Note
iniziali
Un'altra
fan fiction. Sempre Royai. Lo so che vi sto stressando e che volete il
seguito
di “Tre nuovi Alchimisti” (parlo con chi segue la
mia ff, in particolare le mie
due migliori amiche), ma era già da un po’ che mi
frullava quest’idea per la
mente. L’ispirazione mi è venuta leggendo il
regolamento per il contest
fatto dal Royai Forum (in cui bisognava fare una ff legata
ai colori), peccato solo che la mia storia sia una “what
if” (per chi non lo
sapesse, significa che con la fan fic si cambiano un po’ le
cose alla storia
originale). Risultato: non posso partecipare, perché questo
tipo di ff al contest
non erano accettate. ç_ç Ma l’idea mi
piaceva molto,
così l’ho scritta ugualmente.
Basta,
sto divagando e a voi di ‘sta
roba non ve ne frega
niente! XD Prima di lasciarvi alla lettura, vi dico
solo che questa ff è ambientata nel capitolo 72, subito dopo
che Riza ha
scoperto che Selim è un Homunculus.
Buona
lettura! ^_^
Black
Shadows
Riza
tirò quasi un sospiro di
sollievo nel ritrovarsi
davanti alla porta del suo appartamento.
Sembrava
la solita donna, il freddo Tenente Riza Hawkeye, ma non era
così: dentro di sé
era molto inquieta. L’incontro con Selim… anzi,
Pride, come aveva detto di
chiamarsi, l’aveva fatta sudare freddo. Sapeva che
quell’Homunculus non
l’avrebbe uccisa: come lei stessa aveva detto, non avrebbe
portato alcun
beneficio alla sua causa. Ma
non aveva mai avuto così
tanta paura, se non -forse- nella guerra di Ishval.
Quell’incontro aveva
lasciato tracce dentro e fuori -il
segno sul polso, il
taglio sul viso.
Infilò
la chiave nella serratura e aprì la porta
-il rumore
di quel meccanismo era quasi un frastuono nel silenzio della notte.
Sulla
porta, si bloccò, mentre la paura tornava -forse non se
n’era mai andata. Due
riflessi -due occhi, ne era certa- la osservavano
dall’oscurità. Quando, passo dopo passo, la figura
del piccolo Black Hayate
entrò nel fascio di luce proveniente dal corridoio, la
bionda sospirò,
sollevata.
“Falso
allarme” pensò, mentre premeva
l’interruttore per accendere la luce
-una luce che non sapeva se la salvava o se, creando
ombre, la metteva in pericolo.
Chiuse
la porta e, con la schiena appoggiata al muro, si lasciò
scivolare lentamente e
si mise seduta a terra, mentre un confuso Hayate, preoccupato per la
sua
padrona, la guardava e s’avvicinava.
Le
parole di quel mostro -perché non era un bambino, ma un
mostro- risuonavano
nella sua mente: «Ti osserverò costantemente
dalle ombre.»
«Va
bene» si disse lei, nel tentativo di tranquillizzarsi, mentre
il cagnolino
annusava quel segno sul polso che la mattina la sua padrona non aveva.
«Va
bene» si ripeté.
Lo
squillo del telefono la fece sussultare -se l’avesse
raccontato, nessuno ci
avrebbe creduto. Lo fece suonare molte volte, mentre tentennava,
pensando se
doveva rispondere o no. Avvicinò la mano, per poi bloccarsi
un attimo; infine,
prese la cornetta e rispose.
«…
Sì?»
«Buonasera,
signora. E’ il suo fioraio preferito che le fa una chiamata
di cortesia»
disse la voce dall’altra parte. L’inconfondibile
voce del
suo superiore, il Colonnello Roy Mustang.
Riza
rispose: «Io non ho un fioraio
preferito…».
«Sì,
mi scusi» replicò l’uomo. «Ho fatto davvero una
pazzia
e ne ho comprati a tonnellate. Pensa di potermi fare un favore e
prenderne un
po’?»
