I palloncini
svolazzano sul soffitto,
vortici di colori non
propriamente maturi, simili a nuvole plastificate. Ed in
realtà sono pochi: sistemati lì - nel centro
della sala - per festeggiare simbolicamente la fine delle riprese.
Robert li sta osservando da un po', in realtà perso in
propri pensieri, e non si cura molto di ciò che sta
succedendo tutto intorno.
Non si cura di Susan, al suo fianco, che discute tranquillamente con
qualche suo collega - facendo il suo nome di tanto in tanto - o di Jude
che, poco lontano, pare star litigando al telefono, non si cura di Guy
che continua a distribuire sorrisi o di Eddie o di Jared o di Kelly.
Non si cura di niente, al momento, si gode solo di non essere al centro
dell'attenzione per una volta.
Ironicamente pensa che - se qualcuno gli avesse raccontato tutto
questo due o tre anni fa - non avrebbe creduto nemmeno ad una parola,
si sarebbe limitato a ridere, per tornare poi immediatamente serio.
Era sempre stato un tipo affettuoso, Robert, malgrado le apparenze. Il
contatto fisico, per lui, era all'ordine del giorno, così
come le ambiguità sul set o la complicità con gli
altri attori.
La differenza, in questo caso, stava nel fatto che si era forse spinto
troppo in là.
Che lui e Jude si erano spinti troppo in là.
Ed era evidente che stava pesando a tutti e due.
Ocean of Noise.
Durante le prime
interviste nemmeno ci
faceva caso. Veniva
completamente spontaneo, si appoggiava a Jude per comodità e
per voglia di giocare con i giornalisti, perché aveva capito
che così avrebbe fatto parlare ancora un po' di
sé, questa volta positivamente.
Jude aveva preso a fare lo stesso seguendo la sua scia. Così
come aveva preso ad ammiccare fra le parole e a confessare presunti
sentimenti che in realtà non esistevano. Lui non faceva
altro che ripetere quanto lo adorasse, quanto ci tenesse a lui, quanto
fosse meraviglioso lavorare insieme, che stava imparando tantissimo a
vederlo recitare sul set, blablabla.
Reggeva il gioco, calcandolo con le parole.
E le parole - come i gesti - hanno un proprio valore.
Ci potevano scherzare sopra ma, in ogni caso, erano cose dette
che
tornavano e ritornavano, si ripresentavano nelle maniere più
differenti. A forza di risentirle alla televisione o in altre
interviste, avevano iniziato a crederci persino loro.
I personaggi ed i rispettivi ruoli avevano fatto il resto. Era stato
tutto così intenso che, per interi minuti, persino Susan ci
aveva creduto.
«Siete carini.» Aveva detto una sera, quando erano
soli, il solito sorriso vivace e l'aria serena.
«Sì.» Si era limitato a rispondere,
chiaramente a disagio. Con lei amava parlare di quasi tutto, ma il
lavoro non era la sua prima scelta: preferiva tenere questo tipo di
questioni fuori dalla loro stanza, almeno quando poteva.
In questo caso aveva anche da coprire che la situazione stava prendendo
a sfuggire di mano.
«E siete credibili,» continuò lei, per
niente turbata da quel silenzio, «assolutamente
deliziosi.»
All'ennesimo sorriso della donna, cedette e prese quella
curiosità per quello che era, senza secondi fini.
«C'è molto del nostro impegno...» disse,
per poi sorridere in quella maniera tipica, quasi strafottente, quasi
soddisfatto dei complimenti appena ricevuti.
Susan amava questa sua caratteristica, così come adorava il
suo strano senso dell'umorismo, e lasciò correre la
questione dimenticandola nel suo abbraccio.
E lasciò correre altre sette, nove, dieci, tredici volte.
Lasciò correre ogni ammiccamento ed ogni giornalista fin
troppo malizioso.
Si fidò del marito e prese quelle dichiarazioni per quello
che erano: pubblicità.
Si fidò di lui anche quando lui stesso aveva smesso di farlo.
Perché poi arrivarono anche le occhiatine, le uscite a tre
con Guy, le fotografie ed i set fotografici. Il tour.
Quando si confondevano.
E quando, alla fine, furono chiamati per fare il Secondo. Mossa che
avevano comunque tenuto in conto da un primo momento, visto che Ritchie
non faceva che parlarne, avendo sistemato anche il finale del primo per
questo scopo, ma che presero comunque con gioia.
Perché adoravano lavorare insieme, impegnandosi al massimo,
amavano quei ruoli ed amavano pubblicizzare ogni piccola mossa.
Di nuovo pubblicità, insomma, ma di quella più
affiatata che nessuno dei due aveva mai fatto per i rispettivi film.
E tra di loro - mentre realizzavano le scene - c'erano state occhiate
delle più svariate e silenzi dei più profondi,
tutti nascosti fra battute e scherzi - dei soliti, quando non era
necessario parlare di sentimenti ed una parvenza di
normalità tornava a manifestarsi.
Di film ne avevano fatti molti e da questi avevano imparato tanto, per
questo motivo entrambi riuscivano a riconoscere che cosa stava
succedendo.Quella era tensione e della più sessuale e
subliminare, nuova e sconosciuta, al tempo stesso misteriosa.
Mai provata.
Si poggiava nei loro discorsi, si nascondeva nelle frasi, appariva
chiara solo negli occhi e nei movimenti. Nata così
lentamente che ancora non erano riusciti ad accorgersene, la scorgevano
quasi per caso - e al tempo stesso la vedevano interamente - solo
quando non erano più insieme, quando avevano tempo per
pensarci.
La trovavano intrigante.
E per questo anziché fermarsi la lasciarono crescere
liberamente, indipendentemente da come veniva recepita - ovvero nella
maniera giusta - dalla troupe e da un discorso stranamente paterno che
Stephen aveva fatto, in confidenza, a Jude.
Erano cose che non sembravano importanti, fin quando non erano prese
con serietà.
Fino a quando non si era introdotta anche nei loro sogni, nei loro
desideri, nelle loro relazioni con gli altri. Fino a quando non era
diventata, da subliminare, quasi totalitaria.
Fino alla fine delle riprese e alla relativa festicciola informale,
questa.
Adesso.
Sei Febbraio, sera.
In mezzo a tante altre persone - cast artistico e tecnico al completo -
e fingendo di ignorare il bisogno di appiccicarsi e discutere fra loro,
ignorando gli altri, nella loro soffocante confidenza. Fingendo
comunque di essere solo amici, niente di troppo ambiguo, recitando le
rispettive parti.
Con Robert nella parte di Robert, intento ad osservare i pochi
palloncini sul soffitto, la testa probabilmente persa a pensare a tutte
queste cose, e Jude nella parte di Jude, poco distante e completamente
immerso in quella che sembra una spiacevole conversazione telefonica.
«Sì, Sienna,» sta borbottando,
«ho capito quanto ci tieni, lo so.»
«Lo sai, ma non mi ascolti... è solo una festa,
Ju, perché ti lamenti? Tu le adori e questa è
intima, ci sono solo pochi amici, puoi persino fare uno di quei party
cosi che ti riescono tan...»
«Sì, le adoro,» la ferma lui.
E sta mentendo, la bugia brucia sulla lingua per quanto è
intensa. Dovrebbe specificare che le amava,
così come un
tempo amava anche lei, ma che al momento ognuna delle due cose - e
sghignazza fra sé nel paragonare Sienna ad un oggetto -
è finita per ripetersi fin troppe volte.
Routine, di quella che ti rende completamente insofferente.
«Solo che... Ben non vuole.»
Ben è il suo adorabile manager ed è praticamente
un Santo. Lo adora, seriamente, perché è sempre
stato al suo fianco, anche dopo la rottura con Sadie, ed ha continuato
a coprire e giustificare le sue colpe con una
professionalità che nessuno si sarebbe mai aspettato da un
ex-modello. Ben sa fare il suo lavoro e, come se non bastasse,
è diventato anche un amico pronto a salvarlo da ogni
sciocchezza.
«Dice che al momento non posso farmi vedere a questo genere
di cose, anche se piccole, per... per la mia reputazione.»
Continua quindi, sicuro di aver le spalle coperte e al tempo stesso
così poco interessato che nemmeno si preoccupa di coprire la
cavolata che sta dicendo.
«Ah,» mormora delusa lei, «vuoi davvero
che ci vada da sola?»
