Stella del Sud - Atto I
Parte
Prima - Atto Primo
“Tanto
gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 1-4
Se
avessimo l’occasione di osservare il porto di Alessandria
d’Egitto dall’alto del suo antico e ormai scomparso
faro,
questo luogo così intriso di storia e di storie ci
apparirebbe
in tutta la sua magnificenza, giacché fin dai tempi
più
remoti è sempre stato un crocevia di scambi d’ogni
genere:
gente che viene, gente
che va.
E proprio a questo pensava Yussef, mentre tirava le magre reti in
barca, adocchiando un’imponente nave da crociera impegnata
nelle
manovre di attracco.
“Turisti, turisti, sempre e solo irrispettosi
turisti!”
borbottò fra sé e sé l’uomo.
“Vengono,
fanno i loro comodi e se ne vanno. Si chiedessero, piuttosto, se i loro
comportamenti possono essere considerati lontanamente civili!”
L’uomo era un anziano pescatore egiziano dalla bianca barba
incolta e con la pelle scura, nella cui famiglia, l’atavico
mestiere era stato tramandato di generazione in generazione, essendo
stato sempre ritenuto un lavoro bastevole a condurre una vita
dignitosa. Tuttavia, negli ultimi tempi, le cose erano cambiate: non
c’era più la sicurezza di una volta e doveva
vendere il
pesce a poco prezzo, ma comprare a tanto i beni di prima
necessità.
Sospirò, constatando lo scarso risultato di
un’intera
notte di pesca, dopo di che si preparò per tornare indietro.
Mentre la riva si faceva sempre più vicina, le sue
preoccupazioni erano tutte rivolte a come piazzare bene quel poco che
era riuscito a pescare, consapevole di quanto potesse essere spietata e
sleale la concorrenza al mercato del pesce di Alessandria.
Quando finalmente la barchetta toccò terra, Yussef
cominciò a scaricare le cassette con metodo e precisione.
All’improvviso, però, una fiumana di gente si
riversò sulla banchina del porto: la nave da crociera doveva
aver dalle autorità locali il permesso per procedere con lo
sbarco, così che i passeggeri potessero trarre diletto dalla
tappa egizia; nel frattempo, il pescatore era giunto alla quarta
cassetta, ancor più vuota delle altre, sul fondo della quale
erano adagiate alcune orate, dalle dimensioni alquanto ridotte. Yussef
si fermò a fissarle, grattandosi una guancia.
“Se oggi voglio mangiare, dovrò fare i salti
mortali” pensò, amareggiato.
Intanto, la maggior parte dei crocieristi era già scesa a
terra
e stava passando il controllo del personale del terminal portuale
così, poco dopo, la massa cominciò a dileguarsi e
rimasero solo i passeggeri provenienti dalle cabine ubicate sui ponti
più elevati, di norma ricconi o importanti
celebrità.
Solitamente, l’uomo non prestava attenzione a quel genere di
persone, perché aveva ben altro da fare, ma, quella mattina,
ci
fu qualcosa che lo distrasse dai suoi conti abitudinali, quando, sotto
i suoi occhi, si trovò a passare un gruppo molto
particolare,
formato da quattro ragazzi e tre ragazze. Ciò che
colpì
principalmente l’anziano pescatore, però fu la
straordinaria eterogeneità dei tratti somatici che
connotavano i
componenti della comitiva: lineamenti belli e fini, ma comunque diversi
tra loro.
In testa al gruppo, infatti, avanzava, compostamente, un ragazzo
dall’aria austera e impassibile e, in virtù di
ciò,
Yussef avrebbe scommesso con una certa sicurezza che fosse tedesco,
avendo una certa esperienza con le fisionomie, anche le più
improbabili, poiché, per via del suo lavoro, aveva visto
transitare tanta gente proveniente dai più disparati paesi
del
mondo. Al braccio del turista, era appoggiata una bellissima fanciulla,
dai capelli di un biondo così tenue da sembrare di platino,
mentre gli occhi erano azzurro chiaro e la pelle bianca come il latte,
indizi che portarono l’uomo ad immaginare che la giovane
fosse di
provenienza scandinava. L’espressione di sofferenza che aveva
sul
volto, inoltre, lasciava intendere che fosse piuttosto spossata.
Dietro la prima, procedevano affiancate altre due coppie, la prima
delle quali era formata da un ragazzo dall’espressione
annoiata,
i capelli tendenti al mogano alzati con il gel, e da una ragazza tanto
graziosa quanto crucciata, una mora dal caschetto perfettamente
pettinato; gli abiti di entrambi dovevano essere molto costosi, ma, nel
complesso, risultavano terribilmente anonimi.
“Britannici” azzardò Yussef.
La seconda coppia, invece, era composta da un giovane estremamente
raffinato dal portamento elegante e la chioma verde sottobosco,
abbracciato ad una fanciulla minuta, riccia e biondina, intenta a
sventagliarsi in maniera compulsiva lamentandosi per il troppo caldo
nonostante fosse settembre inoltrato. Chiudeva la fila un ragazzo,
anche lui con i capelli dello stesso biondo della fanciulla che lo
precedeva, che camminava con le braccia incrociate dietro la nuca,
esibendo un sorriso sornione.
“Ed ecco gli ultimi tre. Quei due, nonostante siano biondi,
hanno
un’aria talmente strafottente che potrebbero essere italiani,
mentre il terzo sembra così altezzoso che non potrebbe
essere
altro che... un francese!” concluse trionfante
l’uomo.
Mentre ragionava in questi termini, intanto, la comitiva aveva
proseguito indisturbata verso il terminal, sparendo presto dalla vista
del pescatore, che, qualche istante dopo, si terse la fronte, madida di
sudore, per poi tornare al suo lavoro, scuotendo la testa.
“Turisti”.
«Mi raccomando: non perdete i biglietti del traghetto per
Patrasso. Jetzt1
preparate i passaporti, cerchiamo di velocizzare i
tempi!»
A quanto pareva, anche se in vacanza, Ralf Jurgens non poteva fare a
meno di atteggiarsi a caposquadra, scandendo i ritmi di tutti gli altri
ragazzi del gruppo, ma, considerando che la sua ragazza era stata
provata, da una notte passata su un Egeo forza sei2,
era ben
comprensibile che avesse tanta fretta.
«Sono a pezzi. Ralf, mi sento così
debole…»
sussurrò proprio in quel momento la biondissima fanciulla,
appoggiandosi al braccio del proprio cavaliere.
«Forza, Christine, vedrai che tra poco potrai
riposarti» la tranquillizzò subito lui,
tirandosela vicino.
«Io ho un mal di testa terribile. Ho bisogno di una farmacia
e di
un’aspirina. Immediatamente! Andrew, verrai anche tu con me,
vero?» avanzò, invece, la ragazza col caschetto,
lanciando
un’occhiata eloquente al giovane scozzese.
«Se non lo facessi, Mary Anne, saresti capace di citarmi in
giudizio per omissione di soccorso!» replicò
costui,
schietto e disinvolto.
«Cosa?! Vuoi dire che mi lasceresti andare da sola, in giro
per
Alessandria? Hai una vaga idea di quanto sia lontano da qui il
centro?» esclamò Mary Anne, sbarrando gli occhi.
«Dai, dai! Stavo scherzando, lo sai che non lo farei mai. Ci
caschi sempre, è uno spasso prenderti in giro!»
«E poi dite che siamo noi inglesi, ad avere un senso
dell’humor opinabile!» affermò la
giovane,
socchiudendo appena gli occhi e scrutando torva il fidanzato.
«Noi, invece, potremmo andare a fare un giro per negozi,
perché ho bisogno di sentire la terra ferma sotto i piedi,
senza
però morire a causa di questo caldo soffocante…
Che cosa
ne dici, Olivier?» chiese la minuta ragazza bionda,
continuando a
farsi aria con il suo enorme ventaglio di pizzo sangallo.
«Mais
certainement, ma
petite fleur! Siamo qui in vacanza,
perciò faremo tutto quello che vorrai»
replicò
dolcemente il francese.
«Appunto, voi fate quello che volete» intervenne,
invece,
Gianni, ravviandosi la frangia con un gesto studiato e seducente,
«io so perfettamente come impiegherò il mio
tempo».
Gli altri sei si voltarono verso di lui e nella hall del Mediterrean
Plaza calò il silenzio.
«Facci indovinare, continuerai a dedicarti al tuo sport
preferito?» chiese retoricamente la compagna di Olivier,
mentre
Mary Anne alzava gli occhi al cielo e Ralf sospirava rassegnato.
«Ah, già! La caccia alle... alle... come dite voi,
in
Italia?» si intromise immediatamente Andrew, facendo
schioccare
ripetutamente le dita per cercare di ricordare il termine esatto.
«Pollastre,
impara caro mio, pollastre»
lo
aiutò il
giovane italiano, sorridendo maliziosamente. «E tu, Claudia,
mia
adorata cugina, potresti spiegarmi perché con Olivier sei
tutta
sorrisi e moine, mentre con me sei sempre così
scortese?»
aggiunse, recitando la parte della vittima di turno.
«Bah, perché te lo meriti, forse? Come se non
sapessi che
hai dato già abbastanza spettacolo, sulla
nave…»
sbuffò lei.
«Ognuno è libero di fare quello che
vuole» mise
ordine Ralf, notando che la sua Christine sembrava sempre
più
pallida. Per fortuna, proprio in quel momento, si fece vivo il
concierge che sviò immediatamente l’attenzione dei
ragazzi
sulle pratiche di registrazione del loro arrivo.