Una
delle sparate -le
solite- di Roy, che in quel momento,
però, la fecero sentire più tranquilla e,
istintivamente, tirò un sospiro di
sollievo, ma non rispose.
Il
moro sentì quel sospiro -non era uno stupido. S’accigliò,
per poi chiedere: «Che succede?»
La
donna, a quella domanda, sgranò gli occhi: come aveva fatto a…
«E’
successo qualcosa?» chiese ancora lui, sentendo che la sua
fidata assistente
-ah, no, non lo era
più- non rispondeva.
Lei
tentennò: non poteva dirgli
la verità, lo avrebbe
messo in pericolo. E lei, non solo non poteva, ma non voleva.
«No.
Nulla.» rispose
lei, cercando di nascondere
l’inquietudine che le avrebbe fatto tremare la voce.
«Davvero?»
chiese lui. «Sicura?» insistette. No che non era
uno stupido.
«Va
tutto bene, signore» mentì lei. «Anche
se sono dispiaciuta: non ho vasi o altro
per i fiori». Fece una piccola pausa e riprese, mentre un
leggero sorriso
-finalmente- comparve sulle labbra: «Ho apprezzato che mi
abbia chiamata,
Colonnello» e, detto questo, posò la cornetta.
Il
piccolo Hayate, nel frattempo, non le aveva tolto i piccoli occhi neri
di
dosso: si era accorto che la padrona era turbata.
Di
sottecchi, la bionda lo vide: sospirò, mentre si abbassava
all’altezza del
cucciolo per coccolarlo -anche se,
forse, era lei che
aveva bisogno di sentire qualcuno vicino.
«Com'è
riuscito a saperlo così presto?» chiese al piccolo
cane bianco e nero, come se
potesse risponderle.
Nel
frattempo, Roy fissava accigliato la cornetta del telefono con cui
aveva
chiamato la donna. Qualcosa non andava, ne era certo. Lo capiva al
volo,
soprattutto se riguardava Riza. Non ci pensò due volte:
uscì dalla cabina
telefonica e s’infilò in macchina.
Contemporaneamente,
Riza appoggiò il cappotto e andò in cucina. Vide
che la ciotola di Hayate era
vuota.
«Hai
fame, vero?»
chiese lei.
Il
cagnolino, come risposta abbaiò.
La
donna riempì la ciotola, e mentre Hayate s’avventava
sul cibo, prese l’occorrente per farsi un the: aveva
già mangiato in ufficio,
ora voleva solo prendere qualcosa di caldo. Ma mentre faceva tutte
queste
operazioni, lanciava occhiate ad
ogni piccola ombra,
per paura di veder comparire due occhi che la fissavano.
Guardò
la scatola del the sul mobile. Sospirò e s’appoggiò
-come
se fosse esausta- con entrambe le mani: aveva decisamente bisogno di
qualcosa che
la tranquillizzasse. Rimise a posto la scatola del the e prese quella
della
camomilla, quando un suono la fece nuovamente sussultare: il suono
del campanello.
“Chi
può essere a quest’ora?” si chiese Riza,
mentre s’avvicinava
alla porta. Prese la
pistola e guardò la mano che la impugnava:
vide con piacere che non tremava -sembrava essere tornata quella di
sempre.
Abbassò
con cautela la maniglia e aprì appena la porta. Ma ciò
che si vide davanti non era un viso, ma un mazzo di fiori. La bionda
sbattè più
volte le palpebre, confusa.
Il
mazzo di fiori si spostò per mostrare il viso di Roy.
Sorridente sì, ma
leggermente affannato: doveva aver corso per arrivare lì in
fretta.
«Colonnello…
che ci fa qui?» chiese la donna, mentre apriva un
po’ di più la porta.
«Sono
venuto a portarti dei fiori, non si vede?» rispose lui,
sempre col sorriso
sulle labbra.
