I’ll bite you to
death, Tsunayoshi Sawada.
Cosa dire…?
Beh, innanzitutto: Ciao!
Sono tornata :)
A questo punto ci sono
quelli che non
hanno letto le mie prime fic su Katekyo Hitman Reborn a cui il mio
ritorno non
può fregar di meno, o che magari sono curiosi (ragazzi, non
sono nelle vostre
teste, quindi non lo so) e poi ci sono quelli che le hanno lette:
Oh,
avanti…non disperatevi troppo che
potrei crederci…
ahah!! Ok, sto
scherzando ma spero
veramente che leggerete questa con lo stesso entusiasmo
dell’altra, anche se
tratta un argomento del tutto differente. Innanzitutto non è
comica (almeno,
non all’inizio. Non posso assicurare che la mia vena ironica
non esca fuori a
sproposito, nel caso mi scuso o spero vi divertiate, come preferite) ed
è anche
un tantino più lunga, il numero di capitoli non li so
esattamente ma
sicuramente non due (almeno 8, poi non saprei…).
Quindi…preparatevi
psicologicamente
e…buona lettura :)
Ok,
ragazzi, adesso chiudete gli occhi (solo metaforicamente parlando, eh!
Altrimenti come fareste se no a continuare a leggere…uff,
devo spiegare proprio
tutto…) dicevo, chiudete (metaforicamente) gli occhi e
immaginatevi lo
scenario:
Sono
tutti tornati dal futuro, stanno tutti bene, hanno le nuove versioni
degli
anelli Vongola e anche quelli delle loro box. Sono tranquilli, sono
felici.
Sono tutti insieme.
Troppo
bello per essere vero, no? Quanto credete che questa idilliaca pace
potrebbe
durare? Un mese? Due? Qualche settimana? Sbagliato
ragazzi…solo tre giorni.
Di
nemici sconosciuti, Tsunayoshi Sawada, ne ha veramente tanti, forse fin
troppi.
Ha nemici ovunque, anche amici ed alleati, questo è certo,
ma, per quanto
possano stare tutti all’erta, ogni cosa non può
essere tenuta sotto controllo.
Nemmeno con il super intuito Vongola.
In
particolare se i sopracitati si trovano a migliaia di chilometri di
distanza. Soprattutto
se questi nemici si trovano provvisti di un’arma sconosciuta
e dagli effetti
devastanti come quella che la famiglia Ferro aveva creato.
Un’arma
talmente potente da essere in grado di far sparire il Decimo dalla
faccia della
terra.
Ed
è così che Sawada Tsunayoshi è
scomparso. Lasciando una scia di amici, alleati,
forse nemici, conoscenti e avversari senza di lui. Senza la loro guida.
E
senza che ne serbassero memoria.
Ed
è qui, signori, che la mia storia avrà inizio: in
un pomeriggio come tanti
nella cittadina di Namimori, un anno dopo il ritorno dal viaggio nel
Futuro,
con dei protagonisti che di comune non hanno nulla se non un ancora
sconosciuto
obiettivo e un identico senso di vuoto, sordo e inspiegabile.
Hayato
Gokudera non sapeva perché ma c’era qualcosa che
lo teneva legato a quella
terra così lontana da casa, al Giappone. A dirla tutta
ricordava anche solo
vagamente il motivo per cui, più di un anno prima, vi si era
trasferito; era in
qualche modo certo che fosse stato un motivo importante ma non riusciva
proprio
a ricordarselo.
Ogni
giorno si alzava da quella piccola casa che aveva affittato, andava a
scuola,
litigava con il proprio compagno di banco, Yamamoto, pranzavano
insieme, a
volte con la speciale presenza dei fratelli Sasagawa, molto spesso da
soli e in
silenzio. Come se non avesse niente da dirgli.