«Perfetto, signori. Qui ho quattro prenotazioni effettuate a
nome
di Jurgens, McGregor, Boulanger e Tornatore, corretto?»
«Ja,
è così» rispose per
tutti Ralf.
«Bene, se mi faceste la cortesia di consegnarmi i vostri
passaporti, potrei sbrigare le incombenze d’ufficio senza che
voi
collaboriate ulteriormente. Immagino che sarete molto
stanchi».
Era un bel ragazzo alto, dalla pelle abbronzata e i capelli neri, che
aveva subito notato l’espressione sofferente di Christine e
deciso di andare incontro alle esigenze degli ospiti.
«Dankeschön»
lo ringraziò il
tedesco, riconoscente.
«Dovere. Potrete ritirare i vostri documenti tra qualche ora.
Intanto, il nostro personale porterà i vostri bagagli negli
appartamenti a voi riservati, mentre le chiavi sono queste»
spiegò, mostrando quattro carte magnetiche. «Per
il
momento è tutto, vi auguro buona permanenza ad
Alessandria!» concluse, con un sorriso cordiale e
professionale.
«Molto bene. Da questa parte, Christine. Ragazzi, noi vi
auguriamo buon proseguimento, ci vedremo questa sera!» fece,
allora, Ralf, spingendo la sua ragazza verso uno degli ascensori.
«Darling,
andiamo anche noi!» esclamò
subito dopo
Mary Anne, trascinandosi dietro il fidanzato e impedendogli qualsiasi
tentativo di opposizione.
Così, nella hall rimasero solo Olivier, Claudia e Gianni,
ma,
prima che chiunque di loro potesse aggiungere o fare qualcosa,
passarono davanti a loro due ragazze dalla pelle ambrata, con indosso
una divisa bianca e dal design lineare. Si stavano dirigendo verso la
zona fitness
& wellness,
chiacchierando allegramente tra di
loro,
in arabo e una testa bionda si voltò immediatamente al loro
passaggio, seguendole finché scomparvero dietro una pesante
porta di vetro satinato.
«Uhm… Direi massaggiatrici»
valutò, con interesse.
Nel sentirlo, la ragazza assunse un’espressione profondamente
disgustata e solo la presenza, accanto a lei, di Olivier - il quale,
per giunta, le stringeva una mano - evitò che tirasse
qualche
manrovescio all’inquieto cugino.
«Mi chiedo perché la zia abbia sempre vietato allo
zio di
corcarti a dovere. Forse, non saresti venuto così
venale…» commentò, inviperita.
«Il dialetto non si addice ad una madamigella di classe come
te» la prese in giro l’altro, sghignazzando.
«Sai, ti
preferisco quando fai la svenevole in francese con il tuo
fiancé».
«Che razza di idiota! Io ti…»
iniziò lei, sbraitando, con il viso contratto dalla rabbia.
A quel punto, solo l’arrivo provvidenziale
dell’ascensore e la calma di Olivier salvarono il collo a
Gianni.
«Vieni, ma
petite fleur, ricordati che abbiamo tante cose da
fare» l’addolcì il fidanzato.
Il parigino, allora, lasciò il passo a Claudia, che
avanzò tutta impettita, sempre con il ventaglio in mano;
quindi,
si apprestò a salire a sua volta, lanciando prima
un’occhiata indecifrabile al suo amico.
«Mon Dieu»
sussurrò sconsolato, mentre
le porte della cabina si richiudevano.
«Ah, ah! Libero!» gioì Gianni,
fregandosi le mani,
compiaciuto. «Ed ora, signori, dichiaro aperta la stagione di
caccia!»
Il concierge, trovandosi a pochi passi di distanza a svolgere il suo
lavoro, sentì tutto e alzò lo sguardo per
spostarlo sul
giovane, aggrottando la fronte. Infine, scrollò le spalle e
sbuffò: «Turisti».
***
Posso consigliarvi un ottimo vino da abbinare alle portate di pesce che
avete ordinato?» chiese garbatamente un cameriere,
apprestandosi
al tavolo dei Majestics e delle rispettive fidanzate.
«Potrebbe
andare bene uno Chardonnay,
con la sua acidità elevata,
nonostante sia delicato e fruttato».
I sette ragazzi gli puntarono addosso occhiate dubbiose, scrutandolo
con aria di sufficienza e l’espressione sul viso del giovane
si
congelò, finché non si sollevò una
risata
cristallina.
«Non avrebbe potuto fare scelta più sbagliata! Un
gusto
delicato come lo Chardonnay
si sposa bene con piatti consistenti e dal
sapore particolare, come il roast-beef.
Per l’astice, invece,
ci
vuole un vino fermo, leggero, ma sapido, che possa esaltare il gusto
intenso del crostaceo. Avete una bottiglia di Vermentino di Gallura,
per caso?» spiegò Claudia con pedanteria: il
fresco della
sera e il pomeriggio di shopping avevano davvero fatto miracoli,
rimettendola in sesto e permettendole di tirare fuori il suo
atteggiamento più superbo.
Il cameriere, rimasto non poco attonito dalla precisione della sua
argomentazione, guardò stranito la giovane, increspando le
labbra.
«Vado… vado a vedere se ne trovo una»
borbottò, contrariato, allontanandosi in tutta fretta.
«Mia cara Claudia, anche quando sei lontana dal lavoro, non
riesci proprio a fare a meno di essere professionale, vero?»
commentò Christine, anche lei ormai ripresasi quasi del
tutto,
sorridendo alla bionda italiana.
«Un sommelier resta sempre un sommelier» rispose
lapidaria la diretta interessata.
«E tu sei uno dei migliori» disse Olivier,
prendendo una
mano della sua fidanzata per sfiorarla delicatamente con le labbra.
“Un cuoco e un sommelier: che accoppiata vincente.
Soprattutto,
quando c’è da mettere in difficoltà
qualcuno!” pensò Gianni, abbandonandosi contro lo
schienale della sua sedia e poggiando il polso sinistro sul bordo del
tavolo.
«Io, invece, di vino non capisco assolutamente nulla. Per me,
uno
vale l’altro, perché penso che sia una bevanda
assolutamente inutile!» si intromise Mary Anne, facendo
capire
che teneva ad informare gli altri del suo punto di vista.
«Non dire eresie! Solo perché sei astemia, non
significa
che si debba bandire l’alcol dalla faccia della
Terra!»
replicò immediatamente Andrew che, da bravo scozzese, era un
intenditore di alcolici e affini.
«Ah, be’, bandire magari no, ma si potrebbero
operare
più controlli sulla distribuzione pubblica. Io sono
dell’idea che ci vorrebbero leggi più severe, per
chi
viene fermato alla guida in stato di ebbrezza, per esempio»
obiettò animatamente la fanciulla, arrivando così
a
toccare uno degli argomenti che le stavano più a cuore.
«Prima che partissimo, ho assistito ad un processo
abominevole:
l’avvocato Crimson è riuscito a far assolvere un
ubriacone
che aveva investito ben tre persone, uccidendole sul colpo. Non lo
trovate assurdo?» chiese.
Gianni si soffermò a scrutare Mary Anne: aveva un carattere
decisamente troppo ribelle e giustiziero per i suoi gusti. Non che la
sua causa fosse sbagliata, erano i suoi modi di portarla avanti che non
lo convincevano. D’altra parte, sapeva bene di non
condividere le
preferenze di Andrew in alcun campo. Infatti, non avrebbe mai potuto
pensare nemmeno lontanamente di fidanzarsi con un avvocato, specie se
con la stessa loquacità della ragazza. Ciononostante, doveva
ammettere che lei era l’unica persona, ad eccezione di sir
George
McGregor, in grado di tenere testa a quell’arrogante dalla
lingua
lunga.
«Nel Regno Unito succedono queste cose? Da noi, in Svezia,
sarebbero inammissibili! Anche in Germania i tribunali sono
più
severi, vero, caro?» si scandalizzò Christine,
cercando il
supporto del suo Ralf.
«Ja,
assolutamente, ma non credo che dipenda dalla
legislatura
del paese: conosco Crimson e non perde mai un processo, è
come
der Teufels Advokaten3».
Il biondo italiano, allora, fece convergere la propria attenzione su
Christine, in costante adorazione del suo fidanzato. Che ragazza
esageratamente remissiva! Era davvero da far venire il latte alle
ginocchia, ma, a quanto pareva, Ralf-tutto-d’un-pezzo
l’adorava e, forse, proprio per questo motivo.
Annoiato dai discorsi che stavano intrattenendo i suoi commensali, a
quel punto, Gianni spaziò la vista sul resto della sala
ristorante, notando quanto le luci soffuse e la vetrata panoramica sul
porto e sulla città lontana dessero a
quell’ambiente un
tocco di classe. L’arredamento, come aveva detto
l’esperta
svedese, proprietaria di un negozio di antiquariato, era certamente
ispirato a quello del periodo della tredicesima dinastia.
In realtà, quella sera, la comitiva avrebbe dovuto cenare in
un
lussuoso locale del centro di Alessandria, ma, data
l’indisposizione di Christine, nessuno aveva obiettato quando
Ralf aveva proposto di non allontanarsi.
Per passare il tempo, l’instancabile casanova
passò in
rassegna ad uno ad uno, tutti i tavoli della sala: vi era seduta ogni
sorta di bellezza e le rappresentanti più fascinose di ogni
angolo del pianeta sembravano essersi radunate lì, anche se
non
avevano nulla a che fare con quelle due deliziose ragazze, Bahira e
Ghada, che aveva conosciuto nel pomeriggio.
