi senza accorgersene si
ritrovò nella Piazza Grande, quasi al centro qualcosa riluceva
al pallido chiarore lunare. Choji Akimichi raccolse un coprifronte
scheggiato. «Amico, mio. Perché?» Sussurrò
prima di metterselo in tasca.
Questa storia è in un certo senso il "seguito" della mia Fiction "Non Morire Mendekouse".
Benchè il protagonista sia sempre Shikamaru, vorrei renderla
più corale. Dovrete avere più pazienza con gli
aggiornamenti, inoltre.
Spero che il primo capitolo non vi abbia annoiato.
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