Saint Seiya Gunther 2
Un nuovo Cavaliere
Dall'alto di quella rupe, il panorama era stupendo.
Ormai era notte da un pezzo e tutti i villaggi della costa avevano
acceso le loro luci, che illuminavano quel confine tra terra e mare
come una piccola via lattea artificiale. a differenza di tanti paesini
della Grecia, in quella zona i turisti erano ancora scarsi, quindi
nessuna confusione creata da vocianti e casinari turisti veniva a
turbare la quiete.
Saziatosi di tale vista, Gunther decise finalmente di voltarsi verso i suoi tre compagni per quella notte.
A metà strada, si era infatti unito Etiènne, che non aveva certo intenzione di lasciar correre.
"Ok, sicuramente è un bel panorama, ma spero che non abbiate
intenzioni nascoste voi tre. So che le donne scarseggiano al santuario,
però certe tendenze..."
"Taci, stupido!" esplose Etiènne, per una volta incrinando la sua proverbiale calma.
A quel tono, involontariamente il giovane incassò la testa tra le spalle.
"Possibile che tu non sappia stare due giorni lontano dai casini?
Quante volte ti hanno ripetuto che è proibito combattere tra
allievi, qui al santuario, al di fuori dell'allenamento?!"
"Cento volte" borbottò l'altro, contrariato.
"E con questa sono cento e uno! Sei talmente stupido da dover sentire
più di cento volte la stessa cosa per comprenderla?"
"Ma non c'entro nulla! Stavolta, almeno!" si premurò di aggiungere.
"Mi allenavo per i fatti miei e questo viene a fare il gradasso... ho
fatto un opera buona, gli ho impartito una lezione di umiltà!"
"Dea Atena, trattienimi tu, ti prego..." sibilò tra i denti il
moro al limite della pazienza e molto propenso a scaraventarlo di sotto.
"Capricorn, ti prego di contenerti" mormorò Anil, serio ma non
turbato nè dalle continue risse di Gunther nè dall'ira
del cavaliere d'oro.
"E sia. Ti avverto, ragazzino, per te non ci saranno più richiami".
"Non credo che tu abbia l'autorità per cacciare alcuno dal
santuario... nonostante tu sia un protetto di Atena"
osservò gelidamente Milan, per poi proseguire "non sei un
nostro superiore e nemmeno il più forte, se è per
questo...".
Freddo com'era, non si sarebbe mai detto, ma Milan di Acquarius sapeva
dove colpire l'avversario, con i pugni e con le parole, all'occorrenza.
Indignato, il cavaliere di Capricorno decise di non dargli affatto
corda, ma di ritirarsi in buon ordine con l'aria più sprezzante
di cui fosse capace.
Era uno maturo, lui: non si sarebbe abbassato a minacciare a sua volta
il collega di una fine precoce e dolorosa mediante Excalibur.
Rimasti soli, il santo di Virgo sospirò, sedendosi su una roccia vicina e facendo cenno al ragazzo di imitarlo.
Mentre tutti si accomodavano, da dentro l'armatura che proteggeva la
zona sinistra del torace il ragazzo tirò fuori un pacchetto di
Lucky Strike e un accendino, accendendosi con aria soddisfatta una
sigaretta: doveva tenere a mente quel posto, fumare con una vista del
genere dava una sapore speciale alla nicotina; magari però la
prossima volta ci veniva senza Anil, che stava arricciando il labbro in
una piega ostile.
"Dovresti smettere con quel veleno, Gunther. Un cavaliere deve avere
cura del proprio corpo e quella roba di certo non aiuta" affermò
deciso l'indiano.
"Parole sante" concordò con serietà il cavaliere di
Acquario, prima di ingollare una generosa sorsata di vodka da una
bottiglia che chissà dove l'aveva tenuta nascosta fino a quel
momento, guadagnandosi un occhiata di disapprovazione da parte del
monaco che evidentemente considerava l'alcool alla stessa stregua della
nicotina.