«Puoi chiamare le tue amiche, ne hai tantissime.»
«Vero, vedo se posso contattarne qualcuna, ma»
e
calcola particolarmente quella parola, con un'enfasi che ama usare
quando è irritata, «questa me la paghi Jude Law,
tu e il tuo amato Ben.»
«Ti amo.» Ride lui ridacchiando, dimenticando che
non è affatto vero, oramai abituato a chiudere ogni
conversazione con lei in questa maniera.
E non fa in tempo a girarsi, che subito Robert domanda: «Ben
non vuole?»
Si gira con lo stesso sorriso sulle labbra, rendendosi conto che forse
l'altro attore ha ascoltato tutto il pezzo finale della telefonata,
«In realtà no, lui non c'entra niente.»
«Sì, immaginavo.»
C'è del carisma persino in queste poche parole, è
tutto lì, tangibile intorno a lui. Jude ne è
ammaliato mentre si avvicina e comincia,
«Stavo...», per poi fermarsi, chiedendosi se
è giusto o meno, se deve fermarsi prima di azzardare troppo,
convincendosi pensando che Robert è il rimedio alla
monotonia dalla quale sta scappando: pare essere la cura,
«...Stavo pensando di lasciarla. Civilmente questa volta. E
credo che ci stia pensando anche lei.»
L'americano si rende conto della proporzione di quel discorso, lo
sa,
capisce quanto siano pericolose quelle parole. Per questo tiene dentro
di sé ogni possibile risposta ammiccante che vorrebbe dire,
quasi sperando di non star equivocando.
«Quindi sì, a breve tornerò ad essere
libero. Disponibile.»
Ghigna l'altro, in quel suo modo così differente e quasi
inquietante, per poi avvicinarsi e sussurrargli all'orecchio:
«Così potrò tornare a
divertirmi!»; Robert smette immediatamente di preoccuparsi,
si lascia guidare dall'istinto, allunga un braccio dietro la sua
schiena e - ridendo - sussurra: «Io ancora no,
invece.»
E dovrebbe farlo, dovrebbe fermarsi e ragionare su ciò che
ha detto, su quello che sta facendo, mentre è lì
in mezzo alla folla, poco lontano da sua moglie che ama e che
amerà sempre ma che, questa volta, non è fra le
sue braccia.
Non fa in tempo a considerare questo terrorizzante passaggio che
qualcuno richiama l'attenzione, per proporre il brindisi, per fare un
discorso, per discutere quando niente ha davvero importanza se non Jude
che continua ad essere lì, stretto ed assicurato al suo
fianco.
*
Una settimana dopo la fine delle riprese è già
fin troppo chiaro che sarà un dramma. Jude sa che
avrà altre occasioni per stare con Robert, che mancano
ancora tante cose da fare, che il film uscirà fra
più di undici mesi e che - generalmente - non deve
assolutamente preoccuparsi.
Ma è comunque ansioso.
Ed è una sensazione che ha provato molte volte, in
verità, ma adesso sembra più intensa, come se
fosse annidata sotto la pelle. Presente nelle sue vene, nei suoi organi
e nella sua testa: è uno strano tipo di nervosismo.
Con Sienna è arrivato ad essere intrattabile: non la
sopporta, non riesce più a far nemmeno finta di interessarsi
alle feste di lei e alle uscite di lei e ai gossip di lei e a lei, lei,
lei lei lei. Fare l'amore è diventato imbarazzante per
entrambi, si sente nei gemiti che c'è qualcosa che non
funziona, baciarla sembra come prendersi in giro, tenersi per mano
è una menzogna.
Così lentamente hanno iniziato ad eliminare tutti questi
atteggiamenti da coppietta, diventando amici prima ancora di rompere il
fidanzamento.
Quando finalmente smettono di uscire insieme, ricominciano ad andare
d'accordo.
La loro relazione termina nell'assoluta tranquillità, quando
guardandosi negli occhi capiscono che pensano la stessa cosa.
Ma il nervosismo che lo sta distruggendo non si placa per questo, non
ne risente nemmeno.
Ben non fa che trovare nuovi ingaggi, tra l'animazione che non ha
ancora sperimentato e la sua mai abbastanza amata fantascienza, eppure
non basta a tenerlo distratto dal suo cervello e dal filo che i suoi
pensieri stanno seguendo. Nei vari set non si trova bene come quando
stava realizzando i due Sherlock Holmes, nei vari set non ci sono le
stesse persone affascinanti e carismatiche, con un senso dell'umorismo
perfetto, nei vari set non c'è Robert con le sue battute a
sfondo sessuale e le sue stranezze tutte particolari.
E a Jude tutto questo manca, come gli sono mancate poche cose nella
vita.
Ed è colmo di questa irritazione, una forma complessa di
frenesia, che apre la porta del suo appartamento quando sente il
campanello suonare. Potrebbe essere chiunque - un paparazzo,
un giornalista, un fan, o un qualsiasi altro - ma la verità
è che non gli interessa anzi, quasi ci spera, dal momento
che potrebbe litigarci e che come prospettiva non suona nemmeno troppo
sbagliata.
Invece lì sulla soglia c'è Robert, con il
più smagliante dei sorrisi. C'è lui con i suoi
pantaloni colorati -strappati a chissà quale vecchia tuta -
e la maglia abbinata male, una borsetta orribile portata a tracolla.
Istintivamente, da persona con del buon gusto, storce il naso. Ci mette
qualche microsecondo per rendersi conto che se sta male, ed ha aperto
la porta con l'idea di fare una carneficina, è proprio colpa
sua.
«Rob...» Riesce a dire, con un tono di voce forse
troppo sorpreso, forse troppo perplesso.
«Ero di passaggio.» Giustifica tranquillamente,
continuando a sorridere a rimanere fermo sulla soglia. A Jude non va di
chiedere com'è possibile che sia di passaggio a Londra,
è ancora troppo preso dal fatto che è
lì.
«Ma sì, certo. Entra. Posso offrirti qualcosa? Il
tè ti piace, vero?» Non vuole suonare come un
cliché, si ritiene una persona decisamente più
interessante, ma è praticamente l'unica cosa che ha in casa
e sa per certo che all'altro piace.
«Perfetto...» Risponde infatti, mentre si guarda
intorno. Osserva qualsiasi cosa riesce a vedere, nel tipico
atteggiamento di chi sta studiando un posto e chi ci vive, come ci
vive.
Ma non può aspettare molto: c'è un motivo se si
trova lì, non può attendere ancora per
comunicarlo, deve parlare.
«Credo che il tuo manager non ti abbia ancora
informato...»
«Di cosa?»
«Eppure a quest'ora lo dovrebbe sapere...»
«Che cosa?» Lo interrompe ancora Jude, il cuore che
ha preso a palpitare sinistramente quando ha intercettato nella sua
esitazione la possibilità di fare un altro sequel per
Sherlock Holmes, o un altro film qualsiasi insieme, o un telefilm, una
fiction, un...
«Oscar. Pare che tu sia stato chiamato a presentare una
categoria insieme a me.»
A realizzare questo ci mette più tempo, forse troppo.
L'Academy non lo ha mai considerato troppo, anzi,
è sempre
stato piuttosto snobbato per quanto riguarda premi, riconoscimenti e
cose del genere. Perché chiamarlo adesso? Non ha lavorato
nemmeno moltissimo...
Poggia il pentolino con l'acqua sul bancone che ha di fronte, fissando
Robert - ovvero la stessa persona che, presentando i Grammy, ha fatto
un numero quasi surreale di ascolti - e capendo in ogni singola
sfumatura che se divideranno il palco in un'occasione così
importante, è per merito suo e della parola che ha messo.
Oh.
«Stavo pensando che dovremmo abbinare i vestiti. Tipo
coordinarci, visto che...» e continua imperterrito l'altro,
decisamente preso da quanto sta dicendo. Jude annuisce distrattamente -
nella sua testa l'idea che preferirebbe non vestirsi affatto piuttosto
che lasciare la questione nelle mani di quei tali che si occupano
dell'immagine di Downey Jr con il loro pessimo gusto e la loro chiara
incompetenza.
Ma nemmeno questo ha importanza. Sì, apparire è
una delle cose più importanti nel mondo che vivono - e detta
così sembra una realtà diversa e lo è,
per molti versi - ma perde di senso quando c'è Robert che ti
ha raccomandato, forse voluto.
