Erano anni che si era
assentata
all'Olimpo. Era stata a Efeso, dove si trovava il suo tempio. Aveva
vissuto lì, dove aveva appreso le arti mediche e guerresche.
E dove
aveva scoperto la sua vera origine. Era figlia di Zeus e di una
mortale, una certa Latona. Allontanata dalla Regina degli dei.
Strappata alla madre che non aveva mai conosciuto per mano di una
serpe. E suo padre che non l'aveva mai riconosciuta, mai cercata. E
che considerava Marte, quel borioso principe senza alcun grano salis,
unico erede al trono. Aveva lasciato che i suoi figli si burlassero
di lei, che fosse considerata la figlia che nessuno avrebbe mai
voluto, abbandonata da tutti. Nessuno aveva mai detto niente. Nessuno
tra gli zii aveva mai intercesso per lei. E Zeus, con il potere che
aveva, si era creato una corte di burattini che muoveva a proprio
piacimento.
Fece un grande respiro.
Calò sul capo
il cappuccio e spalancò le porte che facevano accedere all'
Olimpo.
Il pavimento marmoreo, coperto da un sottile strato di cirri, fece
riecheggiare il passo della divina. Zeus, seduto sul suo trono
guardò
la ragazza dall'alto della sua posizione.
“Chi sei? Cosa
vuoi da me?” Sono
tua figlia. E voglio la tua rovina. Pensò. Poi
sorrise.
“Ti sembra questo
il modo di
accogliere un ospite, divino Zeus?” il sovrano sorrise, anche
se il
tono con cui gli si era appellato non gli iaceva per niente.
“Artemide!”
fece sorridendo e
andandole incontro con le braccia spalancate. Che ipocrita! E
io
non sono da meno. In questo ho preso da lui. Pensò.
Gli andò
incontro sorridendo e lo abbracciò. Fingendo
felicità. Anche Era,
che si trovava lì, le sorrise e la abbracciò come
se avesse da poco
ritrovato una cara amica. Artemide finse anche con lei.
“Fatti
vedere!” fece la serpe
travestita da dea. Lei la accontentò. Occhi color del mare.
Capelli
ricci castani. Pelle ambrata, denti bianchi come perle. Che lei non
tardò a mostrare in uno dei suoi sorrisi più
smaglianti.
“Sei davvero
bellissima!” continuò
la regina.
“Grazie, mia
signora.” mormorò lei
con una sottile velatura ironica nella voce.
“Chiamami pure
Era, tesoro. Sono
tanto felice che tu sia tornata. Ben tornata a casa.” in quel
momento la porta si aprì.
“Oh, tesoro!
Vieni a vedere chi ha
fatto ritorno dopo tanto tempo.” fece il re andando incontro
a suo
figlio e alla dea dell'amore. Artemide si staccò dalla
matrigna. E
si voltò lentamente verso Marte.
“Salve
Marte.” mormorò lei per poi
sorridere. Un sorriso pieno di tutta la buona educazione e
falsità
che ci si poteva immaginare. E lui corrispose pienamente. Per
rispettare le buone usanze.
“Salve a te,
Artemide.” rispose
altrettanto cordialmente. D'altronde tutti erano a conoscenza del
buon sangue che NON scorreva tra i due.
“Afrodite!”
“Artemide! Visto?
Ci siamo
fidanzati!” disse lei mostrandole l'anello che portava al
dito. La
ragazza sorrise. Bene. Non potevo chiedere di meglio. Ecco svelato il
punto debole di Marte. Afrodite è proprio una stupida.
“È
meraviglioso! Sono tanto felice
per voi due!” lei guardò il suo ragazzo con uno
sguardo da
innamorata persa. E lo baciò. Cui lui corrispose. Per poi
staccarsi.
Afrodite incontrò lo sguardo della regina che
annuì. Afrodite le
sorrise di rimando.
“Vieni! Ti mostro
le tue stanze!”
fece la giovane con entusiasmo prendendola per mano. Artemide sorrise
e la seguì, non prima di aver lanciato uno sguardo agli
altri tre
nella sala.
“Stasera ci
sarà un banchetto in tuo
onore. Nostro padre ci tiene molto a te.”
“E io sono molto
affezionata a lui,
anche se non sono sua figlia.”
