Happy birthday to you, happy
birthday to you, happy birthday, my dear ArthurO: happy birthday to
you! <3 <3 <3
...insomma,
se non si fosse capito, questa è una fic di auguri per la
mia ArthurA. X°°°D Insomma, sì.
*Rotolamuoreschiatta*
Allora: qualcosa sulla fic, sì. Arthur è un prof
di Inglese. °A° Dato che nella fic non lo dice, ho
pensato di chiarirlo. *Muore di nuovo* Poi... boh, non so. La nota OOC
l'ho messa, ma ci terrei a chiarire che, a conti fatti, non so se ce ne
sia bisogno o no: chi l'ha letta sino ad ora - tre persone, in
verità X°D, la mia ArthurA, RucchaakaTamakidegliocchimieiorbi e
La MessiaH, cioè HikkiakaFuransu
- non ha avuto da ridere sull'argomento, ma dato il contesto AU, la
mancanza di passato!Angst e via discorrendo, ecco, immagino che... Boh.
°A°
D'accordo, l'ho messa perché, quando scrivo una AU,
solitamente l'inserisco. X°D Se poi i pg dovessero risultare IC
sappiate che ne sono felice, perché il mio scopo era quello.
°A°"
*Discorso puramente Nonsense*
C'è da dire che solitamente a me le Shot non esaltano -
specie se AU -, perché è difficile costruire un
background credibile, e in un contesto come questo... buh. Ho tentato
di farne uscire una cosa sensata, ma dubito che lo sia.
X°°°°°°°D
*Muore di nuovo*
Boh. °A° L'unica cosa a piacermi di questa fic
è il titolo, lo ammetto. *Rotola* E... E niente.
°A° E' una fic parecchio
UsUk, quindi se siete fan della FrUk o di altra roba, credo sarebbe
meglio se chiudeste la finestra. >///< Poi, se volete
leggere, a me fa piacere. X°D <3
Spero vi piaccia, baci. <3 <3 <3 *Saltella via*
{Anche se non si direbbe, Alfred nella fic è maggiorenne. A-Ah, frequenta l'ultimo anno. .///." Tanto per chiarire - e Arthur si è laureato da poco e la cattedra ce l'ha da pochissimo, quindi non hanno molta differenza d'età. *Coff*}
...e ancora auguri, ArthurO! *A*
PS: Il rating è, in verità, una via di mezzo tra
il giallo e l'arancione. °A° Non sapendomi decidere, ho
optato per il secondo, ché comunque prevenire è
meglio che curare. X°D
La
cattedra non era di certo il luogo ideale per far sesso: troppo
scomoda, troppo
rigida. Poggiarci la schiena
– o
qualsiasi altra parte del corpo – poteva risultare logorante,
a lungo andare, e
persino nei manuali per aspiranti “Re del sesso”
solevano sconsigliarla.
«Troppo
fastidiosa», scriveva uno. «Piuttosto, conficcatevi
un puntaspilli tra le
scapole, sarà certamente più
eccitante», aggiungeva un altro.
Peccato
che né Arthur Kirkland né Alfred Jones avessero
mai comprato riviste di quel
tipo – e peccato che Alfred, troppo eccitato per ragionare
lucidamente, avesse
inchiodato Arthur contro il duro legno della cattedra, e gli stesse
ripetutamente baciando il collo.
Per carità. Era
piacevole,
eh, e molto, e Arthur a fatica riusciva a trattenersi dal gemere.
Peccato
per la sua schiena, insomma, e per la consapevolezza che, se avessero
fatto
troppo rumore, avrebbero attirato l’attenzione del custode
– e se il custode li
avesse beccati, la carriera di Arthur sarebbe stata troncata sul
nascere.
How
to fall in love with your worst student.
[And don’t
regret it at all]
Le
relazioni tra professori e allievi non dovrebbero superare una certa
linea,
perché una volta valicata – e basta un bacio,
affinché questo punto di non
ritorno venga oltrepassato –, nessuno dei due
potrà mai tornare a guardare
l’altro col giusto distacco.
