Grami e Amaricci
Per Sirius era bislacca e priva d’attrattive.
Per James era insolita e prolissa.
Per Remus era competente e gentile.
Per Peter era semplicemente la donna da portare all’altare.
La professoressa Brenna Knowledge, insomma, suscitava pareri molto
diversi nei Malandrini. Assegnataria della cattedra di Difesa per
l’anno scolastico 1975-1976, la maga aveva in qualche modo
stuzzicato i contorti gusti di Silente in fatto di docenti. Non tanto
per l’aspetto fisico o l’abbigliamento o qualche dettaglio
caratteriale particolarmente marcato. Era stato il suo metodo
d’insegnamento a convincere il Preside ad arruolarla. Figlia di
un ricercatore del San Mungo e di una sarta Babbana, aveva ereditato da
loro la propensione ad approcciare in maniera eminentemente pratica la
materia. Maneggiava abitualmente oggetti magici che contenevano
incantesimi di spaventosa potenza venefica, per non parlare del suo
amore per lo studio delle creature oscure, specie se dal vivo e nel
loro contesto ambientale.
Dettaglio che aveva allarmato la McGranitt e Madama Pince. L’idea
che i ragazzi, trascinati dall’entusiasmo, potessero darsi
all’esplorazione dei dintorni della scuola, in barba ai
regolamenti scolastici, in cerca di creature viventi su cui fare
pratica era a dir poco allarmante. Per non parlare della
possibilità che mettessero a soqquadro la biblioteca in cerca di
dati o approfondimenti di qualsivoglia genere, per pianificare le loro
folli escursioni.
«Suvvia, signore. Stiamo parlando di una vostra collega, che sono
certo sa il fatto suo» le rassicurò il Preside.
«Lo spero davvero, Albus, lo spero davvero» avevano
sospirato all’unisono le due donne, scambiandosi
un’occhiata densa di preoccupazione.
***
Peter aveva perso la testa per lei alla prima lezione di
quell’anno. La Knowledge era entrata in aula a passo di marcia,
con un gran sorriso sul viso tondo e paonazzo. Era sfilata tra i banchi
in uno svolazzo della veste, reggendo un bauletto, chiuso con diversi
lucchetti.
«Se potete evitare di usare la magia, fatelo» esordì
allegramente. «Capirete molte più cose. Per esempio quanto
sia comodo usare un Locomotor» esalò semi-strozzata,
lasciando cadere il contenitore sulla cattedra.
Attese qualche istante, riprendendo fiato. Il fisico rotondetto non la rendeva adatta a quel genere di sforzi.
«Bene. Sono la professoressa Brenna Knowledge e non credo ci sia
bisogno di spiegarvi di cosa tratteremo in questo corso»
ridacchiò additando le svariate riproduzioni di creature oscure
allineate lungo le pareti. «Ho bisogno di una mano. Chi
potrebbe… tu».
Il dito paffuto puntava inesorabilmente in direzione dei banchi di
Grifondoro, suscitando i consueti risolini da parte di Serpeverde. E la
persona verso cui era diretto l’invito era tra le meno indicate
per svolgere qualsiasi compito: Peter Minus. Il ragazzo si
indicò, sperando d’aver capito male.
«Sì, tu. Vieni» confermò.
Peter si alzò ed avanzò incespicando nella divisa. Era
sempre spaventato a morte dalle chiamate dei professori, anche se era
tutt’altro che un pessimo studente. In realtà, a
spaventarlo erano le occhiate dei compagni e dei compari: le prime
perché costantemente cariche di scherno per la sua goffaggine;
le seconde perché cariche di assurdità che lo facevano
scoppiare a ridere nei momenti meno opportuni.
«Il tuo nome, caro?» chiese la Knowledge, posandogli una mano sulla spalla.
«Peter M-Minus» bofonchiò, gli occhietti acquosi che
guizzavano dal volto cordiale della professoressa a quelli ilari degli
amici.
La professoressa fraintese la sua agitazione, pensando temesse le prese
in giro dei compagni. Ad esser sinceri, Peter sentiva il cuore che
tentava di schizzargli fuori dal petto alla sola idea che una perfetta
sconosciuta l’avesse chiamato “caro” e l’avesse
trattato con tanta gentilezza. E poi, vista da vicino, quella donna era
pure carina. Almeno per i suoi standard. Le piaceva il suo volto
rotondo, evidenziato da una carnagione dorata e dai capelli scuri e
lisci, che si avvolgevano sulle punte come una pergamena appena
srotolata. Senza contare che era più bassa di lui, che non era
affatto uno spilungone.
«Tranquillo Peter, non è niente di che. Devi solo tenere
fermo il baule. Non vorrei se ne andasse a spasso, sarebbe un
guaio».
«Perché non usiamo un Adesivo?» suggerì timidamente.
Lei sorrise, facendo ballonzolare il cuore già provato del ragazzo.
«Perché con due mani a tenerlo fermo è
assolutamente inutile» mormorò divertita. «Non
sprechiamo incantesimi per faccende di poco conto. Ci serviranno per
cose molto più interessanti!» ammiccò
simpaticamente.
Peter deglutì a vuoto per quel cenno inaspettato.
«Vu… vuol d-dire che io s… sono…
utile?» mormorò chinandosi in avanti, sperando che nessuno
sentisse.
La Knowledge sollevò lo sguardo dai lucchetti, scrutandolo per
qualche secondo. Abbastanza perché Peter potesse decidere che la
tonalità di marrone delle sue iridi gli ricordasse quella del
caramello che ricopriva le mele stregate.
«Ma certo, Peter. Hai l’aria di uno che si taglierebbe una
mano, pur di essere utile» rispose con un ennesimo sorriso.
Dal bauletto saltarono fuori alcuni grossi barattoli di vetro, ben
sigillati, e molti oggetti curiosi che l’alunno provvide a
posizionare sul piano della scrivania. Nei barattoli si potevano
scorgere diverse, minuscole forme viventi. Alcune si agitavano come
forsennate, altre dormivano accoccolate sul fondo.
Remus annaspò atterrito, artigliando il bordo del tavolo mentre
il colore svaniva dalla sua faccia. In un barattolo era rinchiuso
quello che pareva essere la miniatura di un lupo mannaro. Era
schiacciato contro il vetro e tremava. In qualche modo, provava una
sorta di empatia per quel minuscolo detenuto, al punto tale da sentire
l’aria assottigliarsi nei polmoni.
«Vedete ragazzi,» cominciò la professoressa,
«sono sempre stata dell’idea che le cose vanno sperimentate
di persona, per poterle capire. Lo fate a Pozioni, ad Erbologia, ad
Astronomia. Non vedo perché non si possa applicare il medesimo
concetto a Difesa».
Una mano si alzò dalle file di Serpeverde.
James levò gli occhi al soffitto, incurante del penoso stato in cui versava l’amico lì accanto.
«Merlino, strappategli la lingua…» supplicò,
rimediando uno scappellotto dalla Evans, seduta alle sue spalle.