Lei
sospirò senza farsi accorgere, poi sorrise di rimando:
«Le avevo detto che non
ho vasi…»
«Bè,
troveremo qualcos’altro!» disse il moro, facendo un
gesto di noncuranza. Poi
porse i fiori alla donna.
«Grazie…»
sussurrò lei mentre li prendeva. Ma
non lo ringraziava
tanto per i fiori, quanto per essere venuto.
«Mi
fai entrare, Tenente, o
mi lasci sulla porta?»
«Ah,
mi scusi…» disse lei spostandosi per far entrare
l’uomo.
La
bionda s’avviò
in cucina, mentre il moro si chiuse la
porta alle spalle. Lei aprì uno dei mobili alla ricerca di
qualcosa per mettere
i fiori, ma si bloccò, non sapendo cosa sarebbe potuto andar
bene.
Il
Flame Alchemist la vide: s’affiancò
e prese una brocca.
Lo guardò confusa.
«Questo
andrà bene» spiegò lui sorridendo, per
poi riempirlo d’acqua -da vero
gentiluomo.
«Allora,
Colonnello… che ci fa qui?» chiese Riza, mentre
l’uomo poggiava la brocca sul
tavolo e lei ci metteva il bouquet.
«Ma
te l’ho detto! Per portarti dei fiori!»
rispose Roy,
facendo il finto tonto.
La
cecchina gli lanciò un’occhiataccia:
«Non sono una stupida, e lei lo sa bene…»
Lui
sospirò, per poi guardarla con serietà:
«Ero preoccupato per te…»
La
donna sorrise leggermente: un po’ le faceva piacere sapere
che lui si
preoccupava per lei. «Gliel’ho
detto: non è successo
niente…»
«Tenente,
adesso sono io a dirti che non sono uno stupido» -come se lei
non lo sapesse.
«Allora, vuoi dirmi che cos’è successo?»
«Glielo
ripeto: nulla.» mentì lei con tono serio.
“Certo
che sa essere davvero testarda!” pensò
l’uomo. Le
appoggiò le
mani sulle spalle, insistendo: «Avanti, Riza: a me puoi
dirlo…». Era
talmente preoccupato che non si rese nemmeno conto di averla chiamata
per nome.
Lei,
al contrario, se ne accorse eccome, e si stupì: era da anni
che non la chiamava
per nome. Lo guardò negli occhi, non sapendo che fare.
Abbassò lo sguardo e
sussurrò: «Non posso…»
Il
moro udì quel sussurro e si sentì ancora
più angosciato: «Come
“non posso”? Riza, parla, che è successo?»
«Mi
dispiace, ma non posso! La metterei in pericolo, ed io, come sua
guardia del
corpo, non posso permetterlo!»
rispose lei con
decisione -o forse era testardaggine.
Roy
s’accigliò:
«Tu non sei più la mia guardia del corpo,
quindi puoi parlare!»
«Ha
ragione, ma lo stesso non posso!
E’ la mia coscienza
che me lo impedisce!»
disse lei, l’espressione seria. Ma
lui, nel profondo di quegli occhi color cioccolato, vide
tanta paura. Sia per lui che
per se stessa.
L’espressione
dell’uomo s’addolcì:
«Riza…» sussurrò.
Lei
lo guardò negli occhi e per un attimo si perse dentro quelle
iridi d’ebano,
pozzi oscuri che non la rendevano inquieta, ma al contrario, la
rassicuravano.
Sorrise
nel tentativo di calmarlo: «Comunque adesso mi sento
più tranquilla, non si preoccupi…».
Ed era vero.
Roy
sospirò: accidenti, aveva vinto lei. Ma
non
resistette: la circondò con le braccia e la strinse a
sé.
Riza
si stupì del gesto: da quando si conoscevano, non
l’aveva mai fatto. Si sentì
ancora più serena avvolta in quell’abbraccio
oscuro. Dopo un momento
d’indecisione, ricambiò, circondandogli la vita.