C'è la probabilità che quelle farfalle
così sbagliate non stiano dando problemi solo nel suo
stomaco.
Il nervosismo viene meno.
Con fare seduttore - che gli riesce spontaneo quanto improvviso - si
avvicina all'altro, che nel frattempo non si è nemmeno
seduto perché troppo preso dal monologo emozionato che sta
tenendo, e con un tono di voce piuttosto basso - così tipico
dei loro ultimi flirt - mormora: «Quindi devo ringraziare
te?»
«Ma certo Judesie.» Risponde con lo stesso tono,
dopo alcuni secondi di incertezza nei quali si è chiaramente
chiesto se stare al gioco o meno - lasciando che sia questo "meno" a
vincere.
«E che cosa dovrei fare per farmi perdonare?»
Se non fosse semplicemente assurdo, Robert si sentirebbe tentato. Ma da
cosa? Scherzano su queste linee da quasi due anni, ormai, non
può essere diventata una proposta seria all'ultimo secondo.
O no? Dove si stanno trascinando con tutta questa fretta?
Non ci ha pensato fino ad adesso. Non ha voluto, così come
non ha intenzione di farlo adesso: «Non so, che cosa proponi
di interessante?»
Proponimi il mondo e di spegnere il cervello.
Jude lo fissa, arriccia le labbra, imita un qualche personaggio che ha
interpretato in un film, «Ci stavo pensando. Ma non so, che
cosa riterresti interessante?»
L'altro lo guarda di rimando - ed il suo sguardo è quasi
più intenso - mentre socchiude le labbra; pensa febbrile che
quella è, senza alcun dubbio, una proposta indecente e che
no, no, no: è troppo. Sono amici, si
sono trovati benissimo
sul set, c'è stata un'intesa immediata ed una relazione
fittizia, ma solo di fronte alle telecamere.
Una finta relazione che spinge entrambi a chiamarsi nel cuore della
notte, secondo i fusi orari più diversi, che li porta a
raccontarsi a vicenda, a parlare solo di questo con...
Ferma di nuovo ogni cosa, quando vede l'altro avvicinarsi ancora un
po' di più, rendendosi conto che questo non è il
momento per far esplodere ogni pensiero e sentimento che ha represso
negli ultimi mesi.
Ha una scelta da fare:
Scappare o abbandonarsi.
E, delle due, la seconda almeno suona intrigante.
Quindi lascia che le loro labbra si sfiorino finalmente, in un breve
contatto che non sa di niente.
Soprattutto per via dei sensi di colpa.
«Susan,» interrompe infatti, «Susan. La amo.» Ripete ancora e non a se stesso.
Non che Jude abbia bisogno di saperlo,
«Sì,» risponde infatti,
perché sa che lo fa: tutti si sono accorti che lo fa,
è impossibile non rendersene conto dal modo in cui la
stringe a sé praticamente in ogni occasione.
Tuttavia questo non li ferma, anche se dovrebbe: si baciano di nuovo,
questa volta con un po' di decisione in più - eppure
dolcemente.
«Va bene,» dice allora l'Inglese. Va bene
quando si
rende conto che non possono osare oltre, «Ti
chiamerò poco prima degli Oscar. Sappi che non
porterò nessuna con me, sai, io sono quello
libero.»
Robert si allontana, incassa in silenzio, non nasconde che è
sollevato da quel brusco ritorno alla realtà. Per quanto si
sta prendendo in giro, convincendosi che è buttarsi nella
svolta che vuole, sa che si tratta di uno sbaglio e che bloccarlo
è meglio che attuarlo. Certo, non si sarebbe mai aspettato
che Jude sarebbe arrivato prima a questa decisione - del resto
è lui quello innamorato di una donna meravigliosa, la stessa
che ha giustamente sposato.
«Sì, certo, penserò io ai vestiti
allora,» riesce a dire, sperando di non suonare
improvvisamente scortese, «per il tè
sarà un'altra volta, va bene?»
Ma anche no.
Quasi fugge da quell'appartamento, mentre una vocina dentro di
sé - quella che lo tormenta nei giorni più scuri
- blatera sul fatto che è la sua mai abbandonata insicurezza
a volere che un uomo bello come Jude sia innamorato di lui.
Che è quella piccola parte ferita a desiderare qualcosa che
chiaramente non può esserci.
*
«Ho già portato il farfallino in troppe occasioni,
tipo l'anno scorso, quindi dovrò cambiare ma...»
Robert ha questa caratteristica di perdersi nei suoi discorsi quando
progetta di abbinare i suoi vestiti con quelli delle altre persone,
sono anni che perseguita Susan proprio per questo motivo. Se lei
continua a sopportarlo nonostante questo è solo
perché lo adora.
Così Rob si è perso nel suo discorso, mentre
quello che dovrebbe ascoltarlo sta chiaramente pensando a tutt'altro.
Ben aveva chiamato Jude qualche ora dopo il "piccolo incidente".
Aveva deciso di fingersi sorpreso, per poi accettare in fretta, senza
menzionare che sapeva perché avevano scelto proprio lui e
quindi ricadere in tutte le paranoie che si stava facendo da prima. Ed
era la seconda volta che non ascoltava quale categoria avrebbero dovuto
presentare insieme.
In generale, non si era minimamente informato sui film in gara e sui
vari candidati.
Non che non gli interessasse - sapeva fare il suo lavoro - ma la mente
si distraeva: dentro di sé stava valutando degli aspetti
completamente diversi della questione, non aveva particolarmente voglia
di concentrarsi su altro.
È pensando a questi altri aspetti che si è reso
conto di essere infatuato. Decisamente, senza speranza, rapito dal
carisma di un americano fin troppo talentuoso.
Nella sua testa continua a pensarci e ripensarci, forse facendosi del
male, sicuramente tormentandosi inutilmente, fino a far passare altre
due settimane e ritrovarsi nella stessa stanza con un Robert fin troppo
preso dal discutere su come dovrebbero vestirsi.
Fra di loro non ne hanno parlato, con altri nemmeno, quei lievi
sfiorarsi di labbra sono ancora lì, repressi ed inespressi,
mentre si sforzano di ignorarli. Di far finta che quei tentati baci non
ci siano mai stati e che rientrino a pieno merito nella categoria del
gioco.
Non si direbbe, ma ci riescono benissimo: il trucco è nel
parlare di altro.
«Camicia bianca,» dice quindi, «con sopra
cravatte bianche.»
«Esatto. Originale, no?» Sembra persino soddisfatto
di sé mentre risponde.
«Ma le scarpe saranno nere, vero? Come i vestiti...»
«Ovvio.»
Peccato che non lo sia - considera Jude alzando un sopracciglio.
Conoscendo Robert, è strano che non abbia proposto qualcosa
di viola o di rosso.
O ci tiene davvero o sta tentando di fare buona impressione.
O forse ha capito che non accetterà mai di salire sul palco
completamente scoordinato.
Quale che sia la risposta, c'è che Robert ha seriamente
pensato a questo, sembra tenerci tanto quanto tiene a presentare la
loro categoria - qualsiasi essa sia - insieme. E, va bene, bianco su
bianco non si può assolutamente vedere, ma non ha nulla da
perdere, considerando che si presenterà da solo alla
cerimonia.
Senza nessuno, più o meno.
Ed è così amaro che per qualche minuto pensa di
rinunciare.
Ma questo atteggiamento non sarebbe da Jude che, anzi, ha sempre avuto
il problema opposto: quello di non riuscire a farsi sfuggire le
occasioni del genere. Non è capace, quando vede un qualcosa
di fin troppo vantaggioso perde ogni vena riflessiva.
Diventa magicamente istintivo.
«D'accordo. Facciamo come vuoi.»
«Bene!» Esclama visibilmente felice l'altro,
«E dovremmo anche arrivare prima...»
«Prima? E perché?»
«Per il Red Carpet.»
«Susan non viene?» Chiede, confuso.
«Sì, viene, ma dovresti accompagnarci anche tu
vis-»
«No.» Sbotta.
In una parola: agghiacciato.
La prospettiva che Robert sta proponendo lo è, di certo: una
di quelle follie che mediamente non dovrebbero nemmeno essere
considerate per quanto sbagliate. Oltre che umiliante per Jude.
