CAPITOLO 1
Non avrei mai pensato che una vacanza di due settimane in Puglia
avrebbe potuto cambiarmi così radicalmente. Di solito, nei villaggi si
va per
divertirsi, per sperare in una tresca con l’animatrice gnocca di turno,
o
magari, semplicemente, per rilassarsi. Invece, per me, quei quattordici
giorni
furono come un giro sulle montagne russe di Mirabilandia: pieni di alti
e di
bassi, quasi da vomitare.
L’idea di partire
era venuta in mente a Giorgio, qualche mese prima di
laurearci. Era un po’ tardi per prenotare, ma con una o due telefonate
all’agenzia di viaggi gemellata con il gruppo assicurativo che gestiva
la
madre, avevamo già bloccato quattro doppie superior, tutto incluso, al
villaggio Julia di Peschici, in provincia di Foggia.
Saremmo partiti di
sabato mattina, ovviamente non prima delle nove,
altrimenti Stefano non si sarebbe neppure presentato, e avremmo preso
la mia
Audi e l’Alfa di Giò. L’idea che Alessandro e Giacomo portassero pure
quelle
sanguisughe delle loro ragazze non è che mi rendesse pazzo di gioia, ma
Giorgio
mi aveva fatto notare che un gruppo misto sarebbe stato l’ideale per la
nostra
vacanza. Ovviamente entrambi sapevamo che anche Sara, la migliore amica
di
Claudia e Ginevra, si sarebbe unita alla banda e ormai anche i sassi
erano a
conoscenza della storica cotta che il mio caro amico nutriva per la
dolce
fanciulla, perciò i suoi consigli erano tutt’altro che privi
d’interesse.
Fatto sta che
eravamo in otto: due coppie e quattro scoppiati.
Ma non
preoccupatevi, la mia storia non parla certo di come io,
Francesco Russo, neolaureato in Economia alla Luiss, mi sia preso una
sbandata
per Sara e abbia litigato con il mio migliore amico dei tempi del
liceo..
sarebbe troppo scontato!
No, la storia che
vi voglio raccontare ha tutt’altra protagonista.
Forse non si tratta della solita ‘principessa’ in pericolo delle favole
Disney
e neppure di qualche povera spiantata ballerina di salsa che diventa
ricca
sposando un giovane rampollo di un’importante famiglia, alla Dirty
Dancing.
Sarebbe troppo sciocco e superficiale, persino per un tipo come me.
Posso solo dirvi
che tutto cominciò con una stupida e alquanto
immatura scommessa che io e i miei amici facemmo la prima sera di
arrivare al
villaggio.
Eravamo giunti a
Peschici nemmeno da un’ora ed eravamo già un po’
alticci. Le ragazze si erano rinchiuse nella camera, sistemando le
valige,
mentre io e Giorgio avevamo gettato i vestiti alla rinfusa e ci eravamo
fiondati al bar per ‘ricaricare’ le batterie.
«Hai visto com’è
particolarmente sexy la mia Sara oggi?» mi domandò il
mio amico, sorseggiando la sua birra doppio malto.
«È come tutti gli
altri giorni, amico» gli risposi, stufo dei suoi
continui piagnistei su quella ragazza che nemmeno fra un milione di
anni
gliel’avrebbe data.
Giorgio mi guardò
con gli occhi arrossati dall’alcool e l’espressione
inebetita.
«Parli te, che
nemmeno riesci a tenerti una ragazza per più di una
settimana..» sbottò, svuotando il boccale e chiedendo al barman di
portargliene
un altro.
Sorrisi, più a me
stesso che a Giorgio. «La mia è una scelta di vita,
non puoi capire» gli risposi, gonfiando il petto e sentendomi
orgoglioso e fiero
come un gallo in un pollaio.
«Potresti avere
ogni ragazza ai tuoi piedi, persino Sara ci starebbe»,
e in quel momento ci fu un silenzio imbarazzante. «Però sei sempre
stato da
solo».
Diciamo che il mio
stile di vita non era certo esemplare, ma soltanto
Giorgio era contrario a ciò che facevo per divertirmi. Gli altri miei
amici mi
invidiavano, almeno a parole, perché nessuno di loro riusciva a fare
ciò che io
facevo. La regola più importante era ‘non più di una settimana’, e
valeva per
qualsiasi ragazza. Una volta Stefano mi aveva quasi implorato di fare
un’eccezione per Carmela, insegnante di danza del ventre, scura di
carnagione e
con gli occhi di una cerbiatta, ma io non avevo ceduto. Ciò che valeva
per una,
valeva per tutte.
«Eccolo, il mio
scapolo d’oro!» gridò Ale passandomi un braccio
intorno alle spalle e facendomi quasi cadere la birra di mano.