Adesso fu lui a stupirsi. La
strinse ancora più forte.
Dopo
qualche secondo, fu lei a interrompere l’abbraccio -lui
sperava potesse durare
in eterno. Gli sorrise.
L’uomo
fece un altro sospiro: non voleva lasciarla sola, ma con quale scusa
sarebbe
potuto rimanere lì? Fece un passo indietro, allontanandosi
dalla donna:
«Allora…», ma non riuscì a
dirlo guardandola negli occhi. Le diede le spalle,
per avviarsi verso la porta: «… io me ne
vado…»
«No!»
L’uomo
si girò per guardarla. Sembrava stupita del suo stesso
gesto, e infatti era
così. L’aveva detto senza nemmeno rendersene
conto. Abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Roy
le si avvicinò
nuovamente. Dopo un attimo in cui
rimasero immobili, l’uomo le accarezzò il viso.
La
bionda alzò lo sguardo, sempre più stupita. Lui
la guardava con dolcezza,
mentre le passava un braccio intorno alla vita. Lentamente,
avvicinò il proprio
viso a quella di lei, finché le labbra non
s’incontrarono in un tenero bacio.
Ancora
una volta durante quella serata, Riza sgranò gli occhi per
la sorpresa. Dopo un
attimo di smarrimento in cui non riuscì a muovere un solo
muscolo, arrivò a
staccarsi dal quel bacio, anche se -ma non l’avrebbe mai ammesso-
un po’ a malavoglia: «Colonnello… noi
non…»
Roy
si rese conto di quello che aveva fatto e si sentì
terribilmente in imbarazzo. Ma
che diavolo gli era saltato in mente? Pensava che baciandola avrebbe risolto
qualcosa? «Mi… mi dispiace… non
so… cosa mi sia preso…»
balbettò. Per la verità, il suo cervello aveva
fatto
tutto da solo: aveva visto Riza in quello stato, e quel gesto gli venne
automatico.
La
bionda rimase senza parole nel vedere il Flame Alchemist
così impacciato: non
era da lui, solitamente deciso e sicuro di sé. Dopo qualche
secondo che parve
un’eternità, fu lei ad avvicinarsi nuovamente e a
ricominciare a baciarlo,
riprendendo il contatto.
Il
moro, dopo un attimo impiegato per rendersi conto di ciò che
stava accadendo,
non perse l’occasione e ricambiò il bacio,
trasportato, mentre la bionda fece
scivolare le braccia per circondargli il collo.
A
un certo punto, Roy si staccò dalle labbra della bionda.
«Riza…» sussurrò con
la sua voce calda, un sussurro che fece rabbrividire di piacere la
donna. Poi
prese a baciarle il collo, mentre una mano andava verso il fermaglio
per i
capelli. Lo fece scattare, in modo da far
ricadere
delicatamente i capelli dorati del suo Tenente, per poi lasciarlo
cadere chissà
dove. Tanto, la mattina dopo ci sarebbe stato
tempo
per cercarlo.
La
donna, con dei leggeri brividi di piacere, strinse per un attimo la
stoffa del
cappotto, per poi sfilarglielo, facendolo cadere a terra.
«Roy…» sussurrò.
Il
moro si bloccò, stupito. Poi la guardò nei grandi
occhi nocciola: «Dillo ancora.»
Riza
lo guardò confusa: «Come?»
«Il
mio nome… dillo ancora…»
Lei
sorrise: «Roy…»
L’uomo
ricambiò il sorriso per poi darle un leggero bacio sulle
labbra: «Ha un suono
meraviglioso detto dalla tua voce…», infine
riprese a baciarla sul collo.
La
bionda rise leggermente, divertita, mentre infilava le dita in quei
capelli sottili,
neri come la notte che li circondava. La paura che prima le
attanagliava il
petto era scomparsa: con lui si sentiva totalmente al sicuro, protetta.