«È possibile che non si abbia a che fare con creature vive
perché è pericoloso?» domandò con voce
strascicata un ragazzino pallido, dai lunghi capelli neri.
La professoressa frugò i volti, in cerca di quello cui corrispondesse il quesito e, trovatolo, gli sorrise.
«La domanda è mal posta, temo. Oh, su, non avertene a
male, ora ti spiegherò perché» disse, affabile.
«Ciò che dice il vostro compagno…» ed
allungò una mano per incitarlo a presentarsi.
«Piton».
«Piton, molto bene. E… di nome?» insisté garbatamente.
«Severus» rispose accigliato.
«Perfetto. Ciò che dice Severus» ed il ragazzo
avvampò di vergogna al sentirsi chiamare per nome da un docente,
«è sostanzialmente corretto. Maneggiare o anche solo
avvicinarsi a questi esserini, senza le dovute cautele, potrebbe essere
assai pericoloso. Sono creature viventi, dotate di forme più o
meno evolute di pensiero. Reagiscono all’ambiente circostante
esattamente come faremmo anche noi, se posti in un’analoga
situazione. Tuttavia, sarebbe alquanto inutile avere qui delle
riproduzioni o dei cadaveri: saremmo privi della possibilità di
interagire fisicamente col soggetto e comprendere fino in fondo le
problematiche di un attacco. Altrettanto vero è che risulta
difficoltoso difendersi con un attrezzo magico appropriato, se non ne
si conosce il funzionamento. Molti di questi sono stati creati
manipolando incantesimi oscuri, non potete controllarne uno con la sola
volontà: dovete conoscerlo nel dettaglio. O forse pensate di
poter fronteggiare un Molliccio senza averne mai visto uno e con una
ciabatta in mano?»
La classe ammutolì. Nessuno dei docenti degli anni passati aveva
mai espresso un proprio parere riguardo i metodi di apprendimento.
«Ricordatevi che nella vita vera, difficilmente
l’avversario se ne resterà buono buono ad attendere la
vostra mossa. È più probabile che insista a colpirvi o
tenti la fuga. Dovete essere pronti a reagire nella maniera più
opportuna, a maggior ragione se anziché un mago, avrete di
fronte uno di questi» aggiunse, sollevando uno dei contenitori,
il cui inquilino sbatacchiava contro le pareti come un Boccino
impazzito. «Quindi, la domanda più corretta da porre non
è se l’assenza di una trattazione pratica, a scuola, sia
estremamente ridotta a causa della pericolosità delle nostre
controparti, bensì ci si dovrebbe domandare se
l’utilità di questo genere di esperienze non sia stata
sottovalutata».
«Pensa che il Ministero non voglia saperci preparati ad un
attacco?» fece preoccupata Alice Ronson, dimentica
dell’abituale riservatezza.
Nessuno badò alla sua mano che artigliava, fino a farlo sbiancare, il polso del fidanzato, Frank Paciock.
«Affatto. Non ho detto questo. Solo che laggiù sono pieni
di vecchie mummie con la testa abitata da civette immusonite.
Ora,» proseguì, allungando verso la classe una scatolina
con molti spuntoni all’esterno ed una minuscola statuetta
all’interno, «chi sa dirmi questa cos’è?»
I colli si allungarono, ma le bocche rimasero chiuse. Soddisfatta
dall’aver catturato l’attenzione della classe, Brenna
chiamò a sé il nuovo assistente e gli mise fra le mani
l’oggetto.
«Peter, per favore, passa fra i banchi a mostrarla ai tuoi
compagni. Tranquillo, è innocua in questo momento. Immaginavo
non aveste mai visto una Trappola Risucchiante per Fatture Corporee».
***
Era domenica sera e la Knowledge passeggiava per i corridoi in
compagnia della McGranitt. La cena era stata piacevole, nonostante
l’insistente chiacchiericcio di Lumacorno, che aveva rischiato di
cancellare le parole di tutti gli altri commensali.
Oltre le finestre il sole era ormai calato ed il buio si stendeva gelido su ogni cosa.
«Giuro, Minerva, non avrei mai creduto che l’insegnamento
potesse essere tanto snervante» sospirò, massaggiandosi
una spalla.
Erano trascorsi due mesi dall’inizio delle lezioni e nonostante
l’esiguo numero di classi, ed un numero non certo spropositato di
studenti, aveva la sensazione che le sue forze venissero prosciugate
minuto dopo minuto.
«Mia cara, diventare insegnante significa intraprendere una
missione. Non ci si può aspettare sia tutta rose e fiori.
Specialmente quando si ha a che fare con la cattedra di Difesa dalle
Arti Oscure» l’ammonì.
Pur conservando l’aperto scetticismo nei confronti dei metodi
educativi della collega, aveva imparato ad apprezzarne la compagnia.
Era uno tipo socievole, competente e preparata, tutt’altro che
incline all’elogio sperticato, che conosceva i limiti di una
civile conversazione.
«Ti prego, Minerva. Non vorrai dirmi che anche tu credi a quell’assurdità? Alla maledizione?»
«Brenna, abbiamo fondati motivi per ritenere che…»
«Perdonami, ma trovo che alimentare questa assurda favola che sia
impossibile mantenere per più di un anno la cattedra di Difesa
sia ridicolo. Tu sei una persona piena di buon senso, come puoi pensare
che qualcuno arriverebbe a gettare una maledizione su un posto di
lavoro per un diniego? È assurdo! E poi, che razza di
maledizione può essere tanto vaga? Passi il non avere una
vittima precisa, ma neppure un modus operandi, se così vogliamo
chiamarlo! Sparizioni, spaventi memorabili, malattie…»
«Temiamo si tratti di una maledizione singolarmente potente. E
tu, che insegni Difesa dalle Arti Oscure, non dovresti prendere
sottogamba la questione» l’ammonì.
Quello era un dettaglio della Knowledge che la indispettiva ancora:
dava per scontato che quanto fosse accaduto negli anni addietro fosse
frutto di suggestione. Purtroppo, il Vaiolo di Drago del professor
Nightcrow; l’attacco della Piovra del Lago Nero al professor
Lugubrious; l’improvvisa sparizione della professoressa
Fog, erano un dato di fatto. E queste erano le tragedie avvenute in
quegli ultimi tre anni.
«Se proprio vuoi saperlo, l’unica cosa che ho preso
sottogamba è stata la durata delle mie scorte personali di Amaricci.
Non credevo ne avrei avuto tanto bisogno! Merlino, scaglierò io
una maledizione se non potrò averne al più presto…
Non so cosa darei per quel biscotto morbido al cioccolato e la goccia
di marmellata all’amarena nel mezzo, che ti si scioglie in bocca
appena l’addenti! E tutti quei pinoli tostati che
scrocchiano…» trillò estasiata, quasi ne avesse una
distesa davanti agli occhi.
«Ti prego, Brenna. Un po’ di contegno, sei
un’insegnante!» cercò di richiamarla l’altra,
con scarso successo.