Come
se non si chiedesse come mai si sentisse tanto vicino a quel ragazzo
fissato
con il baseball e che non ricordava assolutamente il modo con cui erano
diventati tanto amici o, almeno, così intimi da permettersi
fugaci abbracci,
pranzi in compagnia e tante informazioni l’uno
sull’altro.
Mancava
come il collegamento tra tutti quei fatti.
Perché
si trovava ancora in Giappone? Cosa lo legava a quel posto?
Perché, nel tardo
pomeriggio dopo la scuola, si sentiva come se mancasse qualcosa di
fondamentale? Non sapeva cosa fare. Cosa faceva di solito dopo le
lezioni? Come
occupava il tempo?
~×~
Battendo
con tutta la propria forza la palla che il lanciatore avversario gli
aveva
tirato, Takeshi Yamamoto, la vide schizzare via come mai aveva fatto.
La vide
salire in alto, sempre più in alto, fino al tetto della
scuola e poi cominciare
la sua lenta parabola di discesa perdendosi oltre l’edificio.
Che fosse fuori
campo era ovvio; era finita oltre il perimetro della scuola. Mentre
correva per
le basi tra i gridolini eccitati delle ragazze sugli spalti e le urla
sconcertate di tutti, distrattamente si chiese da dove venisse tutta
quella
forza.
Da
dove arrivasse quell’istinto di far scivolare leggermente il
gomito indietro e
squarciare l’aria come se stesse maneggiando una spada e la
palla fosse in
realtà un nemico, Yamamoto, non lo sapeva.
Come
non sapeva collocare il senso di disagio che lo prendeva ogni volta in
compagnia di Gokudera, o l’ansia che lo attraversava quando
che entrava nella
palestra della scuola, o la sensazione che gli mancasse qualcosa.
Ma
cosa?
~×~
«Tempo!»
Ryohei
Sasagawa si tirò indietro vagamente confuso,
l’entusiasmo energico che
solitamente lo accendeva perso tra la folla esaltata ai lati del ring.
Osservò
immobile l’arbitro chinarsi sulla giovane promessa della boxe
professionistica,
che il ragazzo aveva appena colpito con il suo primo pugno, svenuto e
totalmente fuori gioco.
«Vittoria
per ko» decretarono i giudici increduli ed estasiati. Era la
prima volta che un
liceale riusciva in un’impresa del genere. Quel Sasagawa
doveva essere un genio
della boxe.
L’incontro
era durato solo 5 secondi del primo tempo.
Ryohei
accettò con insolita calma l’asciugamano
dall’allenatore e se lo mise
sugl’occhi per non far vedere il proprio viso a nessuno,
nemmeno a sé stesso.
Lo
aveva colpito ed era caduto senza il minimo sforzo. Com’era
possibile? Da dove
arrivava tutta quella forza?
~×~
Come
ogni giorno, da che si ricordi, ma di sicuro dalle ultime quattro
settimane,
Chrome Dokuro stava alla finestra del capannone di Kokuyo che
permetteva la
visuale dell’ingresso del parco, la visuale sul cancello e
non ne sapeva dare
un spiegazione. Provava come un senso di mancanza e non era
l’unica.
Anche
Mukuro-sama provava un senso di inquietudine che non riusciva a
spiegarsi e non
faceva nemmeno nulla per nasconderlo. Cosa le mancava? Cosa
l’aveva portata lì?
A chiedersi come o perché fosse nato il legame con
Mukuro-sama. A domandarsi
perché il desiderio di vendetta sulla mafia che
quest’ultimo aveva sempre
irradiato, si fosse spento così, come da un giorno
all’altro.
Cosa
gli mancava? Cosa mancava ad entrambi?
~×~
Lambo
correva veloce per tutta la cucina di casa Sawada mentre una sempre
più
scocciata I-pin lo rincorreva con un gyoza in mano mezzo mangiato. Nana
Sawada
rideva divertita abbracciata al marito.