“Oh, tesoro
scusa. È passato tanto
temo da quando eravamo così immaturi, e ci sei mancata
così tanto,
che ormai ti consideriamo una di noi.” Non male la
ragazza come
attrice, ma io sono più brava. Fece mentre
percorrevano ampi
corridoii illuminati.
“Oh, tranquilla,
sorella.. Posso
chiamarti sorella vero? Ho dimenticato. È vero, ho sofferto
molto,
ma era anche mia la colpa. Ero stupida e immatura come tutti i
ragazzi di quell' età. Credevo di essere superiore, e
facendo così
mi sono alieniata a voi. Che ne dici di ricominciare?”
chiese.
“Certo,
sorella.” fece sorridendo.
E la abbracciò. Poi si fermò davanti a una porta.
E la aprì con
una chiave dorata. Che poi le consegnò. Aprì le
porte e entrò.
Seguita dall'ospite.
“Spero che siano
di tuo gradimento.
Ti abbiamo dato una camera che desse sull' Oriente, così da
poter
vedere casa tua ogni volta che lo desideri.” le disse
fermandosi al
centro della stanza e voltandosi verso di lei.
“Grazie,
è molto gentile da parte
vostra.”
“Pensavamo che
potesse essere un modo
per.. sancire la nostra pace.”
“Oh, è
perfetto! Avete trovato un
modo stupendo!” fece lei commossa.
“Ne sono felice.
Il banchetto avrà
luogo nella sala di oggi. Alle otto e mezza!”
“Bene! A dopo,
allora.” fece
sorridendo. E quando fu sola un ghigno le si dipinse sul volto.
Sicuramente lei e Era le avrebbero reso la vita dura. Impossibile. Ma
il piano che lei aveva in mente era ancora più crudele. Li
avrebbe
portati tutti alla rovina.
Senza alcuna via di scampo.
Era aveva già
tentato una volta di
rovesciare il regno di Zeus. E aveva fallito. Ora lei avrebbe fatto
la stessa cosa, ma con una differenza. Lei ci sarebbe riuscita.
Le ampie stanze avevano il
pavimento
mamoreo bianco. Quasi immacolato se non per qualche venatura nera. Il
letto era a baldaccino. Bianco. Le ampie finestre davano sul mare. E
in lontananza, potendo vedere oltre, il suo mare, la sua
città.
Efeso. Il mobilio consisteva in un ampio cassettone nella parete di
fronte a quella del letto. Vi era anche un bagno privato e un
salotto. Con divani. Non era per niente male come camera, bella
ampia. E molto luminosa. E per questo avrebbe apportato alcune
modifiche. Tutto quel bianco la infastidiva. Era eccessivo.
Iniziò a
sistemare le proprie cose. Si fece un bel bagno. E poi si
vestì. Un
vestito blu notte. Lungo. E un velo che partiva dietro il vestito,
blu chiaro, cosparso di polvere argentata. Una collana d'argento
elaborata, orecchini pendenti. Chioma raccolta. E poi andò.
Per gli
ampi corridoi incontrò Apollo. Suo fratello.
“Ciao
fratellino!”
“Artemide!”
fece questo voltandosi
e guardandola ammirato. “Sei stupenda.”
“Grazie!”
rispose lei fingendosi un
po' imbarazzata. Lui le porse il braccio.
“Posso avere
l'onore di accompagnare
mia sorella al banchetto?”
“Certamente, Apollo.” ribattè
lei accettando il braccio. E lo guardò. “Sai,
anche tu sei molto
migliorato.” in effetti il fratello era il più
bello, a detta sua,
di tutti gli dei dell'Olimpo. Biondo con occhi scuri e un fisico
molto prestante, aveva conquistato fin da piccolo il cuore di molte
ninfe. E lei ne era andata sempre orgogliosa in cuor suo. Soprattutto
quando aveva tentato di rovesciare il potere del tiranno, un po' di
tempo fa, quando ancora era un ragazzino. Ora invece era diventato il
protetto di Zeus, insieme a Marte, ovviamente.
Ormai era diventato uguale
a loro.
Quando entrò
nella sala, tutti
rimasero grandemente sorpresi. Sia dalla beltà della
divinità, sia
dal fatto che ad accompagnarla fosse Apollo. Tutti si aspettavano che
venisse da sola.
