Titolo:
Bionde
allucinazioni
Personaggi:
Remus Lupin,
io (Severus Piton,
Olivander e qualche Babbano della mia
realtà)
Pairing:
Remus/io – no, non è vero. Volevo prendervi in
giro.
Conteggio
parole: 7000
e qualcosa.
Rating:
PG13 per il linguaggio spesso molto volgare della sottoscritta.
Genere:
Parodia, commedia, demenziale
ATTENZIONE.
Prima che
iniziate a leggere
questa cosa,
ci terrei a sottolineare che il solo motivo per cui l'ho pubblicata
è
perché erano secoli
che
non mi facevo viva, e non voglio che qualche simpatico pensi
«beh,
vabbe', è morta». No, dolcezza, io vivo eccome. :)
Questa
fiction era stata scritta l'anno scorso per un concorso indetto da
HpQuiz e, confesso, mi sono divertita un sacco a scriverla.
Sicuramente, più di quanto avrei dovuto – che
vergogna. L'obbligo
del concorso era quello di descrivere una settimana in compagnia del
proprio personaggio preferito – il che ha generato questo
risultato
totalmente idiota.
Chiedo
scusa a J.K. Rowling, che non si meritava un tale scempio, a Remus
Lupin, poveraccio, e a tutti voi che state per leggere. E chiedo
scusa anche alla mia dignità di fan-writer, così,
per par condicio.
P.s. Se qualcuno dovesse chiederselo, "polleggio" significa "calma" nel
gergo delle mie parti. O così credo, almeno.
Prologo
«Dell'inizio
in cui credetti d'essere Alice»
Non
è che io abbia costantemente la testa fra le nuvole:
è che la mia
testa ci trascorre un lasso di tempo così ampio che la gente
ha
finito per convincersi che io sia una sorta di moderna versione da
taverna di Alice.
Io
sono pronta a smentire tutte queste subdole accuse, dalla prima,
all'ultima e di nuovo alla prima. Così, per sicurezza.
Alice
– quella Alice, nel caso
qualcuno mi stesse fissando con sguardo perso – non indossava
dei
jeans da quindici euro comprati con i saldi al mercato del
venerdì.
E, se l'avesse fatto, di certo non li avrebbe portati usurati,
sdruciti e strappati. I suoi jeans sarebbero stati griffati, non
sporchi di vernice.
Alice
– quella Alice che
inseguiva il Bianconiglio, sì! - non indossava T-shirt di
tre taglie
più grandi di lei. Inoltre, sono piuttosto certa di poter
affermare
che mai si sarebbe
infilata una maglietta semi-distrutta degli ACDC.
È
temporalmente
impossibile.
Sarebbe
come chiedere a Babbo Natale di scartare un uovo di Pasqua il giorno
di martedì grasso. Il tempo è permaloso; bisogna
trattarlo con
riguardo.
In
più, sono sicura al per cento e al per mille che Alice
avesse dei
bei
capelli. Forse biondi.
Forse mori. Forse aveva anche le meches, le
extensions, il frisée
e il decoupage.
Sta
di fatto, che quasi certamente non
andava in giro per il Paese delle Meraviglie con degli ispidi e
intrattabili capelli puntuti.
In
più, Alice non è il tipo di ragazzina che impreca
ogni dieci
secondi. Non credo nemmeno che beva birra, per quanto io sospetti che
il Brucaliffo abbia avuto una pessima influenza su di lei. Alice non
si immette contromano per strada senza nemmeno rendersene conto: non
ha mica la patente, lei! E non rischia di uccidere pedoni e ciclisti
solo per andare a fare una partita a biliardo in città: nel
Paese
delle Meraviglie non ci sono mica pub fumosi e nonnine con la
Graziella in mezzo alle palle.
Chiarita
questa deplorevole incomprensione, qualunque balordo potrebbe
facilmente arguire che
io non sono Alice nel Paese delle Meraviglie. E lei, poverina, aveva
il cervello completamente flippato.
Un
eterno black-out
dell'Enel, in pratica.
Io,
invece, non sono affatto flippata.
Sono
sana quanto voi.
Mi
si possa arricciare la lingua se dico una bugia!
Bene,
abbiamo chiarito questo drammatico mistero edipico.
Come
la Sfinge, non come il complesso di Edipo.
Sono
sanissima, certo. Ho solo una domanda piuttosto complessa, a
riguardo.
Se
io non sono totalmente flippata,
(eventualità che avevo già scientificamente
smentito), perché
cavolo Remus J. Lupin mi sta fissando come se fossi una pazza
squilibrata?
Capitolo
uno
«Del
lunedì in cui credetti d'esser fusa»
«Detesto
apparire scortese, ma... chi sei?».
Ritiro
in tronco tutto ciò che ho detto: io sono
pazza.
Faccio
lo sforzo di aprire la bocca per rispondere. Giusto per mostrargli
che mi sto sforzando di reagire allo shock.
«Ehm...
io?».
Ok.
Non
era decisamente il modo migliore per mostrare il mio impegno.
Sembra
vagamente preoccupato.
Non
mi stupirei se stesse schiacciando uno di quei pulsanti nascosti
sotto alla scrivania, come quelli che si vedono sempre nei
polizieschi da quattro soldi. Sono quei pulsanti che non funzionano
quasi mai come il povero impiegato della banca vorrebbe.
E
finisce che gli sparano per aver tentato di fare il furbo.
Sempre.
È
da un po' di tempo che non guardo una puntata di Dottor House,
ora che ci penso.
No,
aspettate.
Dottor
House non andava mica in giro a rapinare le banche.
Però,
mi pare che una volta si sia beccato un proiettile da qualche parte.
Non
deve essere una cosa piacevole.
Ehi,
ma che sto dicendo?
«Perdonami»
riprende con un gentile sorriso tirato Remus (perché, ormai
è
appurato, l'affascinante uomo davanti al quale sto boccheggiando non
può essere che quel Remus).
«Non credo di aver capito chi tu
sia. Né per quale motivo tu sia
improvvisamente comparsa nel
mio ufficio. Né per quale motivo sulla tua T-shirt ci sia
scritto...» inarca concentrato il sopracciglio destro. Mi
chiedo se
qualcuno gli abbia mai fatto notare quanto sia dannatamente sexy.
«...“Maiàl,
iet ad Frara,
belo?”».
Ora
è visibilmente
spaventato.
Lo
capisco.
Lo
sarei anch'io se
qualcuno come me fosse comparso improvvisamente nel mio ufficio.
Lo
sarei stata anche se
non possiedo un ufficio.
Puràz.
È
così confuso che
non posso non intervenire.
Io
so
cos'è
accaduto e c'è una sola cosa che posso fare.
Mi
alzo in piedi con la
disinvoltura di una sardina e gli sorrido, sperando che non creda che
sia sociopatica. A giudicare dal suo sguardo, lo crede eccome, ma
tant'è... non posso avere tutto dalla vita.
È
il momento di
chiamare i rinforzi.
«Ohi,
Rollo! Mi sa che la quarta bionda dovevo lasciarla al
bancone!»
strillo
al soffitto.
Remus
sobbalza e salta
in piedi. Credo sia il momento di spiegargli cautamente la
situazione.
«Sorry.