La collega non l’ascoltava più e continuava a declamare le
deliziose sfumature di gusto, colore, profumo e consistenza dei
manicaretti. La McGranitt sospettava dei vizi di gola della Knowledge,
dato il suo fisico piuttosto abbondante, ma non si aspettava
raggiungessero vette simili.
«L-le… le piacciono gli Amaricci, p-professoressa?» azzardò una vocetta che sembrava provenire dalla nicchia alle loro spalle.
Si voltarono ed un ragazzetto paffuto si affacciò da dietro lo
spigolo della parete. Uno strano scricchiolio di carte accompagnava i
suoi movimenti, come se la mantella nera con le insegne di Grifondoro
fosse fatta di cartapesta.
«Peter!»
«Origliare è una pessima abitudine, giovanotto» lo redarguì severa la McGranitt.
«N-no. Non stavo… o-origliando. Non proprio.
Cioè… io ero… ero qui, dietro
l’angolo… s-stavo andando in sala comune» si
giustificò, stringendosi nelle spalle.
Per qualche istante si preoccupò che gli occhi controllassero
scrupolosamente come la punta della scarpa strusciasse sulle lastre di
pietra del pavimento, prima di risollevarli speranzoso. Le due
professoresse erano ancora lì e lo fissavano con espressioni
diversissime: la Knowledge sorrideva, sembrava quasi imbarazzata; la
McGranitt la si sarebbe potuta scambiare per una civetta sorpresa dal
sole di mezzogiorno.
«Signor Minus» attaccò la seconda, quasi avesse avuto pronta la ramanzina da un pezzo.
«Lascia, Minerva» la interruppe l’altra. «Penso
io al ragazzo» e così dicendo, lo allontanò
tenendolo per mano.
Peter non poté far a meno di pensare quanto fosse stato
fortunato: se la Knowledge l’avesse preso sottobraccio - come lui
spesso fantasticava - si sarebbe accorta all’istante di quanto il
suo cuore battesse all’impazzata. Era assurdo prendersi una cotta
per una professoressa, eppure a lui era successo. Lo aveva detto a
Remus, l’unico del quartetto su cui si poteva far affidamento per
quel genere di questioni, per le quali James e Sirius l’avrebbero
preso in giro a vita. Lui però, non l’aveva affatto
aiutato come sperava: gli aveva consigliato di togliersela dalla testa.
E questo nonostante Peter gli avesse spiegato perché lui e
Brenna fossero fatti per stare insieme, a prescindere dalla palese
differenza d’età. Era gentile, divertente, intelligente,
affettuosa, golosa quanto lui, non troppo appariscente. L’idea
poi che fosse una donna e non un ragazzina lo faceva sentire molto
più uomo. Per non parlare della questione della bassa statura
della strega, che per Peter rappresentava un elemento fondamentale per
sentirsi ancor più virile. Tutte motivazioni che Remus aveva
educatamente cassato come esito di una comunissima infatuazione,
destinata a svanire con il procedere dell’anno.
La voce della donna gli fece rimettere i piedi per terra.
«Dicevi, Peter?»
«Io? Cos… oh, sì. Dicevo se… le piacciono gli Amaricci».
«Beh, un insegnate non dovrebbe ammettere certe debolezze ma… sì, mi hai scoperta. Impazzisco per gli Amaricci di Madame de Bois!»
«Questi qui?» chiese con aria furba.
Brenna abbassò lo sguardo. Nella mano dell’alunno
c’erano alcuni piccoli involucri di carta verde muschio, con una
finestrella trasparente che lasciava intravvedere il contenuto,
beatamente appisolato e appallottolato. Erano proprio i suoi preferiti.
«Dove li hai presi?» domandò esterrefatta.
Lui sorrise, grattandosi la nuca imbarazzato.
«Scorta di sopravvivenza. Sa, per quando Rem… beh,
l’ha visto, no? Ogni tanto sta male. Non ha un gran fisico. E la
roba delle cucine non è che tiri su granché» si
giustificò, rammentando la promessa di tacere la licantropia
dell’amico. «Mettiamo un galeone a turno -io, James e
Sirius- e glieli prendiamo, quando andiamo a Mielandia. Solo che
poi… metà li mangio io mentre torniamo» ammise
colpevole, incassando la testa tonda fra le spalle.
Brenna rise, sinceramente colpita e il ragazzo si sentì molto orgoglioso per averla divertita.
«Sei davvero un buon amico. Sono certa che il tuo Prefetto sia orgoglioso di poterlo dire».
«Lei crede?»
«Certo. Chiunque vorrebbe avere un amico così premuroso».
«Anche… lei?» azzardò.
«Credo di averlo già, non ti pare?» ammiccò, scartando un Amariccio.
L’erinaceo si agitò tra le dita della donna, cercando di
appallottolarsi e facendo cadere a terra qualche pinolo. Lo stesso
movimento che fece il cuore di Peter a quella rivelazione.
«Su, ora vai. Ci vediamo martedì a lezione».
***
La solerte presenza di Minus all’inizio della lezione non faceva
più notizia. Entrava in aula, lasciava le sue cose al banco e
correva prendere posto accanto alla cattedra, in attesa di ordini.
Stava lì, dondolandosi sui talloni anche quella mattina di
aprile, quando la professoressa entrò reggendo a stento un
grosso rullo di stoffa che consegnò al suo assistente.
«Quest’oggi affronteremo un tema alquanto spinoso, senza ausili viventi» annunciò la Knowledge.
Il tono pensieroso allarmò Peter, che aveva appena terminato di
fissare il rotolo alla parete. Si girò, ma riuscì solo a
scorgere la schiena della professoressa.
«Come tutti sapete, tra le varie creature magiche esistenti,
possiamo riscontrare una sorta di sottoclasse. Le cosiddette creature
oscure».
A causa delle continue defezioni di insegnanti per via della
maledizione, il programma era molto in arretrato, ragion per cui Brenna
si era vista a fornire almeno una carrellata su alcune delle figure
più rappresentative e pericolose della categoria.
Remus sbarrò gli occhi mentre la gola si prosciugava di colpo.
Aveva provato un simile terrore solo il primo giorno di
quell’anno, quando aveva visto il Diavoletto Lappone nel
barattolo, scambiandolo per un licantropo in miniatura. Quel giorno
però, aveva la certezza quasi totale che si sarebbe parlato di
qualcuno che lui conosceva fin troppo bene: sé stesso. James gli
diede una gomitata, facendo una smorfia che voleva essere rassicurante.
Alle sue spalle, Sirius era allungato sulla sedia, annoiatissimo ancor
prima d’ascoltare la lezione.
«Queste creature, a differenza delle più comuni e
relativamente innocue – Avvincini, Mollicci, Pogrebein –
presentano alcune particolarità che le rendono, spesso e
volentieri, mortali».
A quelle parole, il drappo si srotolò sulla parete.
«Banshee, Dissennatori, Kappa, licantropi, solo per citarne
alcuni di cui abbiamo accennato» disse, indicandoli uno alla
volta con la bacchetta.