“A quanto pare,
Era, ha già trovato
i favori di qualcuno.” commentò Afrodite.
“Già.
Non dobbiamo permetterle di
ottenerne altri.”
“Consideralo
già fatto.”fece la
dea. Sorridendo. Poi le andò incontro e la
abbracciò.
“Tesoro!”
Artemide sorrise
falsamente, come d'altronde stava facendo anche la dea dell'amore.
“Sorella!”
fece fingendo di
strigerla commossa. Gli occhi ritirarono velocemente le lacrime. E
poi prese le mani di Zeus sorridendo.
“Non dovevi fare
tanto per il mio
arrivo. Mi lusinghi.”
“Sei la nostra
ospite, meriti tutti
gli onori. Oltre al fatto che è il nostro modo per
dimostrarti il
nostro affetto nei tuoi confronti.” lei sorrise.
“Grazie di cuore,
Zeus.” poi
sorrise a Era.
“E anche a te,
grazie di cuore.”
“Oh,
di niente, tesoro. Lo facciamo con molto piacere. Non è
vero,
Marte?” il figlio si riscosse sorridendo.
“Certo, con molto
piacere.” ripetè.
Cercando di sorriderle. C'era qualcosa nel suo modo di fare che non
gli piaceva. Bella, era bella. Ma aveva qualcosa che non lo
convinceva. Tuttavia non poteva mancarle di rispetto di fronte a
Zeus, suo padre, proprio in quel giorno. Era una cattivissima idea.
Che infatti non ascoltò.
“Marte.”
“Artemide.”
fece Marte. Poi,
vedendo lol sguardo ammonitore di suo padre, aggiunse. “Sono
felice
di riaverti con noi. Spero che il tuo soggiorno qui sull' Olimpo sia
ottimo.” lei sorrise sapendo che quello era il solito
discorso di
circostanza che se avesse voluto, si sarebbe evitato di pronunciare.
“Lo
sarà di sicuro. Non ne dubito.”
fece lei. Sorridente. E prese posto tra Afrodite e Mercurio.
“Buona sera,
Artemide.” fece egli
sorridendo “Sono felice di riaverti a casa. Si è
sentita la tua
mancanza”
“Grazie,
Mercurio. Mi siete mancati
molto anche voi. Sul serio.” fece lei sorridendo.
“E quali novità
ci sono?”
“Oh, niente di
che.. Marte e Afrodite
si sono ufficialmente fidanzati l'anno scorso. Anche se sinceramente
non capisco cosa ci trovi in lei.”
“I gusti..” commentò
Artemide.
“Ma andate
d'accordo ora.”
“Non
per questo però mi trovo in disaccordo con te.”
Mercurio sorrise.
“Sei sempre la
stessa. Bentornata.”
innalzando il suo calice. Lei lo imitò sorridendo. Non sai
quanto ti
sbagli, Mercurio. Non sai quanto ti sbagli. Ma non mi aspetto che tu
capisca.
“Grazie,
Mercurio.” rispose poi.
Le portate furono squisite
e anche
l'intrattenimento. Le ninfe danzarono e cantarono per lei. Artemide
commossa davvero, al termine delle feste non sapeva più come
ringraziarli. Ebbe modo di osservare durante il banchetto come
Afrodite parlasse del suo fidanzamento e come se ne vantasse. Non era
occhi innamorati i suoi, ma quelli di una vincitrice trionfante.
Aveva portato per ciascuno dei regali, sorridendo vedendo che
risultavano essere alquanto azzeccati.
Molte divinità
le si fecero intorno e
lei rispose con entusiasmo raccontando la sua vita a Efeso.
“Ti ha voluta
qualcuna?” chiese una
delle grazie.
“Oh
sì, ma non ho mai ceduto
totalmente.”
“Perché?” chiese la voce di Marte dietro
di
lei.
“Perché
non me la sono sentita. Tu
perché sei tanto interessato?”
“Niente, se non
curiosità.” fece
lui.
“Effettivamente
non c'è da stupirsi
se sei interessato a quel tipo di aspetto.”
ribattè provocando il
riso delle altre.