È che Rollo dopo il secondo giro al bar tende a diventare un
po'
tocco. Problemi di genetica, lui dice... anyway,
mi chiamo Trick. Cioè, in realtà, non mi chiamo
Trick. Ma
chissenefrega. Tu sei solo un'allucinazione prodotta da un
disdicevole abuso di alcol, perciò sei moralmente obbligato
a
credere a tutto ciò che ti dico. Sono ubriaca e devi
assecondarmi, o
rischio di diventare violenta».
«...violenta?».
Ora
sembra divertito.
Annuisco
teatralmente.
È
un gesto che fa
sempre un grande effetto sul pubblico.
«Già.
Ma stai in polleggio,
Remus. Ora Rollo mi prenderà per le spalle,
inizierà a scuotermi ed
io trascorrerò la prossima mezz'ora con la testa infilata in
un
cesso. Comune routine».
Assottiglia
gli occhi
con espressione sinceramente interessata e si gratta pensieroso il
mento.
Ehi,
perché non gli ho
ancora detto che sono completamente pazza di lui?
«Come
fai a conoscere
il mio nome?» mi chiede.
«Stai
scherzando».
«No».
«Sì».
«No».
«Sì».
«Testa
o croce,
Remus?».
Sbatte
un paio di volte
le palpebre, allucinato.
Mi
sento in colpa per
avergli causato tutto questo sconvolgimento.
«Hai
davvero
detto
di aver letto
la mia
storia?».
Annuisco.
«In
un libro»
continua imperterrito.
«No,
in un opuscolo
del mio dentista».
Scuote
la testa.
Mi
fa sempre più
compassione.
«Questo
non è
possibile» afferma con estrema decisione.
Mi
chiedo se stia
cercando di convincere me o se stesso.
«Tu
non puoi aver letto un libro che parla di
me».
«Ehi,
prima donna! Non
ho mai detto che il libro parla di te!».
Lo
avrei preferito,
naturalmente, ma tant'è che così J.K. ha deciso.
«Il
libro parla di
Harry. Hai presente il tipo, no? Completamente idiota e
incredibilmente iettatore. Una pessima combinazione per il
protagonista di un best-seller mondiale, a mio parere».
«Harry?
Il
mio
Harry?
Harry
Potter?».
«No.
Harry Truman, il
Presidente degli Stati Uniti».
Scuote
ancora la testa.
Di
questo passo, finirà
per sfilarsela di netto.
«Com'è
possibile che
questa donna abbia scritto un libro su di noi?».
Lo
fisso sbigottita.
«Non
dire stronzate. È
lei che ti ha creato».
Mi
sembra estremamente
combattuto fra lanciarmi una fattura e scappare o scappare e
lanciarmi una fattura da lontano. In entrambi i casi, avrei qualche
problema a reagire.
«Supponiamo
che io
voglia credere a questa storia incredibile» mi dice con tono
discreto. «E, per ipotesi, che io voglia delle prove di
quanto
affermi. Cosa risponderesti se ti chiedessi –
così, per assurdo –
qual'è il mio secondo nome di battesimo?».
«John,
come tuo
padre».
Troppo
facile, bello.
Non
sai con chi stai
parlando.
«Quando
sono nato?».
«10
marzo 1960».
«Qual'è
stata la mia
Casa?».
«Grifondoro.
Eri nello
stesso dormitorio di James Potter, Sirius Black e Peter
Minus».
I
muscoli del suo viso
si contraggono appena, ma pare accusare il colpo con estrema
disinvoltura.
Bravo,
Remus.
«Come
si chiamava la
mia prima fidanzata?».
Maiala
vacca!
«Questo
non lo so».
Ed
è ingiusto che io
sappia chi sia Cho Chang e non chi sia stata la sua
prima
ragazza!
Lui
è l'uomo della mia
vita, in fondo.
«Bel
bluff, Trick»
ridacchia divertito. «Per un attimo, ho temuto davvero che
non fosse
uno scherzo».
«Sei
un licantropo e i
tuoi migliori amici diventarono illegalmente Animagus per alleggerire
il peso delle tue trasformazioni».
Ora
è sconvolto.
Chiamatemi
infame, ma
lui se l'è cercato.
Detesto
quando le mie
allucinazioni da sbornia sono restie a collaborare.
«Oh,
merda»
impreca.
«Voldemort
farà
cosa!?».
Perché
non me ne sto
mai zitta?
Mamma
me lo ripete
sempre.
«Dannazione,
non è
possibile, non è possibile!».
Si
alza di scatto dalla
sedia e inizia a muoversi nervosamente, gesticolando in continuazione
e fissando il vuoto con espressione stravolta.
Dov'è
che lo già
visto fare questo?
Ah,
già.
«Senti,
Remus.
Polleggiati. Andrà tutto bene, alla
fine».
Peccato
che muoia.
Oh,
porca--!
Remus
muore!
«Merdissima!»
strillo. «Dobbiamo evitarlo a tutti i
costi!».
Mi
guarda con sguardo
ardente.
Appena
abbassa la
guardia, gli salto addosso.
«Tu
conosci il futuro.
Sei l'unica che può aiutarci» mi mormora con
serietà funerea.
Annuisco
con drammatica
risolutezza.
Ehi,
aspettate un
attimo... quand'è che ho perso il controllo della situazione?
Oh,
giusto: alla quarta
birra.
«Dobbiamo
parlare con
Silente» continua.
«No!»
strillo
di nuovo. «No, no, no, no! Stra-no, arci-no, iper-no! Silente
non
deve sapere niente del genere!».
Mi
guarda come se fosse
completamente uscita di senno.
«Silente
deve
sapere».
«Silente
lo sa già e
continuerà a tirare la nonna al suo mulino!».
No,
ho sbagliato.
C'era
qualcuno che
ballava con la nonna di qualcun altro in mezzo all'acqua.
Oh,
fottute locuzioni
popolari!
«Remus,
devi fidarti
di me. Sono la tua unica speranza».
«La
mia...?» ripete
confuso. «A me interessa che la comunità magica
sia pronta ad
affrontare quanto accadrà dopo il ritorno di Voldemort. Il
resto non
ha importanza».
«Non
dire stronzate!».
Mi
fa incazzare quando
fa l'eroico paladino della giustizia.
«Tu
uscirai vivo da
questa cosa. E anche tua moglie. E pure Malocchio. E poi Sirius, Ted,
Severus, Scrimgeour, Fred, Colin, Cedric, Dobby e... ehi, sei
più
bianco dell'omino della Michelin!».
Trema.
Oh-oh.
Credo
che mi darò al
no-comment, per un po'.
«...m-mia
m-moglie?» balbetta terrorizzato.
Cazzo.
Ho anticipato la
sua crisi esistenziale di almeno un migliaio di pagine.
Sono
un'idiota.
No,
non è vero.
Sono
solo completamente
ubriaca e questa è solo un'allucinazione.
Non
sussiste problema
alcuno, quindi.
«Quando
intendi
m-moglie... intendi che... che...».
«No».
«No?».
«No»
ribadisco. «Hai
capito male».
«Temo
di aver capito
benissimo».
«Senti,
io ti adoro,
Remus, ok?» butto lì. «Se tu e tua
moglie, che è anche la cugina
di secondo grado di Sirius, pace all'anima sua, che in
realtà non è
affatto un criminale, perché è tutta colpa di
Peter Minus se James
e Lily sono morti, mi segui? Ecco, dicevo: se tu e lei doveste morire
e lasciare orfano il vostro unico figlio, Ted, che è lo
stesso nome
del padre di Tonks, che non è proprio il suo nome, che
quindi è tuo
suocero, insomma, ma lui è morto, poveraccio.