“Davvero due magnifici esemplari del gentil sesso!”
pensò il biondo, riportando alla mente i ricordi del
piacevole
incontro pomeridiano, in cui Gianni si era divertito a fare, come suo
solito, il gallo nel pollaio.
«Ho trovato quello che mi aveva chiesto, miss»
annunciò in quel momento il cameriere di prima, soddisfatto,
troncando l’illuminante discorso che aveva intavolato Mary
Anne,
riguardo la giustizia in Gran Bretagna e nel resto d’Europa.
«Molto bene!» approvò Claudia.
«Ah, ed ecco anche il nostro astice in salsa verde!»
La maggior parte del personale di sala, infatti, si stava affannando
intorno al loro tavolo, affinché i sette ragazzi fossero
serviti
a puntino, dal momento che tutti erano stati informati di chi fossero i
Majestics e sembravano impegni ad adoperarsi affinché
l’errore del povero sventurato fosse dimenticato quanto prima.
Gianni, intanto, stava seriamente valutando
l’eventualità
di tagliare la corda, non appena fosse finita la cena,
poiché
sarebbe stato molto, molto, più allettante concluderla con
un
dessert servito nella zona termale, anziché con
un’altra
arringa di Mary Anne.
Eppure, le cose non andarono come programmato. Infatti, proprio mentre
il giovane si pregustava il suo dopocena, attraverso lo folla del
personale in movimento, cominciò ad intravedere il preludio
di
ciò che lo avrebbe segnato da quel momento in poi:
un
ragazzino, il quale non doveva aver superato i dieci anni, era in piedi
all’ingresso della sala, da solo e si guardava intorno, come
se
stesse cercando qualcuno. Non trovandolo, arrivò perfino a
muovere qualche passo, ma fu prontamente riacciuffato da un giovane che
Gianni riconobbe essere il concierge.
Il ragazzo si era messo appena il bambino in spalla, dicendogli
qualcosa concitatamente, quando sopraggiunse una terza persona: una
giovane dalla carnagione scura e dai lunghi capelli corvini, lisci e
fluenti, che somigliava molto al bambino. Quello, allora, le rivolse
qualche parola, mentre lei si preparava a ricevere il piccolo tra le
proprie braccia: alla fine, lo scambio avvenne e il giovane
scarmigliò affettuosamente i capelli del bimbo, dando prima
un
bacio sulla fronte di quest’ultimo e poi sulla guancia della
ragazza. A quel punto, lei sorrise, stringendo a sè il
piccolino, e si allontanò dalla sala, quasi fluttuando,
mentre
il concierge, dopo aver lanciato un’occhiata circospetta
all’interno, come ad assicurarsi che fosse tutto a posto, si
dileguò a sua volta, imboccando la direzione opposta a
quella
degli altri due.
L’intera scena si era svolta in una manciata di secondi
appena,
ma questi erano bastati a turbare il biondo nel più profondo
del
suo animo. Possibile che quella ragazza, così giovane, fosse
già sposata e avesse un figlio? E che il concierge,
più o
meno della sua stessa età, fosse un responsabile padre di
famiglia, mentre a lui, Gianni Tornatore, interessava solo il puro
divertimento? Eppure, a pensarci bene, era davvero così
strano?
La risposta era sotto i suoi occhi: per quanto le scelte compiute
fossero o no discutibili, tutti i suoi amici avevano trovato le donne
della loro vita e, per giunta, con il benestare delle rispettive
famiglie.
Leopold Jurgens, infatti, aveva annunciato, da gran tempo, il
matrimonio del figlio con la bella Christine. Galeotte erano state le
antichità dell’arcaico maniero, che presieduto il
fatidico
incontro tra i due giovani. L’antiquaria svedese, che
stravedeva
per Ralf e per i cimeli custoditi nel castello di famiglia, era
così riuscita a conquistarsi la fiducia del severo junker4.
Louis Boulanger, invece, aveva manifestato grande commozione, quando il
suo unico erede gli aveva riferito di essersi fidanzato con la figlia
di un’esponente della buona borghesia romana, per di
più
cugina di uno dei suoi compagni di squadra. L’honneur e il
patrimoine
sarebbero stati salvi e tutta Parigi avrebbe salutato la
futura sposa di Olivier, lanciando petali di rosa dalle rive della
Senna.
Infine, per quanto riguardava sir George McGregor, tradizionalista e
conservatore, tutto porridge, tè delle cinque,
Dio-salvi-la-Regina-Amen, il fatto che anche i reali del Regno Unito
avessero consentito il matrimonio tra il principe ereditario e una non
nobile, lo aveva portato ad accettare di buon grado la relazione tra
Andrew e Mary Anne. D’altra parte, il vecchio barone era
anche
convinto che fossero doti come il carattere e l’intelligenza
a
contare veramente, due qualità che il giovane avvocato aveva
dimostrato di avere a iosa.
E poi, c’era Marcello Tornatore, il quale non poteva certo
reputarsi fortunato come gli altri signori, avendo ormai rinunciato a
sperare che il proprio figlio potesse mettere giudizio.
Bruscamente, il biondo scosse la testa e scacciò quei
pensieri, tornando a concentrarsi sul suo astice.
«Allora, Gianni, facci fare quattro risate e raccontaci delle
tue
conquiste pomeridiane!» lo incitò proprio in quel
momento
Andrew, interrompendo il silenzio dovuto alla masticazione.
Al giovane, andò di traverso il boccone al punto che fu
costretto a sputarlo nel tovagliolo per evitare che gli rimanesse in
gola.
Maledetto McGregor, incapace di farsi gli affaracci suoi, sempre e
comunque! Pensasse piuttosto a come la sua ragazza lo teneva a bada,
anche durante il semplice acquisto di un’aspirina!
«Non ho niente di particolare da dire» rispose
laconico il ragazzo.
«Ma come!» esclamò sorpresa Claudia,
mentre un lampo
di cattiveria le passava nelle iridi scure. «Di solito, ti
vanti
fino alla nausea dei tuoi trofei! Non hai rimediato nulla, per
caso?»
L’altro inarcò appena un sopracciglio, serrando le
labbra fino a farle sbiancare.
«Forse le ragazze di qui sono più intelligenti e
non
cadono ai piedi del primo che capita» incalzò
Andrew,
beccandosi una gomitata nello stomaco da parte di Mary Anne.
«Cosa c’è, caro? Qualcosa non
va?» fu, invece, la premurosa domanda di Christine.
Gianni, però, non rispose, disturbato da quei commenti,
sopraggiunti proprio nel momento in cui la sua coscienza, che negli
anni aveva imparato così bene a mettere a tacere, era
riuscita a
trovare uno spiraglio per farsi sentire. Allora, senza preavviso si
alzò e, borbottando uno “Scusate, non ho
più
appetito, continuate pure senza di me”,
lasciò la
sala a
grandi falcate.
Claudia posò la forchetta e lanciò
un’occhiata
gelida verso il punto in cui era sparito il cugino, poi,
però,
si ricompose e disse, con enfasi: «Oh, spero di non averlo
offeso. Tra di noi c’è sempre stata una grande
confidenza,
siamo praticamente fratelli e non mi sono mai privata di fare
apprezzamenti sulla sua condotta. Mi ha sempre risposto con una qualche
battuta, perciò non pensavo potesse prendersela»
spiegò, mettendo una mano sotto al mento e poggiando appena
l’avambraccio contro il bordo del tavolo.
Subito, Olivier le accarezzò una guancia.
«Stai tranquilla, sono certo che c’è
sotto qualcosa
di più, perciò vado io a parlargli» la
rassicurò immediatamente il giovane francese.
La bionda volse lo sguardo in direzione del fidanzato e gli sorrise,
condiscendente. Il parigino ricambiò il sorriso, dandole un
piccolo bacio sulla guancia per confortarla. Poi, in seguito, si
alzò a sua volta e scambiò uno sguardo di intesa
con
Ralf, il quale annuì.
«Con permesso».
Tuttavia, Mary Anne non lasciò passare inosservato
l’accaduto e si affrettò a rimproverare Andrew.
«Certe volte hai proprio la sensibilità di un
haggin5!»
Lo scozzese, irritato dal rimprovero, si limitò bofonchiare
“Non sapevo
che fosse diventato così
permaloso”.
«Non era il solito Gianni, vero caro?»
domandò, allora, Christine, pacata.
Ralf poggiò la mano sinistra su quella destra della ragazza
e,
senza la benché minima ombra di turbamento, le disse:
«Vedrai che Olivier riuscirà a capire cosa
c’è che non va».
Gianni era riuscito a raggiungere il giardino dell’albergo in
un
batter d’occhio, scendendo gli scalini due a due, avvertendo
nel
suo animo il fortissimo impulso ad allontanarsi subito da quella sala.
Il vialetto che portava all’ingresso era deserto:
evidentemente,
tutti gli ospiti dovevano avere di meglio da fare che sostare in mezzo
alle piante grasse che ornavano le aiuole lì vicino.
Giunto a circa metà della stradina, però, si
fermò
bruscamente, piantò le mani sui fianchi, e
riversò il
capo all’indietro, sbuffando sonoramente.
«Non avrei potuto scegliere momento migliore, per perdermi
nei
miei dubbi esistenziali» commentò, sarcastico,
chiudendo
gli occhi.
Il bilancio della sua vita, infatti, gli si era brutalmente presentato
davanti, manifestandosi come una carrellata di immagini terribili a
partire dalla scena alla quale aveva assistito quando la ragazza aveva
preso in braccio il bambino.
