Ange
Ed ecco qui
un’altra fic sul Fantasma...
Due
capitoli, questo col punto di vista della Chris, il secondo con quello di Erik.
Due capitoli che ripercorrono un po’ il loro primo “incontro”, quando erano
ancora piccini e innocenti... cioè quando lei era innocente, lui dubito...
oddio non è che poi Christine non sia più innocente... Insomma da piccoli.
Sinceramente è un modo di vedere il loro rapporto che, ora come ora, non
condivido; o meglio, non condivido il punto di vista di lei. Il primo capitolo
risale, del resto, a ere fa... in ogni caso, spero vi piaccia. Per qualsiasi
cosa, dite pure tutto quel che vi passa per la mente. Grazie comunque per la
lettura :)
Enjoy.
Ange
Prima che potesse essersene resa conto, le note le avevano
cinto l’animo, impedendole di scappare a quel richiamo, rendendoglielo il suo
cibo quotidiano, un bisogno più che un piacere tante volte. Ah, quanto tempo
era passato da quando aveva sentito quelle parole, quella voce, per la prima
volta... Le era sembrato veramente un Angelo, e il suo primo timore si era
presto tramutato in certezza: la certezza che, finalmente, suo padre aveva
adempiuto alla promessa fattale sul letto di morte.
Le aveva mandato il suo Angelo della Musica.
Era lì, e sembrava quasi un Angelo caduto per sbaglio: per i
primi momenti, era esitante, e lei si era sempre chiesta se quello strano
abitante dei Cieli non avesse timore.
Le era quasi parso che quella voce stentasse a farsi sentire, quando lei
chiedeva, tremante, “Chi c’è?”, nel buio della Cappella del Teatro; che
provasse timore nel farsi scoprire, e sembrava la voce di uno che si sentisse
in colpa, come per aver disturbato il sonno della bimba che era allora.
Disturbato il sonno? Se solo avesse saputo, povero Angelo,
come lui glielo stesse restituendo!
Dalla morte del padre non aveva più dormito come una volta,
era sempre stata presa dagli incubi e si svegliava, terrorizzata, nelle notti
buie e oscure; poi si alzava, in silenzio, e una volta al sicuro piangeva,
piangeva e piangeva, di fronte a quella sgualcita foto del padre, che mai aveva
fatto giustizia a tutta la bellezza che ricordava in lui, mai aveva fatto
giustizia al suo dolce sguardo affettuoso, alle sue carezze di buon padre. E le
lacrime sembravano non finire mai, fino a che il sole non spuntava di nuovo,
nelle sue maestose e splendenti albe, facendo capolino dalla vetrata dov’era
illustrato un angelo; e guardando quei raggi, che illuminavano quella figura
con una luce che le pareva ogni giorno un po’ diversa, un po’ nuova, riusciva
ad avere la forza di asciugarsi le lacrime, alzarsi e tornare nella sua stanza.
Ma un giorno, chissà perché, si era trovata senza lacrime.
Era rimasta in silenzio, davanti a quella foto, e aveva cominciato a
riflettere; be’, piccola com’era, c’era ben poco da riflettere! Ma si era
sempre ricordata di quel momento di silenzio tutt’intorno a lei, cornice della
sua mente che non era affatto silente, nelle ombre della notte nella Cappella;
e di come, all’improvviso, si era accorta di una voce. Oh, che voce! Ogni
parola le era parsa una carezza, come se piccole gocce di rugiada lenissero
tutte le sue ferite, lasciandola a bocca aperta e sorridente, come ormai da
tanto tempo non riusciva più ad essere. Come un raggio d’una luce non vista, ma
udita, quella voce si era insinuata tra le piaghe del suo cuore, e come acqua
scrosciante da una fonte pura e buona sembrava darle una pace che non provava
da quando il suo dolce padre era scomparso, da quando non lo sentiva cantare
per lei.
Estasiata, aveva quasi smesso di respirare, per non perdere
nemmeno un istante di quelle parole prive di musica, ma che parevano formare
una speciale melodia senza bisogno di alcun aiuto di strumenti; s’era fatto
silenzio nella sua anima tormentata dai peggiori pensieri, e aveva trovato la
pace perduta. Eppure, non era passato molto che si era resa conto del lato
oscuro di quella dolce magia: quelle gocce di rugiada, d’acqua dolce e sorgiva,
non erano altro che lacrime! Lacrime di
un Angelo, però!, si era detta piena di rammarico. Allora si era alzata in
piedi, e guardandosi intorno si rendeva conto di non riuscire a capire da dove
provenisse il suono che tanto l’aveva ammaliata; così, senza fissare lo sguardo
in un punto preciso, si era decisa ad arrischiare due paroline:
- Chi c’è?