Cioè... te lo direi
con calma, ok? Non posso certo spiattellarti tutto ciò che
ti resta
da fare prima di morire senza alcun pudore!».
Mi
fissa inorridito.
Oh,
merda.
«Remus...?».
Centosettantesimo
tentativo fallito.
«Remus!
A gh'è un
cald da sgrazià chi dentar! Verzi st'armari!».
Scusate.
Volevo
dire: “Remus!
C'è un caldo da disgraziati qui dentro! Apri questo armadio!”,
ma dopo centosettantun tentativi di convincere Remus a farmi
uscire da questo fottuto e claustrofobico mobile, dovete capire che
sono piuttosto nervosa.
Nevrotica.
Incazzata.
Tanto.
«Oh,
e va bene! Va
bene! Morirò dentro il tuo armadio, fra le tue
camicie e le tue
cravatte!».
Be',
in fondo, poteva
anche andarmi peggio.
Pensate
se finivo fra i
mutandoni di Hagrid.
«Mi
hai sentito!? Ho
detto che morirò qui! E sarai tu a dover spiegare a Silente
che
cavolo ci fa una psicotica maniaca soffocata fra i tuoi
indumenti».
Clack.
Non
ci credo.
Mi
sta aprendo.
Oddio,
che brutta
faccia.
Non
è più così tanto
sexy, adesso.
Balle.
È
ugualmente sexy.
«D'accordo»
mormora
stancamente. «Puoi dormire nel mio letto».
Questo
è il giorno più bello della mia vita!
Più
bello di quando ho
piantato il mio ex e ho battuto il record al punji-ball nella stessa
sera.
«Io
dormirò sulla
poltrona».
E
che cazzo, non
vale...!
Capitolo
due
«Del
martedì in
cui decidemmo cosa fare»
«Lupin,
mi auguro che
il motivo sia di--».
«Ehilà,
Severus!».
Lo
saluto. È
educazione, no?
E
poi mi piace un po'
pure lui.
Perché
la gente si
impietrisce sempre quando si accorge di me?
Non
si rendono conto di
quanto sia deprimente?
«Lei
è il
motivo» spiega con un sorriso tirato Remus.
Perché
deve fare
quelle smorfie di disappunto anche lui?
Io
sono la donna della
sua vita, dopotutto.
Be',
lo sono sotto
alcuni punti di vista, perlomeno.
«E
chi è lei?».
«Trick»
rispondo con
entusiasmo.
Troppo
entusiasmo.
Mi
sono ricordata che è
con Severus Piton che sto parlando.
Temo
si stia
trattenendo dall'impulso di uccidermi.
«Tu
credi davvero
che questa ragazzina di dubbia intelligenza venga da una
sorta di
universo parallelo nel quale noi non... esistiamo?».
«No»
lo corregge
pacato Remus.
Non
è adorabile quando
lo fa?
«Pare
che venga da una
sorta di universo parallelo nel quale noi non esistiamo se non in
forma puramente letteraria».
«Per
l'appunto»
annuisco io.
Severus
mi guarda come
se fossi una Big-Babol appiccicata sotto al suo banco e su cui ha
appena appoggiato inavvertitamente la mano.
«È
da settembre che
ripeto al Preside quanto tu sia innegabilmente pazzo» sibila
leziosamente. «Ora, per mio sommo gaudio, ne ho la prova
definitiva».
«Remus
non è pazzo»
mi sento in dovere di replicare. «Un po' difficile da
gestire,
magari, ma certo non è lui il pazzo, qui in mezzo».
Severus
assottiglia
pericolosamente gli occhi.
«Ehi,
bello, frena.
Sto parlando di me.
Sono io quella che si è imbottita di birra e ora ha le
allucinazioni».
Storce
il naso.
Ora
ho la certezza di
fargli schifo.
Fantastico.
«Cosa
credi dovremmo
fare? Non possiamo permetterle di vagare indisturbata per
Hogwarts»
dice Remus. «Merlino solo sa i danni che potrebbe
causare».
Grazie
per la fiducia,
tesoro.
Severus
lo fissa
stranito.
«Lupin,
questa
ragazzina non può--».
«Il
tuo nome è
Severus Piton e sei nato il 9 gennaio del 1960» recito a
memoria,
con un che di estremamente professionale nella voce.
Fregato,
Severus.
«Tua
madre si chiamava Eileen e sei cresciuto a Spinner's End. James
Potter e Sirius Black ti affibbiarono il nomignolo di “Mocciosus”
prima
ancora di arrivare
ad Hogwarts».
Storco
un po' il labbro
e alzo le spalle.
Non
costringermi a
continuare, bello: so che te la stai facendo sotto.
Da
come mi fissa, ho
idea che non abbia mai avuto altro desiderio se non quello di
sbriciolarmi e spargere i miei resti nelle acque del Lago Nero.
Lancio
un'eloquente
occhiata con Remus.
Oh,
Romeo, salvami dal
drago, per l'amor del cielo!
No,
un attimo.
Quello
non era Orlando?
E
da chi cazzo è stata
salvata Giulietta, allora?
Oh,
be'...
«Ed
ora che abbiamo
appurato che sta dicendo la verità, hai qualche
idea?».
«Portala
via da qua,
Lupin».
Lui
sgrana perplesso
gli occhi.
«Non
posso portarla in
giro per il mondo magico. Riesci a immaginare cosa potrebbe accadere
se le scappasse detto con qualcuno che Cornelius Caramell
verrà
divorato da un'Acromantula, per esempio? Mi arresterebbero per
terrorismo e coercizione, come minimo».
Severus
fa una smorfia
divertita.
«Quale
piacevole
eventualità» scandisce.
Ok,
ve lo confesso: dal
vivo fa molta più impressione che non nei libri.
Ma
io, questa volta,
sono estremamente avvantaggiata.
Un
po' come avere il
professore che ti suggerisce le risposte dell'esame di spagnolo
nell'orecchio.
Extraòrdinario,
chica! Me gusta, me gusta!
«Niente
del genere, in
realtà. Caramell gestirà male la situazione
sull'orlo della guerra
e verrà sostituito da Rufus Scrimgeour. Mi piace una cifra
Scrimgeour. Peccato che i Mangiamorte lo ammazzino».
Remus
e Severus si
scambiano un'occhiata inquieta.
Temo
che siano più
sconvolti all'idea che “mi piaccia una cifra
Scrimgeour”
che non per la scoperta della sua tragica e prematura dipartita.
«Portala
via, Lupin. Non mi interessa dove e non mi interessa come. Mi
interessa solo quando. Adesso».
Ho
come l'impressione
che in questo universo le mie doti da veggente non vengano apprezzate
come dovrebbero.
«Non
ho idea di dove
potrei portarti».
«Qui
mi piace».
«Qui
non puoi
restare».
Ma
che palle...!
Questa
è l'ultima volta che mi innamoro di un personaggio
immaginario che
di mestiere fa il professore.
Il
prossimo me lo cerco
fra i giullari di Artù.
«Dove
stiamo
andando?».
«Alla
stazione di
Hogsmeade».
«Oh.
Prendiamo il
treno?».
«No»
risponde. «Nel
tempo libero, sono addetto alle ferrovie del Ministero».
Cos'è
che fa...!?
Inarco
un sopracciglio
e faccio un mezzo sorriso.
