Dedicata alle ragazze dell'Urd
Café,
perché se
sono tornata a scrivere
è solo merito
vostro.
Non
era una delle sue giornate migliori, non lo era mai stata. Nonostante
il tempo passasse,
non avrebbe mai dimenticato. E non lo voleva nemmeno fare. Sembrava
quasi
desiderasse essere tormentato da quei ricordi, come se quella
sofferenza
potesse lavar via le sue colpe.
Odiava
quel periodo dell’anno, lo odiava con tutto se stesso
perché non era ancora
riuscito a perdonarsi.
E
non l’avrebbe mai fatto.
Stravolgimi la vita
di Nejiko
Camminava
svogliatamente, immerso nel fiume di persone che popolava il centro
della città
in quel movimentato sabato sera. Le insegne dei locali coloravano la
via
principale, piena nonostante l’ora tarda. La zona pedonale
aveva permesso ai
gestori di sistemare alcuni tavolini e le casse degli impianti audio
all’aperto
durante la bella stagione. Così, nascosti da piccole siepi
ornamentali e
ombrelloni aperti, se ne stavano seduti gruppetti d’amici
pronti a far chiasso.
Il
suo passo procedeva lento ma sicuro verso il solito locale,
accompagnato dalla
musica che animava a tratti la strada. Un groviglio di suoni vari e
completamente diversi fra loro, che si mescolavano via via lungo il
tragitto,
ma che gli scivolavano addosso senza che se ne rendesse conto.
La
leggera brezza serale gli solleticava il viso apparentemente annoiato.
Anche se
non era da lui sentirsi legato a certe tradizioni, non gli era
possibile
evitare quella che oramai era diventata una consuetudine. In fondo
quella
rimpatriata annuale era nata proprio per lui ed era certo che, se non
si fosse
fatto vivo, qualcuno di loro si sarebbe precipitato a prenderlo, per
poi
trascinarlo a peso morto sino al tavolino del pub.
Sospirò,
alzando leggermente il capo per osservare l’insegna; era
arrivato.
In
ritardo, come al solito, ma s’era presentato.
D’altra parte quello contava.
Ad
attenderlo, oltre quella soglia, una serata fra soli uomini con poche
regole:
nessuna fidanzata o moglie, nessun muso lungo e fiumi di birra.
Birra…
Il
sol pensare a quel liquido chiaro e dorato risvegliò in lui
il ricordo della
sbronza dell’anno precedente. Un brivido gli percorse la
schiena.
Come
dimenticarsi di una serata come quella…
Era
rincasato in uno stato pietoso, sorretto da Tenzo che l’aveva
abbandonato sul
divano e coperto a casaccio con un piccolo plaid. Si era svegliato poi
nel tardo
pomeriggio seguente con un mal di testa atroce, incapace
d’alzarsi e, come se
non bastasse, gli ci era voluta una giornata intera per rimettersi
vagamente in
piedi e tornare a sembrare un essere umano.
Un
altro sbuffo lasciò le sue labbra; non avrebbe fatto la
stessa fine, questa
volta non si sarebbe lasciato fregare.
Da
fuori quel posto sembrava un buco. Probabilmente se non fosse stato un
cliente
abituale non ci sarebbe mai entrato.
Osservando
l’intonaco vecchio della facciata e la porta logora non era
difficile dedurre
che quel bar non era certo in grado di reggere il paragone con i nuovi
locali
del centro, sicuramente più alla moda ed eleganti. Ma
ciò che conta è il
contenuto, non l’apparenza, e quel pub per lui era un posto
speciale, diciamo
pure che l’aveva visto crescere.
Entrò,
sicuro che gli altri lo stessero aspettando imprecando contro quel suo
dannato
vizio. Osservò le lancette dell’orologio da polso;
poco più di un’ora, non male
come ritardo.
Mosse
poi il suo sguardo tra i pesanti tavoli in legno, cercando fra i volti
noti
quelli degli amici. Non gli ci volle molto per trovarli.
I
ragazzi erano seduti al solito posto, vicino a quel flipper che ormai
faceva
storia. Da come si agitavano era certo che non fossero alla prima
pinta. Non
avevano perso tempo, sorrise.
Si
avvicinò, accolto poi dal più disastrato del
gruppo.