Di punto in bianco, tutto era cessato. La voce aveva smesso
di cantare, la musica che l’era sembrato di sentire sprigionata da quelle
parole era terminata, e lei si era ritrovata con l’orribile sensazione addosso
di essere sola, e di aver sognato tutto. Per un attimo, si era chiesta se non
fosse impazzita, se non fosse andata fuori di sé... un piccolo raggio di sole aveva
fatto allora capolino sul pavimento, rischiarando un poco l’aria che la
circondava, e accarezzandole il volto, dove una lacrima solitaria si dirigeva
leggiadra lungo la sua guancia. Correndo, era scappata via, nella sua stanza...
Per tutta la giornata seguente, non aveva fatto altro che
ripensare alla notte appena passata. A quella voce, a quelle lacrime che le
avevano portato la pace nel cuore per il loro semplice suono, indescrivibile
con umane parole, e poi alla solitudine in cui si era ritrovata, dopo essersi
arrischiata a parlare. Quando era arrivata la sera, s’era costretta ad entrare
nel suo letto, e a nascondere con le coperte i suoi tremiti, all’idea di
ritornare ad ascoltare quel prodigio, di sicuro di un altro Mondo. E quando era
stata sicura che tutte le altre bimbe dormissero, s’era alzata e correndo era
andata nella cappella, incespicando e chiedendosi cosa avrebbe potuto fare, e
poi era arrivata: eccola lì, la foto di suo padre, la vetrata con l’angelo, la
stanza buia era tutta lì, nella sua piccola semplicità, oscura come sempre, ad
aspettarla. Si era seduta davanti all’immagine dell’angelo, quella volta; si
era seduta e aveva aspettato, tentando di dominare tutta l’impazienza del suo
piccolo cuore che sembrava impazzito nei suoi battiti frenetici, nell’attesa di
quella voce sovrannaturale; e per tutta la notte aveva atteso, ma nulla era
accaduto. E all’arrivo dei raggi del Sole, potenti e leggeri come sempre, non
aveva visto in loro che un brutto augurio, e per la prima volta in vita sua
aveva odiato il giorno. Il giorno che le toglieva la possibilità di sentire
quella voce d’Angelo...
Tanti giorni erano passati, nella vana e impaziente attesa,
ma nessuno si faceva più sentire. Una notte, era scesa piano, aveva deciso di
smettere di correre, ed era arrivata nella Cappella con uno sguardo deciso sul delicato,
piccolo volto: si era decisa a dimenticare quella voce, doveva essere stato un
sogno, meraviglioso ma terribile, perché nessun Angelo le avrebbe mai permesso
una gioia così grande per poi strappargliela, come geloso di un suo tesoro. Ma
la decisione che aveva creduto ferma e sicura, quand’era giunta lì sotto, non
si era rivelata poi così nella realtà: dopo pochi minuti, lacrime amare avevano
cominciato a sgorgarle dai dolci occhi, e sul suo viso sembravano scendere
fontane di dolore, piccole gocce che insieme formavano una tempesta nel suo
cuore ferito. E presto aveva preso a singhiozzare rumorosamente, e si era presa
il volto tra le mani, disperata, chiedendosi cos’avesse mai fatto di così
terribile per meritarsi tanti dolori da parte di Qualcuno che avrebbe dovuto
spedire i Suoi Angeli solo per il bene
degli uomini...
- Chi c’è?
Una voce era risuonata nell’aria, tremante. Tremante di vergogna,
come avesse urtato un momento di intimità della piccola stella caduta che
giaceva lì in quella Cappella a piangere lacrime disperate.
Lei aveva alzato la testa, e si era guardata intorno,
spaventata: che fosse lui?
- Tu sei... il mio
Angelo della Musica?
Silenzio. Il silenzio sembrava prenderla di nuovo tra le sue
spire, e aveva temuto di provare di nuovo quell’orribile tormento della
solitudine, dopo la gioia di aver sentito quella voce ancora una volta.
- ...Sì.
Silenzio. Stavolta la bimba era meravigliata: poteva davvero
crederlo? Davvero quell’Angelo era tutto suo, era disceso in terra per cantare
per lei, e solo per lei, e davvero avrebbe potuto accompagnarla durante tutto
il corso della sua vita, donandole ancora quella pace che aveva provato, giorni
prima? Davvero poteva tornare a sperare in quei raggi di luce, in quell’angelo
illuminato della vetrata che tanta speranza le tornava a dare ogni giorno,
tanta da permetterle di asciugare le sue lacrime?
- Canta per me...