Sulla tela erano rappresentati anche altre creature, alcune delle quali
talmente bizzarre poter essere annoverate solo tra gli incroci
malriusciti di Hagrid.
«Alcuni non hanno affatto un aspetto spaventoso e
allarmante» spiegò, quasi avesse indovinato il pensiero di
molti. «Prendiamo ad esempio un Whollohoro».
Mosse la bacchetta e il drappo si oscurò, lasciando ben visibile
solo una porzione, dov’era raffigurato un buffo pennuto che
sembrava colto nell’atto di saltare. Era dotato di un lungo becco
appuntito color corallo, sopra il quale spiccavano tre occhi di un
giallo pallido.
«Grazioso, no? Un simpatico batuffolo saltellante e pigolante.
Quest’uccellino, presente nelle foreste della Nuova Zelanda,
viene spesso scambiato con un animale molto simile, il kiwi. Tuttavia,
imbattersi in uno di questi uccelli significa essere condannati a
vagare senza meta per il resto dei propri giorni, inseguendo il
miraggio di quest’essere, mentre lui se va a zonzo altrove. Le Lenti Distorcenti
e ausili magici similari hanno una capacità di contenimento
limitata: il loro potere è troppo grande. Se si è
fortunati, si può precipitare in qualche forra e farla finita
subito. Nel peggiore dei casi, il decesso avviene per stenti mentre si
cammina. Si ha notizia di casi dove la vittima, sebbene allo stremo
delle forze, abbia continuato a strisciare per giorni, prima di morire.
Abbiamo poi il Cornetto Soffiante.
Un bruco come tanti, verde a macchie gialle e nere. Piuttosto
insignificante – supera di poco il pollice di lunghezza -, ma se
decide di usare come nido i vostri capelli, nel giro di poche settimane
verrete trasformati in una sorta di ibrido umano-vegetale. Vi siederete
a gambe incrociate, le braccia tese al cielo. A poco a poco vi
irrigidirete, prenderete un colorito grigiastro ed il vostro respiro
sarà talmente flebile da non poter essere udito. Il Cornetto
è molto diffuso in India e, come potrete scoprire su qualunque
testo di Babbanologia, molti cosiddetti “santoni” sono in
realtà persone colpite da questa creatura. Lunghi bagni in un
composto di interiora di Plimpy macerate con gomma arabica forniscono
una cura a malapena sufficiente per recuperare chi è stato
appena “abitato”. Nel giro di una settimana, la cura
è inefficace».
Remus faceva a gara a prendere appunti con Peter, rincuorato
dall’idea che si trattasse di una carrellata su creature nuove e
interessanti. Molto più della sua condizione.
L’entusiasmo scemò verso la fine della lezione, quando
esauriti i meno comuni e più pittoreschi rappresentanti delle
creature oscure, la Knowledge passò ad illustrare quelle con cui
i suoi alunni avrebbero potuto avere un incontro. Trattandosi di un
discorso generale, aveva scelto di suddividerli per gruppi, in base
all’aspetto. La lezione si fece incredibilmente tesa quando da
quelli antropomorfi, come Berretti Rossi e Banshee, passò a
quelli zoomorfi. La voce di Brenna era cupa, fredda, timorosa. Si fece
particolarmente incerta quando descrisse gli esseri di forma canina.
Incespicò spesso nelle parole e dovette fermarsi diverse volte.
Tutto ciò non fece che aumentare l’ansia che serpeggiava
fra gli alunni.
Alcuni avevano la strana e terrificante sensazione che, da un momento
all’altro, una di quelle creature avrebbe fatto il suo ingresso
nell’aula, pronta a compiere una strage. Le penne grattavano sui
fogli di pergamena, seguendo la lezione con lo stesso timore mostrato
dall’insegnante.
Stava illustrando le caratteristiche dei Kappa quando un rumoroso
sbadiglio ruppe la concentrazione che albergava nell’aula.
«Vedo che la lezione ti appassiona, Sirius» lo riprese, in qualche modo sollevata.
Black fece un sorrisetto sghembo, accompagnandosi con un cenno di
scarso apprezzamento. Peter avvampò, meditando di dare un calcio
alla sedia sulla quale l’amico era in bilico e farlo rovinare a
terra come meritava.
«Possiamo sapere cosa c’è di così poco
attraente in quello che stiamo spiegando?»
s’informò, stizzita da tanta superficialità.
«Bla-bla-bla-bla-bla. Parla da un’ora di questi cosi e di
quanto fanno paura, ma la verità è che nessuno di loro
è tanto pericoloso da non poter essere battuto in qualche modo.
Che bisogno c’è di agitarsi tanto?»
L’insegnate trasecolò.
«Sirius, davvero non capisco. Chiunque proverebbe quantomeno un
sano timore nei confronti di creature simili. Molti maghi hanno provato
sulla loro pelle cosa significhi sottovalutare una creatura
oscura».
«Io non ho paura. E quelli – il licantropo, il Tadfoal, il Saltatore Caucasico o… il Gramo - sono solo dei cosi più o meno canini. Niente che mi possa dare fastidio».
James sapeva che Sirius parlava sulla scorta della sua esperienza di
Animagus, ma si rendeva conto che se poteva essere veritiera per quanto
riguardava i Licantropi, per gli altri esseri era tutta un’altra
questione. Non avevano mai incontrata nessuna e la sola idea di
incontrare un Saltatore lo
rendeva nervoso. Un cane pelle e ossa, senza occhi e con zanne nere
lunghe quanto un palmo, capace di uccidere col solo lezzo mefitico
emanato da una ghiandola posta fra le orecchie, era un incontro molto
meno auspicabile di un Remus affamato durante la luna piena. Almeno lui
non puzzava.
«Dici sul serio?» chiese, sempre più basita.
Il ragazzo annuì con voluta lentezza. Diverse ragazzine presenti
lo fissarono con gli occhi colmi d’ammirazione. La Evans scosse
il capo, indecisa se sentirsi schifata o rassegnata a tanta
stupidità. Hestia Jones, al suo fianco, nascose il volto tra le
mani, domandandosi come poteva essere stata la ragazza di quel cretino
per un paio di mesi.
«Questo è un male. Qualcuno sa dirmi perché?»
«Perché dimostra quanto è imbecille?» borbottò sottovoce Piton.
Una mano si levò sopra le teste.
«Lily?»
«Conoscere i propri limiti è fondamentale per misurare le proprie forze» rispose decisa la Prefetto.
«Dieci punti a Grifondoro. Ma non è solo per questo. Sono
le nostre paure, insieme alle nostre gioie, a farci vivere e a
spingerci a combattere per esse e per ciò che abbiamo di
più caro. Non avere paure, significa vivere una vita a
metà» spiegò.
«Pazienza, io sto bene così» fece Sirius stiracchiandosi.
«Molto male, Sirius. Molto male» replicò la strega, visibilmente turbata.
***
«Coraggio ragazzi, le visite sono terminate per oggi. Di corsa a dormire» li richiamò Madama Chips.