"Ehi, sono passato da due pacchetti a cinque sigarette al giorno! E' un
record rispettabilissimo ma ho intenzione di fermarmi qui. Vuoi essere
così crudele da togliere un piccolo sfizio a un giovane uomo che
si è fatto il culo per un giorno intero?" ghignò, tirando
una boccata soddisfatta.
"Lasciamo stare" sospirò l'indiano, massaggiandosi le tempie per poi proseguire con il suo tono più serio.
"Sono ormai passati due anni da quando hai intrapreso la strada per
diventare cavaliere... e bisogna ammettere che hai fatto progressi in
una maniera spaventosamente veloce"
Alle parole del Santo il ragazzo non potè fare a meno di ridacchiare soddisfatto.
"Pensiamo quindi sia giunto il momento di metterti alla prova. Domani,
verrai condotto nel luogo in cui si trova un armatura. Un armatura
d'oro, si intende".
Quanto tempo aveva aspettato prima di sentirsi dire quelle paroline
magiche? Deglutì vistosamente, rischiando per lo stupore e
l'eccitazione di far cadere la sigaretta dalle labbra e quasi
perdendosi la seconda parte del discorso del Santo.
"Mi corre l'obbligo di avvertirti che non sarà la passeggiata
che credi. Fallire non è una remota possibilità".
"Che succede, se fallisco?"
"Muori" rispose semplicemente Milan, intervenendo per la prima volta nella conversazione
"E' anche vero che potresti sopravvivere e fallire, ma a quel punto
verrai costretto ad indossare il più basso rango delle armature
e indovina un pò chi chiederà di essere il tuo diretto
superiore?".
Ancora una volta in quella serata, Gunther trasalì, stavolta non
proprio di gioia all'idea di diventare il subordinato di Milan.
"Fottiti, ghiacciolo. Non ti darò la soddisfazione di vedermi
fallire! Ti piacerebbe che io ti portassi la colazione a letto, eh?"
"Bah. Muori" gli augurò l'altro alzandosi.
Anil lo guardò in tralice, sorpreso: mai avrebbe pensato che
quello che lui considerava un pò un amico covasse pensieri tanto
astiosi nei confronti di quel giovane che tutto sommato non gli aveva
arrecato torto!
"Domani alle nove fatti trovare al porto. Puntuale. Lì ci
sarà la tua guida, che ti condurrà nel luogo della tua
prova".
"E' in ritardo" constatò il cavaliere di Virgo, osservando l'orologio.
Milan sembrava rilassato, nonostante tutto: il mare dell'Egeo in estate
era splendido, una distesa di turchese fino dove l'occhio poteva
arrivare con vento fresco proveniente dalle montagne che abbassava la
temperatura di una giornata altrimenti di un calore insopportabile.
Il punto di partenza sarebbe stato uno dei più piccoli villaggi
del sud della Grecia: il porto, piccolo e pittoresco, in quel momento
era vuoto in quanto i
pochi pescherecci erano salpati all'alba e non sarebbero tornati che
molto dopo il tramonto; avevano scelto quell'ora apposta, per evitare
la confusione del primo mattino ed essere lontani quando la vita
avrebbe ripreso a scorrere nel sonnolento villaggio, ma l'aspirante
Santo non sembrava molto affidabile da questo punto di vista.
"Credete sia scappato?" domandò con vaga apprensione il terzo
cavaliere, la guida di Gunther. Slanciato e di aspetto non troppo
robusto, come gli altri cavalieri sembrava piuttosto giovane: il suo
aspetto tradiva l'origine greca al pari del nome, come chiunque poteva
osservare dai corti ricci bruni e dal naso ben definito ma non
sgraziato. Non fosse stato per l'aura potente che irradiava anche quando era calmo, poteva facilmente passare per uno dei tanti bei ragazzi che affollavano le spiagge greche in estate.
"Non credo, Kosta. Più facile che l'emozione lo abbia tenuto sveglio tutta la notte e che ora sia crollato..."
"Arriva" li interruppe il Santo di Acquarius, senza voltarsi.