Incredibile come un semplice gesto avesse avuto il potere di riportare
a galla il senso di inadeguatezza che avvertiva latente da tempo,
costringendolo a guardare in faccia la realtà: stava
sciupando
la sua esistenza, vivendo alla giornata, alle spalle dei suoi genitori,
senza fare alcunché per migliorare la situazione.
Perché,
non poteva essere come Ralf, Andrew oppure Olivier? Perché
suo
padre doveva sempre avere un valido pretesto per urlargli contro volta
che lo aveva sotto tiro?
Rimise dritta la testa e frugò nelle tasche, alla ricerca
del
pacchetto di sigarette, poi, una volta trovato, lo aprì e
scelse
uno dei tanti bastoncini di nicotina e tabacco contenuti
all’interno: aveva perso il conto di quante volte, si era
sentito
dire da Massimo quanto fosse “utile” fumare.
Ma a chi? A cosa?
“Lo fanno
tutti! Aiuta a rilassarsi”.
Tutti. La stessa cosa che dire nessuno.
Gianni, infatti, aveva sempre vissuto, ovattato nel suo bel mondo fatto
di agiatezze e ricchezze, all’insegna della consuetudine: si
dice
e si fa. Quando, invece, sarebbe arrivato il momento dell’io
dico
e io faccio?
Immerso nei propri pensieri, accese la sigaretta e aspirò
una
profonda boccata di fumo, sapendo perfettamente che si sarebbe limitato
a guardarla consumarsi da sola, bruciando lentamente, -
perché,
a dirla tutta, fumare non gli piaceva affatto -, esattamente come stava
facendo con la sua vita.
Subito, un sottile sbuffo grigio cominciò ad espandersi
nell’aria, senza svanire nell’immediato: era una
serata
tranquilla e non soffiava un alito di vento; così, il
ragazzo si
soffermò ad osservare la strana forma che stava assumendo la
coltre fumosa, simile a un drago…
Da piccolo, amava riconoscere le figure nelle nuvole, un gioco che
faceva sempre con il suo adorato nonno Giancarlo. Durante
l’estate, infatti, dopo pranzo, l’anziano uomo si
sedeva
con lui sotto i grandi pini del parco di Villa Aurelia, assaporando la
piacevole frescura generosamente offerta dalle maestose conifere,
mentre, tra le loro chiome, si intravedevano scorci di cielo azzurro e,
talvolta, anche qualche graziosa nuvoletta.
«Quella cosa ti sembra, Giannino?» chiedeva allora
l’uomo, sorridendo dolcemente.
«Quella? Assomiglia ad un grande mostro, come quello della
storia
che mi hai raccontato ieri sera!» rispondeva prontamente il
bambino, alzandosi in piedi e spalancando le braccia, per mimare le
dimensioni del malvagio essere immaginario.
«E questo mostro lo vogliamo lasciare libero?»
«No, dobbiamo sconfiggerlo! Dai, nonno, noi siamo gli eroi e
dobbiamo sconfiggere i cattivi!».
E così, iniziava puntualmente la fantasiosa lotta contro le
forze del male, un magnifico espediente che aveva il potere di
annullare la differenza di età che c’era tra i
due,
perché il nonno diventava un perfetto compagno di giochi, il
più fidato e il più affettuoso.
Quando si è nell’infanzia, però, si
pensa che le
cose belle non avranno mai fine e si vive alimentati da quelle fallaci
certezze, ma, prima o poi, anche le favole più sublimi (si
scontrano con la dura realtà, come imparò a sue
spese il
piccolo Giannino qualche tempo dopo.
Al bimbo, infatti, quell’estate sembrò subito
strana,
perché il nonno non usciva mai dalla sua stanza e i suoi
genitori gli avevano tassativamente vietato di disturbarlo, mentre la
nonna non faceva che piangere. E poi perché zio Tiberio
aveva
deciso di rimanere a Roma, invece di passare, come sempre, e i tre mesi
estivi in qualche isola della Polinesia? Che strazio, aveva pensato,
avrebbe dovuto anche sopportare quella rompiscatole di Claudia, notte e
giorno! Come gli mancavano, invece, le avventure che viveva con il
nonno…
Poi, una sera particolarmente agitata, Giannino, disubbidendo, era
riuscito a sgattaiolare nella stanza del signor Giancarlo, senza che
nessuno, compresa sua cugina, se ne accorgesse, e, una volta entrato,
aveva trovato l’uomo disteso sul letto, sostenuto da
un’altissima pila di cuscini, bianco come un cencio lavato e
con
le palpebre chiuse. Attento a non fare rumore, il bambino, allora,
aveva spinto uno sgabello imbottito accanto al capezzale e vi si era
arrampicato sopra. Ma, nel momento in cui aveva avvertito la sua
presenza, l’anziano signore aveva schiuso lentamente le
palpebre,
sorridendogli.
«Come stai, nonno?» gli aveva chiesto subito il
fanciullino, guardandolo con i suoi grandi occhi blu.
«Un po’ così. Questo stomaco non mi
dà pace, ma, che vuoi farci, ormai sono vecchio».
«Tu non sei vecchio, nonno!» aveva protestato il
nipotino,
per cui il compagno di giochi era poco più che un coetaneo.
«Lo sono, lo sono… Senti, Giannino, me la fai una
promessa?»
«Che cosa?»
«Mi prometti che continuerai a dare filo da torcere ai mostri
cattivi, anche quando non potrò più starti
vicino, nelle
tue imprese?»
«Certo, nonno. Ma perché non dovresti starmi
più vicino?» aveva domandato il biondino,
accigliato.
«Perché sarò, diciamo così,
impegnato da
un’altra parte. Mi raccomando, però, lascia che ti
aiuti
lo spirito del beyblade che ti ho regalato. Lo hai sempre con te,
vero?»
Giannino, allora, aveva preso Anfisbena dalla tasca e l’aveva
mostrato all’uomo, raggiante.
«Eccolo!» esclamò.
«Sei proprio un bravo bambino... Tratta bene lo spirito e
vedrai
che ti proteggerà!» aveva poi aggiunto
l’uomo,
flebilmente.
«Ma non posso venire con te, nonno? Ti
prego…»
«No, no. Meglio di no. Il tuo posto è qui.
Inoltre, se
saremo divisi, potremo sconfiggere più mostri,
giusto?»
«Ah, è vero! Non ci avevo pensato! Ma li
sconfiggeremo proprio tutti, tutti?»
«Tutti, tutti» aveva confermato il signor
Giancarlo, dando
un colpetto affettuoso sul nasino del nipote. «Ora,
però,
vai, bello di nonno, sono... stanco. Ho bisogno di riposare»
si
sforzò di concludere l’uomo, dando i primi segni
di
affanno.
Il bimbetto, a quel punto, era sceso dallo sgabello, di nuovo attento a
non fare rumore.
«Ah, Giannino?»
«Sì?»
«Di’ a Claudia, che voglio molto bene anche a lei e
cerca
di stare accanto a papà, quando sarò lontano,
d’accordo? Dovrai essere forte, anche per Marcello».
Ormai, la voce del nonno era ridotta ad un mero, impercettibile
sussurro.
«Io sono forte!» aveva replicato immediatamente il
bambino,
piegando un braccio per mettere in mostra i muscoli. «Ma
perché, non li saluterai tu?»
«Magari dopo... Comunque, ricordatene lo stesso, va bene?
Buonanotte, bello di nonno..» aveva sussurrato il signor
Giancarlo, sorridente.
Con un cenno della mano, il bambino aveva salutato il vecchio compagno
di giochi, avviandosi verso la porta.
Quello di quella sera, fu un vero e proprio incrocio di vie e di vite:
mentre Giannino usciva dalla stanza del nonno, l’uomo usciva
per
sempre dalla favola del nipote.
«Come mai sei scappato in quel modo?» chiese una
voce, facendo tornare bruscamente Gianni alla realtà.
Il ragazzo, allora, si voltò e vide che Olivier era riuscito
a
raggiungerlo, così si asciugò in fretta la
guancia
sinistra e gettò a terra la sigaretta consumata e la
sfregò con rabbia contro il lastricato del viale, con la
punta
della scarpa.
«Non mi andava più di mangiare, lo sai che il
pesce non mi
piace» rispose poi, con infantile semplicità.
In quel momento, sembrava essere tornato il piccolo Giannino che aveva
fatto quelle sue belle promesse al nonno e che l’adolescente
Gianni non aveva ottemperato.
Il parigino si accigliò per quella risposta, ma
continuò comunque a parlare.
«Ebbene, si può sapere, allora, che fine ha fatto
la tua proverbiale gioia di vivere?»
Il biondo, però, non rispose subito, prendendosi qualche
secondo
prima di aprire nuovamente la bocca: Olivier, infatti, era sempre
stato, tra i suoi compagni di squadra, quello che l’aveva
compreso meglio, anche se, ovviamente, non sempre si era mostrato
entusiasta delle sue scelte. Tuttavia, si era comportato lealmente in
ogni occasione, come un buon amico, pertanto, Gianni non aveva avuto
niente da ridire quando aveva manifestato un serio interesse verso sua
cugina.
Quella volta, però, la situazione era più
complicata,
perché il francese non avrebbe potuto capire fino in fondo
l’angoscia che lo attanagliava, giacché non gli
era mai
capitato, prima di allora, di non riuscire a ricacciare indietro gli
spettri che si portava dentro. I folli divertimenti che offriva la
Capitale erano così solo una scusa per non pensare al futuro
e
il ragazzo sperava costantemente che l’ebbrezza nella quale
cadeva ogni notte non svanisse il mattino successivo, come invece
purtroppo accadeva, costringendolo a fare i conti con i suoi timori. Si
era sempre sentito inferiore ai suoi amici, soprattutto da quando
avevano deciso di formare una squadra, poiché sia Ralf, che
Andrew, che lo stesso Olivier avevano dimostrato di avere
più
carattere, ultimando gli studi nel migliore dei modi e diventando, al
contrario suo, ciò che avevano sempre aspirato ad essere. La
differenza fra loro, però, si era delineata già
anni
addietro, in occasione del campionato europeo, nel corso del quale
l’italiano si era piazzato al terzo posto, assieme
all’amico francese. Eppure, quanto era stato effettivamente
un
terzo e non quarto posto?