I tre finsero di non averla sentita e continuarono a chiacchierare,
seduti sul letto dell’infermeria. La strega fu costretta ad
accalappiarli tutti e tre per il colletto della divisa per trascinarli
di peso fuori dall’infermeria. L’orario delle visite era
terminato da un pezzo e lei si era dimostrata persino troppo indulgente
con quella cricca di combina guai. Tuttavia non riuscì ad
impedire al terzetto di lanciare saluti a squarciagola per tutto il
tragitto fino alla porta. Dal canto suo, il giovane Lupin si era
limitato a rispondere con uno stanco sventolio della mano.
Rimasero a guardare per qualche istante la porta chiusa. Remus era
veramente uno straccio. Quell’ultima luna piena, dovevano
ammetterlo, avevano calcato un po’ la mano. Non si erano limitati
a scorazzare al limitare della foresta, come di consueto. Avevano dato
la caccia ad una coppia di gufi della scuola, capitati chissà
come nei pressi della Stamberga Strillante. Remus aveva cercato di
acchiapparli, arrampicandosi sul tetto e balzando sui rami delle piante
vicine alla catapecchia. Si erano divertiti un mondo a guardarlo
inseguire le sue prede, ma nessuno aveva pensato che se il Lupo Mannaro
era colmo di energie, all’alba lo studente sarebbe stato vuoto
come un paiolo nuovo: senza memoria e senza forze.
Rassegnati e in colpa, s’incamminarono verso la torre di
Grifondoro. Tacquero. Nessuno aveva voglia di parlare. Superarono la
biblioteca ed una fila interminabile di aule, prima di raggiungere la
scala. Dai quadri alle pareti proveniva il russare di illustri
sconosciuti.
«Voi andate avanti, vi raggiungo tra un po’».
Peter e James si voltarono sorpresi. Il Malandrino stava allungando le
mani verso il pavimento, pronto a mutarsi nel proprio alter ego canino.
«Cosa? E dove vorresti…» domandò Minus, masticando un Gommabaleno a bocca aperta.
Fasci multicolori gli cadevano sulla divisa, tingendo le cuciture.
Sirius si raddrizzò, cancellando quei pochi tratti animali che erano appena comparsi.
«Da nessuna parte» ghignò. «Dai Ramoso, sgancia il cencio».
Potter si aggiustò gli occhiali sul naso, sospettoso. Quando il
suo migliore amico prendeva certe iniziative era bene essere preparati.
Se non altro, per sbandierare una buona giustificazione alla McGranitt,
in caso di castigo imminente.
«Felpato, con te non esiste “da nessuna parte”.
Cos’hai in mente?» chiese, frugando in tasca in cerca del
Mantello dell’Invisibilità.
Un sonoro gorgoglio risuonò fra di loro.
«Pete, non mi pare il momento» sbuffò James, guardandolo di traverso.
«Ma non sono stato io!» protestò.
«Per una volta è vero» ammise Sirius. «Ero io.
Faccio un salto nelle cucine, sto morendo di fame».
«Se tu non perdessi tempo ad accontentare tutte le ragazzine che
ti girano intorno fingendo di fare il cascamorto, magari ti
ricorderesti di mangiare».
«E se tu la smettessi di sbavare dietro a quel manico di bacchetta rinsecchito della Evans…»
«Non ti permettere, pulcioso…»
Il suono di passi frettolosi e strascicati li interruppe.
«Chi c’è lì? Chi c’è?» tuonò una voce.
Gazza. Nessuno aveva gettato uno sguardo alla Mappa del Malandrino per
controllare dove fosse ed ora, eccolo che arrivava di gran carriera. Il
custode avrebbe fatto carte false per scoprire un loro nuovo sgarro e
presentarlo guarnito di prove a Silente, nella speranza di farli
buttare fuori dalla scuola.
«Sotto! Sotto!» bisbigliò Peter infilandosi tra l’ascella di uno ed il braccio dell’altro.
Quando il custode raggiunse quel punto del corridoio, trovò solo
il silenzio e ombre. Esaminò ogni nicchia, girò attorno
ai basamenti delle statue, allungò calci negli angoli più
bui, tese l’orecchio trattenendo il fiato. Nulla.
Mugugnando imprecazioni, tornò alla solita ronda. Nemmeno con
una botte di Felix Felicis in corpo avrebbe potuto trovare i Malandrini
come sperava: celati dal Mantello dell’Invisibilità, gli
erano stati alle spalle per tutto il tempo, seguendolo passo passo e
sfuggendo alle sue ricerche. Una volta visto il Magonò sparire
dietro un angolo, Peter e James sgattaiolarono su per le scale, diretti
alla torre, mentre Sirius, sotto al mantello, puntava ai piani
inferiori.
***
«Cielo, quanta fretta!» sbottò Brenna, annodando
velocemente la vestaglia mentre attraversava il piccolo soggiorno
prospiciente la camera da letto
Sul tavolinetto accanto alla finestra, aveva abbandonato un volume sui Berretti Rossi e la scatola di Amaricci
che Peter le aveva regalato un paio di settimane prima. Era stata
tentata di chiedere al suo alunno preferito di acquistargliene una
confezione alla precedente uscita a Hogsmeade, ma questi l’aveva
anticipata. Non avrebbe dovuto accettare, ma la motivazione era
talmente inoppugnabile – un segno di scuse per rovesciato
accidentalmente un’intera confezione di Polvere Rintracciante - e la trepidazione del ragazzo tanto evidente che sarebbe stato scortese rifiutare.
Dalla porta chiusa arrivarono ulteriori colpi.
Non era la prima volta che quella gatta veniva a graffiare la sua
porta, ma quella sera lo stava facendo con particolare insistenza.
Sembrava quasi che avesse messo su parecchi muscoli dall’ultima
volta. Le zampate erano più lunghe, strascicate.
«Maledettissima gattaccia. Cos’ha la mia porta di tanto invitante?» si chiese, levando gli occhi al cielo.
Aprì la porta, aspettandosi di sentire il solito mesto miagolio
ai suoi piedi, ma nel corridoio regnava il silenzio più totale.
Strizzò gli occhi nell’oscurità e non vide nulla.
«Mrs. Purr? Mrs. Purr!» chiamò.
L’idea che quell’insopportabile bestiola l’avesse
fatta alzare per niente la fece sbuffare rumorosamente. Troppo. Ed una
seconda volta.
La strega rabbrividì. Non arrivavano da lei quegli ansiti.
Qualcun altro si trovava nel passaggio. Qualcuno che le stava vicino,
che si trovava a pochi passi da lei. Poteva quasi indovinare dove
fossero i suoi occhi, che la fissavano con insistenza.
«No… non può essere…» pensò, aggrappandosi alla bacchetta con entrambe le mani.
Il fascio azzurrato del Lumos mancò di poco il visitatore, che
arretrò con un balzo. L’alone luminoso riusciva a malapena
a ritagliare vaghi contorni. Era troppo basso ed allungato in avanti
per essere una persona carponi. Troppo grande per essere Mrs. Purr.