«Ma presentiamo insieme, lavoriamo insieme, non ci dovrebbe
stare nessun problema.»
«Ci siamo spinti troppo...» Tenta di dire, dando
alle proprie parole un tono più possibile autoritario. Non
è troppo bravo in questo, motivo per il quale i suoi figli
tendono sempre a fare ciò che vogliono, ed anche ora pare
fallire nel suo intento perché non suona troppo convinto; il
punto è che potrebbe star sognando tutto, si sente come se
stesse regalando importanza ad una piccola questione che non ne ha.
Ed è spaventato da questo.
«È un nuovo livello, sì, lo avevamo
annunciato...»
«Vestito come te, insieme a te, a presentare con te...
Robert, tu lo hai capito che non sono il tuo fidanzato,
vero?!» Improvvisamente è furioso: come se il
nervoso nel giro di pochi attimi si fosse trasformato in rabbia
incontenibile. Tutti questi pensieri gli stanno logorando il fegato e
privando del sonno, ora li sente tutti sopra la lingua, pesanti quanto
violenti. Lo stanno trasformando in una persona che non è.
Fa per pensare che somiglia terribilmente a Sadie nel periodo del loro
divorzio, quando si costringe a fermarsi per riprendere il suo sfogo -
per non dare tempo all'altro di rispondere, magari giustificandosi.
«Susan! Tu ami Susan, io non sono buono nemmeno per
commettere uno sbaglio!»
«Calmati.»
«No! No, no! Io capisco che per tutto questo tempo non hai
fatto che scherzare, perché ho fatto anch'io lo stesso, e
capisco che ci siamo trovati e che la nostra intesa è
qualcosa di raro. Ma non è...»
«Giusto.» Conclude frettolosamente Robert, colto
sul vivo; non sa se era questo che intendeva dire l'altro, ma non gli
interessa: purtroppo ha ragione.
Non è giusto.
E in queste due settimane ha avuto tempo per pensarci - sì,
lo ha finalmente fatto - e a considerare ogni passaggio della loro
storia, cercando di capire come sono arrivati a questo punto,
perché hanno iniziato a percorrere questa strada e
soprattutto quand'è che una delle tante amicizie che si
è fatto sul set, di certo non la sola ad essere ambigua,
è diventata così diversa. La
tensione fra di loro
c'è sempre stata, ma di cosa si è nutrita per
diventare così grande?
Ed ora come mai si rende conto che se Jude non lo avesse bloccato,
cacciandolo di propria iniziativa, lui non sarebbe stato capace di
fermarsi.
Egoisticamente desidera Jude, vuole i suoi sentimenti, come diceva
quella voce dentro la sua testa.
Ma continua ad amare Susan e su questo non ha dubbi. Gli basta
osservarla per convincersene di nuovo, anche in quei momenti di dubbio
- che non sono rari, ma dei quali si pente subito.
È diventato un uomo diviso a metà:
Da una parte sente Susan, ovvero l'Amore, la moglie e la salvatrice,
colei con la quale vuole spendere il resto della sua vita. Quella
persona che riesce a dare un colore alle sue giornate.
Dall'altra sente Jude ed è completamente diverso.
Jude.
Lo sbaglio istintivo con le tante indecifrabili sensazioni mai provate,
nuove, che porta con sé: desiderio, fisicità,
voglia.
Di quella che - se è fortunato - dura fino a quando non la
si è soddisfatta. Che scompare perché non
è nata per durare, dal principio, ma che al momento in cui
la si prova ha la forza di sovrastare qualsiasi altro sentimento,
compreso il totale e sicuramente più vero amore per Susan.
È quindi separato nei suoi desideri, con una sola
possibilità di compattarsi: portarli entrambi alla cerimonia.
I due lati di sé - quelli che sente più di tutto
- di fronte gli occhi del mondo.
«Non verrò al Red Carpet,» lo ferma
Jude, riprendendolo dai suoi pensieri; pare essersi calmato e, forse
per la prima volta in tutta la sua esistenza, è riuscito ad
ottenere un tono di voce fermo, duro, convincente.
«Come vuoi.» acconsente stancamente Robert,
rendendosi conto che fin quando c'è l'altro ad interrompere
i suoi colpi di testa, può stare tranquillo: il suo
matrimonio non è minacciato.
«E dobbiamo smetterla.»
«Tu non vuoi smettere, Judesie.»
La parolina magica: è la seconda volta che la usa - che lo
chiama così - per provocarlo. Ed anche questo soprannome era
nato come scherzo.
Chi vuole prendere in giro?
Non ci sarà mai niente di troppo serio fra di loro, se non
un enorme paranoia.
«Si, lo voglio,» non lo vuole,
«perché tu hai Susan ed ami lei, mentre io ho solo
te. Ti amerò, Robert, ti amerò perché
ne ho passate troppe e non posso permettermi altro.»
E lui vorrebbe rispondere che sicuramente ne ha passate di
più, ma non ci riesce. Rimane in silenzio.
Accetta.
Per adesso, almeno.
*
«Quindi Jude arriva più tardi?» Chiede
Susan, quasi più interessata al suo riflesso, mentre indossa
gli orecchini. Li ha scelti quella stessa mattina e sono della linea
che Angelina Jolie ha disegnato, promettendo di dare il ricavato in
beneficienza.
In effetti ci teneva ad averli, le piacciono molto; si osserva allo
specchio e sorride soddisfatta.
Non impazzisce per questo genere di serate, si sente sempre un po' a
disagio quando si parla di cerimonie, delle volte preferirebbe
sorridere timida piuttosto che parlare con i giornalisti e, anche se
dopo tutti questi anni di lavoro si sarebbe dovuta abituare, continua a
sentirsi un po' agitata.
Semplicemente preferisce avere a che fare con furiosi registi troppo
esigenti, primedonne disperate ed egomaniaci di vario tipo che incontra
sul set ogni giorno, piuttosto che con gli intervistatori.
«No, lo vuole saltare. Dice che si annoia...»
«È perché non ha una fidanzata da
portare con sé.» Scherza lei.
«Sì, lo so.»
«Però è strano, vero? Potrebbe trovare
molto facilmente chi vuole...»
«Verissimo.» Risponde lui, mentre sente i sensi di
colpa prendere il sopravvento. Ha una sola frase nella testa:
è sbagliato, è sbagliato.
E pensare che non hanno fatto assolutamente nulla, a parte un lieve
bacio, e già si sente un infedele. Come se la stesse davvero
tradendo.
È perché lo sta pensando.
Susan si alza dalla sedia, radiosa perché felice, sistema un
po' il vestito per assicurarsi che non ci siano brutte pieghe.
L'acconciatura è venuta bene, le piace, i gioielli sono
tutti al loro posto. Il trucco è molto leggero.
Una volta finito di sistemarsi, si volta per osservare il marito
intento nel sistemarsi la cravatta; sa che non ce n'è
bisogno - lui ha imparato da tempo a farlo - ma le viene spontaneo di
avvicinarsi per offrire il proprio aiuto, «La
cravatta?» Chiede intanto, «avevo capito che avevi
chiesto un farfallino.»
«Lo avrà Jude, infatti!»
«Gli hai lasciato il farfallino? Significa che lo ami
proprio, devo mica diventare gelosa?»
Sta per inorridire, come se i sensi di colpa non bastassero, ma la
risata di lei lo interrompe: con il passare degli anni si è
fatta un po' contagiare dal suo strano senso dell'umorismo, non
c'è da sorprendersi. La cosa buffa è che questa
volta è stato proprio lui a cascarci. La accompagna
sghignazzando, ma per nulla sereno nonostante si trattava di uno
scherzo.
La abbraccia, come per purificare la sua anima, perché in
passato ha capito che è Susan a scacciare i suoi demoni, a
liberarlo dai problemi più intensi. La stringe forte,
fortissimo, perché più che tradirla ha quasi
paura di perderla; la tiene fra le sue braccia con egoismo, lo stesso
egoismo con il quale sta trattando anche Jude, e chiude gli occhi.
Poco dopo lei lo bacia.
E a lui tornano in mente altre labbra e quanto queste fossero
invitanti; la brutalità di questo pensiero lo accoltella
dritto al cuore, lo lascia sanguinare.
Si separa frettolosamente da quel contatto, nei suoi occhi si
può leggere chiaramente perplessità, nervosismo,
colpa.