La sensazione di incapacità di decidere chi essere nella
vita,
infatti, l’aveva sempre perseguitato e gli eventi sembravano
dar
ragione a questa convinzione: chi era davvero Gianni Tornatore? Quello
che lasciava trapelare di sé al mondo lo dipingeva come un
eterno insicuro, che non voleva assumersi le proprie
responsabilità, spaventato dal confronto con la
realtà.
Un ragazzo che aveva fatto della tracotanza e della spavalderia le sue
maschere predilette, indossate prima di svegliarsi e tolte dopo essersi
addormentato.
Aveva lasciato l’università quasi subito, senza
nemmeno
provare ad andare avanti, adagiandosi nell’autoconvinzione di
non
essere portato per gli studi di economia, nonostante suo padre, con i
suoi modi spicci, e sua madre, con i suoi affranti silenzi, avessero
tentato più volte di fargli capire quanto stesse sbagliando,
dicendogli in continuazione che ventitré anni non erano
troppi
per riprovare e che non era tardi per cambiare, anche se, per diventare
un vincente, avrebbe dovuto prima volerlo.
«Sono davvero una nullità»
bofonchiò, all’improvviso.
«Comment?»
chiese l’altro, sorpreso.
«Hai capito perfettamente, non me lo far ripetere, anche
perché so benissimo che è quello che pensate tu e
quegli
altri che sono rimasti di sopra».
«Ma non è così! Che sciocchezze vai
dicendo?»
replicò Olivier, negando energicamente con il capo.
«Sciocchezze? È la verità!»
insistette Gianni. «Anzi, è un problema, il
mio».
«A dire il vero, non credo che tu abbia chissà
quale
problema, sei solo un po’ troppo vivace e libertino. Blaise
Pascal diceva che la sfida più difficile per un uomo
è
stare da solo chiuso in una stanza» commentò il
francese,
ispirato, come se, nei suoi pensieri, avesse sempre accostato il biondo
italiano alla teoria del Divertissement6.
Gianni, in risposta, fece una smorfia di disappunto. Filosofia
francese? Proprio quello che ci mancava per concludere in bellezza un
serata andata da schifo! Ciononostante, per quanto gli dolesse
ammetterlo, era proprio come diceva l’amico.
«Basta con i giri di parole! Cosa ho che non va, o cosa mi
manca
per essere come voi? E non ti azzardare a tirare fuori un altro dei
tuoi compatrioti filosofi!» lo minacciò il biondo.
«Patience, mon
ami, patience, ecco cosa ti manca!»
fece il
parigino, alzando un indice. «Devi aspettare che si presenti
la
tua occasione e vedrai che tutto andrà a posto».
Gianni lo guardò, accigliato.
«La mia occasione? ’na
cosa da poco,
insomma!»
Olivier sorrise: quando l’italiano usava il dialetto, era
solo
per ironizzare sul tono di superiorità che trapelava dai
suoi
intercalari francofoni.
«Personalmente, credo che tu debba soltanto maturare un altro
po’, » concluse il ragazzo, senza abbandonare la
sua
sicurezza. «Tutto sta nel cominciare a fare meno il
farfallone!»
Di primo acchito, l’altro lo guardò, inespressivo,
poi,
però, si abbandonò ad una risata che,
però, aveva
dell’isterico: «Praticamente, mi stai dicendo di
ricostruirmi da capo».
«No, ti ho detto soltanto di cambiare certe tue abitudini
sbagliate».
Gianni si soffermò un attimo a riflettere su quelle parole:
il
suo vero problema risedeva nel fatto che non aveva mai provato ad
impegnarsi seriamente, affinché le cose prendessero una
piega
migliore, ma, forse, avrebbe dovuto finalmente prendere seriamente in
considerazione l’idea di rimettersi totalmente in discussione.
«Claudia è molto dispiaciuta per quello che ti ha
detto ed
anche Andrew sembra essersi pentito» commentò
l’altro. «Domani, cerca di parlare con loro,
d’accordo? Qualcosa mi dice che, per stasera, non avremo
più l’onore di averti tra noi, o
sbaglio?»
«In effetti, sono stanco, perciò penso che mi
ritirerò a vita privata» fece il giovane, piegando
alternativamente la testa da una parte e dall’altra con gli
occhi
chiusi. «Comunque va bene, farò finta di credere
al
pentimento di quei due e domattina parlerò con loro. La
convivenza sarà lunga».
L’amico sospirò.
«Credo che sia arrivato anche per me il momento di andare.
Bonne nuit»
lo salutò.
Gianni, però, si limitò a rispondere alzando
pigramente
il braccio sinistro in direzione dell’altro, per poi
lasciarlo
ricadere pesantemente lungo il fianco: aveva parecchi spunti sui quali
meditare, ma era consapevole che, prima o poi, quel momento sarebbe
dovuto arrivare, giacché non sarebbe potuto scappare per
sempre
dalle proprie responsabilità.
Così, Olivier era praticamente già nella hall,
quando gli sorse spontanea una domanda e si decise a richiamarlo.
«Aspetta un attimo!»
«Dimmi pure» acconsentì il francese,
voltandosi verso di lui.
Tuttavia, temporeggiò ancora per qualche secondo, prima di
parlare, giacché il pensiero che aveva avuto era stato
talmente
rapido che ancora non l’aveva tradotto in parole.
«Come hai fatto a capire che Claudia era quella
giusta?»
«Ad essere sincero» cominciò
l’interlocutore,
«è stato proprio quello il momento in cui non ho
capito
più nulla. Ricordi? Avevo appena vinto il titolo di Chef
dell’anno quando sei arrivato tu, accompagnato da tua cugina,
la
più giovane e bella sommelière
che avessi mai
conosciuto.
Da allora è stato tutto relativo: c’era solo la
mia
Claudine e
nient’altro».
Il biondo parve riflettere su quelle parole: aveva ben presente
l’episodio e convenne che non gli era mai capitato nulla del
genere, poiché, fino ad allora, aveva giudicato solo
l’aspetto esteriore di una ragazza, confrontandolo con i
propri
canoni. Inoltre, a ben pensarci, quelle che frequentava lo cercavano
solo per passare una serata o più in buona compagnia,
sperando
di rimediare anche qualche gradito regalo, senza però voler
andare oltre le apparenze e costruire qualcosa di più
duraturo.
Poco dopo, Olivier lo salutò nuovamente e sparì
oltre la
soglia dell’ingresso del Mediterrean Plaza, lasciandolo
assorto
nei propri pensieri, tutti concentrati sulla certezza che il cammino
che avrebbe dovuto intraprendere sarebbe stato lungo e periglioso.
Gianni fece, quindi, per rientrare a sua volta, quando notò
in
terra qualcosa che brillava.
Sentendo come un imperativo interiore che lo invitava a raccogliere il
misterioso oggetto, si chinò per recuperarlo e si rese conto
che
si trattava di un piccolo fermaglio dorato, di fattura molto pregiata,
curvilineo e sottilmente intrecciato, un oggetto particolare come non
ne se ne vedono spesso in giro. Senza stare a pensarci, allora, se lo
mise automaticamente in tasca.
“Domani lo porterò alla reception e se la vedranno
loro,
perché ora sono distrutto. E dire, che avevo pianificato un
così bel dopocena!” pensò, amareggiato,
dirigendosi
verso gli ascensori, mentre un sorriso amaro gli affiorava sulle labbra.
***
Il mattino seguente si ritrovarono tutti allo stesso tavolo per la
colazione.
«Buongiorno!» esordirono Ralf e Christine,
salutando Gianni.
«‘Giorno» rispose lui, con un sorriso di
cortesia
stampato sulla faccia, soddisfatto delle proprie capacità
recitative affinate nel tempo, tali da consentirgli di far credere agli
altri che tutto fosse tornato alla normalità, quando,
invece,
aveva dormito malissimo a causa della sua coscienza, che, a differenza
del solito, non si era lasciata mettere a tacere. Se fosse stato un
tipo leggermente più ansioso, non sarebbe riuscito a portare
avanti quella commedia nemmeno per un minuto, tuttavia, contava
comunque di liberarsi presto degli amici e della parente ed essere
finalmente lasciato in pace.
Claudia, nel frattempo, lo scrutava dall’altra parte del
tavolo, sventagliandosi con movimenti appena percepibili.
«Allora, cuginetta, non mi saluti, stamane?» le
disse,
tirato, consapevole del vero motivo per cui lei continuava a fare
allusioni sulle sue amanti: era gelosa di loro e non sopportava che lui
non la venerasse come avrebbe voluto.
La ragazza lo fissò per qualche secondo in silenzio, per poi
rivolgergli un sorriso che aveva un che di sinistro.
«Credevo non volessi parlarmi» fece, simulando
rammarico.
«Mi dispiace per ieri sera, ma sai che dico sempre quello che
penso».
«Tranquilla, ho già dimenticato tutto»
mentì
il giovane, deciso a tagliare corto e per nulla intenzionato a
rispondere alle provocazioni di Claudia.
Lei, allora, gli porse la mano da sopra il tavolo: «Facciamo
pace, dunque?»