“Kakashi!”
esclamò una furia verde, travolgendolo in un abbraccio che
lo mise a disagio.
“Era
ora… Sei in ritardo di… di…”
Maito Gai si sforzava di capire che ore fossero “un
ora e sei minuti… Ti sembra il modo di fare?”
proseguì dopo aver strizzato gli
occhi diverse volte, in direzione del grande orologio di latta appeso
sopra le
loro teste.
“Mi
spiace, sono stato trattenuto…” rispose sbrigativo
mentre cercava di
divincolarsi dalla stretta dell’altro.
“Immagino…
Trattenuto da una bella donna come tuo solito…”
Tenzo fece capolino da dietro,
buttandogli un braccio al collo, lungo le spalle, per poi affiancarlo.
“Puzzi
già d’alcool, lo sai?”
replicò lui dopo aver notato i quattro boccali vuoti sul
tavolo, proprio davanti alla sedia coperta dalla giacca
dell’amico “Vedo che
non avete perso tempo…” continuò poi
allontanando con una mano il viso del
ragazzo, decisamente troppo vicino al suo.
“Dovevamo
pur far qualcosa mentre aspettavamo che sua altezza ci degnasse della
sua
presenza…” puntualizzò Tenzo
rimettendosi a sedere con non poca difficoltà.
Non
c’erano dubbi, quella birra stava già facendo
effetto.
“Avanti
Kakashi, siediti!” La voce di Asuma cancellò la
sua voglia di ribattere e,
accettando l’invito, si sedette accanto al più
anziano del gruppo.
Aveva sempre pensato
che, nonostante avessero
un solo anno di differenza, quella barba rendesse Sarutobi ancora
più vecchio.
O forse, a renderlo ai suoi occhi più vecchio era la fede
che portava al
dito. Era sempre
stato una persona
seria, con i piedi piantati per terra e portato per un legame duraturo.
Fra
tutti era quello che conduceva una vita più
“normale”. Diciamo pure che, come
volevasi dimostrare dalla sua totale lucidità, poteva essere
considerato il
saggio del gruppo.
“Sei
passato da lui, vero?” chiese prima di porgergli un boccale
pieno.
Kakashi
si limitò ad annuire con un gesto del capo, prima
d’afferrare il bicchiere ed
iniziare a bere.
Non
aveva voglia di parlarne e non credeva nemmeno che l’alcool
fosse la soluzione
migliore al suo problema visti gli esiti precedenti, ma rifiutare
l’invito di
Gai sarebbe stato troppo sfiancante. Quando quell’uomo si
fissava su qualcosa
l’unica alternativa possibile allo sfinimento era accettare
ed aver salva la
vita.
“Dannata
pallina!” tuonò la persona in questione alle prese
con il flipper “si può
sapere perché mi detesti tanto?”
continuò battendo sempre più forte sui tasti
laterali.
“Così
lo romperai…” sentenziò rassegnato
l’Hatake, poggiando il boccale quasi vuoto
sul tavolo.
“Taci…
batterò quel record o non mi chiamerò
più Maito Gai!” esclamò perentorio,
fissando i led rossi sul display “non lascerò che
il tuo nome resti al primo
posto ancora a lungo!”.
Kakashi
sospirò, chiedendosi come potesse quell’uomo
prendere seriamente ogni cavolata.
Insomma, era solo il punteggio di uno stupido flipper. Possibile che
tra loro
ogni minima cosa dovesse tramutarsi in una sfida?
Da
chi firmava prima il registro la mattina a chi raggiungeva per primo il
bar
della scuola per prendersi un caffè, da chi riusciva a
correggere con maggior
rapidità i compiti in classe al torneo interno di pallavolo,
ogni scusa era
buona per iniziare un nuovo confronto. E ciò che lo lasciava
sgomento era che
tenesse un punteggio di quelle insensate sfide.
Più
che un uomo che aveva passato la trentina, a suo avviso, sembrava
ancora un
adolescente. La sua energia travolgeva ogni cosa; mai una volta che si
perdesse
d’animo o accettasse un no. Un ciclone di vitalità
capace di distruggere tutto
e, soprattutto, tutti.