Troppo consistente per essere il Poltergeist. Era un animale. Si
muoveva lento, seguito da un lieve ticchettio. Il respiro accelerato
parlava di una forte agitazione.
«Lumos Maxima!»
Con orrore, la strega vide un grumo nero contrarsi e mugolare. Aveva
quattro zampe, una delle quali era poggiata di traverso su quello che
doveva essere il capo, come se stesse cercando di difendersi dalla luce
improvvisa.
«No… no…» boccheggiò terrorizzata.
Una lunga fila di zanne aguzze biancheggiò nel corridoio, come
un macabro sorriso. Due occhi vividi e guizzanti la inchiodarono
dov’era.
«No!» gemette.
Brenna arretrò, senza neppure provare a lanciare un incantesimo
di difesa. Scosse lentamente il capo, tremando. Non poteva credere che
stesse accadendo, che davvero avesse di fronte il suo incubo peggiore.
Un ringhio sommesso accompagnò lo scuotersi della pelliccia nera.
«Vattene» mormorò con un filo di voce.
Il muso allungato era sollevato verso di lei. Il rumore dell’aria
che attraversava con foga le narici dilatate riecheggiava intorno.
«Vattene» ripeté, sentendo il cuore che le martellava in testa.
Non le diede retta ed avanzò, acquattandosi sul pavimento, caricando i posteriori.
Una smorfia di dolore e sgomento si dipinse sul volto della donna. Una lacrima rotolò lungo la guancia.
«Va’ via!» gridò disperata, ma a quelle
parole, la macchia si staccò dal pavimento e le si fece incontro
con un salto.
***
«Professoressa?»
La donna cacciò uno strillo e lasciò cadere quella che sembrava una camicetta.
Alle sue spalle era comparsa dal nulla una figura tozza e scura, che
aveva avuto la meglio sui nervi già duramente provati.
«M-mi scusi, non volevo spaventarla. Ero venuto a riportarle il
libro sugli Incantesimi Scudo, la porta era aperta e…
professoressa, ma che succede?» domandò Minus, notando il
disordine che regnava nella stanza. «Perché sta facendo la
valigia? Manca ancora un mese alla fine della scuola».
Era pallidissima e tremava così tanto che il ragazzo
pensò l’avrebbe vista stramazzare a terra da un momento
all’altro.
«Oh, Peter…» sospirò, lasciandosi cadere pesantemente sul letto.
Vedendola tanto disperata, si azzardò a prendere posto accanto a lei.
«Sono stata una sciocca. Una sciocca»
Allarmato dallo sconforto che leggeva in volto, Peter frugò nelle tasche, tirando fuori una manciata di Amaricci. Ne offrì alla donna che però rifiutò con un cenno della mano.
«Si calmi, professoressa» disse con aria rassicurante. «Perché dice così?»
Il volto florido del quindicenne era quanto di più disarmante
Brenna potesse immaginare. Le ricordava quello di una particolare razza
di Gnomi dell’Anatolia,
noti per causare risate convulse e ilarità diffusa nei villaggi.
Quel pensiero le fece sollevare appena gli angoli della bocca, ma
ciò che le attraversava la mente cancellò
all’istante la gioia provata.
«Minerva aveva ragione. Non avrei dovuto sottovalutare i suoi avvertimenti».
«Quali avvertimenti?»
Brenna tentennò, mordicchiandosi le labbra. Prese tempo,
fingendo di aver cambiato idea riguardo i dolcetti ancora stretti nella
mano dell’alunno. Indugiò in cerca di quello più
grassottello, per poi rigirarselo lentamente tra le dita.
«La maledizione» sospirò.
«Maledizione? Quella del corso di Difesa? Ma non può
essere vera. Lei è qui, sta bene. Perché… lei sta
bene, vero?» s’informò.
A prima vista sembrava solo molto stanca. Forse l’avevano
snervata un po’ più del dovuto, con le loro continue
domande. Tacere però era impossibile: le spiegazioni della
Knowledge erano talmente coinvolgenti che si voleva sempre conoscere
qualche dettaglio in più. Persino James aveva posto quesiti, lui
che era costantemente una pergamena avanti agli altri.
Lei scosse il capo, le lacrime che le pungevano gli occhi arrossati.
«Ma… come… cosa vuol dire? Cos’è successo?»
Non capiva, non vedeva nulla di strano. Non le spuntavano corna dalla
testa, né artigli dalle dita, né morsi di Vampiro o di
Licantropo.
«Vedi Peter, mentre frequentavo l’ultimo anno di Hogwarts,
il professor Delos, il mio insegnante di Divinazione, ebbe una visione.
Una visione che mi riguardava».
«Davvero?» fece lui, stupito.
«Sì. Mi disse che… disse che la vita, come la conoscevo io, si sarebbe interrotta con un incontro».
«Quale?» domandò, nell’assurda speranza che
avesse a che fare con un ragazzo cicciottello che sapeva trasformarsi
in un topo.
La Knowledge si alzò, si avvicinò alla finestra e
guardò fuori. Il sole saliva rapido sopra i tetti lontani di
Hogsmeade.
«Avrei incontrato una creatura. Un animale nero e gigantesco,
pauroso. Un animale a quattro zampe, con una lunga coda e zanne candide
e fameliche»
Peter sentì la mascella precipitare a terra. Non era possibile. Non poteva essere.
«Ieri sera… era… era qui. Alla mia porta» singhiozzò, nascondendo il volto tra le mani.
Lo sguardo dello studente corse istintivamente all’apertura da cui era entrato.
«Professoressa…»
«Era qui. Grattava sul legno per entrare. Voleva che aprissi la
porta perché lo vedessi e potesse proclamare il suo nefasto
annuncio. Avevo pensato fosse la gatta del custode. Invece no. Il
Gramo. Il Gramo era qui. Mi ha assalita, per ribadire che sono in suo
pugno, che la mia vita è finita» pianse.
Aveva ancora davanti agli occhi il corpo ispido che si allungava
nell’aria, sentiva la forza con cui le era piombato addosso, il
basso latrato di giubilo che le riempiva le orecchie. Le sfuggì
un singhiozzo.
«No! No! Si sbaglia! Non era il Gramo!» esclamò il ragazzo, balzando in piedi.
Doveva trovare un modo, uno qualunque per convincere la sua adorata
Brenna che si trattasse di un enorme equivoco. E doveva farlo senza
rivelare il segreto dei Malandrini. Aveva giurato. E lui non si sentiva
affatto come Black, non si sentiva capace di tradire gli amici.
«Sarà stato… uno scherzo! Qualcuno avrà
fatto entrare un cane. Sì, il cane di qualcuno di noi! Magari ne
sentiva la mancanza… o forse era di Hagrid e gli è
scappato! Trova sempre un sacco di bestie strane! O magari era solo un
randagio che si è infilato qui da qualche buco»
tentò di sviare. «Non era il Gramo… non
era…No!»