«Esagerato! Ha
ventitré anni, mica quarantasei!» puntualizzò Ginevra,
la sua ragazza.
«Certo il suo modo
di comportarsi non ha nulla da invidiare a quel vecchio
maniaco di Playboy..» si aggiunse Claudia, mano nella mano con Giacomo.
«Ma siete
impazzite voi due?» intervenne Stefano, quasi idolatrandomi.
«Quest’uomo dovrebbe scrivere libri, dovrebbe fare comizi e condividere
i suoi
segreti con noi poveri mortali!».
«Sei patetico!»
bofonchiò Sara.
«Hai ragione!» si
aggiunse subito Giorgio, scodinzolando come uno
Yorkshire ammaestrato.
Stefano li guardò
entrambi con sufficienza, poi tornò a rivolgersi a
tutto il gruppo, rimanendo al centro dell’attenzione come adorava fare.
«Qualsiasi ragazzo
pagherebbe oro per passare, anche solo una
settimana, con una delle sventole che si è portato a letto questo qui!»
esultò
esaltato.
«Ho un nome»
puntualizzai un po’ offeso.
Stefano,
ovviamente, non mi degnò nemmeno di uno sguardo tant’era
impegnato a mantenere l’attenzione di tutti su di lui.
«Pensate, so per
certo che ha un’agendina con tutti i numeri delle
ragazze che ha avuto e che, disperate, sperano che un giorno lui le
richiami.
Non è vero, amico?».
«Falla finita, ti
stai inventando tutto. Non dategli retta» mormorai
stufo, ma lui continuò.
«Una volta ha
avuto un’avventura con una delle vallette di un
programma tv, qual era, Fra?».
«Vaffanculo» gli
risposi, poi scolai la mia birra e feci per
andarmene.
Fu a quel punto
che la sfera perfetta che racchiudeva il mio mondo,
altrettanto perfetto, cominciò ad incrinarsi.
«Visto che
dobbiamo passare quattordici giorni insieme» mormorò Sara,
«stando sdraiati al sole e oziando tutto il giorno.. perché non rendere
più
interessante questa vacanza?».
Mi voltai appena
per guardare quei suoi vispi occhi verdi, illuminati
dai primi lampioni accesi al crepuscolo, e non seppi che quello sguardo
significava soltanto l’inizio della fine.
«Cosa proponi?» le
domandò Giacomo, evidentemente interessato.
Anche gli altri
pendevano dalle labbra della ragazza, in trepida
attesa di ciò che avrebbe detto.
In fondo, un
gruppo di ragazzi ricchi e viziati come noi, si sarebbe
annoiato quattordici giorni interi lontano dalle comodità della vita
cittadina,
col solo passatempo delle attrezzature di cui il villaggio disponeva.
Sara non staccava
lo sguardo dal mio viso ed io mi sentii stranamente
coinvolto in quella bizzarra proposta, quando ancora non sapevo nemmeno
di cosa
si trattasse.
«Perché non
facciamo una scommessa?» se ne uscì infine, facendomi
tirare un sospiro di sollievo.
«Cioè?» chiese
preoccupato Giorgio, pensando sempre che la sua adorata
Sara potesse, in qualche modo, essere attratta dal sottoscritto.
«Diciamo che
ognuno di noi sceglie una ragazza di questo villaggio,
che sia un’animatrice o un’ospite, non importa, ma la cosa fondamentale
è che
non deve corrispondere affatto con il tipo di ‘sventole’ cui di solito
è
abituato il nostro latin lover».
«Uno scorfano,
insomma» intervenne Stefano, facendo sorridere la
comitiva.
«E poi?»
domandarono le altre due ragazze in coro, sempre più
interessate.
Sara ci guardò uno
per uno, con un bagliore di malizia nello sguardo
che non prometteva nulla di buono.
«Poi il nostro
caro Francesco dovrà adescare la prescelta, quella che
fra tutte corrisponderà ad ogni requisito, e dovrà infrangere la sua
prima
regola».
«Cioè?» domandò
Ale, ed io deglutii sonoramente.
«Dovrà passarci
insieme tutti i quattordici giorni di vacanza, non un
giorno in più, né uno in meno, a cominciare da stasera».
«Ma è troppo
facile così..» si lamentò Stefano. «Se le gnocche fanno
la fila per lui, gli scorfani dovrebbero stendergli il tappeto rosso
davanti ai
piedi quando passa».
«Infatti, so già
quale ragazza fa al caso nostro» sogghignò, indicando
la passeggiata che dalla spiaggia conduceva al bar dov’eravamo noi.