A
volte però, poche volte sia chiaro, per quanto quella
competizione continua lo
sfiancasse, aveva desiderato essere contagiato da quella sincera
allegria. Lui,
con quell’aria perennemente annoiata, aveva desiderato poter
possedere anche
solo un pizzico di quella spensieratezza.
“Che
ne dite di un'altra birra?” la voce di Tenzo lo
riportò alla realtà “magari
doppio malto…” puntualizzò poi
l’amico.
A
guardarlo bene, stravaccato su quella sedia, a metà fra la
sobrietà e la
sbronza totale, l’uomo seduto alla sua destra non sembrava di
certo il
professore di disegno di una delle più prestigiose scuole
della città.
Diplomatosi a pieni voti alla facoltà di architettura,
insegnava nel suo stesso
liceo da un paio d’anni. Si erano ritrovati fianco a fianco
dopo aver diviso
per un po’ lo stesso squallido appartamento durante gli studi
universitari. Tenzo
aveva superato brillantemente il bando di concorso, entrando a
sostituire il
vecchio Sarutobi ormai in pensione. Così, oltre a vederlo
praticamente tutte le
sere in quel pub, se l’era trovato persino in sala
professori.
“Molto
volentieri!” lo sguardo di Kakashi fu attirato da Gai e dal
suo smagliante
sorriso, da quella bizzarra figura con il pollice alzato in segno
d’assenso.
Scosse
il capo, lasciandosi andare ad uno sbuffo divertito. Visto
com’era iniziata, forse
quella serata non sarebbe stata poi così male.
Erano
ormai le due e mezza di notte, Kakashi aveva perso il conto di quanti
bicchieri
fossero passati su quel tavolo tra discorsi insensati e battute al
limite
dell’idiozia. L’alcool iniziava a farsi sentire per
tutti.
L’Hatake
se ne stava seduto malamente sulla lunga panca di legno, finemente
intagliata
da coltellini e penne varie, intento a capire perché il suo
collega stesse
esprimendo il suo profondo parere su ogni donna presente nel locale,
quasi
volesse affibbiargliene una. Come se non bastasse, Tenzo sembrava avere
il
pieno appoggio di Asuma, anch’egli caduto vittima del tasso
alcolemico elevato.
Era in netto svantaggio. Due contro uno. Uno che in quel momento poteva
aver
voglia di tutto tranne che d’attaccar bottone con il gentil
sesso.
Fortunatamente
almeno Gai era ancora impegnato con il flipper o, per meglio dire,
ciò che ne
restava, tanto da non badare minimamente ai loro discorsi.
La
furia verde, soprannominata così a causa della sua
proverbiale vitalità e del
suo abbigliamento perennemente di quel colore, se ne stava
lì, ancora intento a
seguire quella dannata pallina metallica che rimbalzava da una parte
all’altra,
nonostante i riflessi non fossero dei migliori, e imprecando davanti al
punteggio sul display dei record ancora invariato. Probabilmente se se
ne
fossero andati in quel preciso momento, nemmeno se ne sarebbe accorto.
Anzi,
sarebbe rimasto lì sino a quando il gestore non
l’avesse sbattuto fuori o il
flipper non fosse deceduto sotto i suoi colpi.
“Kakashi
non fare lo spilorcio… questo giro tocca a te...”
biascicò in qualche modo
Asuma, indicando il bicchiere vuoto.
“Concordo”
lo seguì Tenzo mentre con lo sguardo studiava una morettina
appena entrata.
“Non
credo che Anko sarebbe d’accordo.”
Osservò l’Hatake, notando la causa della sua
momentanea distrazione.
“D’accordo
con che?” rispose l’interpellato senza staccare lo
sguardo dalla ragazza
diretta verso il bancone.
“Lascia
perdere, è meglio…” terminò
lui non avendo la minima voglia d’iniziare una
spiegazione che l’altro non avrebbe sicuramente seguito e
che, per di più, gli
sarebbe costata non poca fatica mettere insieme in quello stato.
Rassegnato,
fece poi un cenno con la mano chiamando la cameriera poco distante,
pronto a
saldare il suo debito con quello che sarebbe stato sicuramente il suo
ultimo
bicchiere della serata. Conosceva i suoi limiti, ed era certo che, per
non fare
la medesima fine dell’anno passato, fosse meglio fermarsi.