Roy
cominciò a sbottonarle la giacchetta della divisa con gesti
lenti. Ma
all’improvviso si fermò e si guardò
stranamente intorno,
come se stesse studiando la stanza.
«Che
c’è?» chiese la cecchina.
«Non
va bene…» sussurrò lui, pensieroso.
Riza
alzò un sopracciglio: «Eh?»
Senza
risponderle, la prese in braccio come una sposa.
«Ma che…?»
provò a chiedere la donna, stupita.
Lui
la guardò un po’ malizioso: «Credo sia
meglio la camera da
letto, no?»
Lei
non riuscì a non imbarazzarsi, arrossendo visibilmente.
Sperò che l’oscurità
della notte -quella di cui prima aveva paura- glielo nascondesse.
Roy,
non aspettando la risposta, l’appoggiò
delicatamente
sul letto e chiuse la porta.
Hayate,
che nel frattempo si stava ancora gustando la cena, e quindi non
vedendo
minimamente le effusioni tra i due militari, quasi si
spaventò nel sentire il
rumore della porta. Si guardò intorno, alla ricerca della
padrona, ma trovò
solo la porta della camera da letto
chiusa. Quindi Riza era
andata a letto. Bè, allora non c’era altro
da fare se non andare a dormire anche lui. Sicuramente la sua padrona
doveva
essere davvero stanca per non avergli dato nemmeno la
buonanotte…
-
- -
La
luce del sole entrò prepotentemente dalla finestra della camera
da letto. E, poco alla volta, svegliò Riza.
Ancora mezza addormentata,
la prima cosa che percepì fu il calore: sulle gambe, che le
arrivava attraverso
le lenzuola, e intorno alla vita.
Quando
finalmente aprì gli occhi, sorrise, crogiolandosi del calore
del sole
mattutino. Solo in un secondo momento si rese conto che il calore
intorno alla
vita era diverso, inoltre era accompagnato da un
“peso”. Ma
cosa poteva mai essere?
Ah.
Certo. Sapeva cosa poteva essere. Roy.
Le
era piaciuto il fatto che
l’avesse considerata
finalmente una donna -non che non l’avesse mai fatto prima,
ma ora l’aveva
fatto esplicitamente. Solo che… aveva paura. Non
c’entrava niente con quella provata
la sera prima, causata dall’incontro con
quell’Homunculus. Adesso aveva paura
che tutto quello che era successo durante la notte
non
sarebbe continuato. Che lei fosse una delle tante conquiste del famoso
donnaiolo Roy Mustang. E lei, adesso che aveva provato quel frutto
proibito -i suoi baci,
le sue carezze, il suo calore sulla pelle- non
voleva più farne a meno.
Si
girò sull’altro fianco, e quell’attimo
di paura e di amarezza scomparve nel
vedere il viso dell’uomo. Era dolcissimo: sembrava un bambino
che dormiva
beatamente. Istintivamente, gli spostò un piccolo ciuffo di
capelli del viso.
Gli sfiorò appena la pelle, ma lui lo sentì e
mugolò. Poco dopo aprì gli occhi
e, anche se mezzo addormentato, riconobbe subito la bionda di fronte a
lui.
«Buongiorno…»
sussurrò lei con un filo di voce, come se non volesse
rovinare quella calma
mattutina.
«E’
un giorno meraviglioso, visto che
comincia con questa
vista…» disse il moro, per poi darle un bacio
sulla fronte.
Nel
sentire questo, però, il sorriso scomparve dalle labbra
della bionda. “Chissà a
quante donne avrà detto questo quando si svegliava la
mattina…”
Roy
non poté non notare il cambiamento d’espressione:
«Che succede?». Di nuovo
quella domanda, come la sera prima: non gli piaceva sapere che Riza
avesse un problema, di
qualunque tipo.