La sua insistenza parve un tentativo fanciullesco di trovare una
spiegazione alternativa e lei non poté fare a meno di
apprezzarlo. Quando Delos le aveva rivelato il suo destino, aveva
reagito alla stessa maniera: negando.
«Oh, Peter. Ti ringrazio ma… che altro poteva essere?
Quale creatura potrebbe aggirarsi per la scuola, senza essere
individuata da Gazza o da Pix? Persino i quadri qui fuori non hanno
saputo dirmi da dove arrivasse. Devo andarmene, Peter, anche se ormai
è inutile. La mia vita è finita. La maledizione ha
colpito anche me» mormorò, raccogliendo la camicetta da
terra.
«Ma… tutto quel discorso sul combattere le nostre paure? Per ciò che abbiamo di più caro?»
«Peter, io continuo ancora a pensarla così. Ho studiato le
creature oscure perché desideravo vivere. Ma ho sbagliato: avrei
dovuto combattere per non sentirmi condizionata nelle mie scelte, per
fare in modo che il destino non mi spingesse in un solco tracciato da
una profezia. Per quanto ami questa materia, forse la mia vita avrebbe
dovuto includere altro: altri interessi, il coltivare amicizie, avere
una famiglia. Probabilmente avrei vissuto più a lungo»
concluse tristemente.
«No! No… Brenna non puoi andartene!» strillò,
infrangendo quella sottile distanza che si celava dietro il darle del
lei. «Non è la maledizione, io lo so! Credimi! Ti
prego!»
Le sue grida si trasformarono in gemito. Per darsi forza e cercare di
convincerla a rimanere, le prese le mani, stringendole forte.
«Non andartene… non andare via… ti difenderò
io!» promise, sentendo gli Amaricci che si dibattevano nella
tasca. «Non sto scherzando! Posso farlo! Posso farlo davvero!
Sono capace! Il Gramo non avrà potere su di te, ma devi restarmi
vicino! Ti prego… rimani qui».
Erano belle parole, cariche d’affetto e che rendevano più difficile fuggire da quelle mura.
«Grazie, Peter» sorrise, facendogli una carezza. «Ma
per quanto tu possa essere stato attento ed aver studiato bene, saprai
che un Gramo non può essere sconfitto. È solo
un’emanazione, un riflesso del nostro destino. Ricordati una
cosa, Peter: a volte il nostro destino è racchiuso nelle mani di
qualcun altro. Possiamo affrontarlo, ben sapendo di venirne sconfitti.
Oppure possiamo imparare ad accettarlo. E quando sai che la tua vita
non ti appartiene più, cerca solo di godere delle cose belle che
essa ti presenta. Prendila come una mia lezione privata, un regalo per
te».
Il giovane rimase in silenzio, incapace di reagire. La guardò
riprendere i preparativi per la partenza. Raccoglieva abiti ed oggetti
senza usare la bacchetta. Una bacchetta che credeva non avrebbe potuto
proteggerla da una maledizione che tale non era. Di tanto in tanto si
fermava per asciugare le lacrime.
«Professoressa?» chiamò.
Brenna si fermò, addolorata dal fatto che lo studente non fosse
tornato dagli amici per godersi la domenica di sole e svago. Rimase
immobile, con le mani appoggiate ai bordi della valigia. Avrebbe dovuto
evitare che le si affezionasse tanto. Era stato un errore.
Peter però sembrava aver recuperato il senso delle distanze ed
ora la guardava come avrebbe guardato un’altra insegnante.
«Mi dà il permesso di chiedere alla McGranitt di accompagnarla al treno? La valigia pesa».
***
Era pomeriggio inoltrato, quando lo videro arrivare. Scendeva il pendio
a spalle curve, le braccia che tese lungo i fianchi, come se le mani
fossero diventate macigni. Sotto i ciuffi arruffati dei capelli un
colorito acceso, scarlatto, tingeva le guance rotonde. Sbuffava
così forte da poterlo scambiare per l’Espresso dentro
King’s Cross.
Crollò sulle ginocchia a pochi passi da loro, ansimando.
«Se n’è andata» tossicchiò rabbioso.
«Chi?» sbadigliò James, seguendo con lo sguardo il Boccino per accalappiarlo al momento opportuno.
«Brenna. L’ho accompagnata io stesso alla stazione» spiegò, tirando su col naso.
«Chi?»
Solo Remus aveva capito e si era alzato, seppur faticosamente. Aveva
raggiunto l’altro per cercare di aiutarlo ad alzarsi, ma quello
aveva scrollato via la mano dalla sua spalla.
«La professoressa Knowledge? Andata? Perché?»
Peter sollevò di scatto la testa e il lupo mannaro vide che aveva gli occhi umidi.
«Perché?! Chiedilo a lui!» strillò indignato, puntando Black col dito.
«Io? E che ne so?» rispose l’accusato, che continuava a starsene allungato sul prato.
«Non prendermi in giro, Sirius! Non insultare la mia intelligenza!»
«Prima d’insultarla dovrei trovarla…» sghignazzò.
«Ehi, basta» intervenne James annoiato, riponendo il Boccino in tasca. «Spiegati, Peter».
Lui tirò sul col naso, gli occhietti azzurri stretti in due fessure minacciose e umide.
«Brenna… alla lezione sulle creature oscure. Non era il Saltatore
a farla tremare» spiegò, guardando in tralice James,
«né il licantropo» proseguì, squadrando
accusatorio Remus. «Nessuno di questi. Era quell’altro
canide… quello che somigliava al Gramo!»
Gli altri due si scambiarono un’occhiata interrogativa per poi
voltarsi verso Black, che si era messo seduto per godersi il sole ad
occhi chiusi. Nemmeno guardava l’amico che gli parlava.
«L’avevi capito. Non so come, ma l’avevi capito!
Avevi capito che Brenna era terrorizzata dall’idea di incontrare
un Gramo, perché al Gramo non si sfugge! Non è una
creatura oscura, è un fanstasma, non lo si può uccidere o
allontanare! A lezione aveva detto che “è il destino che
viene a bussare alla porta” e tu hai fatto lo stesso! Alla
lettera!» l’accusò. «Hai fatto finta di essere
annoiato dalla spiegazione perché stavi già macchinando
qualcosa, ma sapevi che dirlo avrebbe significato scontrarti con noi.
Perché avevamo deciso che non avremmo mai toccato gli insegnati
coi nostri scherzi. Però tu non sai resistere, il grande Sirius
Black non ha paura di niente!»
«Felpato, l’hai fatto davvero?» domandò esterrefatto Remus.
Sirius alzò le spalle, socchiudendo appena le palpebre.
«Non hai mangiato di proposito, ieri sera. Volevi rendere
credibile la tua scusa anche con noi, per prendere il mantello ed
arrivare indisturbato al secondo piano. Volevi essere certo spaventarla
a puntino».
La spiegazione suonava plausibile, conoscendo la propensione di Sirius
ad infrangere le regole, incluse quelle autoimposte. La notizia non
stupì più di tanto Potter, ma per qualche strano motivo
gli lasciò l’amaro in bocca.