Ma deve riprendersi, sente il bisogno di fingere in tutte le vene,
è il suo corpo che vuole camuffare le sensazioni sbagliate
che sta provando: tutto di lui vuole far finta di nulla.
E Robert, con Susan, ama parlare di qualsiasi cosa.
Amava parlare di qualsiasi cosa.
«Dai, Sue,» ride dopo qualche secondo di silenzio,
imitazione perfetta di un emozione positiva, «dobbiamo fare
in fretta ed ho un dubbio non da poco: porto gli occhiali sì
o no?»
La donna coglie qualcosa che non va nelle sue parole, ma decide di non
darci peso. Susan ha questo difetto: non dare peso alle giuste cose.
Ed è per questo che finiscono di prepararsi in fretta,
lasciandosi distratte per la naturale emozione, arrivando infine alla
cerimonia con altri pensieri per la testa.
Si concentrano sulle foto, gli altri ospiti, i discorsi, le
televisioni, i canali privati, quelli cibernetici. Dimenticano che,
fino ad un'oretta prima, c'era questo problema fra di loro, scordano
che Robert le stava mentendo.
Il tempo fugge in un attimo, quando arriva il momento di andare dietro
le quinte.
*
Jude arriva in ritardo, ombra misteriosa in una notte fin troppo
popolata, illuminata fino all'estremo; indossa ciò che
Robert gli ha quasi imposto di portare, anche se non ama
particolarmente quel tipo di cravatte. Visto che si tratta comunque di
distruggere la propria dignità, tanto vale farlo con classe.
Distruggerla del tutto.
Entra quindi nel camerino predisposto al trucco, quello dove gli attori
vanno a sistemarsi per apparire decentemente sotto i riflettori del
palco, ed è lì che trova il suo co-presentatore -
che, prima di vederlo arrivare, non si era nemmeno accorto della sua
presenza in sala, quasi agitato al pensiero che non si sarebbe
presentato.
Il perché tanta gente dubitasse della sua
professionalità gli è ancora ignoto.
Rimane lì sulla soglia, la faccia di chi è stato
condannato a morte o di chi deve andare ad un funerale. Come se la fine
del suo orgoglio fosse davvero una cosa così importante, per
la quale vale la pena di rattristirsi.
«Ti serve un po' di buon'umore.» Constata Robert ed
imprime in quella semplice frase, e nel sorriso che la accompagna,
tutto il fascino di cui è capace.
A dir la verità è un atteggiamento diretto alla
truccatrice, visto che ha paura che il cerone possa macchiare tutto il
bianco che indossano.
«Mh,» sbotta l'altro, ancora indeciso se sedersi o
meno.
«Ragazze,» chiede alle due esperte,
«potete lasciarci soli per qualche secondo? Poco tempo, lo
promettiamo, dobbiamo solo rivedere qualche cosa per lo
spettacolo.»
Le due fanno come chiesto senza nemmeno aspettarsi un Grazie,
ridacchiando fra di loro; sono abituate ad avere a che fare con ogni
tipo di star ed ogni tipo di capriccio, ma l'emozione di lavorare per
loro rimane nonostante questo.
Rimasti soli, Robert si alza, «Hai il farfallino
stor-»
«No, non ti azzardare ad avvicinarti!»
«Judesie...»
«Robert.»
La tua parolina magica non funziona più.
«Oh, e va bene! Sistemalo da solo. Basta che lo
fai...» e lo guarda. È felice, il suo umore si
scontra apertamente con quello dell'inglese, ma la sua gioia
è più contagiosa, «Sono contento. Ho
anche scritto un paio di battute, sai, per far venire meglio lo
spettacolo. Ti va di leggerle?»
«Hai scritto un copione?»
«Non proprio un copione, delle linee guida. Per fare ridere
un po'.»
«Rob, hai intenzione di stordirli con il tuo naturale
carisma?» Ghigna Jude, ben sapendo che questo suo modo di
fare viene recepito come strano, eppure decisamente troppo abituato per
smettere, «Sai che tutti penseranno male, se ti vedono
così impegnato?»
«Che pensino pure male, non hanno mica tutti i
tort-»
«Non ci posso credere!»
«Lo so! La devo smettere ma, mi spiace, non ci riesco:
è spontaneo, non ti so parlare altrimenti.»
«Ed io non ti so rispondere senza sembrare un disperatissimo
innamorato.»
«Questo mi piace.»
Sì, decisamente. È
probabilmente per questo che
lo stuzzica.
«Lo so.»
Non si guardano più, hanno entrambi abbassato gli occhi, per
non fissarsi in questo momento. Si rendono conto che le cose possono
solo degenerare, quando dovrebbero andare d'accordo ed abbracciarsi e
presentare questa maledetta categoria - effetti speciali, si ripete
Jude - insieme.
Con il solito metodo, dimostrando affiatamento.
Ma per fare questo, si deve fare un passo indietro.
«Non ti amo davvero.» Dice Jude, alzando
improvvisamente gli occhi.
«No, certo, me ne rendo conto.» Risponde l'altro,
il tono di voce non tenta nemmeno di dissuadere l'amarezza. Come se la
cosa lo deludesse oltre ogni sua volontà.
O volontariamente, per quel che conta, che è la stessa cosa.
«Le battute...» cambia discorso, «puoi
seguirle o no, non importa,» e gli porge un paio di foglietti
bianchi.
L'altro li prende, «Sì, grazie,» dice
distratto, senza nemmeno preoccuparsi di leggerli; conosce Robert e
dubita fortemente che seguiranno quelle tracce.
Come se non si sentisse abbastanza comandato, fra l'altro.
Solo che è inutile inacidirsi ancora di più.
«Sei troppo emozionato,» dice con un tono
più tranquillo. Fingendosi tranquillo.
«Sì. E lo saresti anche tu, se non fossi troppo
preso dal fare la primadonna.»
Per non dire ragazzina.
...Quanto è vero.
Sta per replicare, comunque, in un improvviso moto di
dignità personale (la stessa che ha dimenticato di avere),
quando l'altro riprende come se niente fosse: «Guarda che mi
piace questo atteggiamento, basta che lo perdi quando andiamo in scena,
ma poi puoi riprenderlo se ci in-»
Il momento in cui saranno in scena.
Le truccatrici saranno lì fra poco, il momento in cui
saranno in scena, non c'è molto tempo, manca poco,
pochissimo, la coordinazione, le battute, i vestiti troppo simili, il
momento.
In cui.
Il momento in cui, rapito dai suoi vorticantissimi ragionamenti, si
avvicina e lo bacia per una terza volta. Veloce, istintivo, quasi
replicando quello che è successo l'ultima volta a casa sua
meno di un mese fa; eppure con qualche pensiero in più,
visto che questa volta hanno avuto fin troppi giorni per ragionarci
sopra - non hanno fatto altro che ragionarci sopra.
Robert non si scansa, né lo asseconda. Non fa niente.
Si limita a lasciarsi baciare, cullato dalla comoda idea che
è sempre Jude a fare il primo passo e sempre il primo a
tirarsi indietro. Fin quando è così
può permettersi di agire, di lasciarsi andare,
perché ha completamente dimenticato tutti i motivi per cui
non dovrebbe.
Tutte le persone.
Cancellate dalla propria testa.
Quando sente la sua lingua sulle labbra, né troppo timida
né troppo maliziosa, si permette di rilassarsi ancora, di
stringerlo a sé in un abbraccio forzato, assecondando questa
lieve trasgressione come solo un tempo avrebbe fatto - i tempi che
pensava finiti quando è riuscito ad andare avanti.
Jude crea dipendenza, ne è certo, ma non ha ancora avuto
modo di condizionare il suo organismo.
Né lo avrà.
Lo capisce quando lo sente fermarsi, senza lasciare la sua stretta. Non
lo sta guardando negli occhi, è concentrato solo sulla sua
bocca e solo su quella.
In questo attimo, Jude non ha paranoie.
Non le sente, sono scomparse, ed ora riesce a capire pochissime cose:
una è la voglia di andare avanti, proseguire - la sente
interamente nel cervello, la sente mentre batte sulle tempie.
La seconda cosa che intende - perché è scivolata
dentro le ossa - è il bisogno di correre a casa sua.
Prendere un aereo qualsiasi diretto in Inghilterra, il primo nel cuore
della notte, all'ultimo secondo.