Arthur
l’aveva capito nel preciso istante in cui aveva incrociato
gli occhi azzurri di
Jones – Alfred era uno studente, e per di più
indisciplinato e poco portato per
la lingua, e tecnicamente Arthur avrebbe dovuto trovarlo noioso.
Avrebbe dovuto
ridergli in faccia, assegnargli esercizi extra, ignorarlo.
E
tuttavia, un solo sorriso bastava perché il suo cuore
accelerasse i battiti, e
se Alfred lo sfiorava – con consapevolezza o per puro caso,
era indifferente –,
zone del corpo di Arthur che questi neppure sapeva di avere
cominciavano a
surriscaldarsi, al punto che qualche volta era stato obbligato a
lasciare in
tutta fretta l’aula per nascondersi nei bagni.
Era
una situazione assai deprimente, a conti fatti. E ridicola. E lui, che
era
inglese sino al midollo, non poteva che sentirsi imbarazzato
– e ferito, e irritato
– nel constatare quanto
ascendente quel marmocchio avesse sui suoi gesti e pensieri.
Il
primo bacio era arrivato di sorpresa: Alfred, lo sguardo serio e le
mani
sudate, l’aveva spinto contro la cattedra – erano
rimasti solo loro in aula,
tutto il resto della classe si era già diretto in palestra.
«Lei
mi piace», aveva sbottato, senza smettere di guardarlo.
«E tanto».
Arthur
aveva provato ad opporre resistenza – e aveva fallito, quando
le labbra di
Jones si erano abbattute sulle sue, feroci. Dopo le labbra era arrivato
il
momento della lingua – la lingua aveva dovuto protestare solo
un attimo, perché
Arthur aprisse la bocca e le permettesse di passare.
C’era
mancato poco perché lo facessero lì, contro la
parete: un rumore, due, poi
Arthur si era allontanato di scatto, il viso in fiamme.
«Io…»,
aveva balbettato. «Sono il tuo insegnante».
«Non
importa», aveva riso Alfred.
Si
erano baciati altre mille volte, da quel giorno in poi.
«Alfred,
potrebbe arrivare qualcuno», sbuffò, tentando di
allontanarlo – peccato che non
ci credesse neppure lui, a quella scusa patetica, e che le mani di
Jones non
avessero accennato neppure minimamente a scostarsi.
Anzi,
ogni ansito di
Arthur faceva sì che Alfred lo sfiorasse con maggior
veemenza, e ogni suo
sobbalzo spingeva l’altro a sorridere e baciarlo
più intensamente.
«Dobbiamo
andare».
«Solo
altri cinque minuti», ribatté Jones, come se gli
avessero appena chiesto di
svegliarsi per andare a scuola. «Cinque, non di
più».
«L’ultima
volta», ansimò Arthur, voltando un po’
il capo per poterlo guardare negli
occhi, «i tuoi famosi cinque minuti
sono diventati quindici».
Alfred
rise, divertito – gli capitava anche troppo spesso di ridere,
e Arthur questo
suo vezzo non lo amava granché. Che gli si chiedesse di
tradurre una frase o acquistare
del materiale didattico, la risposta di Jones era sempre un ghigno
sulle labbra
e una risatina compiaciuta.
«Capita»,
mormorò tra un eccesso di risa e un altro. «Oggi
ho avuto una brutta giornata.
Oltre alla verifica di matematica, ho dovuto pure sopportare che il mio
ragazzo
– e cioè tu – parlasse con quel vecchio
depravato di Francis, e-».
Arthur
lo interruppe: «Dovevo solo dargli delle
fotocopie», disse, senza neppure
rendersi conto di essere stato definito il suo
«ragazzo», né della gelosia ben palese
nelle parole di Alfred. Si limitò solo a
ripetere: «Fotocopie», e sospirare.
«Voglio
solo baciarti per altri cinque minuti. È così
strano?».
Lo
pensava, sì: pensava che fosse
strano
perché era un professore, lui, e gli insegnanti sono sempre
odiati e temuti
dagli alunni, e Jones, coi suoi occhi azzurri e il riso perenne, non
avrebbe
dovuto baciarlo, né abbracciarlo. Né amarlo.