Gli altri due lo guardarono interdetti: loro non avvertivano nessun
cosmo in avvicinamento e uno dei due era il migliore dei sensitivi!
Puntando un dito dietro di sè, Milan indicò un puntolino
lontano che stava scendendo dalla strada che portava ai templi usata
dai contadini per portare la merce; anche da quella distanza, nel
completo silenzio giungeva fino alle loro orecchie un rumore che doveva
essere poderoso.
Arrivato più vicino, i due si resero conto di quello che erano
successo: ad Anil cascarono quasi le braccia, nel rendersi conto di fin
dove potesse arrivare l'umana demenza, mentre Kosta, che non lo
conosceva bene, lo guardava interdetto. Per l'occasione, il ragazzo
aveva pensato bene di fare il suo trionfale ingresso...
"Cosa. E'. Quella?" scandì il cavaliere di Aries, appena il ragazzo fu a portata d'orecchio.
Evidentemente l'incoscenza della gioventù non lo aveva ancora
abbandonato del tutto, quindi non percepì l'implicita minaccia
nella voce del Santo, anzi: raggiante, scese dalla potente moto da
corsa, dandole una affettuosa carezza.
"Una naked italiana, una Ducati! Bella bestia, vero? Non è una
Harley, ma ha un caratteraccio che mi piace un sacco" sogghignò,
felice come un bambino a Pasqua.
"E... perchè sei su una moto invece di venire all'appuntamento che ti era stato fissato?"
Ormai il povero uomo non sapeva a che Santo votarsi, aveva capito che quel tipo aveva una testaccia bacata fino in fondo.
"Beh... ieri non mi è riuscito di dormire, così
stamattina mi sono alzato presto e chi incontro? Il figlio del sindaco
con questa bella signora" accennò al mezzo "Così gli ho
chiesto di farmi fare un giro... e il tempo è volato!"
"Kosta..."
"Lasciamo stare. In fondo, è un bene che tu sia carico: la prova
che ti attende richiederà molto più di quanto tu possa
essere in grado di dare" sbottò l'altro, scuotendo la testa.
"Ora: lascia quel mezzo, ci penserà Milan a restituirlo al suo legittimo propietario. Tempo di mettersi in viaggio".
"Come raggiungeremo il posto dove diventerò cavaliere?"
"Con questa" illustrò la guida, mostrando una anonima barchetta
a remi dipinta di blu, come ce ne sono migliaia in qualunque porto del
Mediterraneo.
"Una scialuppa?" fece perplesso. Probabilmente avrebbe dovuto remare
fino ad una delle innumerevoli isole che costellavano l'Egeo, nulla di
troppo complicato, pensò l'aspirante cavaliere sistemandosi alla
meglio sulla stretta panca di legno e impugnando i remi, mentre Kosta,
con una bussola in mano, era in piedi a prua.
"Saremo di ritorno il prima possibile".
"Che la Dea vi assista, Kosta e Gunther".
"Ti preparo i crisantemi, ragazzino?".
"Tienimi in fresco una bottglia di vodka per festeggiare quando torno!"
Mentre i due si allontanavano, a regolari colpi di remo la barchetta
prese ad allontanarsi dalla costa, e appena fuori dal porto Gunther
decise bene di portarsi avanti con il lavoro e di dirigere la prua
della barca verso est, in modo da mettersi in direzione dell'arcipelago
greco.
"Non mi pare di averti detto dove andare".
"Ma... l'est è da quella parte... "
"Non andiamo a est. Andiamo a ovest. Rema in quella direzione,
finchè non avvisti terra e non perderti d'animo. Ci vorrà
un pò di tempo".
Un pò di tempo? Aveva visto il sole tramontare e sorgere di
nuovo, prima che all'orizzonte si delineasse una minima striscia di
terra e aveva ormai le braccia a pezzi. La sua guida, invece, era
rimasta per tutto il tempo a prua, immobile e in piedi, senza dire una
minima parola, limtandosi ad alzare gli occhi al cielo per osservare le
stelle quando queste cominciarono a mostrarsi sulla volta celeste.