Avrebbe voluto avere quella voce, così limpida e dolce, che
sembrava accarezzarla in tenerezze mai provate, e cingerla di sensazioni che
mai aveva osato sperare in quei tempi di dolore. E invece quella richiesta le
era venuta fuori come un lamento, aveva piagnucolato quelle tre parole come se
avesse chiesto dell’acqua dopo giorni di sete incessante, e si era vergognata,
e aveva temuto con apprensione mai provata che quell’Angelo l’avrebbe
abbandonata di nuovo, troppo nobile per una creaturina indegna com’era lei. Ma
poi quelle note erano tornate a posarsi, leggere e delicate, su ognuna delle
ferite del suo animo, curandolo fino in fondo; e quelle lacrime erano tornate a
pulire tutto ciò che v’era di sporco o indegno nel suo essere, e si era sentita
come solo chi può ascoltare le parole del proprio Angelo può sentirsi.
E da quel giorno in poi, aveva imparato a conoscerlo, il suo
Angelo, a riconoscere la sua presenza anche in altri luoghi, e a percepire il
suo esserle accanto, se e quando lui voleva. E pian piano aveva imparato ad amarlo,
in maniera del tutto speciale, come solo un Angelo può essere amato.
Si guardò nello specchio, Christine: non era più una
bambina, lo sapeva, eppure quei suoi sedici anni non sembravano tanti, al suo
animo umile. Non credeva di essere particolarmente grande, lei, ma era
consapevole di essere ormai ragazza, e di avvicinarsi all’età in cui sarebbe
potuta essere definita donna.
Ma, ancora, non poteva fare a meno di lui.
La sua voce tornò a farsi sentire nell’apparente vuoto delle
pareti, che lei aveva imparato a riconoscere come nascondiglio per quell’essere
che, lo sapeva, non era altro che aria e spirito. E lei chiuse gli occhi, e si
lasciò andare all’estasi di sentirlo cantare per lei, solo per lei, e per un
attimo provò ad immaginare le sue labbra, dovevano essere bellissime per poter
sprigionare una magia del genere, perfette, delicate, belle; e poi le sue mani, che sembravano accarezzare un violino non
fatto da mani d’uomo, per quel suono così perfetto che ne usciva; e immaginò il
suo volto: senz’altro il suo Angelo aveva un volto bellissimo, privo
d’imperfezioni e buono, e bello, e incantevole... angelico.
E provò a immaginare i suoi occhi.
Provò a chiedersi come la guardasse, se mai la guardava; si
chiese se mai avesse fatto caso, lui,
a quanto fosse cresciuta: non era più una bambina, e il corpo di donna che
ormai la natura le aveva offerto le aveva dato più volte l’occasione di avere
pensieri che la stupivano più di ogni altra cosa. Più volte si era ritrovata a
sperare che lui, un Angelo!, potesse abbassare il suo sguardo su una creatura
mortale com’era lei, sperando con tutta se stessa di poter essere bella davanti
a lui e ai suoi occhi angelici. E ogni volta si rispondeva di non crearsi
speranze assurde, senza senso e che non facevano altro che rovinare quei
momenti perfetti passati insieme a lui e alla sua voce. E poi si trovava
addirittura a sperare che potesse prendere forma d’uomo, con mani e braccia, e
che potesse abbracciarla e farle sentire, con sensi che non fossero soltanto
udito e parole, un affetto in cui sperava con tutto il cuore. E sperava,
sperava, sperava maledettamente e intensamente, in quei momenti, sperava che
lui potesse davvero prendere forma mortale, e anche se fosse stato brutto e
deforme non avrebbe voluto che un suo abbraccio, una carezza, uno sguardo!
Ma si rispondeva che era impossibile... impossibile che un
Angelo si innamorasse di una mortale, e lei era anche povera e normale, comune,
non aveva nulla di speciale, si diceva; e cercava di convincersi che fosse
vero, che doveva smetterla di cingersi di false e inutili speranze, che non
potevano far altro che farla soffrire. Ma quando lui arrivava e la riempiva
tutta con la sua voce, perdeva ogni lotta contro quelle speranze: non poteva
far altro che essere innamorata di quell’Angelo, a cui doveva tutto, la sua
voce, il suo canto, le sue lacrime, il suo sorriso e la sua gioia.
E ancora una volta, un sorriso felice e pieno sulle sue
labbra di rosa, si abbandonò al suono di quella voce che ormai la sosteneva e
la guidava in ogni passo, ogni decisione, in tutti i giorni della sua vita.
Vita da povera e comune donna mortale, ma che aveva il privilegio di sentire la
sua voce, la voce del suo Angelo della Musica.
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