Lei
si staccò da quell'abbraccio -così caldo e
piacevole- e si sedette sul letto, coprendosi
con le lenzuola, ma non proferendo parola.
«Riza?»
chiese ancora lui, puntellandosi sul gomito.
Lei
distolse lo sguardo, un po’ triste, un po’
imbarazzata. Sospirò e infine disse:
«Ho paura che… quello che ci è
successo… sia stata una cosa occasionale…»
Il
moro s’accigliò,
ma aspettò che la donna continuasse.
«Non
vorrei» riprese lei, sempre evitando il suo sguardo
«che io sia solo una delle
tue tante conquiste…»
«No,
non è così.»
Riza
lo guardò, stupita dal tono grave che aveva quella frase.
Il
Flame Alchemist si mise a sedere anche lui, per poi continuare, ancora accigliato:
«Riza, tu non c’entri assolutamente nulla
con quelle donne.» Il suo sguardo poi s’addolcì:
«Io
ti amo, Riza.»
La
cecchina sgranò gli occhi, spiazzata.
Roy,
prima di continuare, le strinse la mano: «Tu sei
importante… anzi, no, precisiamo:
sei di vitale importanza per me.
Le altre donne non
sono nulla.»
Lei
lo guardò un po’ incerta.
«Anzi»
riprese lui «vuoi sapere perché esco con
così tante donne?» Prese un profondo
respiro e riprese: «Speravo
di riuscire a
dimenticarti. Perché sapevo che non potevi essere mia.»
«Davvero?»
chiese lei con voce flebile.
Il
moro annuì. «Ma
non ci sono riuscito…»
La
donna abbassò lo sguardo, mentre la sua mente comprendeva il
significato di
quelle parole, non essendo sicura di aver capito bene. Poi
fissò i suoi occhi
nocciola in quelli d’ebano di lui, pieni di dolcezza solo per
lei.
Poco
alla volta, si dipinse un leggero sorriso sulle labbra della bionda.
«Anch’io…
ti amo… da sempre…» e
ricambiò la stretta alla mano.
Roy
sbattè più volte le palpebre, sorpreso da quelle
parole. Perché era vero che
avevano passato insieme la notte, ma non era sicuro che la donna lo
amasse
davvero. A volte ci sono sentimenti che si possono trasmettere soltanto
con le
parole.*
«Va
tutto bene?» chiese Riza. Adesso era lei a rivolgergli quella
domanda.
L’uomo
sorrise, felicissimo: «Sì, benissimo!»
Ma
i due dovettero scontrarsi con la realtà. «Però… come
facciamo?» chiese la bionda, esponendo le sue preoccupazioni.
«C’è la legge
anti-fraternizzazione…»
«Bè,
come abbiamo fatto ieri sera» rispose lui, stringendosi nelle
spalle.
Riza
gli rivolse uno sguardo confuso.
«Di
nascosto, no?» si spiegò lui, sorridendo come un
bambino, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
Lei
sospirò: «Non abbiamo scelta,
eh?»
L’uomo
tornò serio: «Altrimenti… dovrai
aspettare che io arrivi sul gradino più
alto... e per il momento seguirmi solo sul lavoro…»
La
donna alzò le spalle: «No, preferisco seguirti
anche nella vita sentimentale.»
«Sei
sicura?» chiese lui. «Se non vuoi…
aspettarmi, io capisco…»
«Io
VOGLIO seguirti sia nel lavoro che
fuori.»
Roy
rimase per un attimo interdetto.
«Avevamo
detto “fino all’inferno” se non
sbaglio…» continuò lei, sorridendogli
con
dolcezza.
«Sì…
fino all’inferno…» ripeté,
ricambiando il sorriso.
Suggellarono
così di nuovo quella promessa, stavolta con un bacio.
-
- -
«Padre…»
«Sì,
Pride?»