«Ehi,
non puoi rubare
l'altrui ironia snervante!».
Mi
fa un sorriso un po'
storto ed io mi accorgo di avere le gambe della stessa consistenza
della gelatina.
Spero
che il treno sia
in ritardo.
«Dove
siamo?».
«Dalle
parti di
Galashiels. È famosa per i tornei di danza in tutta la Gran
Bretagna».
«Oh».
Dieci
minuti.
«Dove
siamo?».
«Vicino
ad Hawick. Le
sue commemorazioni per le vittorie degli scozzesi sugli inglesi sono
spettacolari».
«Oh».
Quindici
minuti.
«E
adesso dove
siamo?».
«A
poche miglia da
Langholm. Fra poco, saremo in Inghilterra».
«Oh».
Un
attimo.
Ma
che cazzo me ne
dovrebbe fregare di dove siamo?
Sono
seduta nello stesso scompartimento dell'Hogwarts Express con
nientepopodimeno di Remus Lupin e non faccio altro che domandare dove
siamo.
Fanculo
alla geografia.
«Ehi,
Remus».
«Mmh?»
solleva lo sguardo dalla copia di Anna
Karenina
che sta
leggendo.
Lo
sapevo che gli
piaceva la letteratura Babbana.
Dieci
punti a me.
«Dove
sei nato?».
Mi
sembra stupito.
«Non
lo sai?».
Scuoto
la testa.
«Coventry».
«Oh,
incredibile!»
esclamo stupita. «E dov'è che si trova, questa
Coventry?».
Ride.
È
adorabile.
«Dalle
parti di
Birmingham».
Birmingham?
Cazzo.
«Mi
sembri delusa.
Coventry è una bella cittadina».
«Non
lo metto in
dubbio. Ma preferisco l'Irlanda».
«Pensavi
fossi
irlandese?» mi domanda divertito. «Non ho nemmeno
la barba da
irlandese».
Alzo
le spalle.
Non
voglio immaginare
Remus con la barba da irlandese.
Non
so nemmeno come
sia, una barba da irlandese.
«Il
nome di tua
madre?».
«Harriet».
«Il
tuo numero di
scarpe?».
«Quarantatré».
«Quanto
pesi?».
«Poco».
«Colore
preferito?».
«Blu».
«Musica
preferita?».
«James
Brown, Ray
Charles, Aretha Franklin... musica soul, principalmente ».
Immaginavo
anche tutto
questo.
Non
per niente rasento
la perfezione.
«Che
forma assume il
tuo Patronus?».
Mi
guarda con un mezzo
sorriso.
«Non
vuoi provare a
indovinarlo?».
Sfida
accettata,
dolcezza.
«Lupo».
Mi
rivolge un'occhiata
scettica.
«Tutto
qui?».
Scuoto
la testa.
«Falco».
«No».
«Volpe».
«No,
mi spiace».
«Gufo».
«Riprovaci».
Il
bastardo si diverte
dei miei affanni.
«Leone.
Fenice.
Tigre».
«Decisamente
no».
«Unicorno.
Tartaruga».
«Tartaruga?».
Sollevo
di nuovo le
spalle.
Mi
ha fregato.
«Ok,
uno a zero per te
e palla al centro».
Appoggia
il viso al
dorso della mano e mi guarda con un sopracciglio inarcato.
«Il
mio Patronus non
ha mai avuto una forma definita».
...cazzo.
Questa
è una notizia
forte.
Ci
scriverò qualcosa
sopra, non appena mi riprenderò dalla sbronza.
Capitolo
tre
«Del
mercoledì in
cui mi persi da Olivander»
Ho
scoperto una
grandissima verità sulla comunità magica.
Credo
che qualcuno
dovrebbe studiarne un corrispettivo Babbano.
I
materassi del Paiolo
Magico non sono comodi.
Sono
divini.
Per
un attimo, mi sono
sentita parte del materasso.
Mi
sono appena
svegliata e non ho una sola occhiaia.
La
mia faccia non è
verde pistacchio.
I
miei capelli non sono
aggrovigliati.
Non
c'è alcun segno
del cuscino sulla mia guancia.
Non
sono avviluppata
dalle lenzuola.
Soccia,
quanto mi piace la magia.
«Un
caffè, per
piacere».
Remus
solleva lo
sguardo dalla Gazzetta del Profeta e muove con scioltezza la
bacchetta.
Scruto
con evidente
stupore i due piccoli bricchi di ceramica che ha Evocato davanti a
me. C'è una tazza vuota. C'è della preoccupante
polvere marroncina.
C'è dello zucchero. E c'è un cucchiaio.
Mi
domando cosa
pretenda che io ci faccia con tutta questa roba.
«Cos'è?».
Ha
la faccia di uno che
si sta trattenendo dal ridere.
Se
lo fa, giuro
solennemente sull'amore che provo per lui che lo sgozzo.
Nessuno
mi prende in
giro prima del caffè.
«È
caffè».
«No.
Questa è un
tazza vuota».
«Devi
versarci dentro
l'acqua, il latte e lo zucchero» mi spiega gentilmente.
«Poi, devi
mescolare».
«Che
cazzo stai
blaterando?».
Non
è il momento di
essere educata.
Non
è nemmeno
l'orario.
Vacca
d'un cane
lercio.
«Caffè,
Remus. Non
brodaglia inglese».
«Mi
dispiace».
Mi
sembra sincero.
Ok,
deponiamo l'ascia
di guerra.
«Benvenuta
a Londra,
Trick» ridacchia.
Adesso
lo ammazzo.
Non
credevo che Diagon
Alley sarebbe stata così... normale.
Sì,
be'... non normale
nel senso che sia normale vedere oggetti che galleggiano a mezz'aria
senza fili trasparenti o gente stramba con assurde vesti variopinte
che saltella per strada.
Normale
nel senso che
potrei anche abituarmici.
Dopotutto,
se mi sono
abituata agli esercizi di tromba del mio vicino, posso sopravvivere a
qualunque cambiamento atmosferico.
«Trick?».
Alzo
lo sguardo dalla
vetrina di Madama McClan – ma come fa una strega a girare con
una
gonna del genere? - e lo guardo curiosa.
Mi
sembra serio.
Poverino.
Credo
che non si
riprenderà più da quest'incontro.
Forse,
dovrei sentirmi
in colpa.
No,
aspettate.
Perché
continuo a
dimenticare che sono totalmente ubriaca e che questa non è
altro che
l'ennesima allucinazione da quarta bionda media?
«Sei
sicura che mi
sposerò?».
Non
devo ridere.
Non
devo ridere.
Non
devo ridere.
Sto
ridendo.
È
fatta.
Si
è offeso.
«Scusa»
dico in
fretta. «È una domanda allucinante».
Non
mi pare della
stessa idea.
«Al
contrario. Se tu
avessi la possibilità di sapere con chi trascorrerai il
resto dei
tuoi giorni, non vorresti sapere con chi, esattamente?».
No,
mi piacciono le
sorprese.
Oh,
al diavolo! Certo
che vorrei saperlo.
E
vorrei anche
l'indirizzo, il codice fiscale e i dati del conto in banca.
In
fin dei conti, Remus
se lo merita.
No,
scaliamo una
marcia.
La
coscienza sta
parlando.
È
il momento di
ascoltarla.
Poi
farò l'opposto di
quanto suggerisce, come al solito, ma nessun di voi potrà
dire che
non ci ho provato.