Come che fosse, però, si accorse di essere arrivato quando vide
la sua guida rilassarsi e muovere i muscoli leggermente intrizziti dal
freddo notturno.
Potevano rompere le montagne a testate, ma l'umidità di notte sul mare è micidiale per chiunque!
La spiaggetta su cui sbarcarono era silenziosa almeno quanto il porto d
acui erano partiti, se si faceva eccezione per il fruscio della brezza
tra gli arbusti e le alte macchie di erbacce che crescevano incolte:
per un istante, Gunther si sentì come l'unico personaggio
storico di cui sapesse qualcosa e che ammirasse, ovvero Colombo nel
momento in cui sbarca sul nuovo continente.
Kosta, senza esitazione, prese ad incamminarsi lungo un sentiero che si
distingueva a malapena tra la vegetazione, aprendo bocca per la prima
volta da quando erano partiti.
"Bene... siamo arrivati esattamente dove volevo" mormorò,
fissando la piccola bussola per rivolgersi a voce più alta al
ragazzo che accompagnava.
"Aspetta ad esultare, Gunther: abbiamo altra strada da fare, stavolta a piedi".
"Ancora strada? Argh..."
Il Santo annuì. "Ci troviamo in Italia, più precisamente
in una regione chiamata Sicilia che da secoli custodisce l'armatura che
dovrai conquistare nel cuore..." il giovane bruno lasciò
scorrere l'indice sull'orizzonte, fermandolo in direzione della
sommità di un monte piuttosto vicino "del vulcano chiamato Etna".
"UN VULCANO?! Devo recuperare la mia fottutissima armatura in uno strafottuto VULCANO?!"
"Già. Ah, nel caso in cui te lo stia chiedendo, è perfettamente attivo".
Voltandosi, non potè fare a meno di sorridere alla sua espressione.
"Te l'avevano detto che non sarebbe stato semplice, no?".
Le parole di risposta che in quel momento gli venivano alle labbra
erano tutte assolutamente indegne di un Santo, anche di terz'ordine,
così Gunther preferì tacere e risparmiare il fiato per la
scarpinata, incamminandosi al seguito del cavaliere dell'Ariete che
preferì non infierire.
Evitando le zone più trafficate grazie alla conoscenza del
territorio, Kosta portò il ragazzo su per un sentiero scosceso,
quasi una sorta di arrampicata a mani nude, resa infida dal pietrisco
che al momento meno opportuno faceva perdere l'appoggio, rischiando di
riportarti al punto di partenza o di farti scivolare in un crepaccio.
La lunga regata gli aveva indolenzito le braccia e doverle usare per
tenersi in equilibrio non aiutava affatto; comunque, si fermarono a
circa un terzo del pendio, dove una sorta di pianerottolo abbastanza
ampio per dieci persone faceva da ingresso ad una scura caverna. I
raggi del sole, ormai paralleli, facevano intuire la scarsa
profondità così una volta dentro Gunther non ebbe
problemi ad adattarsi facilmente al cambio di luminosità.
Il luogo era più rifinito di quanto ci si potesse attendere: il
pavimento, così come le pareti, erano lisce e semplici,
eccezzion fatta per le rientranze nei muri che permettevano di
sostenere torce di legno e resina; in fondo alla grotta, era stato
costruito una sorta di altare in pietra, una piccola meraviglia di
scultura che recava raffigurato sulla parte frontale un enorme
granchio. Lo stesso simbolo che adornava la cassa d'oro massiccio
poggiata sopra.
All'avvicinarsi dei cavalieri, lo scrigno che custodiva l'armatura
d'oro della costellazione del Cancro si aprì, rivelando il suo
scintillante contenuto.
"Questa... questa è la mia armatura?" fece Gunther, incredulo,
per poi sorridere selvaggiamente quando Kosta annuì.