Il giovane la osservò per qualche istante, prima di
prenderla
con estrema lentezza. A quel punto, la bionda sorrise, ma questa volta
trionfante ed Olivier la squadrò, increspando appena le
labbra e
sollevando un sopracciglio, contrariato, così Gianni
lasciò immediatamente la cugina.
«Credo possa bastare» commentò,
ritraendosi.
In quel momento, Mary Anne diede una gomitata ad Andrew, fissandolo in
modo eloquente.
«Ho capito! Un momento, eh…»
«Sbrigati!» lo incalzò, però,
lei, decisa.
Il ragazzo si schiarì ancora la voce per prendere tempo, ma
poi
disse, piano: «Gianni, be’, volevo dirti che,
sì,
insomma, forse ho esagerato ieri sera».
«McGregor che si scusa con me? Questo giorno dovrà
essere
ricordato negli annali!» fece il biondo, incrociando le
braccia
sul petto e rivolgendo all’amico un sorrisetto di scherno.
«Se le mie scuse non ti piacciono, posso sempre aggiungere
qualcos’altro di più consistente»
ringhiò
l’altro, minaccioso, mostrandogli il pugno.
«Andrew!» lo richiamò subito Mary Anne,
infastidita.
«Non ricordi il discorso che abbiamo fatto
sull’autocontrollo?»
«Oltre al danno, anche la beffa? Fantastico!»
sbuffò
lui, sarcastico, lanciando da una parte il tovagliolo, offeso a morte.
Gianni, allora, si ritrovò a sorridere, giacché
vedere lo
scozzese bacchettato dalla rispettiva fidanzata, di solito
così
brava a tenere a freno il suo temperamento aggressivo, era una delle
migliori soddisfazioni che potesse ricevere.
«Se avete finito con le scuse direi che possiamo
iniziare»
comandò Ralf, cominciando a servire Christine e richiamando
tutti all’ordine.
Nel corso del pantagruelico pasto, la comitiva ebbe anche modo di
parlare dei programmi per la giornata e l’avvocato si
lanciò in un appassionato elogio di Alessandria,
città
con una storia lunga e affascinante: fondata da Alessandro Magno e
portata all’apice da uno dei suoi generali,
all’indomani
della disgregazione del regno di Macedonia. Per secoli si era arrogata
la fama di capitale della cultura mediterranea, sorpassando, per molti
aspetti, anche la ormai vecchia Atene e, in virtù di tutto
questo, per lei meritava davvero di essere esplorata da cima a fondo.
«Potremmo cominciare con la nuova Bibliotheca!
Certo, non
sarà come quella che c’era secoli fa, ma credo che
una
visita sia d’obbligo! Non è vero,
Andrew?» propose,
alla fine del suo discorso la ragazza, quando ebbe ultimato il suo
discorso.
«Fa’ come vuoi» le rispose,
però, lui, atono.
In risposta, lei alzò gli occhi al cielo, cosciente che
cercare
di smussare le piccole scabrosità della
personalità del
suo fidanzato fosse una cosa e ottenere una levigatura perfetta
un’altra e, quindi, che l’unica soluzione possibile
fosse
cercare un compromesso.
«A mio parere, invece, sarebbe molto meglio vedere la Grande
Piazza o Piazza
Muhammad ‘Alī» si inserì
Claudia,
con tono saccente, non volendo mostrarsi inferiore
all’inglese.
«Per non parlare degli storici caffè o del
lungomare… Che cosa ne dici, Olivier?»
«È fattibile, ma
petite fleur» rispose
il francese.
«A me, al contrario, interesserebbe particolarmente visitare
le
catacombe di Kom
El-Shogafa oppure la colonna
di Pompeo. Ah, Claudia,
devi assolutamente dirmi dove hai trovato quelle piccole botteghe di
cui mi stavi raccontando ieri sera! Chissà che non trovi
qualcosa di interessante da mettere nel mio negozio… Mi ci
accompagnerai, non è vero, Ralf?» chiese subito
dopo
l’antiquaria, in tono supplice e con le mani giunte.
«Se è quello che desideri, Christine, non vedo
perché no» replicò il tedesco, con la
sua precipua
imperturbabilità.
«Visto che vi state dividendo in coppiette e che non ho
problemi
ad ammettere che non mi interessa niente di tutto questo, senza contare
che non voglio fare il terzo incomodo, vi annuncio che preferirei non
venire, se non vi dispiace».
L’attenzione dei ragazzi, allora, si spostò
immediatamente
su Gianni, il quale, però, ignorò tutte le
occhiate di
disapprovazione che gli indirizzarono - in primis quella di sua cugina,
che sembrava sul punto di esplodere -, consapevole che, molto
probabilmente, stavano pensando che volesse soltanto spassarsela con
qualche avvenente fanciulla. Sinceramente, non aveva voglia di spiegare
loro quanto bisogno avesse di stare da solo, anche perché, a
suo
parere, non era una faccenda che li riguardava.
A quel punto, Ralf si alzò, seguito immediatamente da
Christine.
«Se la cosa ti fa piacere, sei libero di fare quello che
ritieni
opportuno. Per gli altri, resta invariato l’orario di
ritrovo:
alle dieci meno un quarto nella hall».
«All right»
annuì Andrew.
«Très
bien» concordò Olivier.
Gianni, invece, si concesse di mostrare un mezzo sorriso al capitano
della squadra.
Quando tutti se ne furono andati, il giovane pensò bene di
fare
quattro passi, così da avere il tempo di raccogliere i
pensieri:
si era svegliato di pessimo umore e con uno strano e opprimente senso
di nausea, tanto che a colazione non era riuscito a mandar
giù
nemmeno un sorso d’acqua, perciò riteneva che
magari una
breve passeggiata sulla spiaggia di Alessandria, immerso in quel suo
clima che sapeva d’oriente, gli avrebbe giovato.
Uscendo dalla sala ristorante, si ritrovò nel doppio salone
dove
era ubicato anche il bar e, sulla destra, notò un enorme
specchio che rifletteva la sua immagine, così si
avvicinò
lentamente, per poi fermarsi proprio lì davanti a scrutare
il
proprio riflesso con aria critica e diffidente: non era certo un brutto
ragazzo, giacché il passare del tempo aveva fatto il suo
corso,
rendendolo nel fisico sempre più simile a suo padre fino a
renderli quasi indistinguibili, anche se, quando si osservava con vera
attenzione, sfortunatamente, veniva rovinato dalla sua indole
irrequieta ed esuberante.
Alzò il braccio per passarsi una mano tra i capelli,
così
da ravviare la frangia bionda e ribelle, ma all’ultimo
momento
esitò ed il gesto rimase compiuto a metà,
poiché,
dopo le ultime riflessioni, era davvero intenzionato a impegnarsi per
cambiare in meglio, smettendo di pensare unicamente a se stesso. Era
ancora impegnato a studiarsi e a cercare di riconoscersi in
ciò
che vedeva, quando si sentì prendere per ciascun polso.
«Gianni, che fine hai fatto ieri sera? Ti abbiamo aspettato a
lungo!».
Bahira e Ghada, comparse dal nulla, non avevano perso tempo e si era
avvinghiate a lui, che subito si voltò prima a destra e poi
a
sinistra, per scoprirsi, suo malgrado, circuito. Cosa fare? Cedere
all’invito, all’ennesima tentazione e comportarsi
come un
debole, oppure reagire?
Infatti, due personificazioni del suo vizio più grande, la
lussuria, lo stavano provocando, invitandolo a lasciare da parte i
buoni propositi, appena formulati, per gettarsi nuovamente
nell’abisso della perdizione. Tuttavia, non era molto
convinto
del fatto che concedersi un ultimo piacere sarebbe stata una scelta
saggia e quando avvertì quella strana sensazione di nausea
che
sentiva dentro farsi sempre più intensa, ebbe la nitida
consapevolezza che quella non fosse la strada giusta.
«Ecco, ragazze… vedete…»
cominciò,
certo che il destino lo avesse fatto trovare al momento sbagliato, nel
posto sbagliato. Eppure, proprio in quell’istante, accanto al
proprio riflesso nello specchio, scorse anche qualcos’altro:
seduta ad uno dei tavolini alle sue spalle, concentrata a fare
qualcosa, c’era, infatti, la ragazza della sera precedente.
Era
esattamente come l’aveva vista la prima volta, solo che, quel
giorno, portava una divisa bianca da barista e i capelli corvini erano
raccolti in una coda laterale.
«Scusate, ragazze, ho una cosa da fare» disse
Gianni,
bruscamente, divincolandosi dalla presa di entrambe e voltandosi
indietro.
«Ma Gianni…» cercò di
protestare una delle
due, ma senza successo: era troppo lontano, sia mentalmente che
fisicamente, perciò i lamenti delle massaggiatrici gli
giunsero
alle orecchie come suoni senza senso.
Tuttavia, si addentrò all’interno della stanza
avanzando
lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore
rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa.
L’interesse
che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto
nuovo e
sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo
animava
quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe
voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a
cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa
conto di
nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme
cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o
semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben
appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza,
si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione
praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più
sorprendente
per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che
teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi
trovò raffigurato, perché era l’ultima
cosa alla
quale avrebbe pensato.
«Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche
archetti,
alternati» disse, improvvisamente, rendendosi conto a
malapena di
aver parlato.
Interrotta bruscamente, la ragazza smise di disegnare, alzando la testa
e lui si ritrovò ad essere fissato da due occhi come non ne
aveva mai incontrati prima di allora, dello stesso colore delle viole
selvatiche che ornano i boschi a primavera.