“ E se alterassi il
corso della storia?”, dice la coscienza.
Ciao,
coscienza.
Grazie, coscienza. Alla prossima, coscienza.
Sono
ubriaca e sto
immaginando ogni cosa, ricordate?
«Tonks».
«Cosa?».
«Tonks.
È il suo
nome».
Se
doveva fare
quell'espressione persa da Sampei il pescatore, tanto valeva non
chiedermelo affatto.
«Tonks?».
«Ninfadora».
«Ninfadora
o Tonks?».
«Ninfadora
Tonks».
Dai
che ci arrivi,
Remus.
«Perché
questo nome
mi è fami--? Stai scherzando!?».
Oddio,
ci risiamo.
«No».
«Non
ha nemmeno
vent'anni!».
«Ehi,
ehi, ehi! Frena,
bello. Fra tre anni, ne avrà ventitré».
È
sconvolto.
Benedetto
d'un uomo, ma
perché non riesce a cogliere la filosofia del polleggio?
«È
la cugina di
Black!».
Cos'è
tutto questo
disgusto per-- oh, giusto.
«Sirius
è a posto».
Se
davvero uno sguardo
potesse uccidere, Remus mi avrebbe già liquefatto.
«Polleggiati,
porca vacca! Ti ho detto che Sirius è a posto».
Quando
parla, faccio
quasi fatica a cogliere il suo sussurro.
«Non
prendermi in
giro. Non potrei sopportarlo».
Ho
improvvisamente
voglia di essere seria.
«Non
lo sto facendo.
Offrimi un gelato da Florian e ti anticipo una delle rivelazioni
più
scioccanti dell'intera saga potteriana».
«Pensi
di parlare,
adesso, o hai intenzione di fare la pantomima di un pesce rosso
ancora per molto?».
Cazzo,
ma che mi è
saltato in mente di raccontargli tutto ciò che succede nel
corso di
“Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban”? Vacca
boia, se questa
è la sua sopportazione a certe chicche,
che cavolo mi combina
quando gli racconto gli altri quattro libri?
Io
non so mica far
ripigliare gente svenuta.
In
genere, sono gli
altri che cercano di far ripigliare me.
In
effetti, credo che
qualcuno, da qualche parte della realtà reale,
stia
disperatamente cercando di farlo.
Merda,
magari sono
morta!
Merda,
ma immaginate la
figata di vivere per sempre qui?
No,
un attimo.
Si
può vivere
se si è tecnicamente morti?
Oppure
è il contrario?
Merda,
mi sono di nuovo
distratta.
Dove
diavolo è andato
Remus?
Avrei
dovuto capirlo
che mi avrebbe piantato da sola a Diagon Alley e sarebbe scappato.
Bastardissimo
bastardo.
Non
mi ha lasciato
neanche uno zellino per quella disgustosa brodaglia caffeinosa di
questa mattina.
Sono
in astinenza da
caffé e potrei diventare scorbutica.
Più
di così, in
effetti.
«Tu
non dovresti
essere qui».
E
che caz--!
«Vacca
boia, tra un
po' non mi viene un infarto!».
Dov'è
che ho già
visto 'sto vecchietto?
Ah!
«Olivander!».
«Non
c'è alcuna
magia, in te».
Va'
a cagare, nonno.
«Ehi,
sono piuttosto
suscettibile a certi commenti maligni».
«Sei
più vuota di una
teiera dopo le cinque e mezza del pomeriggio».
Ma
che cazzo di
paragone è?
Sul
serio, dovrebbero
aggiungere l'umorismo britannico alla lista delle armi di distruzioni
di massa.
Immagino
il massacro.
«Mmh.
Se mi colpisci,
sbuffo pure vapore».
Nonno,
defilati.
Mi
stai già sulle
palle.
Però...
aspetta,
aspetta.
«Signor
Olivander, di
cos'è fatta la bacchetta di Remus Lupin?».
«Frassino
e crine di
unicorno. Dodici pollici. Discretamente flessibile».
«Che
ragazzino era?».
«Perché
sei tanto
interessata a lui?».
Perché
lo amo
follemente, ma non ha più importanza dal momento che mi ha
bidonata
prima ancora di innamorarsi perdutamente di me.
Tipico.
«Curiosità
professionale».
Annuisce.
Bravo,
nonno.
«Molto
educato, ma di
poche parole».
Dimmi
qualcosa che non
posso immaginare anche da sola.
«E
di Ninfadora Tonks
che ricordi?».
«Biancospino
e corde
di cuore di drago. Dieci pollici. Rigida».
«E
Alastor Moody?».
«Vite
e piuma di
fenice. Tredici pollici. Molto rigida».
Sei
un fenomeno, nonno.
Mi
verrebbe voglia di
portarti a casa come souvenir.
«Neville
Paciock?».
«Non
ha mai acquistato
una propria bacchetta. Suppongo abbia ereditato quella del padre,
Frank. Un'ottima scelta. Quercia, corde di cuore di drago. Dodici
pollici. Estremamente flessibile».
Ehi,
questo vecchietto
è meglio di Wikipedia e Google messi insieme.
Chissà
se riesco a
farlo entrare nel mio hard-disk.
È
piuttosto piccolo,
dopotutto.
«E
Fenrir Greyback?».
«Prego?».
È
cauto.
Pessimo
segno.
«Fenrir
Greyback. Lui
ce l'ha, una bacchetta?».
Mi
fissa intensamente.
Ci
manca poco che si sentano gli ingranaggi del suo cervello fare
cic-ciac.
«Remus
Lupin è unico
nel suo genere».
«Non
dovresti andare
in giro da sola».
Ma
guarda un po' chi è
tornato!
«Professor
prodigo,
non dovresti lasciare una pericolosissima maniaca in giro da
sola».
Sorride
pacato.
Merda,
quanto è sexy.
«Scusa.
Avevo bisogno
di stare da solo».
«È
una pessima
abitudine, la tua».
È
perplesso.
«Fidati
di una che sa.
Potrebbe pesarti sulla schiena 'sto vizio di tenerti tutto dentro.
Decompressati, ogni
tanto».
Capitolo
quarto
«Del
giovedì in
cui guidai il Nottetempo»
«Posso?»
«No».
«Posso?».
«No».
«Posso?».
«No».
«Posso?».
«No».
«Che
palle, Remus!».
Ride.
Sta
iniziando a
diventare snervante.
Fortuna
per lui che io
sia così dannatamente succube del suo fascino da
intellettuale
trasandato.
«Ho
la patente».
«Ti
hanno insegnato a
guidare dal lato sbagliato della strada».
«Ehi,
non dire
cazzate. Siete voi, quelli che vogliono sempre fare i diversi. Tutto
il mondo gira a destra, tranne la Santa Inghilterra».
«Guidano
a sinistra
anche in Irlanda, in Sudafrica, in Oceania, nelle Filippine, in
Giappone, nella penisola indiana, in Guyana e in Suriname».
Ma
quanto è
irresistibilmente bastardo?
«Ern,
la frizione è
quella a sinistra?».
«Uhm».
«Visto,
Remus? So guidare».
Mi
osserva con un
sopracciglio inarcato.
«Sapere
la posizione
di un pedale non significa saper guidare un autobus».
Perché
è così tanto
preoccupato?
«Curva!»
mi grida nelle orecchie Stan.
Ehi,
l'ho vista.
Polleggio,
ragazzi.