Emozionato, l'aspirante cavaliere si fece avanti per reclamarla, ma
l'armatura cominciò ad emanare un cosmo ostile, denso e quasi
putrido come pile di cadaveri, che ricacciò indietro il ragazzo,
spaventato.
"Ma che diavolo...?"
"Mi aspettavo qualcosa del genere" ammise Kosta. "Il gran sacerdote una
volta mi parlò del precedente propietario dell'armatura, un uomo
spietato e malvagio, tanto da meritarsi il soprannome di Death Mask.
Costui era tanto crudele da uccidere chiunque gli si parasse innanzi,
uomini, donne e bambini, adornando con i loro teschi la quarta casa.
Tanta e tale fu la sua malvagità, che questa armatura decise di
abbandonarlo, prima che venisse sconfitto da Shiryu del Dragone. Penso
che parte del suo cosmo malvagio abbia infettato l'armatura, tanto che
ora si rifiuta di essere indossata".
"Che stronzata!" esclamò Gunther.
"Credi di essere figa, eh, armatura? Tutti abbiamo problemi, cosa
credi? Io per esempio devo fare i conti con una marea di stronzi
giù al santuario che ti guardano dall'alto in basso solo
perchè non sei fottutamente vestito d'oro! Ma che faccio, mi
metto a piangere, per caso? No!"
Ormai Kosta, bellamente ignorato, decise bene di appoggiarsi al muro,
osservando con aria divertita e interessata quel teatro improvvisato,
mentre il ragazzo continuava a sproloquiare contro le perfettamente
immobili vestigia del Cancro.
"Quindi, mettiti, l'anima, il cosmo o quello che è in pace,
perchè senza di te non me ne vado! Capito?" terminò,
sedendosi a gambe incrociate di fronte all'armatura, quel tanto di
distanza che bastava a non subire quel suo cosmo disgustoso.
"Dovesse passare una settimana...."
Il giorno stava volgendo a termine e Gunther non era ancora uscito una
sola volta dalla grotta, nè per mangiare o bere nè per
fare due passi e cambiare aria. Testardamente fissava l'armatura, che
in una qualche maniera aveva cominciato a dare a Kosta l'impressione di
ricambiare.
Quando alcuni anni prima lui ottenne l'armatura dell'Ariete, non era
assolutamente successo nulla di simile, nè aveva avuto pretesti
per interrogarsi su una effettiva presenza di un anima nelle armature;
ma il duello tra Gunther e le vestigia del Cancro lo lasciava perplesso.
Ormai il sole era completamente tramontato al di là
dell'orizzonte, quando il Santo dell'Ariete si sentì prendere da
uno strano presentimento di ansia: volgendo gli occhi alla cima del
monte, si accorse che questo cominciava a illuminarsi di oro rosso e a
cacciare fumo denso, segnali inequivocabili di quello che sarebbe
successo di lì a poco. Era preoccupato, non tanto per loro
perchè due cavalieri, ancorchè uno solo aspirante,
potevano benissimo sopravvivere quanto per i paesi che erano stati
costruito poco distanti dal monte.
Sarebbe stata una strage.
Era evidente che questo doveva essere il motivo per cui era stato
scelto per accompagnare Gunther: il suo Crystal Wall sarebbe stato
efficacissimo per deviare la lava ma prima che potesse fare anche un
solo passo verso il suo obiettivo, sentì intorno a sè una
presenza ostile ma non pericolosa; come qualcuno che lo stesse
trattenendo.
Non fece in tempo a prendere una decisione che Gunther si fiondò fuori la grotta.
"Kosta! Che cavolo succede?!"
"Il vulcano! Il vulcano sta per eruttare!"
"Merda! Ti pareva!"
"Bisogna fermarlo a tutti i costi. Io cerco di creare uno sbarramento
per deviare il flusso più a valle, tu vedi di guadagnare tempo!"
Prima che potesse replicare in alcun modo, il cavaliere era già scomparso oltre la sua visuale.
"Fermarla... ma come, cazzo? C'era una lezione su come fermare la lava a mani nude e me la sono persa?!"