Tornare nel suo quartiere, nel suo appartamento; chiudersi dentro e
lasciarsi morire.
Ci penserebbe davvero se non fosse per i suoi amati figli che non vuole
lasciare orfani.
Ci penserebbe davvero se non fosse per le labbra di Robert, ancora
così vicine.
E vorrebbe dirgli: C'è tua moglie lì
fuori.
E Robert probabilmente risponderebbe: Ma oramai penso a te
anche quando
sto con lei.
Eppure non dice niente, non sente niente.
Per questo lo bacia di nuovo, accompagnando questo gesto con la
passione dei sensi, tentando di annullarsi in favore di quel contatto -
una maniera molto più dolce di scomparire.
Affogare in quelle sensazioni.
Ma si rende conto che non funziona. E l'unica cosa che riesce ad
abbandonare è il suo corpo, l'unica che annulla è
la vicinanza, ad affogare solo le sue illusioni.
Percorre tutto il camerino con la fretta che vorrebbe mettere per
scappare a Londra. Si allontana il più possibile mentre si
rende conto che se continua così l'altro lo
prenderà per pazzo: non è possibile che non
faccia altro che cambiare idea, che sia così indeciso.
Robert ha riaperto gli occhi - ma lentamente, come per impedire alla
realtà di colpirlo interamente - e sembra un po' confuso,
anche se non sorpreso. Non ha l'aria di chi sta pensando cattiverie.
Ha solo il fiatone, come lui del resto.
«Serve che ti dica...» Inizia; non sa se scusarsi o
meno, non sa che dire, non sa se questa volta dovranno ignorare la
cosa. Da questo punto di vista è fortunato che Robert non abbia ancora preso a considerarlo come un pazzo, visto che dentro di
sé tiene il doppio delle angosce e delle insicurezze.
«No, lo so.»
«Bene,» annuisce per niente convinto. Non
va bene
affatto.
E tuttavia l'altro sorride, di nuovo felice, come se si sentisse
soddisfatto per aver appena realizzato un sogno che covava da tempo.
«Dovremmo richiamarle,» spiega, come se non fosse
successo nulla, «perché tra
pochissimo...»
Ah, già. Si stava dimenticando di questo
"piccolo"
particolare.
Improvvisamente non gli appare nemmeno tanto strano che l'Americano sia
così contento: è la notte degli Oscar, hanno una
categoria da presentare, sta andando tutto più o
meno come
aveva malamente organizzato, ha due accompagnatori - come desiderava -
e sono entrambi suoi amanti.
Amanti, pensa amaro mentre finalmente si siede al
suo posto, pronto per
il trucco, una ragazza velocissima in piedi di fianco a lui.
Non basta un bacio poco approfondito per trasformarti in un amante.
*
Ci sono riusciti: sono saliti su quel benedetto palco, hanno fatto lo
spettacolino - e non ha ancora capito quanto hanno seguito il copione
di Robert e quanto no; da parte sua si è limitato a fare
l'antipatico, perché aveva bisogno di dire cattiverie e gli
è venuto naturale sputare nervoso qualche battuta a sfondo
sessuale (tra l'altro veritiera) - e non si è nemmeno preso
la briga di sistemare quel maledetto farfallino.
Sì, per pura ripicca.
E se prima Robert era felice, adesso è euforico: sta
chiaramente toccando il cielo con un dito. Lo ha anche stretto in un
abbraccio - normale, di quelli che un tempo li tenevano sempre legati,
di quelli che li legano quando non riescono a stare senza.
Si sono scambiati qualche parole restando così, vicinissimi.
Jude lo ammette: l'emozione degli ultimi istanti, la gioia della
riuscita, ha eliminato molte delle sue ansie; si dice che potrebbero
provarci, che non hanno nulla da perdere, che non lo saprà
nessuno, che stanno bene, si divertono...
L'arrivo di Susan porta con sé troppe consapevolezze.
Ovvero si rende conto che è lui a non avere niente da
perdere, non l'altro, che già sta baciando sua moglie.
Baciando.
Nausea.
Baciando.
Gelosia.
«Ciao Jude,» saluta lei, contenta quasi quanto il
marito.
Gelosia, nausea, «Ciao Susan,» dolore dolore dolore
dolore, «stai benissimo.»
Non è stupido - nonostante qualcuno lo pensi - quindi sa
perfettamente che la tecnica migliore per arrivare più
o
meno indenne alla fine di una serata del genere è
far finta
di nulla.
Ignorare.
Ed è quello che fa: ignora qualsiasi cosa, si concentra solo
sulla serata in sé. Del resto, viene incredibilmente facile
sorridere quando si ha delle telecamere davanti, quando la tua immagine
viene ripresa, sistemata, rimontata ed infine riproposta - venduta - a
chiunque.
Il resto diventa fin troppo pallido in confronto a questo, pretesto
troppo debole per lavorare male.
Jude lo sa.
Per questo sorride. Stringendo Susan, stringendo Robert, stringendo
tutte le persone che conosce e riconosce - tutte rincontrate nel corso
di quella serata. Segue tutti quanti, come guidato dalla corrente,
senza sforzarsi per apparire troppo carismatico - sarebbe
controproducente, in questo momento - ma accontentandosi di non
sembrare patetico.
Non pare particolarmente turbato, nonostante tutto. Nemmeno quando,
dopo un'intervista forse un po' lunghetta - perché
decisamente non sanno farne di brevi, adorano parlare -, è
Susan stessa a richiamarli.
Ad interrompe il momento.
«Andiamo ragazzi,» dice vivace.
Come se fossero entrambi suoi, dimostrazione forse passiva che ha
capito. Che non vuole essere messa da parte, che le va persino bene,
che...
«Andiamo.» Ripete Robert, parlando velocemente
vicino al suo orecchio. Jude aveva sentito perfettamente la prima
volta, ma a questa decide di annuire.
Queste piccolezze non possono distruggerlo: si rende conto che non sono
giuste e, finché gli parla così, può
sopportare ancora.
E difatti resiste fin quando gli echi nella sua testa - gli stessi che
reprime da ore - non si fanno troppo forti. Se ne va, mentre sembra di
nuovo un'ombra nella notte.
Mentre è notte fonda, li sta abbandonando, e torna a sparire.
Sparire.
Dalla serata, dalla cerimonia, dalla mente di Robert. Lui che, non
appena rimasto solo con la moglie, torna ad essere lo stesso marito
devoto che era nel pomeriggio.
Ed è con lei che se ne va, ancora rincorso dai complimenti
su quanto sono stati divertenti - e che peccato che il suo film non ha
vinto alcun premio.
Ma continua a sorridere soddisfatto, anche quando sono svestiti nella
loro camera d'albergo, non ha più voglia di rimuginare: ha
bisogno di lasciare tutto alle spalle.
Sente la propria felicità sulla pelle. Ed è
così raro, per lui, che quasi si commuove; la sente scorrere
nelle vene assieme al sangue, porta al cervello nuove
verità: sta bene.
In questo istante, sta bene con lo spazio intorno.
Con Susan, in particolare.
La ama, lo sente nel corpo. Così come sente che lei non ha
proprio nulla da temere, che per quanto sia passionale e forte
ciò che prova per Jude - e che lo spinge verso di lui - sa
ancora rimanere fermo dov'è. Riconoscere il giusto.
E, per consacrare tutto questo, fa l'amore con lei.
La ama come l'amava nei giorni delle prime vittorie insieme - poco
tempo dopo il matrimonio - e lo fa per mille motivi consistenti che gli
vorticano nella mente.
La ama perché il suo personale Pericolo è
scomparso nelle ombre.
E si stupisce nel constatare che non c'è più
nessuna difficoltà in questo, non deve nemmeno impegnarsi;
sta tutto nel trasporto con cui si muove, frutto dell'abitudine e
dell'affetto.
Sta tutto nel tenere gli occhi aperti, fissare bene chi ha con
sé.
*
Quando si sveglia è tardi - anzi tardissimo, praticamente
sera a giudicare dalla luce che filtra nella stanza dalla finestra - e
sua moglie non c'è, sicuramente scappata via per non
rischiare di svegliarlo - ha spesso di queste dolci premure nei suoi
confronti, in una sorta di istinto materno.