«Cos'è
questa leva?».
«Frena,
per l'amor di
Godric, frena!» mi supplica da qualche
parte Remus.
Non
credo che ucciderlo
sia il modo migliore per conquistare il suo cuore.
Ma,
oh, che ci posso
fare se 'sto autobus è così fotonico?
«Il
freno a mano,
piccola terrorista della strada!» strilla la testolina
rattrappita.
«Se provi a tirarlo, ti stacco le dita a morsi!».
Carina.
Potrei
sostituirla al
mio Arbre Magic ai frutti di bosco.
Freno
a mano, ha detto?
Forte.
«Trick,
credo di non
poter reggere altre emozioni per oggi» mi scongiura di nuovo
Remus.
«Ti prego di parcheggia--».
«No!»
strilla
Ern preoccupato. «Non permetterò a questa vandala
di parcheggiare
il mio dannatissimo Nottetempo!».
Perché
nessuno dà mai
credito al mio stile di guida?
«Fermati,
fermati,
fermati!».
«Attenta
al
cartello!».
Stock!
Ops.
Questo
non l'ho proprio
visto.
«Assassina!».
Eh,
che esagerati...!
Rollo
dice che sono un
fenomeno nel fare i testacoda nel parcheggio del-- oh, bello spiazzo!
Shriiiiiiiiiiiiiiiiiiiek!
Stump.
Vacca
boia, che figata!
Cosa
sono 'ste facce?
«Ehi,
dolcezze, se
urlate si distrae il conducente».
«Che
nervi saldi,
professore».
Il
minimo che posso
fare è prenderlo in giro.
Dai,
cazzo, è o non è
un Grifondoro?
«Non
è il momento».
«Avevo
la situazione
totalmente sotto controllo».
«Così
non sembrava».
«Be',
l'avevo. Peccato
non sia inverno».
È
allucinato.
Ma
perché non riesce a
guardarmi con un'espressione tranquilla?
Così,
per una volta.
Giusto
per provare il
brivido di vederlo sereno.
«Con
la neve è più
facile, tutto qui».
Oh,
avanti!
È
un Grifondoro!
Non
può davvero
aver avuto paura di una cosa simile!
«Stai
lontana da me».
Ok.
Forse
può.
«Conosci
un modo per
tornare a casa tua?».
Alzo
lo sguardo dalla
mia Burrobirra (non c'è stato verso di convincere Remus a
prendermi
del Whisky Incendiario) e lo osservo con aria annoiata.
Nei
libri sembrava
molto più acuto.
«Remus,
io sono
ubriaca».
Sacrosanta
verità.
«E
tu non esisti».
Purtroppo.
Mi
rivolge un sorrise
un po' forzato.
«Mi
è piuttosto
difficile credere una cosa simile».
Faccio
un segno di resa
con le mani.
Sei
ripetitivo, bello.
«Senti,
non posso
farci niente. Io sono una fan-writer che ha letto
di te in un
libro. Tu sei il personaggio del libro che ho letto sui cui, in
genere, scrivo. Ogni cosa, qui, fa parte di un libro. E ti vedo e ti
parlo perché sei un'allucinazione».
«E
se, invece, fossi
tu ad essere una mia allucinazione?».
Lo
fisso intensamente.
Non
può dire sul
serio.
Oh,
non è possibile.
Lo
pensa sul serio.
«Vuoi
che ti prenda a
calci? Così, giusto per convincerti che non stai
dormendo».
Sorride.
Di
nuovo.
Se
non la pianta, gli
salto addosso.
«Ti
ringrazio, ma non
posso accettare il tuo aiuto».
Non
è mica scemo.
Capitolo
quinto
«Del
venerdì in
cui mi infilai al Ministero»
Avete
presente quando
siete in macchina su un cavalcavia, fate la discesa di colpo e lo
stomaco vi schizza in orbita?
Moltiplicate
il
fastidio per cento e capirete cosa significhi usare la Metropolvere.
«Hai
giurato che non
avresti aperto bocca» mi ricorda con voce preoccupata.
Wow.
Questo
posto è davvero
una figata pazzesca!
Peccato
per la fontana.
Mi
sta sulle palle.
«Mi
stai ascoltando?».
Che
roba, 'sti
soffitti!
Oh,
le finestre
cambiano paesaggi!
Cazzo,
lo voglio
installare in camera mia.
«Trick,
mi stai
ascoltando?».
«No.
Non lo faccio
mai».
Sospira
rassegnato.
È
davvero adorabile.
«Il
prossimo Ministro
sarà realmente Scrimgeour?».
«No,
sarà la signora
Figg».
Detesto
ripetermi.
«Si
è sempre
dimostrato migliore come burocrate, che non come Auror».
«Non
è una cosa
intelligente da dire al bar del Ministero, professore».
A
proposito...
«Da
quando c'è un
bar, al Ministero della Magia?».
Soffia
il vapore
bollente dalla sua tazza di cioccolata calda e mi guarda con aria
divertita.
«Nel
libro non
c'era?».
Certo
che no.
O
sì?
«No».
Scuote
il capo con
espressione indecifrabile.
«In
realtà, c'è
sempre stato».
Realtà?
Ehi,
mi è venuta
un'idea.
«Se
ti dico 1861, che
mi rispondi?».
È
la prova del nove.
Mi
lancia un'occhiata
perplessa.
«Scoppio
della guerra
civile americana. Nascita dell'impero Austroungarico» si
gratta
pensieroso il mento. «E mi sento abbastanza sicuro da
aggiungere
anche l'unificazione del Regno d'Italia».
«1789?».
«Presa
della
Bastiglia. Scoppio della rivoluzione francese».
«1945?».
«Fine
della Seconda
Guerra Mondiale».
«1492».
«Cristoforo
Colombo
scopre l'America, mentre il governo spagnolo decretava l'espulsione
dal paese di tutti gli ebrei e il regno di Granada cedeva alle armate
della Spagna, l'ultima forza islamica presente sulla
penisola».
Cazzo.
Quest'uomo
è la
Treccani con la cravatta.
«Perché
mi chiedi
queste cose?».
Non
riesco a spiegarmi
quest'assurdità.
Se
non, ovviamente, con
l'ipotesi che io sia ancora totalmente ubriaca.
Il
che spiegherebbe
come può Remus sapere tutte le cose che sa.
Sa
cos'è accaduto nel
1492, perché io so cos'è
accaduto.
È
la mia cultura
subconscia a parlare, non io.
Oh,
porca troia...
Sono
davvero una
secchiona.
Che
vergogna.
«Ti
senti bene?».
Che
dolce, si
preoccupa.
Adesso
mi frego da
sola.
«Quanti
abitanti ci
sono a Londra?».
Ecco
una cosa che non
posso sapere.
Non
so neanche quanti
siano i ferraresi, figurarsi i londinesi!
«È
una città molto
popolosa» mi risponde. «Non so la cifra esatta, ma
credo si parli
di diversi milioni».
Lo
sapevo.
Non
ha risposto con
chiarezza e ha rigirato la domanda con fare colto, in modo da lasciar
intendere che la sapesse.
Questa
è una mia
peculiarità.
Un'eccezionale
arte che
ho raffinato in tredici anni di interrogazioni e verifiche.
Ciò
significa che sono
ubriaca, che Remus è il riflesso del mio inconscio e che io
sono
intelligentissima.
«In
che anno è stata
dipinta la Monnalisa?».