«Come ha detto, prego?» esclamò,
sorpresa, non avendolo sentito arrivare.
«Quello è uno dei primi bozzetti della facciata
del Collegio di
Propaganda Fide di Borromini, vero?»
La sua interlocutrice lo fissò perplessa, tuttavia fece
cenno di
sì, anche se, probabilmente, non aveva la minima idea di
dove
volesse arrivare il ragazzo.
«E allora il prospetto che stai facendo è
parzialmente
incorretto: in alto, oltre ai timpani, devi disegnare anche degli
archetti. La versione definitiva, invece, è molto
più
semplice, perché non ci sono né gli uni,
né gli
altri» le spiegò, indicando il disegno con
l’indice.
Corrugando la fronte, l’altra estrasse un librone da una
borsa
che teneva sotto la sedia e prese a sfogliarlo finché non
arrivo
alla pagina cercata e non si mise a osservare a lungo in silenzio
l’immagine che vi era raffigurata, confrontandola con il
proprio
lavoro.
«Ha ragione! Eppure, credevo di averlo studiato a dovere...
Mi ha
evitato di farlo due volte, grazie!» fece lei, tornando a
guardare il giovane e inarcando le labbra in un leggero sorriso.
A questo punto, la salivazione di Gianni subì una nuova
battuta di arresto.
«Figurati, per così poco!»
stentò a dire,
ringraziando col pensiero sua madre e la sua passione per
l’arte,
che l’aveva indotta ad appendere, per tutta casa,
riproduzioni e
stampe dei grandi capolavori.
«Per me è molto. Grazie di nuovo,
signor…»
«Oh, sì, scusami, non mi sono presentato:
Giancarlo
Tornatore7, al tuo
servizio» rispose lui, facendo
un’elegante riverenza, stranamente senza sembrare ridicolo,
ma
poi si bloccò, rendendosi conto di averle rivelato il suo
nome
per intero, cosa che non faceva mai, considerandolo un oltraggio alla
memoria di suo nonno. «Ma puoi chiamarmi Gianni, come fanno
tutti. E non darmi del lei, non credo che ce ne sia bisogno»
si
affrettò ad aggiungere.
La ragazza corrugò lievemente la fronte.
«D’accordo, come vuoi, Giancarlo»
rispose, scandendo
bene l’ultima parola. «Sai, il tuo nome completo
è
così musicale… mi dai il permesso di chiamarti
così? Non capisco proprio perché tu debba
storpiarlo!»
«Se lo preferisci, non è un problema»
convenne il
ragazzo, annuendo. Non sapeva perché, ma non gli dispiaceva
che
lei lo chiamasse come solo pochi altri facevano. «E tu
sei..?»
«Ah, già, che sbadata. Io mi chiamo Aida,
piacere»
esclamò la giovane, sorridente, tendendogli una mano, ma lui
ricambiò la stretta in maniera rigida, gelato dalla strana
coincidenza: Aida,
come l’opera preferita da suo nonno.
«Porti il nome di una delle nostre più belle opere
liriche, lo sai?»
«Sì, la conosco» replicò lei,
in un italiano
fluente. «Quando vivevamo ad Harar, avevamo due vicini
italiani
che mi ripetevano continuamente: “Ti chiami come la
principessa
dell’opera verdiana”. Ma, in
verità, il mio
è un nome abbastanza comune da noi».
«Ah, ma parli anche l’italiano!» fece il
giovane, sempre più attonito.
La fanciulla, però, strinse le spalle.
«Non è nulla di straordinario, credimi. Maria e
Franco
sono stati due bravi insegnanti e ci hanno praticamente cresciuti
loro» spiegò. «E, comunque, ho ancora
qualche
problema con i plurali e i verbi» terminò,
arricciando il
naso.
Gianni, allora, si accomodò sulla sedia antistante alla
giovane,
osservandola in ogni suo particolare: era di una bellezza semplice, non
forzata o esasperata da strati e strati di trucco ma, nel modo di fare,
aveva un qualcosa di fuori dal comune, qualcosa di decisamente lontano
dagli atteggiamenti che avevano le ragazze che frequentava di solito, a
cominciare dal fatto che non rideva come un’oca giuliva per
ogni
minima cosa.
«I nostri vicini erano ex-coloni, provenienti da Livorno. Tu,
invece, da dove vieni?» chiese Aida, allora, con sincera
curiosità.
«Da Roma, niente di che».
«Niente di che?!» esclamò lei,
incredula. «Io
darei qualunque cosa per poterci venire anche solo una volta! Forse non
ti rendi conto della fortuna, che hai nell’abitare in una
città piena di ogni sorta di opere d’arte, che
puoi vedere
dal vivo ogni volta che vuoi!»
«Sembri molto più entusiasta di me»
mormorò lui, vagamente accigliato.
«Oh, sì! Amo la vostra arte e, quando posso,
scelgo sempre
di fare progetti sulle opere italiane» replicò la
giovane,
mostrando tutto il suo entusiasmo. «Tuttavia, sembra proprio
che
abbia bisogno di studiarle un po’ meglio per evitare
figuracce
come quella di poco fa, oltre a un voto basso
all’esame»
notò infine con una smorfia, alzandosi.
Il biondo la seguì con lo sguardo, sorpreso dal fatto che le
parole appena pronunciate da dalla ragazza gli avessero dato da
pensare, poiché vi aveva notato una sottile autoironia
associata
ad estrema concretezza. Decisamente, non era come quelle che era
abituato a frequentare, impossibilitate a formulare anche solo una
frase di senso compiuto, ad esclusione delle petulanti pressioni che
facevano per ricevere altri regali, vestiti o gioielli.
«Bene, scommetto che prenderesti volentieri un
caffè. Voi
italiani, senza un espresso, siete persi!»
commentò
allegra la fanciulla a quel punto.
Si dice. Si fa.
«Veramente, io non ne vado matto. Preferirei
qualcos’altro» cominciò lentamente
Gianni, ancora
impegnato nelle sue riflessioni.
«Allora, cosa posso offrirti?»
«Si potrebbe avere del latte al cioccolato con una spolverata
di
cannella?» chiese il ragazzo, sorridendo tra sé e
sé.
“Saranno diciassette anni che non ne bevo una
tazza” pensò.
«Volendo, si può tutto» rispose Aida,
per nulla stupita per quella particolare richiesta.
Io dico. Io faccio.
Inaspettatamente, la mattinata trascorse rapida e, tra i due ragazzi,
si instaurò presto un clima sereno e cordiale. Gianni venne
a
sapere che Aida era una studentessa di belle arti e questa gli
parlò dei suoi studi con molta passione, mentre lui la
ascoltava
attento, come dimostrarono gli interventi, incredibilmente pertinenti,
che fece sorprendendosi da solo per quell’insolito
avvenimento,
poiché non riusciva a ricordare di aver mai sostenuto una
conversazione tanto elevata con una ragazza.
Poi, all’improvviso, notò che la fanciulla portava
tra i
capelli un fermaglio uguale a quello che aveva trovato la sera
precedente, quindi si sporse oltre il tavolino e le girò
delicatamente il volto per vederlo meglio.
«Cosa c’è?» chiese lei, un
po’ sorpresa. «Ho forse qualcosa fuori
posto?»
«No, no...» rispose il ragazzo, mettendosi una mano
in
tasca e cacciandone fuori il fermaglio che aveva trovato e per
confrontarlo con quello posseduto dalla giovane.
«Mi sembra che questo sia tuo» disse, dopo essere
arrivato alla conclusione che fossero uguali.
Quando Aida lo vide, non riuscì a trattenere la sua
meraviglia:
«Non posso crederci! Dove l’hai trovato?»
«Nell’ingresso. Volevo portarlo alla reception, ma
penso che non ce ne sia più bisogno».
«Non immagini che gran favore mi hai fatto! Non voglio
nemmeno
pensare a cosa avrebbe detto Samir, se lo avesse saputo, dato che
è un regalo suo!» esclamò Aida,
prendendolo in
mano. «Sono sempre con la testa tra le nuvole, purtroppo. E,
a
volte, il lavoro in bassa stagione può essere peggiore che
in
alta».
Gianni sorrise e solo allora si rese conto di essere ancora a contatto
con il bel visetto della giovane, così bruscamente,
tirò
indietro la mano, mal dissimulando l’imbarazzo e convenendo
che
fosse un comportamento piuttosto anomalo per uno che, fino a meno di
ventiquattro ore prima, avrebbe cercato le peggiori scuse, anche solo
per sedersi accanto ad una bella presenza.
Tuttavia, non ci fu tempo per fare altre riflessioni,
poiché, di
punto in bianco, un ciclone irruento si buttò tra le braccia
di
Aida, interrompendo il momento: era il bambino del ristorante.
«Samir, che modi!» lo rimproverò subito
la ragazza.
«Ma io ti voglio bene, mi sei mancata a scuola»
replicò il bimbo.
«Come ogni giorno» notò lei, baciandolo
sulla testa.
Il giovane rimase toccato dalla tenerezza del momento e
osservò
meglio Samir, accorgendosi che somigliava davvero molto a sua madre.
«Chi è?» chiese il ragazzino, essendosi
accorto di Gianni.
«Lui è Giancarlo. È stato molto gentile
e mi ha
evitato un po’ di guai» rispose la giovane,
sorridendo
riconoscente al biondo.
«Io sono Samir» si presentò a sua volta
il bimbo, mostrando di essere beneducato.
«Molto piacere, Samir. Qua la mano!»
Il piccolo, allora, batté soddisfatto il palmo su quello che
gli era stato porto dal ragazzo.