I risvegli continuano ad essere traumatici, per lui, lo portano sempre
a confondersi, a vivere quel momento incerto in cui non è
sicuro né del passato né del presente. Ci sono
delle mattine in cui non ricorda che è tutto passato, che
è "guarito", che non si trova in prigione e che Susan non
è un chissà quale detenuto fin troppo sottile.
Ridicolo come quei giorni suonino così lontani e
così diversi dalla gioia che provava ieri notte. Assurdo che
sia passato da luoghi sempre troppo freddi a sentire il proprio cuore
biforcarsi.
Jude.
Allunga una mano per prendere il vecchio telefono dal comodino e, dopo
aver controllato l'orario effettivo, scrive un messaggio conciso.
Deve chiarire le cose. Si è reso conto di che razza di
oceano si stende fra di loro, distesa infinita di errori e
complicazioni, fatta di paranoici silenzi. Fare qualche altro passo in
quella direzione è una follia, oltre che sbagliato.
Nuotare è sconsigliato quando c'è il mare in
tempesta.
E non può perdere la perfezione di quelle mattinate
così pure, così pulite, né l'amore di
una donna che per prima è riuscita a spogliarlo di tutti i
suoi problemi e dalle mille etichette.
È persino disposto a tornare in Inghilterra, se questo
significa chiudere il problema in modo positivo.
Ma l'altro risponde poco dopo, ed è ancora in
città.
Perfetto.
Si alza si lava si veste con le prime cose che trova nella valigia,
senza dare nemmeno un po' di importanza a cosa ha preso; non guarda mai
le mode, nemmeno quando sono altre persone ad indossarle, e un paio di
cose scoordinate non sono la fine del mondo.
Sicuramente non possono essere paragonate allo scopo della
sua uscita.
Privo del tempo per fare colazione - nel messaggio non è
specificato se Jude sta per partire o se, al contrario, anche lui si
è appena svegliato - si limita ad uscire in strada, con il
passo di chi sta correndo dalla propria Amata per svelarle
chissà quale struggente sentimento.
Peccato che, in realtà, stia andando a fare l'esatto opposto
con una persona che non è assolutamente la sua Amata.
Solo pensare a questo ridimensiona tutte le sue decisioni, lo costringe
a fermarsi per un paio di secondi - gli attimi che impiega per
ricordarsi che ha promesso a se stesso di non fare più il
vigliacco - e a tremare leggermente.
Riprende a camminare decisamente più incerto.
E sa che non se lo può permettere, visto che non
è nemmeno così difficile seguire un pensiero: lo
si ha in mente, poi lo si realizza.
L'attrazione non dovrebbe mettersi in mezzo.
Eppure si sente come se stesse per amputarsi una gamba, avendo come
arma le parole.
Niente giri, quindi, deve dire tutto ciò che pensa subito.
Sintetizzarlo in poche frasi. Usare poche lettere.
Quando crede di aver trovato l'hotel, prende di nuovo il telefono in
mano e scrive nervosamente:
Stanza?
La risposta arriva velocemente, con un messaggio contenente solo un
numero.
Quindi sale, ansioso, arriva di fronte alla porta e bussa. Ha la
sensazione di aver bruciato intere tappe in pochissimi secondi, che
magari ha considerato male, ci sono vari tipi di amore e non vede come
uno di questi possa sporcarne un altro, visto che sono tutti sentimenti
nobili e...
Il flusso delle sue contraddizioni viene interrotto da Jude stesso.
«Ciao.» Lo accoglie. Non aggiunge altro, si limita
a spostarsi di lato, cenno muto che significa: entra.
Sembra nervoso
anche lui, probabilmente ha capito che questa non è il tipo
di chiacchierata che si può fare sulla soglia della porta.
«Ciao...» Si limita a rispondere Robert, incerto.
L'altro ha l'aspetto di chi non ha dormito affatto, le occhiaie rosse e
gli occhi tristi. Non fa paura ma nel complesso nemmeno tenerezza.
Non ha l'aria di chi è distrutto, ma quella di chi ha smesso
di ignorare per iniziare a capire; la persona che può
reggere ogni cosa perché se l'aspetta.
Altro motivo per cui questa confessione, questa presa di decisione, non
deve essere così difficile. Anche se di certo non
riceverà alcun tipo di aiuto per dirla...
«Ieri sera è andata benissimo...»
Comincia, senza sapere bene da dove cominciare - e tastando il terreno
al tempo stesso.
«Non poteva andare meglio.»
«Esatto. Stavo pensando che...»
«Lo spettacolo è uscito come volevi?»
«No,» risponde istintivo,
«cioè: sì. Non è di questo
che volevo parlarti...»
«Strano,» scherza stranamente ironico - ma anche un
po' amaro - l'altro, «molti parlano di noi come se fossimo
una coppia.»
«È di questo che...»
«Ma noi non siamo una vera coppia.»
No.
Sì.
Sì, esatto. Non lo sono né lo saranno mai: era di
questo che doveva parlare, no? Eppure non sta dicendo niente.
«E non lo siamo perché non
funzionerebbe,» continua Jude, «ci sono troppe cose
di mezzo: Susan, i nostri figli, i vecchi matrimoni, le ex fidanzate,
fidanzamenti sciolti da poco, poi...» e continua a parlare
con un tono di voce particolare, che è raro sentirgli.
Difficile dire quando un attore sta mentendo o quando no, difficile
capire quando sta improvvisando. Jude ha l'aria di chi sta parlando
spontaneamente, senza pensarci troppo, ma lo fa elencando cose che gli
vorticano in testa dal giorno prima.
E Robert non lo sta ascoltando da quando ha ripreso il discorso.
Susan, ha colto solamente. Susan che ha
così tante premure
nei suoi confronti, lui che invece esce senza avvisarla per andare a
sistemare quello che poteva diventare un tradimento.
Che diventerebbe un tradimento, se non fosse per il monologo che sta
tenendo l'inglese.
«E stai pensando a lei.»
«Perché sono scappato qui non appena mi hai
risposto,» si giustifica subito, i suoi occhi intenti a
fissare un piccolo punto più chiaro nella moquette,
«ero ancora nel letto e lei non c'era. Non sa che sono
qui...»
«Oh.»
Oh: rivelazione dell'anima. Quando troppi pensieri si accavallano e
nessuno riesce a diventare parola per primo, lì nasce "Oh",
composta da due lettere dal suono trasparente.
Dette indossando un'espressione sorpresa.
«Volevo...» ne approfitta per dire qualcosa lui,
finalmente, decidendo che ora può farcela,
«Volevo,» mollarti,
«parlarti.»
«Lo so.» Annuisce Jude, tranquillo, che sembra non
aver colto la piccola pausa fra le poche cose che è riuscito
a dire, «E mi va bene, ti ascolto.»
«Ieri sono stato felice.»
Inizia. E alza lo sguardo: ha come l'impressione di aver capito dove
arrivare, che cosa vuole davvero e mai come ora è deciso ad
ottenerla.
Una parte di lui si sente soddisfatta per aver ritrovato i testicoli.
«...Lo sono stato grazie a voi.»
«No.»
«Voi mi rendete felice, molto più dei complimenti
che ho ricevuto o della serata in generale.»
«No, Robert, no. Non c'è spazio per m-»
«C'è, invece!»
«No che non c'è! E ti ho già detto di
non tentare di illudermi o cose simili: ieri l'ho visto
chiaramente,» no, non l'ha fatto: ieri era troppo preso
dall'ignorare ogni cosa. Lo ha capito quando - mentre aspettava un taxi
insieme a Justin - si è ritrovato a pensare a quanto era
successo, per poi restare a rimuginarci tutto il resto della nottata
fino a quel momento, «ma... ma, senti, non sono innamorato di
te,» un po' lo è, invece, «quindi non
iniziare a proporre cose strane. Non è un problema, non
c'è niente fra di noi, basterà non rimanere
insieme o a stretto contratto e tu sarai salvo.»
E dopo aver fatto questo discorso, Jude considera che vorrebbe una
macchina del tempo, per tornare indietro ed usare questa improvvisa
maturità e questa ancora più strana comprensione
per sistemare molti dei suoi sbagli. Chissà quanti problemi
potrebbe eliminare dalla sua storia.
Come il tradimento di Sienna. Ma lì il discorso era diverso:
in quel periodo stava così bene che aveva la sensazione di
poter fare tutto senza ricevere nessun tipo di punizione in cambio.
Senza rendersi conto delle conseguenze.