«Attorno
ai primi anni
del Cinquecento».
«Che
mestiere faceva
Mirò prima di entrare nel mondo dell'arte?».
«Ragioniere».
«Qual'è
la capitale
del Burkina Faso?».
«Ougadougou».
«Dove
si trova
Uusikaupunki?».
«Sulla
costa
occidentale finlandese».
«Dov'è
nato
Beethoven?».
«A
Bonn».
«Se
ti dico 1976?».
«I
Ramones pubblicano
il loro primo album».
Lo
sapevo.
Solo
una versione di
Remus prodotta dal mio cervello avrebbe potuto
saperlo.
Il
vero Remus avrebbe
risposto qualcosa circa l'indipendenza delle Seychelles dal Regno
Unito.
In
pratica, sto
parlando con il mio io interiore, quello che delle
Seychelles
se ne sbatte e si spara a palla Blitzkrieg Bop
già alle sei
di mattina.
Solo
che così è molto
più carino da vedere.
«Questo
non può
essere vero, Trick».
Promemoria
per me:
smetterla di rivelare impunemente particolari della saga a Remus.
«Stai
scherzando».
«No».
«Non
lo farei mai».
«Lo
credevamo tutti».
«Com'è
possibile?».
«Magia?».
Se
dicessi che è
sconvolto, non renderei appieno l'idea.
«Buon
Dio...» mormora
con sguardo perso. «Sarò padre».
«Dov'è
l'ufficio
della Umbridge?».
Mi
guarda perplesso.
«Non
ho intenzione di
portartici».
«Non
le farò del
male» lo rassicuro.
Non
se ci sono troppi
testimoni.
Ridacchia.
«È
per questo che non
ti ci porto».
«Malocchio
è già in
pensione?».
«Sì».
Che
palle.
Ci
sono solo un
centinaio di uffici in cui non possiamo entrare, qui dentro.
Ehi,
aspettate un
secondo...
«Andiamo
a sbirciare
il Quartier Generale degli Auror!».
Ti
prego, ti prego, ti
prego...
È
incerto.
«Non
è altro che un
ufficio come tanti altri» mi spiega.
Lo
so, tesoro.
«Non
vuoi vedere tua
moglie?».
«È
quella magra».
«Quella
con il vestito
verde?» mi domanda con aria inquieta.
«Ma
no!».
Quella
è proprio un
cesso, poverina.
È
proprio vero che la
magia non fa miracoli.
«Quella
con gli anfibi
di pelle. Laggiù, vicino a quell'uomo alto con i capelli
lunghi».
«La
bionda?».
«Si
può sapere dove
stai guardando?».
Pietà
del cielo, ora
so per certo che i licantropi non hanno una vista
più
sviluppata della norma.
«È
la ragazza con la
maglietta a righe, Remus. Quella con i capelli corti».
«Quella
alta?».
Ma
sta guardando il
pavimento o cos'altro?
«Laggiù,
porca
miseria. È l'unica che se ne va in giro con i capelli fucsia.
Come cavolo fai a non vederla?».
«Oh».
Ne
deduco che l'ha
vista.
«Trick
chiama Remus,
Trick chiama Remus! Ti si è attorcigliata la
lingua?».
Mi
guarda come se si
fosse accorto solo adesso della mia presenza.
Buongiorno,
Remus.
«Scusa».
Sorride.
È
troppo bello quando
lo fa.
«Stavo
pensando».
«A
cosa?».
«A...
be', è davvero
carina».
Gli
rivolgo un'occhiata
in tralice e faccio uno sbuffo divertito.
Così
si infransero le
mie speranze di sposarlo.
Stranamente,
la cosa
non mi dispiace così tanto.
Capitolo
sesto
«Del
sabato in cui
cercai di diventar strega»
«I
Magonò vanno a
scuola?».
«Alcuni»
mi risponde
con tono sapiente.
È
proprio un
professore, non c'è niente da fare.
«La
maggior parte di
loro, tuttavia, preferisce frequentare scuole Babbane».
«E
poi trovano lavoro
nel mondo Babbano?».
«Nessuno
li obbliga».
Questo
è interessante.
«Posso
restare qui e
fingere di essere una Maganò?».
Sorseggia
un po' di
caffè dal bicchiere di carta e mi guarda con un cipiglio
pensieroso.
Pessimo,
pessimo segno.
«Sai
se nel tuo albero
genealogico ci sono maghi o streghe?».
Bella
domanda.
«Mia
nonna è una
strega in cucina. Vale?».
«Temo
di no».
Che
sfiga.
«Posso
provare a fare
una magia?».
Ora
è visibilmente
agitato.
«Qui?».
Che
ha il parco della
cattedrale di Saint Paul che non va bene?
Oh,
giusto.
La
gente.
«Andiamo,
Remus, che
sarà mai? Non sono una strega. Sarà come vedere
una pirla che agita
per aria una bacchetta del ristorante cinese!».
Non
mi sembra molto
convinto.
Peccato
per lui che io
sia incredibilmente estenuante.
«Wingardium
Leviosa!».
Be',
non è che io
pretendessi di riuscirsi subito.
Certo,
speravo almeno
di vedere qualche miglioramento dopo il ventisettesimo tentativo.
«Muovi
con più
delicatezza il polso».
È
bravo.
Davvero.
Solo,
sta cercando di
insegnare la magia a una perfetta Babbana.
Non
ho nemmeno fatto
esplodere qualcosa.
Ora
capisco perché
quella bastarda di una civetta non è mai passata per casa
mia,
quando avevo undici anni.
Ma
è bastarda lo
stesso.
«Wingardium
Leviosa!».
Fottuta
fogliolina,
sollevati!
È
giunto il momento di
rassegnarsi al mio triste destino di non-strega.
«Peccato»
mi dice.
Wow,
com'è abile a
sembrare sinceramente dispiaciuto.
Mi
fa un sorriso un po'
storto e mi porge il bicchiere di caffè che si era offerto
di
reggermi.
«Saresti
stata
un'ottima Corvonero».
Come
no.
Io
sarei una perfetta
Scimmiarosa.
Capitolo
settimo
«Della
domenica in
cui caddi nel Lago Nero»
«Non
voglio farlo».
«Non
puoi fare
altrimenti».
«No!».
«Non
essere ridicola.
Non possiamo continuare a vagare senza meta per la Gran Bretagna
senza motivo».
No?
Che
sfiga.
«Ho
i miei diritti,
bello. Strega o non strega».
Rotea
drammaticamente
gli occhi e sospira.
Ha
una minima idea di
quanto io adori quando lo fa?
«Sono
certo che
Silente conosce un modo per riportarti a casa».
«Silente
ci va peso di
birra?».
Inarca
un sopracciglio.
«Non
credo».
«Allora
non può
sapere niente di sbronza e derivate varie».
Altri
dieci punti a me.
Di
questo passo, faccio
pure i tre punti della cricca.
«Senti,
Rollo troverà
il modo per svegliarmi. Sono sicura che stia già facendo del
suo
meglio. Probabilmente mi sta già prendendo a schiaffi, solo
che ho
bevuto troppo per rendermene conto. È normale, dico sul
serio. Prima
o poi, mi sveglierò, vomiterò e mi
dimenticherò tutto».
Cazzo,
è vero.
Se
sono ubriaca, col
piffero che mi ricorderò di aver guidato il Nottetempo o di
aver
bevuto un caffè in un bicchiere di carta con Remus.