Alfred
era un po’ come quelle aquile che si vedono nei documentari,
e passano la loro
intera esistenza volando libere per il cielo: un animale splendido,
magnifico, pericoloso.
Era
strano, lo era. Era strano che lo stringesse a sé, che
ricercasse la sua
compagnia, e allo stesso tempo era tremendamente perfetto,
perché i gesti di
Alfred erano pieni di una sorta di inquietante tenerezza, e il sorriso
che gli
rivolgeva avrebbe potuto riscaldare il mondo intero.
Queste
cose Arthur non le avrebbe mai ammesse, però – non
era il tipo –, quindi
imbronciò appena le labbra e fece finta di nulla,
consentendo alla bocca di
Alfred di posarsi sul suo collo e alle mani dell’idiota di
sbottonargli la
camicia.
«Ti
amo».
Socchiuse
gli occhi e sospirò. «Idiota», disse.
«Cosa vuoi, una dichiarazione? Effetti
speciali random?».
«No,
no. Tanto l’ho sentito, il “ti amo”
nascosto nelle tue parole».
«Tu…»,
balbettò, cercando di trovare qualche infamia abbastanza
grande – ma le labbra
di Jones risalirono e gli sfiorarono le guance. E poi il naso. E poi la
bocca,
piano, con una delicatezza che non sembrava appartenergli.
E
al diavolo la scuola!, al diavolo l’insegnamento!, al diavolo
ogni stupida
morale!
Arthur
chiuse gli occhi e portò una mano tra i capelli di Alfred
– li tirò, quei
capelli, obbligando l’altro a curvarsi maggiormente e
baciarlo più in
profondità, e si godé la sensazione benefica che
quel contatto gli stava dando.
Si
beò della lingua di Jones, che lentamente gli solleticava il
palato, e delle
sue mani che gli sbottonavano la camicia, e dei libri che cadevano a
terra –
ah, Alfred l’aveva spinto completamente sulla cattedra. Ecco
perché erano
caduti, quei cosi.
Bah,
poi l’avrebbe raccolti, si disse, indietreggiando un
po’ perché Alfred potesse
salire a sua volta su quella sottospecie di precario tavolino.
«Pensavo
avessimo concordato», annaspò
all’improvviso, mentre insinuava le dita nei
jeans del ragazzo, «che… che sarebbero stati altri
cinque minuti e basta».
Alfred
ridacchiò. «Non sembra ti dispiaccia, questo
cambio di programma».
In
risposta, la mano di Arthur cominciò a sbottonarglieli, i
jeans – erano parecchie
taglie più grandi di quanto effettivamente fosse necessario,
e non dové fare
particolari sforzi, affinché scivolassero lungo i fianchi di
Jones e lo
lasciassero in mutande.
«Vedo
che siamo della stessa idea», fu la risposta compiaciuta di
Alfred. Poi anche i
pantaloni – quelli di sartoria, fatti su misura –
di Arthur furono tolti, e
anche la camicia, la cravatta e tutto il resto.
Arthur
si mosse leggermente, per sfilare la maglia di Alfred, e
allargò il più
possibile le gambe. «Idiota, vedi di non fare troppo rumore.
Sono pur sempre un
tuo docente, io».
«Se
ci beccheranno, dirò che mi stavi dando ripetizioni di
anatomia», rise l’altro,
scuotendo il capo.
«Non
se la berrà nessuno, Alfred», rispose piccato
Arthur, ma a stento riuscì a
trattenersi dal sorridere – diamine, la gioia di quella
sottospecie di alunno
incosciente era contagiosa, tremendamente contagiosa!
Probabilmente,
se avesse voluto, sarebbe riuscito a far risplendere tutte le stelle
del cielo
solo guardandole, e ad illuminare un tunnel buio col solo potere della
sua
felicità.
Sospirò.
«Non sarebbe stato più sensato se ci fossimo dati
appuntamento fuori scuola?»,
chiese con tono casuale. Non che desiderasse un appuntamento con
Alfred, sia
mai!, solo che, ecco, sarebbe stato più sicuro. Forse.