«Tuo figlio ti assomiglia davvero tanto, ha il tuo stesso
sorriso» le disse.
A quelle parole, Aida rimase a fissare Gianni in cagnesco per alcuni
secondi, poi, però, scoppiò a ridere
fragorosamente.
«No, no... Samir non è mio figlio! Ha otto anni ed
io non l’ho avuto a tredici!»
Il giovane sbatté le palpebre, facendo rapidamente un paio
di
conti: aveva dato così per scontato che Samir fosse il figlio di Aida e del
concierge, vista la grande confidenza tra loro, che non aveva pensato
ad altre ipotesi.
«S-Samir... è... mio fratello!»
riuscì a dire
infine la ragazza tra una risata e l’altra, mentre si
asciugava
le lacrime.
«Sì, Dada è la mia sorellona, la
migliore di tutte!» confermò Samir, annuendo.
«M-Ma allora, ieri sera... il concierge...»
balbettò Gianni, sbigottito oltre ogni dire.
«Rami? È nostro fratello maggiore, lavora qui
abitualmente
e mi chiama per aiutarlo durante i mesi estivi e autunnali. E, quando
siamo entrambi occupati, ovviamente anche Samir si trasferisce qui» gli spiegò Aida, che si era finalmente
ricomposta.
«Mi dispiace, ho frainteso» si scusò
subito lui, in
difficoltà per essersi dimostrato poco sveglio e attento.
Chissà cosa avrebbe pensato Aida di lui dopo quella
figuraccia!
Tuttavia, ciò che lei disse poco dopo aveva qualcosa che lo
rassicurò.
«Fa niente, può capitare. In fondo, da noi non
è
così raro trovare ragazze della mia età sposate e
con
figli, anche se, magari, non di otto anni...»
considerò
lei, lasciandosi scappare l’ennesimo sorriso divertito.
Giancarlo Tornatore, a quel punto, trovò un significato a
due
parole fino ad allora conosciute solo per sentito dire: imbarazzo e
mortificazione. Infatti, abbassò subito lo sguardo,
avvertendo
che la maggior parte del sangue che circolava dentro di lui aveva
deciso di andare in vacanza sulle sue guance.
All’improvviso, Samir prese la sorella per una manica e le
chiese: «Dada, Dada, allora mi porti al parco?»
«Non posso, lo sai che devo lavorare» gli rispose,
però, lei, dispiaciuta, accarezzandogli la testa.
«Non è giusto, non hai mai tempo per
me!» strepitò il ragazzino.
«Samir, per favore, non fare i capricci, ormai sei
grande!» lo rimproverò Aida.
«Me l’avevi promesso! Avevi detto che mi avresti
portato al
parco, dove vanno tutti per allenarsi con i beyblade! Perché
io,
invece, non posso mai?» protestò a viva voce il
bambino,
con tono lamentoso.
Non appena udì quelle parole, Gianni si riprese
all’istante. Ma certo, il beyblade! Gli sembrava che fossero
passati secoli da quando aveva lanciato in campo Anfisbena per
l’ultima volta, in occasione degli ultimi campionati mondiali
ai
quali aveva partecipato tre anni prima.
«Quando l’avevamo deciso, non immaginavo che ci
sarebbe
stato tutto questo lavoro da sbrigare!» spiegò la
ragazza,
irremovibile, fissandolo con una punta di severità.
«Non è vero, lo fate apposta! Come quella volta
che Rami
aveva promesso di portarmi a vedere i Desert Blaze contro
i Wild Fang8
e non l’ha fatto» fece il bimbo, mettendo il
broncio.
«E se ci allenassimo insieme noi due? Sarò io il
tuo
sfidante» propose Gianni, con naturalezza, perché,
in quel
momento, passare del tempo in maniera costruttiva, giocando con quel
bambino, gli sembrò una buona idea
I due fratelli, allora, smisero di battibeccare e si voltarono subito
verso di lui, stupiti.
«Davvero?» gli chiese Samir, inarcando le
sopracciglia e
assumendo un’espressione buffissima. «Sei sicuro di
saper
giocare con i beyblade?»
«Ragazzino, tu non sai chi hai davanti! Io faccio parte dei
Majestics, la squadra che fino a tre anni fa rappresentava
l’Europa ai campionati mondiali!»
Il bambino rimase a fissare il giovane per qualche istante, per poi
strillare: «Allora avevo ragione a cercarvi, ieri
sera!»
Dopo quell’affermazione, al biondo cominciarono ad essere
sempre
più chiare le dinamiche della serata precedente: Samir,
chissà come, doveva aver saputo che i Majestics erano nei
paraggi, così si era messo a cercarli, essendo stato
richiamato
dai fratelli prima ancora di riuscire a iniziare la sua ricerca.
Poi, il piccolo cacciò fuori un album molto ben tenuto dallo
zaino, aprendolo ad una pagina ben precisa.
«In queste foto sembri molto più brutto e
vecchio» notò, semplicemente.
Aida aprì la bocca e, scandalizzata dalla schiettezza del
fratello, lo riprese: «Samir, che maniere!»
Successivamente, si rivolse direttamente al giovane, in evidente
imbarazzo: «Ti prego di scusarlo».
«Figurati» la rassicurò lui, per nulla
offeso,
alzando la mano. In effetti, ciò che aveva detto il bambino
era
la verità, poiché era lui il primo a sostenere,
con assai
poca modestia, che le foto dell’albo non gli rendessero
giustizia; senza contare che le parole di Samir, confrontate a quello
che usciva dalla bocca di McGregor, erano davvero complimenti.
«Devi essere davvero forte, visto che hai sconfitto il nostro
ex-campione Kairone del Team delle Tenebre. Adesso andiamo,
però?» chiese Samir, guardandolo con i suoi
occhioni e
attaccandosi alla mano del ragazzo.
Gianni si ritrovò a sorridere, avvertendo, nel frattempo,
che la
nausea era definitivamente sparita. Così, si
abbassò
all’altezza del bambino e, ammiccandogli, disse:
«Prima di
tutto dobbiamo chiedere il permesso a tua sorella!»
Poi, alzò la testa verso di lei, chiedendole:
«Dunque, possiamo, gentile Aida?»
A quel punto, entrambi la guardarono supplichevoli, a mani giunte, e la
ragazza si puntò i pugni chiusi sui fianchi, scrutandoli tra
il
severo ed il divertito: nonostante avesse appena conosciuto quel
giovane così particolare, non pensava che ci fosse niente di
male a permettergli di giocare con suo fratello che, tra
l’altro,
sembrava trovarlo simpatico. Inoltre, non si sarebbero allontanati dai
giardini dell’albergo, pertanto avrebbe potuto benissimo
andare,
di tanto in tanto, a controllarli, sia di persona, sia attraverso la
vetrata del bar, dalla quale si godeva di un’ottima visuale
su
tutto il parco.
«Filate via, ma voglio che Samir passi a prendere il pranzo
in
cucina e che per le cinque siate di ritorno, intesi?»
concesse
loro, alla fine.
«Sissignora!» esclamarono il ragazzo ed il bambino,
mettendosi scherzosamente sull’attenti. «Ed ora, si
va!»
In men che non si dica, i due sparirono oltre la porta.
***
Gli
eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia,
per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti
è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project.
Tutto il resto appartiene a me.
- New Edit -
Aggiunto nuovo banner, la grafica del titolo è opera mia.
L’ispirazione per questa storia è giunta in
seguito a
svariate vicende, ma è stata la lettura di un racconto di Melitot
Proud Eye che mi ha spinta maggiormente a dare
forma a tutte le mie idee.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Jetsz:
ora;
2. forza sei:
grado della
scala di Beaufort, che si basa sulla misura empirica
dell’intensità del vento, basandosi a sua volta
sullo
stato del mare; corrisponde ad un vento abbastanza sostenuto (con
velocità tra i 40 e 50 km/h) e ad onde alte fino a 4 m.
3. der Teufels Advokaten:
l’avvocato del Diavolo (derivata dall’espressione
latina Advocatus diaboli);
4. junker:
antico membro dell’aristocrazia terriera tedesca;
5. haggin:
tipico piatto scozzese a base di frattaglie di pecora;
6. Divertissement:
punto della
filosofia pascaliana, secondo il quale l’uomo cercherebbe il
divertimento (nell’accezione di
“deviazione”) per
estraniarsi da sé;
7. Giancarlo Tornatore:
come
avrete avuto modo di notare, tutti i nomi sono presi dalla versione
originale (giapponese); solo Andrew non è diventato Johnny,
perchè mi sembrava meno scozzese. Per chi non lo sapesse,
St.
Andrew è il patrono della Scozia;
8. Desert Blaze... Wild
Fang:
rispettivamente, la squadra araba e quella africana
(nell’adattamento italiano tradotte come Bagliore del Deserto
e
Zanna Selvaggia) nella serie Beyblade Metal Masters [al momento della
pubblicazione di questa storia (Aprile 2011) la serie era ancora
inedita in Italia, quindi ho conservato i nomi della versione
originale-giapponese].
***
Quando
ho iniziato tutto questo, non sapevo dove sarei arrivata. Così,
poiché il progetto si è espanso a macchia
d’olio,
ho deciso di uniformare questa storia a tutte
le altre che ne sono seguite.
I vecchi lettori, se ripasseranno da queste parti, troveranno un testo
un po’ diverso, corretto e totalmente riscritto in alcuni punti,
mentre i nuovi arrivati leggeranno direttamente la versione 2.0
(l’unica cosa rimasta uguale alla stesura precedente è la
spaventosa
lunghezza dei capitoli).
Halley S.C.
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