“Non ci penso da
un anno.” fece
guardando Afrodite negli occhi che sorrise. E lo baciò.
Artemide sorrise. Dei
quanto li odiava.
Falsi e stronzi come loro ne aveva incontrati pochi ed effettivamente
formavano una coppia splendida.
“Meglio per te.
Non vorrei essere nei
tuoi panni se dovesse essere diversamente.”
“Non
accadrà mai, tranquilla.”
fece lui. “So quanto ti piaccio, ma..”
“Sempre meno, stanne
certo.” fece lei sorridendo. Poi si rivolse a Afrodite.
“Tutto
tuo, tranquilla. Non ho alcuna intenzione di soffiartelo. Lascio
questo privilegio a altre, sempre che qualcun'altra ci
riesca.”
fece sorridendo.
“Spero proprio di
no. Ma è vero che
non accadrà mai?” fece lei.
“Mai, amore.
Mai.” fece baciandolo.
Era innamorato di lei. Davvero molto. E lei se ne stava servendo per
chissà quale scopo. Calcolatrice quanto lei. Sarebbe stata
una bella
sfida. Molto presto tutto quello che essi conoscevano, sarebbe
finito. Non ci sarebbe stato più un monte Olimpo, Zeus non
avrebbe
regnato più su niente se non su una landa deserta. Il
tiranno
sarebbe caduto. Lui, lui che non riconosceva la figlia. Che fingeva
di aver avuto da Latona soltanto Apollo. Che l'aveva trattata come
una straniera, come qualcuno estraneo alla famiglia. Aveva lasciato
che l'erede al trono si gioisse delle sue sofferenze. Che la
trattassero a loro piacimento soltanto perché era diversa da
loro. O
almeno credevano ciò. Zeus aveva salvato il regno
dell'Olimpo dalla
tirannia di Crono, suo padre. Ma non si era dimostrato molto migliore
di lui. E se nessuno era in grado di accorgersene, beh, l'avrebbe
fatto lei. Suo fratello da quando aveva provato non aveva
più osato
contraddirlo, e di certo lei non poteva ormai più contare
sul suo
aiuto. Avrebbe tentennato, avrebbe avuto paura. E lei aveva bisogno
di alleati veri, senza scupoli, per riuscire nel suo intento.
Verso la fine della terza
veglia, la
dea si scusò e si avviò verso le sue stanze.
Sotto lo sguardo di
suo padre, Marte si propose di accompagnarla.
“Non è
necessario.” fece lei
garbatamente.
“Sì
che lo è.” la divinità notò
lo sguardo del dio che le stava di fronte. E poi quello del padre.
“D'accordo.”
e prese il braccio che
lui le offrì. Quando furono lontani dalla sala, lei
delicatamente
tolse la mano. Lui la guardò sorpreso.
“Perché?”
“Credevo l'avessi
fatto solo perché
tuo padre ci stava guardando.”
“No... Non l'ho
fatto per questo, ma
perché lo volevo.” rispose lui. Questa volta a
essere sorpresa fu
Artemide, che si ricompose subito. “Sbaglio o quello era uno
sguardo sorpreso?”
“Non sbagli. Ma la motivazione non è
quella che credi.”
“E quale sarebbe allora la
“motivazione”?”
“Mi sembrava di
aver capito che tu
amassi Afrodite.”
“La amo
infatti.”
“Già, ma
non perdi occasione di soffermare il tuo sguardo sulle gonnelle
troppo corte delle ninfe, o le loro scollature troppo
profonde?”
“Gelosa perché nessuno ti ha ancora avuta o
desiderata davvero?”
“Non sono gelosa
di nessuno. Se sono
arrivata a quest'età vergine è solo ed
esclusivamente per la mia
volontà.” lui scoppiò a ridere.
“Cos'è'
ti brucia il fatto che sarei
potuta andare a letto con altri e non con te?”
“Oh, ci
verrai.”
“Non credo proprio: per ora tutto ciò che provo
per
te è disprezzo e disgusto, come è sempre
stato.” lui sorrse
arrogantemente.
“Hai detto bene,
Artemide: per ora.”
e se ne andò. Lei rimase davanti alla porta della sua camera
imponendosi do calmarsi. Aveva dimenticato quanto Marte sapesse
essere dannatamente irritante.
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