Sino
all’arrivo di Jones, Arthur non aveva mai trasgredito alle
regole del suo
istituto, né si era interessato ad un alunno: aveva sempre
biasimato quanti si
invaghivano dei propri studenti, e riteneva sciocco – prima
dell’arrivo di
Alfred – che qualcuno potesse provare un simile desiderio per
un ragazzino in
via di sviluppo.
Invece
quello lì –
che, comunque, in via di
sviluppo non lo era più da un pezzo, vista la stazza e
l’altezza da adulto – l’aveva
spiazzato. E gli era saltato addosso.
Dannazione.
«Ma,
Arthur», sibilò Alfred ad una manciata di
millimetri dal suo orecchio, «sono
abbastanza eroico per difendere entrambi, se dovessero
scoprirci».
Arthur
ne dubitava, ma decise di far finta di nulla e godersi i baci che Jones
aveva
cominciato a posargli sul ventre – e gemere, quando le labbra
di Alfred
giunsero ai suoi capezzoli e cominciarono languidamente a succhiarli.
«Potresti
sbrigarti?», mormorò tra un sospiro e un ansito,
guardandolo male. «Io…».
«Oh,
tranquillo: non ho alcuna intenzione di farti venire prima».
Colpo basso,
colpo basso,
pensò Arthur, chiedendosi dove mai Alfred avesse imparato
simili espressioni –
e perché le usasse come se fossero normali, sorridendo con
fare entusiasta. «Idiota»,
lo apostrofò, «cerca di fare la persona seria, di
quando in quando!».
«Ma
io sono serio».
«Nei
tuoi sogni, certo. Sbrigati!», sbuffò.
«Sai che… che il sorvegliante passa-».
Oh,
merda.
Il
rumore dei passi era perfettamente udibile, e persino Alfred, che
solitamente
prestava poca attenzione a ciò che gli viveva intorno, non
poté fingere di non
averlo sentito: doveva esserci qualcuno, nel corridoio. Qualcuno a
decisamente
pochi metri da loro.
Qualcuno
che, se avesse aperto la porta dell’aula in quel preciso
istante, avrebbe
potuto scoprirli.
Senza
rifletterci poi molto Arthur spinse Alfred, allontanandolo il tanto
necessario
per indossare nuovamente i propri vestiti, e si affrettò a
raccattare i libri.
«Continuiamo da un’altra parte. Veloce»,
aggiunse, quando gli fu chiaro che Jones non aveva alcuna intenzione di
alzarsi. «Vuoi che ti aiuti io o fai da solo,
idiota?».
«Continueremo
davvero, una volta usciti?», domandò invece
Alfred, gli occhi azzurri che
risplendevano – sembrava stesse sorridendo, anche se Arthur
si augurò vivamente
di aver frainteso.
Non
era possibile che, a un passo dall’essere scoperti,
quell’idiota riuscisse ad
essere felice. Proprio no.
«Sì.
Ora, mai fai la cortesia di sistemarti quel jeans sformato
addosso?».
Dalla
scuola erano usciti correndo – Alfred rideva, la mano di
Arthur stretta tra le
dita e l’espressione di chi trova qualcosa di esaltante anche
nel fuggire, e
Arthur, dopo i primi secondi di sbigottimento, non riuscì ad
impedirsi di
sorridere a sua volta.
«Abbiamo
rischiato grosso!», gongolò Jones, annuendo.
«Beh, però eri accompagnato da un
eroe come me, era ovvio che ci saremmo salvati!».
«Idiota-».
Alfred
non gli permise di terminare la frase: «Ora dove andiamo? Se
vuoi i miei
genitori non sono in casa, quindi possiamo andare da me!».
«Penso
sia sconveniente, idiota, potrebbero vederci e-».
«Ah,
allora andremo in hotel!». E, afferratagli la mano, se lo
tirò dietro.
Dopo
aver sospirato pesantemente, Arthur chiuse gli occhi. Quel tipo era
decisamente
un incosciente – e un incosciente era anche lui,
perché di quel cretino si era
pure innamorato.
«D’accordo»,
sbuffò. «Idiota».
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