C’erano tre
ragazze in vista, ma io già sapevo quella che Sara aveva
scelto per me. Una era alta, mora, dalla pelle diafana, ma parecchio
dinoccolata. L’altra era piuttosto carina, se come modello avete in
mente
Hilary Duff, ma la terza avrebbe fatto indietreggiare perfino quel nerd
di
Clark Kent.
Indossava un paio
di short molto larghi, taglia 48 direi, che le
lasciavano scoperti due cosciotti piuttosto ingombranti. Inoltre, una
canottiera gialla, di due taglie più grande, la faceva sembrare ancora
più
grassa di quello che poteva essere, nascondendole l’unico punto a suo
favore:
un bel seno prosperoso. Infine, i capelli a ‘cespuglio’ finivano il
quadretto
di quanto ho appena descritto e mi fecero rabbrividire al solo pensiero
di
sfiorarla.
«Oh, mio Dio! È
Moby Dick!» se ne uscì Stefano, delicato come una
pentola a pressione.
«Si chiama Sole,
andavamo allo stesso liceo e non è cambiata di una
virgola da allora» ci spiegò Sara, continuando a sorridere.
«Cessa era e cessa
è rimasta» aggiunse Ale, provocando una risatina
della sua Ginevra.
«Ovviamente c’è un
piccolo extra per quanto riguarda Moby» aggiunse la
diabolica Sara, fissandomi di traverso.
Non sapevo se
avesse architettato tutto questo per farmela pagare da
quando, a Capodanno, mi aveva confessato di voler fare sesso con me ed
io avevo
rifiutato. Non avevo mai avuto il coraggio di confessarlo a Giorgio, ne
andava
della nostra amicizia. Ero un pezzo di merda, lo sapevo, ma non fino al
punto
di tradire un amico.
Fatto sta che
quella scommessa stava prendendo una piega che non mi
piaceva affatto. Più andava avanti e più mi sentivo con l’acqua alla
gola.
«Quale extra?»
chiese Claudia, incuriosita.
«So per certo che
è ancora vergine» se ne uscì, lasciandoci spiazzati.
«Ma avrà la nostra
età!» sbottò Ginevra.
«Mica sono tutte
facili come te» scherzò Giorgio, ma per poco non
rischiò di ricevere un dritto in faccia da Ale.
«Riassumendo»
disse Sara, alzando la voce. «Per vincere la scommessa
devi ammaliarla, superare le due settimane di rapporto e, infine,
portarci la
sua purezza. Capito? Poi, ovviamente, devi sbarazzartene».
Odiavo rimanere
così in silenzio davanti a lei, senza sapere cosa
dire. Sapevo di essere uno stronzo, anzi, più di una ragazza me lo
aveva urlato
dietro, ma non me la sentivo di imbarcarmi in una storia del genere,
nemmeno
per scherzo.
«Perché dovrei
farlo, cosa ci guadagno?» le domandai, con ovvietà.
Gli altri
cominciarono a lagnarsi quando capirono che non avrei mai
accettato una cosa del genere, eppure non me ne importava un fico secco
di
guastare le feste a tutti.
Sara, però, non si
scompose. Si limitò ad avvicinarsi a me e, in punta
di piedi, mi confessò una cosa sottovoce.
Se non
accetti dirò al tuo caro amico Giorgio che abbiamo fatto sesso
la notte di Capodanno.. vedrai che non ti rivolgerà mai più la parola.
Mi sentii in
trappola, come un volgare topo di fogna.
Quella stronza mi
teneva per le palle e non avevo niente in mano per
sfatare quello che lei avrebbe raccontato in giro. Anche volendo,
Giorgio non
mi avrebbe mai creduto. Troppe volte mi aveva visto provarci con le
ragazze che
gli interessavano, ma non mi aveva mai detto nulla.
Sara era l’unica a
cui teneva, la sola che mi aveva proibito di
conquistare.
«Accetti?» disse
con un sorrisetto sulle labbra.
Deglutii a fatica
e guardai dritto negli occhi marroni del mio
migliore amico.
«Accetto», sospirai e un boato di
approvazione si levò dall’intera
comitiva, lasciandomi atterrito come dopo che la Roma aveva perso la
Champions.
***
Spazietto autrice:
Grazissime
per l'attenzione che avete dedicato alla mia, seppur insignificante,
storiella domenicale. Bah! In questo momento sono un vulcano di idee e
potrei far capitare qualunque cosa al nostro aitante protagonista,
chissà che non accada qualcosa di davvero inaspettato! A chi vuole
intendere, intenda... tutti gli altri in camper! (Okay, è vecchia come
il cucco questa... vado a sotterrarmi!).
Alla
prossima, un bacio!
Marty
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