A Tulipano:
<<
Ebbene, dopo quasi
un mese dal compimento dei tuoi diciassette e sudatissimi anni, eccoti
la fan
fiction per il tuo compleanno. È pronta già da un
bel po’, ma dato che la data
della tua nascita è caduta in una settimana mostruosa, come
ben ricordi, ho
deciso di posticipare la sua
pubblicazione. Inoltre
essa risulta
inattesa, giusto? Così il mio contorto e insensato
ragionamento ha raggiunto il
suo scopo u.u … Sì,
il titolo nn c’entra
un accidente xD>>
Lisca di pesce.
La gonna del vestito
ondeggiava seguendo il suo ancheggiare
lento e ritmato e le scarpe producevano un lieve ticchettio entrando in
contatto con l’asfalto grigio della strada.
Le spalle inclinate in
avanti, a dispetto di quello che le è
sempre stato insegnato e gli occhi bassi, come suo solito. Stringeva
con
entrambe le mani il manico della piccola busta bianca della spesa che a
ogni
suo passo andava a cozzare con le sue ginocchia.
I capelli neri le
ricadevano morbidi sulle spalle esili e la
frangia le copriva interamente la fronte, carezzandole le sopracciglia
e
sfiorandole appena le ciglia brune.
Sospirò quando
la sua figura venne illuminata dalla luce di
un lampione e affrettò il passo per ritornare nel buio della
strada, lontana da
occhi indiscreti.
Alzò lo sguardo
quel tanto che bastava per vedere un gatto
magro e dall’aspetto emaciato sbucare da un cassonetto con
una lisca di pesce
in bocca. Gli occhi gialli del felino incontrarono quelli candidi della
ragazza. Le orecchie appuntite dell’animale si appiattirono
sulla testa e i
muscoli del muso gli si contrassero in una smorfia minacciosa.
Saltò giù dal
cassonetto, facendone cadere il coperchio. Questo atterrò a
terra con un tonfo
sordo, producendo un forte rumore metallico e mentre Hinata sobbalzava
il gatto
si dileguò in un vicolo.
Si portò una
mano al petto, stringendo il pugno e socchiuse
le labbra carnose e
pallide. Si riprese
dopo qualche secondo dandosi della stupida, ormai era una chunin e
continuava a
comportarsi come una marmocchia scema,
per citare Kiba.
Riprese a camminare,
avviandosi verso casa con passa svelto,
in fin dei conti si era fatto davvero tardi.
Non avrebbe dovuto fermarsi a parlare con Ino, ma si sa, quella donna
sarebbe
stata capace di istaurare un’accesa discussione persino con
Itachi Uchiha, che,
per la cronaca, era ancora morto.
Attraversò
metà del villaggio, prima di svoltare in un
vicolo. Oltrepassò un paio di cassonetti strapieni,
annotandosi mentalmente di
fare una lunga discussione con l’Hokage
in
merito.
Arrivò davanti
alla palazzina dove risiedeva. Salì due a due
le scale che portavano al piccolo appartamento che occupava, che niente
aveva a
che spartire con la residenza degli Hyuuga dove era cresciuta.
Percorse il pianerottolo
canticchiando e, una volta davanti
alla porta di casa, infilò la chiave nella toppa della
serratura che fece
resistenza. Strinse la lingua tra i denti e fece maggior pressione col
pollice
i l’indice e alla fine la serratura si arrese.
La porta si
aprì scattando e producendo un fastidioso
cigolio. Hinata si accigliò borbottando un improperio a
mezza voce, per
niente stupito dal fatto che neanche si
fosse deciso a mettere un po’ di olio su quei cardini
arrugginiti, ma l’avrebbe
sentita! Questa volta e come se l’avrebbe sentita! Si disse,
forte della sua
indignazione e del ciclo che lentamente la stava portando a
dissanguarsi….
Entrò
nell’appartamento e, insospettita dal silenzio, si
diresse verso il soggiorno. Un sorriso le si disegnò sul
viso portandosi via
tutti i suoi propositi omicidi quando lo vide steso sul divanetto
arancione e
consunto, la bocca spalancata e un rivolo di bava a rigargli il mento.
I capelli biondi e
spettinati gli coprivano la fronte e
alcune ciocche, per beffarsi della forza di gravità, si
propendevano verso l’alto
contorcendosi in curve innaturali, una gamba piegata e
l’altra che ciondolava
dal divano sfiorando appena il pavimenti e un braccio sul petto per
assicurarsi
che il bambino che, come il padre dormiva, non scivolasse e cadesse per
terra.
Hinata quasi si commosse e
una lacrimuccia stava per rigarle
una guancia, ma poi la sua attenzione fu catapultata dal resto della
stanza: in
un angolo erano ammucchiati un numero non ben definito di bavaglini e
un
barattolino di omogeneizzato vuoto, munito anche di cucchiaino, li
sovrastava; sulla
parete linda due manate grigiastre, una di suo figlio e
l’altro di quel
degenero di suo marito. Ai piedi del divano ben sei ciotole di ramen
che ancora
gocciolavano i residui della zuppa gialla e collosa sul parquet e a
coronare il
tutto un pannolino sporco e puzzolente nascosto sotto uno dei cuscini
del divano che, per
qualche strano motivo, si
trovava dall’altra parte del soggiorno.
A Hinata
scivolò la busta della spesa e nel contempo
lanciò
un grido inferocito che fece sobbalzare sia Naruto che il bambino che
stavano
dormendo placidi sul divano.
E intanto,
dall’altra parte del villaggio, il gatto nero che
aveva incontrato poco prima, quasi si strozzo con la lisca di pesce per
lo
spavento.
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