«Avevi
detto che il Colonnello Mustang era un possibile candidato per
diventare un
sacrificio…»
«Ebbene?»
lo esortò il Padre, sempre con tono calmo.
Un
inquietante sorriso si dipinse sul volto del bambino, accompagnato da
un risolino
anche nella sua terribile ombra. Due sorrisi che rilucevano
nell’oscurità di
quei sotterranei. «Allora… abbiamo un modo molto
efficace per convincerlo ad
aprire il Portale…»
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*Manga
“Il ladro dalle mille facce” di CLAMP
Note
finali
Uhm…
che dire… bè, sono riuscita a farvi diventare un
po’ delle gelatine? XD
Torniamo
seri e spieghiamo un paio di cose.
Primo:
le frasi iniziali che Roy e Riza pronunciano, fino alla fine della
telefonata,
le ho ricopiate sì dal capitolo 72 (e alcune da quello
precedente) del manga,
ma da una traduzione trovata su internet. Quindi,
è probabile
che non siano uguali né a quelle della traduzione
“ufficiale” (diciamo così),
né a quelle della serie Brotherhood.
Ammetto
che questa idea mi frullava per la testa da prima di leggere il
regolamento per
il contest. Infatti,
quando ho visto la puntata in cui
succedeva questo, immaginavo che Roy corresse immediatamente a casa di
Riza
(cosa che, almeno penso, si aspettassero molte amanti del
Royai… u.u
XD)… insomma, quel regolamento ha solo aiutato la mia
immaginazione a “completare” la scena! XD
Ho
definito l’abbraccio di Roy “oscuro” non
solo perché indossava il cappotto nero
(no, ma dai!), ma per mettere in contrasto quel gesto rassicurante e
“oscuro”
con l’ombra di Pride, oscura
sì, ma opposta perché
spaventosa. La stessa cosa per gli occhi del Colonello. Insomma, ho
cercato di
fare degli opposti, accomunati dall’oscurità, ma
che trasmettono a Riza
sentimenti totalmente diversi. ^_^
Il
titolo… bè, ho scelto questo
perché tutto parte da
Pride e dalla sua ombra, che hanno spaventato Riza, oltre che da tutte
quelle
contrapposizioni tra elementi “oscuri”.
Ridevo
da sola come una scema quando ho scritto di Hayate che pensava che la
padrona
fosse stanca… XD Sì, come no… era
occupata, altro che stanchezza! XD
Come
mi sia venuta in mente l’idea del “suggellare
nuovamente la promessa con un
bacio” non lo so… le mie strane paranoie prima di
addormentarmi! XD Allo stesso
modo l’idea della frase ripresa dal manga “Il ladro
dalle mille facce”! XD E’
molto carino, se siete delle romanticone
ve lo
consiglio! ^_^ (Stai
facendo pubblicità occulta…
-.-‘’
ndTutti)(E allora? I
manga delle CLAMP sono
bellissimi, è giusto che vengano
diffusi il più
possibile! u.u ndMe)
Alla
fine, ho cercato di “ricollegarmi” con la storia
originale. In pratica, con
quelle frasi tra Pride e il Padre anticipo
il fatto
che catturino Riza e la feriscano per cercare di convincere Roy a fare
una
trasmutazione umana (capitoli 100 e 101 del manga). Un’altra
cosa che mi aveva
colpito nell’anime
era che quella specie di dottore
pazzo, mentre parlava con Roy, si riferisse a Riza definendola
“la tua donna” o
qualcosa del genere. La mi faccia
è stata questa
---> O.O “Come la tua donna?! Ma
allora… no, non può
essere che si siano fidanzati di nascosto o cosa…”
E se invece fosse successo,
visto la strana frase? Risultato: è saltata
fuori questa fan fiction! XD
Se non capite tutta la mia strana paranoia, non
preoccupatevi… XD
Vi
prego, commentate! Mi fa piacere sapere cosa ne pensate! ^_^
Alla
prossima! ^_^