Non
si ricordavano perché quei due, più un Fuuta
momentaneamente assente e una
Bianchi in viaggio, fossero comparsi da un giorno all’altro
nella loro casa ma
non si facevano domande. C’era come qualcosa che spingeva a
non chiedere
niente, come se tutto quello fosse normale.
«Su,
bambini» Nana mise fine alla contesa dei due con un dolce
sorriso e un piatto
di fumanti gamberi al vapore in mano «a tavola!»
Ridendo
e scherzando tutti si posizionarono mentre la donna li appoggiava al
centro del
piano guardando con apprensione la sedia vuota al proprio fianco.
«Ma
dove sarà andato Reborn? È insolito che salti la
cena…»
«Tranquilla,
Nana, starà dormendo» Iemitsu la
tranquillizzò con un sorriso «vedrai che non
appena sentirà odore di cibo ci
raggiungerà».
Nessuno
sembrò curarsi o anche solo accorgersi di
un’ulteriore sedia vuota, proprio
accanto quella di
Reborn. Nessuno la
vedeva ma c’era e aveva di fronte anche una ciotola vuota che
veniva posizionata
ogni volta senza saperne veramente il motivo e che la padrona di casa,
puntualmente, rimetteva a posto chiedendosi ad alta voce come mai
aggiungesse
sempre un piatto in più a tavola e ridendo con il marito
della propria
sbadataggine.
Chi
altro ci sarebbe dovuto essere?
~×~
Erano
ormai le sette di sera quando, il presidente del comitato disciplinare
Hibari
Kyoya, firmò le ultime pratiche necessarie
all’inizio sotto controllo dell’anno
scolastico. Passandosi una mano sugl’occhi prese
l’ultimo foglio e scorse
impassibile i nomi degli studenti che avevano cambiato scuola, che
avevano
osato lasciare la Namimori per andarsene in un’altra.
Li
avrebbe morsi a morte.
Hibane
Shita.
Ryuuga
Sumine.
Kamane
Ayako.
Wasada
Tsunayoshi.
Shinba-
Un
brivido freddo lo percorse costringendolo ad interrompere la lettura;
come se
uno di quei nomi…con occhio attento li scorse nuovamente per
cercare di capire
quale di quelli lo avesse così inaspettatamente colpito.
Chi? Aveva forse
combattuto con uno di loro e ne era persino rimasto soddisfatto? Cosa?
Leggendoli
nuovamente con attenzione si fermò su alcuni più
di altri nel tentativo di
riprovare quello stesso brivido, per cercare di capire.
Dopo
la quinta rilettura alzò le spalle e mise quel foglio
nuovamente sulla pila,
deluso.
La
stanchezza gli stava giocando brutti scherzi da qualche tempo a quella
parte;
non riusciva a dormire bene e non ne capiva il motivo.
E
Hibari Kyoya odiava non avere il controllo su tutto.
~×~
Lontano
dai rumori provenienti dalla cucina e da chiunque altro essere vivente,
l’assassino arcobaleno Reborn stava seduto a gambe incrociate
sulla finestra
dell’unica camera con letto singolo di casa Sawada, gli occhi
nascosti dalla
falda del cappello, Leon che lo guardava come preoccupato e la sola
luce della
luna ad illuminare l’espressione seria e confusa allo stesso
tempo.
Qualcosa
non andava.
Con
uno sbuffo si rigirò l’anello del Cielo che
sarebbe dovuto appartenere al
Decimo Vongola e lo vedeva ben diverso da quando era al dito del Nono.
Trasformato.
E
c’era anche un’altra cosa: aveva riunito i sei
guardiani.
E
allora perché mancava loro una guida? Con che criterio erano
stati scelti?
Cos’era successo?
Come
inizio, magari, può sembrare un po’ triste (e pure
incomprensibile direbbe
qualcuno…o tutti…) ma, fidatevi, è
necessario per comprendere bene il seguito.
Spero
vogliate seguirmi :)
Un
bacio
NLH
|