Al momento, invece, ora che è qui - senza nessuna
possibilità di riscrivere ogni pezzo - a rinunciare ad una
possibile felicità, sente che gli manca tutto quel candore
infantile.
Ed è pazzesco come il candore infantile lo abbia portato al
tradimento della propria fidanzata, mentre la mancanza di questo gli
sta impendendo di rovinare un matrimonio fin troppo funzionante.
Senza di lui ad alterare una parte, almeno.
Quando il sesso era la sua priorità, il suo pensiero fisso,
prima sopra tutto, lui era innocente. Che paradosso.
Ed il punto è che il sesso, con Robert, non lo ha proprio
considerato. Probabilmente non saprebbe nemmeno da dove iniziare e
dubita che una cosa del genere possa venire spontanea...
E se non ha ancora pensato ad una cosa del genere, che sarebbe il
fondamento di ogni coppia, che cosa ha intenzione di fare? Che cosa ha
in testa Robert? Non riesce a chiederglielo.
«Jude...» Lo richiama l'americano. Lo sta fissando
da un bel po', nello sguardo tanta di quella tristezza che è
difficile da capire, «Mi dispiace,» aggiunge quando
è certo di aver ottenuto la sua attenzione, «forse
è vero che non si può fare.»
Tutti questi forse, magari, può
darsi, probabilmente! Non
è possibile che in tutta questa storia non ci sia nemmeno
una certezza, ha bisogno di un verbo.
Che nessuno dei due sa mettere.
«Dispiace anche a me.»
«Non so cosa fare, sai? Non so nemmeno che cosa sto
facendo,» continua, «e più ci penso
più complico le cose.»
«Ti posso capire.» Lo sta facendo anche lui, in
effetti.
«Non so nemmeno come ci siamo arrivati!» E ha
l'aria di chi sta per mettersi a piangere, prima di aggiungere
risoluto: «Non voglio più pensarci.»
Jude sente che gli farebbe anche compagnia, in un complice pianto
disperato e nella sua testa immagina brevemente la scena.
Che sì: è troppo patetica anche solo da pensare,
non può essere presa in considerazione.
Preferisce limitarsi ad annuire: «Va bene.»
«Torniamo come eravamo un tempo, quando ci siamo conosciuti,
agli inizi. Ok?»
«Sì, niente più pensieri. Solo istinto,
qualche risata.»
«Esatto.»
Segue un attimo di silenzio imbarazzante. In realtà, nessuno
dei due ricorda questi fantomatici inizi: da quel che ricordano,
è sempre stato così, si sono sempre guardati
cercati toccati fissati provati come se niente fosse.
E non possono essere amici senza tutto questo, equivarrebbe a perdere
troppo.
Questa è una strada a senso unico.
«Jude? Magari puoi...» sorride tristemente,
«puoi continuare con le tue incessanti dichiarazioni amorose.
Ok? Mi mancherebbero.»
«Ma sì, certo.»
Non le sentirai mai più.
«E...»
«Grazie, Rob.» Lo interrompe, imitandogli il
sorriso. «Dovrei ripartire... ho un bel po' di cose da fare,
sai, fantascienza, sacchetti di plastica, cartoni animati...»
Tenta di scherzare - senza riuscirci del tutto.
«Suona divertente.»
«Già.»
Si fissano. Questo non è un addio, si rivedranno ancora
tantissime volte, avranno un tour piuttosto lungo da affrontare
insieme, ma tuttavia questo suona come il peggiore - ed il
più triste - degli addii.
Perché di certo non si rivedranno mai più in
queste vesti o in condizioni simili; Robert non rivedrà mai
il cuore di Jude riflesso nei suoi occhi.
E vorrebbe distruggere questo momento. O suggellarlo con un bacio. Lo
sente proprio, il bisogno di abbandonarlo nella maniera più
giusta...
Solo che non ci riesce, come non è riuscito a dire tante
cose.
Si limita a salutarlo, malinconico, per poi scivolare fuori dalla
porta, lungo le scale, dall'hotel.
E fuori è di nuovo buio. Mentre lui scorre nella notte ed
è tornato ad essere un'ombra.
Mentre considera che l'oscurità è come l'oceano
che, ora ne ha la conferma, si stende fra di loro; immenso, spietato,
misterioso.
Totale.
Così totale che li fa diventare incolori quando si trovano a
separarsi, quando si dicono un addio che lo è solo per finta.
Sagome nel buio.
*Fin*
Note:
Dunque.Questa è una follia e me ne rendo perfettamente conto
da sola ma, visto che questa idea mi ha levato notti e notti di sonno,
ho deciso che tanto valeva scriverla :D
Non vi mentirò: è una fic abbastanza importante
per me, visto che non solo segna la mia entrata "ufficiale" nel fandom
ed il mio ritorno su EFP - che sì, avevo abbandonato - ma
inaugura anche (e finalmente) questo account ♥
E naturalmente ha delle dediche.
La prima è per Manu
che mi ha sopportata in questi giorni (e
soprattutto queste notti) e supportata fin dal primo momento, non
abbandonandomi mai ai miei deliri (come invece avrebbe dovuto).
Perché ha letto la fic a pezzetti, pur di vedermi andare
avanti, ha calmato le mie ansie, smentito le paranoie, nutrita di
complimenti.
Perché è sicuramente merito suo se sono qui a
scrivere~ e per tutti i film che abbiamo visto insieme, anche i
più strani che non abbiamo capito.
La seconda è per Barbara
che, con la sua cura di insulti,
è riuscita a farmi vedere un po' oltre la mia insicurezza,
spingendomi a postare - ed aiutandomi in questo. E per la virgola
nonsense, non dimentichiamo ♥
Perché ha speso del tempo per me ed è stata
carinissima nel farlo.
La terza è per Vane
che non solo fa il compleanno fra poco,
ma è stata così gentile da ritrovarmi le date per
nutrire il mio bisogno di precisione. E poi, lo ammetto, parte di tutto
quello che ho scritto è frutto delle nostre
discussioni/ragionamenti di tarda notte (il ché magari
spiega perché sono così sclerati xD).
Quindi: questa fic è dedicata a queste tre meravigliose
fanciulle che, per prime, hanno creduto in me. Ma voglio ringraziare
CHIUNQUE si ritroverà a leggere queste note, e chi
leggerà chi commenterà chi odierà chi
amerà chi chi chi.
Un ringraziamento a tutti, insomma♥♥♥.
Detto questo:
La fic inizia il 6 Febbraio, giorno della fine delle riprese; Robert va
a casa di Jude il 12, ovvero quando - accordato con Vane - sono stati
annunciati i presentatori delle varie categorie (RDJ si sapeva
già da un mesetto). Il restante è ambientato
durante la notte degli Oscar ed il giorno seguente.
Per quanto riguarda gli Oscar: Susan non aveva solo gli orecchini della
collezione della Jolie, ma anche un bracciale ed un anello. Jude in
realtà non è "sparito nella notte", ma si
è fatto platealmente vedere mentre aspettava con Justin
Timberlake (ed un gruppetto di persone che non ho riconosciuto) un
mezzo con il quale andarsene. In realtà non so di chi sia
stata l'idea di coordinare i vestiti, ma suppongo di Robert
perché è lui che abbina sempre tutto con Susan xD
Tra i mille nominati di questa fic, quello un po' importante
è Ben Jackson, ovvero il manager di Jude, quello che
è un ex modello. Sì, solo Jude poteva avere un
manager che è anche un ex modello, ma sorvolando questo...
sembra davvero adorarlo *_*
(E si vestono tipo uguali, una cosa incredibile...)
I film che Jude sta facendo sono Contagion (che credo sia anche un po'
più d'azione, ma non ne sono sicura) e Rise of the Guardian.
(Ed il party trick esiste davvero xD)
Concludo dicendo che il titolo viene da una canzone degli Arcade Fire.
Non lo amo particolarmente ma visto che il loro l'ultimo cd sta comandando
la mia vita, non ho saputo fermarmi. E le lyrics stanno anche bene con
la fic in sé.
Basta, ho già detto troppo. Aggiungo solo il diclaimer
obbligatorio che proclama che purtroppo io non li conosco e che non
voglio insinuare nulla e che ovviamente i fatti non si sono svolti
così se non nella mia testa (: e generalmente non ci
guadagno nulla nello scriverne.
Au revoir~
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