"Ghi, hi, ih,ih"
Gunther si voltò in direzione di quella bassa risata: pensava di
essere rimasto solo, invece, seduto su una roccia, un tipo
incappucciato masticava qualcosa che prendeva da un sacchetto;
indossava un logoro mantello blu notte, con il cappuccio che gli
copriva parzialmente il volto e dei vecchi pantaloni di fustagno,
consumati dal troppo uso ma quando alzò gli occhi, il ragazzo si
stupì della limpidezza del suo sguardo.
"Fermare la lava a mani nude? I giovani d'oggi... guardate troppa televisione e non ascoltate gli anziani".
"Chi diavolo sei... che ci fai qui? Accidenti... vedi di scappare
più in fretta che puoi, qui sta per scatenarsi l'inferno!"
"E tu, povero giovinastro che non sa niente, vorresti impedirlo?"
"Da solo no" ammise a denti stretti "Ma con il mio amico..."
L'uomo scosse il capo scosse il capo, quasi deluso.
"So che intenzioni ha, quel giovane coraggioso. Ha forza e ingegno, ma
non è ancora esperto e i suoi occhi non sono ancora aperti".
Tremolante, prese per il braccio Gunther, che non oppose resistenza.
"Vedi quel piccolo villaggo laggiù? Quello era il mio paese,
mille persone in un buco dimenticato da Dio. Sarà il primo a
essere sommerso dalla lava, qualunque cosa decidiate di fare".
"Allora quella gente è condannata?"
Indeciso, l'uomo si grattò il mento "Non lo so, sul serio" fece
come se stesse parlando del tempo "ma forse, una cosa si può
fare. Entra nella grotta, chiudi lo scrigno e porta l'armatura in cima
alla montagna. Ti aspetterò là. Non ti preoccupare,
stavolta l'armatura non ti respingerà".
Perplesso, il ragazzo fece come gli era ststo detto, scoprendo che
quell'uomo misterioso aveva ragione: poteva trasportare l'armatura nel
suo contenitore senza problemi, anche se rispetto a prima aveva la
sensazione di avere a che fare con un semplice pezzo di metallo.
Più veloce che potè, il giovane raggiunse la cima: a
breve, la lava che in quel momento bolliva a poche centinaia di metri
sotto di loro si sarebbe liberata in una onda devastante, sommergendo
tutto quello che incontrava sul suo cammino. Come promesso e
chissà come, quel tipo era lì: se vicino la grotta era
sembrato inoffesivo, ai bagliori rossastri ora aveva assunto una spetto
quasi demoniaco.
"Da secoli, l'Etna custodisce l'armatura del Cancro: il suo calore la
scalda, le sue viscere la nutrono in attesa del suo legittimo
propietario. Si dice che tra queste fiamme sia stata forgiata in tempi
immemorabili, per questo ha conservato con il vulcano una speciale
affinità".
Non era la voce di un anziano, quella. Stentorea e potente, poteva appartenere di certo ad un uomo molto più giovane.
"Ora, Gunther dall'America, fai la tua scelta: puoi indossare
l'armatura del Cancro e sopravvivere alla forza del vulcano,
condannando mille misere persone a morire nella lava; o puoi restituire
l'armatura alla bocca infernale dell'Etna, calmandolo ma rinunciando
per sempre ad essere un cavaliere di Atena".
Il ragazzo strinse più forte le cinghie che assicuravano lo scrigno, insicuro sul da farsi.
"Per come la vedo io" proseguì il tipo "Questo mondo è
fin troppo sovraffollato. Che saranno mai, mille anime in più o
in meno? Prendi la tua ricompensa, figliolo, il frutto delle tue
fatiche; dovessi sentirti in colpa, pensa che con quelle vestigia
potrai salvarne miliardi".
"E' vero" articolò a fatica Gunther, ritrovando padronanza di sè stesso.
"E' vero che al mondo mile persone in meno o in più non cambiano niente... ma non posso fare una cosa del genere".
"Quando ho letto il tuo cuore non ho sentito tutto questo altruismo".