“Kakashi-sensei,
mi dica. Che le porto?” la voce squillante della giovane,
alta per poter
superare la musica di sottofondo, infastidì i suoi sensi
intorpiditi.
“Ino…
quante volte devo ripeterlo? Non sono più il tuo sensei da
almeno due anni”
replicò guardando il volto sorridente della ragazza in piedi
accanto a lui “Non
puoi chiamarmi semplicemente Kakashi e darmi del tu?”
“Ok,
Kakashi” esclamò prontamente la cameriera
prendendo dalla tasca del grembiule
il blocco delle ordinazioni “che ti porto?”
“Tre,
anzi no, quattro rum scuri.” la voce di Tenzo
anticipò quella dell’Hatake, che
rimase leggermente spiazzato.
Non
replicò, si limitò a fissare quella figura che,
rapidamente, spariva tra i
clienti.
Ino
Yamanaka, si ricordava bene di lei. Una promettente studentessa del
liceo in
cui insegnava fisica, diplomatasi un paio d’anni prima. Il
corpo magro, la
figura sottile e slanciata, i lunghi capelli dorati e quei grandi occhi
azzurri, l’avevano resa una delle ragazze più
popolari della scuola. Al primo
sguardo poteva sembrare un tipo superficiale ma, nei cinque anni
passati fra i
banchi, aveva dimostrato che l’apparenza inganna. Per quanto,
proprio
l’apparenza, sembrava essere tutto ciò che le
importasse.
“Non
ti sembra troppo giovane?” La domanda fuori luogo del solito
seccatore lo
irritò leggermente.
Troppo
svogliato per strangolarlo, si limitò ad un più
semplice “Tenzo, sei un
idiota…”.
E
detto questo si alzò, rendendosi conto di quanto fosse
difficile mantenere un
perfetto equilibrio in quelle condizioni.
“Ti
offendi per poco, sai?” La replica dell’amico non
si fece attendere seguita da
un “te ne vai già?”.
“Posso
andare in bagno o devo chiederti il permesso?” il tono
infastidito dell’Hatake
fece desistere il giovane da ogni altra pungente battuta.
Non
era stata la domanda ad innervosirlo, bensì la sedia vuota
davanti a lui.
Una
volta giunto a destinazione, Kakashi si lavo il viso con acqua gelata
prima di
fissare la sua immagine allo specchio. Si sentiva intorpidito e
iniziava ad
avvertire pesanti giramenti di testa. Ma non era per quello che il suo
umore
era cambiato così, apparentemente senza motivo. Sebbene
l’acqua fresca gli
avesse donato un poco di sollievo, era consapevole che non sarebbe
durato
ancora per molto. Perché anche quella volta, dopo le risate,
si era ritrovato a
fissare il posto vuoto davanti a sé chiedendosi come sarebbe
stata quella
serata se ci fosse stato anche lui con loro e come
sarebbe stata la sua
vita se quel dannato incidente non fosse successo.
Nel
pensarlo si passò inconsciamente l’indice lungo la
vecchia cicatrice che
segnava in verticale il suo volto. Un tratto marcato, al centro
dell’occhio
sinistro, che partiva poco più in alto del sopraciglio e
scendeva lungo la
palpebra, terminando circa tre centimetri sotto l’occhio.
Avrebbe
potuto cancellarla, l’avrebbero fatto in molti al posto suo,
ricorrendo alla
chirurgia. Lui, invece, voleva che quel segno restasse lì
dov’era, a testimoniare
la sua colpa. Affinché ogni volta che si fosse guardato allo
specchio potesse
pensare a chi non c’era più.
Si
asciugò mani e volto con i foglietti di carta presi dal
distributore e uscì.
L’ultimo bicchiere e poi sarebbe tornato a casa a farsi
sommergere dai ricordi,
sul solito divano blu.
Continua...
Disclaimers:
Naruto
ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non
c’è lucro.
Un ringraziamento particolare ad Aya88 per essersi presa l'impegno di
betare questa fic. Sei stata davvero velocissima, grazie di cuore.
Grazie a tutti quelli che recensiranno osemplicemente spenderanno il
loro tempo leggendo questa storia.
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