«E perché avrei dovuto fare una cosa del genere?»
chiese sornione, più interessato alle sue unghie che al discorso.
«Perché per una volta c’era qualcuno davanti a te e
questo non lo accetti. Tu devi essere sempre al centro
dell’attenzione! Ti va bene che James ti stia alla pari, ma non
che qualcuno vi superi in qualcosa!»
Ramoso lo guardò da sopra la montatura degli occhiali. Era la prima volta che avanzava una critica verso di loro.
«Chi? Tu, sacco di Cioccorane?» ridacchiò divertito
Sirius rotolando sul prato. «Tu mi avresti superato?»
«Sì, io. Brenna mi teneva in considerazione più di
te, perché a lei interessa il valore delle persone, non il loro
nome. A lei non faceva effetto avere un nobile Black fra i suoi
studenti!» gridò schifato.
«Oh, certo. Stupido io a non notare le tue innate qualità
di portaborse e leccapiedi» sogghignò con sufficienza,
ritenendo il suo sfogo nulla più di un fastidio passeggero.
Infuriato dalla mancanza di rispetto, Peter raccolse nella mano tutta
la propria frustrazione e lo colpì con un pugno dritto in
faccia, mandandolo supino.
«Ti odio, Black» squittì.
Né James né Remus riuscirono ad intervenire, petrificati
per la sorpresa. Rimasero immobili, sgranando gli occhi sulla scena.
Peter aveva sempre preferito evitare le zuffe, era un pessimo
duellante, un fifone. Aveva persino paura di alzare la voce per ridere.
Che fine aveva fatto il ragazzino che trovavano arrotolato nelle
coperte la mattina? Quello che si faceva scivolare i biscotti in tasca
a colazione per dividerli con loro durante gli intervalli?
Peter tornò sui suoi passi, scansando bruscamente la mano con
cui il Prefetto tentò di fermarlo, scomparendo in breve alla
vista degli amici.
«Ho paura, Felpato, che non basterà la solita scatola di
Api Frizzole Deluxe per far pace con Codaliscia. Da quel che ha detto
l’ha presa come un affronto personale» disse Potter,
prendendo di nuovo il Boccino e ricominciando a giocare. «E
piantala di fare lo stregone solitario, non è divertente.
Finirai nei guai e non potremo aiutarti se te ne freghi di tutto e di
tutti».
Black fece nuovamente spallucce, continuando a massaggiarsi la guancia.
Dall’angolo della bocca colava un filo sottile di sangue ed il
labbro stava cominciando a gonfiarsi.
«Non vai in infermeria?» s’informò Remus,
reprimendo gli istinti mannari che, alla vista del rivoletto scarlatto,
avevano ricominciato ad agitarsi in lui.
La luna piena era passata da nemmeno due giorni e, per come si erano
appena messe le cose, temeva che la successiva sarebbe stata la prima
senza divertimenti da molto tempo a quella parte.
«E perdermi l’occasione di godere delle attenzioni di tutte
le fanciulle delle quattro case? Mai! Già mi vedo servito e
riverito e coccolato da tante pulzelle affettuose!»
ammiccò, dando di gomito a James.
«Meno una» ribadì questi, serissimo.
«Sì, meno quella, fratello. Meno la Evans» confermò scocciato.
«Però voglio proprio vedere come farai a spiegare che a
picchiarti è stato Codaliscia… mica passa per un Troll
nevrotico. Al massimo, per un sorcio obeso».
«Non preoccuparti Ramoso, qualcosa inventerò. Inventare
scuse per farmi corteggiare è la mia specialità. Non hai
idea di cosa riesco ad ottenere con un sorriso e due complimenti ben
piazzati».
Remus li fissò accigliato. Di certo non avrebbe fatto rapporto
alla McGranitt per dirle di quello scontro interno alla loro
combriccola, ma la leggerezza che quei due mostravano nei confronti di
Codaliscia suonava come un insulto alla loro amicizia.
«Sono l’unico in pensiero per Pete? Davvero non ve ne importa un accidente che stia così male?» chiese.
«Non può stare peggio di te dopo una luna piena. E
credimi, ieri eri uno straccio» bofonchiò Sirius, tornando
a stendersi.
«Tranquillo, Lunastorta. Gli passerà. Con le donne
è così» affermò James, con l’aria di
chi la sapeva lunga.
Di contro, il Prefetto levò gli occhi al cielo. Se c’era
qualcuno che non poteva parlare di quel genere di argomenti era proprio
lui, che si struggeva per giorni interi dopo ogni diniego della sua
sola, unica, ragione di vita, facendoli uscire di senno ogni volta.
«Da che pulpito» osservò desolato, tornando a sedersi.
***
Occorsero tre mesi prima che i rapporti fra Peter e Sirius tornassero
nella norma. Nonostante la pacificazione però, qualcosa, dentro
Codaliscia, si era guastato per sempre.
Non rivide più Brenna, ma negli anni trascorsi in casa Weasley,
riuscì a condurre qualche piccola ricerca, frugando tra i
ritagli della Gazzetta. La professoressa Knowledge non aveva
abbandonato del tutto lo studio della Difesa dalle Arti Oscure, ma si
era ritirata a vivere in un vecchio faro lungo la costa sud
dell’Inghilterra. Benché vivesse nel più completo
isolamento, aveva scritto alcuni interessanti testi su quelle singolari
creature oscure che aveva mostrato loro, in particolare folletti e
spiritelli, che si faceva inviare dai colleghi.
Peter avrebbe tanto desiderato poterla rivedere, per dirle la
verità su quell’incontro tutt’altro che mortale e
sulle sue proposte assurde, ma la maledizione della cattedra di Difesa
l’aveva colpita comunque: durante una violenta tempesta, il faro
era crollato, seppellendola e cancellandone il ricordo. Strappandola
per sempre a quel ragazzino con gli Amaricci in tasca.
Ringrazio moltissimo Rowena, giudice del contest, di cui riporto i commenti.
Garantisco che gli errori indicati qui sotto sono stati corretti, ma se ne trovate altri, fatemi sapere.
Seconda classificata: Ely79 con Grami e Amaricci
Una storia molto bella: una professoressa valida e competente con le
sue debolezze (di gola e non soltanto) che fa breccia nel cuore del
giovane Peter Minus. Brenna mi è piaciuta molto, con i suoi
difetti e i suoi pregi, e mi è davvero spiaciuto per la sua
fine. Speravo che l’intervento del canide fosse abbastanza per
far contenta la maledizione, ma alla fine… Bello spaccato, anche
per come hai reso l’evento che ha creato la prima insanabile
spaccatura tra i Malandrini. Ci sono però alcuni refusi e un
paio di concordanze verbali che non mi convincono: in particolare, ci
sono due congiuntivi proprio sbagliati che, anche se non rovinano la
lettura, sono un errore che ho dovuto tenere più che da conto.
Grammatica e sintassi: 7,75
Capacità espressiva: 8
Rispetto parametri e traccia: 8
Originalità e creatività: 8
MEDIA: 7,94
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