"Altruismo?" sogghignò "Quello lascialo ai deboli! Non è per una ragione così stupida che combatto!".
Concentrando il cosmo nelle mani, provò a indirizzarlo contro il
fondo infernale del vulcano, cercando di respingere le alte ondate che
si preparavano a scatenarsi, ma era utile quanto cercare di spegnere un
incendio con un secchiello d'acqua. La sua energia, per quanto potente,
si limitava a intaccare la superficie causando una piccola depressione
che veniva immediatamente colmata.
"I tuoi sforzi sono inutili, a quanto sembra. Del resto, cosa ci si
poteva mai aspettare da uno che non è nemmeno un cavaliere?"
ghignò il tipo.
"Coraggio... prendi l'armatura e vattene. Hai perso già fin troppo tempo in una cusa persa".
"Persa? Ti sbagli vecchio. Si può perdere solo quando ci si arrende!"
Come molto tempo fa, sentì il cosmo agitarsi dentro di
sè, ribollente e feroce quanto e più della lava che aveva
sotto di sè: era una sensazione che non aveva mai provato da
allora, nemmeno negli allenamenti con i compagni più forti,
quella della propria forza vitale che inonda il corpo come un fiume in
piena.
"Forse per il mondo queste sono mille persone qualsiasi, ma per me,
sono mille persone speciali... quelle... sono le prime mille persone
che SPARGERANNO LA VOCE DELLA POTENZA DI GUNTHER, CAVALIERE DI CANCER!"
ruggì in un crescendo, mentre espandeva il cosmo ai suoi limiti
più estremi.
La cima dell'Etna venne interamente ricoperta di luce, che
arrivò ad inondare la valle e il vicino villaggio per un breve
momento.
In una delle case, una bimba si affacciò alla finestra.
"Guarda nonna! Il vulcano non trema più!"
"Santo cielo... è un miracolo..." tremolò la vecchina, stupefatta.
"Nonna, nonnina... cos'è quello?"
Il ditino della piccola puntava verso il monte, dove alle prime tenui luci dell'alba, una piccola stella brillava.
"Oh cara... quello deve essere lo spettro d'oro del vulcano, uno
spirito buono che protegge la gente dalle eruzioni! Sembra che compaia
ogni volta che l'Etna sia irrequieto, calmandolo con la sua presenza.
Anche quando ero giovane comparve e tuo nonno scalò la montagna
per andarlo a vedere".
Sorrise la vecchia nonna alla nipote che ascoltava attenta.
"E lo ha visto, lo ha visto?"
"Certo tesoro... anche se disse che era alto come un uomo e tutto vestito d'oro!"
"Un uomo vestito d'oro..." sognò la bambina, ridendo assieme all'anziana.
In cima al monte, a braccia conserte, Gunther del Cancro si godeva il
panorama, sorridedo compiaciuto nell'osservare la sua nuova armatura
che lo rivestiva da capo a piedi.
"Oi! Hai visto, vecchio disfattista? E tu che..."
Si bloccò. Non c'era più nessuno ad ascoltare le sue parole, il tipo era scomparso nel nulla.
Il vento del mattino del mattino gli fece girare il capo, incrociando davanti a sè un uomo che gli assomigliava un sacco.
"Ben fatto" gli diede una piccola pacca sulla spalla "Porta in alto
l'onore dei cavalieri del Cancro... anche se detta da me suona male, ti
pare?"
"O... Oi..."
"A presto!" gli voltò le spalle sorridendo il fantasma, prima di svanire nell'aria del mattino lasciandolo perplesso.
-Un cavaliere prima di te è stato sopraffatto dal peso della
morte che sempre accompagna le vestigia che indossi. Riuscirai con
quella tua passione per la vita a contrastare quel dolore e a mantenere
la via della verità e della giustizia?- si chiese il cavaliere
dell'Ariete, poggiato all'ombra di un pino mentre osservava a braccia conserte la nascita di un nuovo,
formidabile difensore di Atena e del mondo intero.
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