Porca
vacca.
«Non
hai nessuna prova
che i tuoi amici stiano cercando di salvarti. Lascia che ti
aiutiamo».
«Mi
piace il Lago
Nero».
Lo
sento sbuffare
appena.
«Lo
so. È sempre uno
spettacolo incredibile a quest'ora della sera».
«Mmh.
Ci sono delle
nutrie, da qualche parte?».
È
sconvolto.
Di
nuovo.
Non
dovrebbe averci
fatto l'abitudine, ormai?
«Nutrie?».
Come
non detto.
«Fa
niente. Chiedevo
così, giusto per sapere. Mia nonna dice che tutto il mondo
è paese,
ma qui ve le sognate le pantegane che ci sono da
noi. Quando
ero più piccola, cercavo di prenderle sotto con il motorino.
Era
piuttosto divertente».
Ora
è inorridito.
«Sei
una sterminatrice
di roditori?».
Alzo
le spalle e faccio
un ghigno divertito.
«È
il mio secondo
nome».
«E
il primo?».
«Non
te lo direi
nemmeno sotto tortura, dolcezza».
«Aurora?».
«Ho
la faccia da
Aurora?».
«Amaranta?».
«Ma
che razza di nome
è?».
«Morgana?».
È
impazzito.
«Remus,
mio padre è
un barbiere. Non un Obliviatore».
«Sabrina?».
«Stai
tornando in
carreggiata, ma... assolutamente no».
«Caterina?
Linda?
Margherita?».
Bleah.
Che
gusti.
«Cecilia?».
Oh,
Gesù...!
Sapete
cosa mi ricorda
questa cosa dell'Indovina Chi?
La
Sirenetta e il suo
bel principe pieno di soldi che galleggiano sul lago, circondati da
rane che cantano e tartarughe che suonano il trombone.
Be',
non è che proprio
galleggiassero... cioè, erano in barca, no?
Ecco.
Uguale.
Solo
che io non ho la
pinna e Remus non è un principe.
E
non è nemmeno pieno
di soldi.
Non
è nemmeno il
mio, ora che ci penso.
Che
triste
considerazione.
«Stai
attenta al
bordo, è scivoloso».
Quale
bor--?
Waaaaaaaaaah!
Epilogo
«Della
fine in cui
credetti d'esser Attila».
Oddio.
Dormivo.
Un
attimo di pausa per
riprendere il controllo.
Respiriamo
una volta.
Respiriamo
due volte.
Sono
estremamente lieta
di sapere che i miei polmoni mi stanno seguendo.
Ok.
Ci
sono.
Non
è così strano che
mi addormenti mentre-- cos'è che stavo facendo?
Merda,
avrei dovuto
immaginarlo.
''Lupin
inciampò
sulla soglia. Era pallido, avvolto in un mantello da viaggio, i
capelli grigi spettinati''.
Tipico
che faccia sogni
strani dopo aver letto un libro che mi prende.
Come
questo, poi.
Voglio
dire... chi di
voi non ha rischiato di morire nell'attesa dell'ultimo libro di J.K.?
Per
l'appunto.
Credo
sia già la nona
volta che lo rileggo.
Certo,
non mi era
capitato di finirci dentro, ma tant'è...
''Sirius
gli
sorrideva con gioia. Non poteva credere che fosse tutto finito. Si
guardò attorno, improvvisamente più leggero. La
guerra era finita.
Erano salvi e avrebbero vissuto tutti quanti felici e contenti.
Fine''.
Fine.
Fine?
Ma
che cazzo...?
No,
sono ancora mezza
addormentata.
''«Grazie,
professor Piton. Sarei morto, senza il suo aiuto» gli disse
Harry.
«Lo
so, Potter»
gli sorrise l'altro. «È tutto finito».''
Cos'è
sta roba?
''Sirius
gli
sorrideva con gioia''.
Perché
cazzo Sirius
dovrebbe essere vivo?
E
perché diavolo Piton
è vivo e sorridente!?
Ho
il vomito.
''«Tonks
aspetta un
bambino».
«Ancora?»''.
Ma
come ancora!?
Che
ca--!
...
Oh-mio-Dio.
Ho
distrutto la saga
di Harry Potter!
E
come si aggiusta una
saga, miseria!?
Non
posso mica
lasciarla alle ortiche!
Fa
cagare, adesso!
Sono
tutti vivi, felici
e contenti!
Dov'è
il dramma!?
Dov'è
il phatos!?
Dov'è
il made in
J.K.!?
«Vi!
Vi,
ripigliati!».
Oh.
Ci
sono.
Che
cazzo urli?
«Vi,
dì qualcosa. Mi
va bene qualunque stronzata».
«Oh,
merda! Che cazzo
gli dico al 118?».
«Ma
che cazzo chiami
il 118!? Idiota, prendi dell'altro ghiaccio!».
«Eh,
non ce ne abbiamo
mica più! È tutto nel mojito,
ora».
Vedo
una luce...
Mi
sento una medusa.
«Voglio
del fottuto
ghiaccio!».
Che
cazzo ha Rollo da
urlare?
Cippo,
sei tu
quest'ombra sopra la mia testa?
Va'
che avete proprio
delle facce da culo, visti al contrario.
«...-ulo».
«Ha
parlato! Cazzo, ha
parlato! Parla, parla!».
«...merda,
Cippo, stai zitto o ti giro il collo meglio che lo Svitol».
Che
mal di testa.
Ehi,
perché sono stesa
per terra?
Che
cazzo ci fa tutta
'sta gente, qua attorno?
«Sono
alla fiera dei
cazzi miei o cosa?».
Rollo
fa un respiro di
sollievo.
«Bella,
Vi. Pensavo
che saresti rimasta secca fino a Pasqua».
«Sì,
ma la prossima
Pasqua!».
Voglio
ammazzare Cippo.
«Cippo,
tu e il tuo
umorismo da accattone potreste togliervi dalle palle?».
Bravo,
Rollo.
«Vi,
ci sei?».
Questa
è la Manu.
Si
riconosce dalla voce
intrisa di istinto materno.
«Batti
un colpo in
testa a Cippo, se ci sei».
«Fanculo,
Cippo».
«Sta
benissimo. Ha già
mandato Cippo a cagare almeno un paio di volte».
Cazzo,
sono al bar.
Non
a quello del
Ministero, però.
Ehi,
chi mi ci ha
portato, al bar?
E
perché sono seduta
per terra?
«Manu,
perché
sono--?».
«Cippo
ha lanciato in
aria la boccia numero otto del biliardo. Pensava di riuscire a
riprenderla al volo dopo aver fatto un paio di giri su se stesso.
Invece, ti ha preso nel pieno della zucca».
Idiota
di un inutile
Cippo.
«Ehi,
ci sei?».
Chi,
io?
«No,
sono in Malesia
con Sandokan».
«Vuoi
una birra?».
Birra?
«Quattro».
«Quattro?».
«Quattro
bionde,
tesoro».
«Perché
vuoi--?».
«Ho
scoperto che con
quattro bionde c'è la possibilità che io incontri
l'uomo della mia
vita».
Mi
guarda come se fossi
pazza.
E
mi va bene così, in
fin dei conti.
«Vi,
sicura che--?».
«Manu,
niente
domande».
In
questa storia, non
c'è una sola risposta logica.
E
anche questo, in fin
dei conti, mi va bene così.
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