Harry era stato convocato per le nove e trenta del mattino.
Come capo degli Auror sapeva esattamente cosa era successo, ma
continuava a chiedersi il motivo di quella missiva ricevuta via gufo il
giorno precedente.
Alzò gli occhi al cielo, quel palazzo era, se possibile,
più enorme di quello che ricordava; si chiese quanto tempo
fosse passato dall’ultima volta, forse otto anni o poco
più.
Si era smaterializzato fuori dall’ingresso principale e
quindi cominciò a percorrere il viale di tigli che portava
al portone rimuginando tra se e se.
C’era qualcosa di diverso, forse sarebbe stato impercettibile
per chiunque altro ma tutto in quel posto era diverso, sapeva di lei.
Arrivato davanti all’ingesso si guardò intorno,
cercando un modo per manifestare la sua presenza, quando un maggiordomo
anchilosato ma dall’aria serena aprì i battenti
senza che lui avesse dovuto bussare. Sorrise pensando a quale bislacco
metodo poteva aver ideato la padrona di casa per avvertire
dell’intrusione da parte di un ospite inatteso
l’intera servitù. Troppo meschino come
comportamento, forse era stato il padrone, a inventarselo, quel ingegno.
A volte ci prendiamo cura delle più piccole premure e poi
sottovalutiamo le cose più inaspettate, del resto era
esattamente quello che era capitato alla famiglia Malfoy
pensò sentendo a malapena le parole del maggiordomo e
seguendolo lungo la scalinata principale dopo essere stato accolto
cordialmente.
Il solo pensiero di famiglia collegato a loro smise di dargli fastidio
nell’esatto momento in cui varcò il salone
principale. Lei era li. Era in tutto quello che lo circondava.
Seguì il maggiordomo per un lungo corridoio,poi lo vide
fermarsi davanti all’ultima porta della fila bussare due
volte e poi spostarsi lateralmente per lasciarlo passare. Una voce lo
distolse dai suoi pensieri riportandolo alla realtà.
“Ah, signor Potter, è lei! la stavo
aspettando!”
La sua mascella probabilmente era schioccata alla sola vista di
quell’ometto buffo, sicuramente babbano, che si stava
presentando come il legale dei coniugi Malfoy. Poteva essere vero?
Poteva una persona riuscire a cambiarne un altra così
radicalmente?
Il buffo ometto si avvicinò sorridente, allungando una mano
verso di lui, poi gli mostrò una sedia invitandolo ad
accomodarsi.
Tutto era caldo e accogliente in quella stanza: le librerie a parete,
stracolme di libri, lo scrittoio leggermente in disordine,
l’album da disegno lasciato in un angolo sul pavimento con
una scatola di matite sparse per il pavimento..
Quella era assolutamente una casa, una casa vera, fatta di persone vere
a cui lui non aveva voluto credere in tutti quegli anni. E adesso
quella verità gli veniva sbattuta in dritta in faccia in
ogni sua sfaccettatura.
“Signor Potter mi sta ascoltando?”
“Si mi scusi.” Harry si avvicinò con la
sedia accavallando le gambe e prestando finalmente attenzione.
“..dicevo, l’ho fatta venire qui per spontanea
volontà dei coniugi Malfoy, come sa, sono il loro legale da
parecchio tempo e abbiamo preso degli accordi per situazioni di questo
genere.”
Hermione pensava sempre a tutto, non sarebbe stata lei altrimenti.
“Non lo metto indubbio, ma mi chiedevo come la cosa potesse
riguardarmi, oltre ovviamente alle ricerche che il mio reparto sta
effettuando..”
“Beh vede, i coniugi Malfoy, o meglio Lady Malfoy ha lasciato
questa per lei, in caso la sua condizione fosse divenuta.. possiamo
definirla precaria?”
L’avvocato si tamponò la fronte con un fazzoletto
poi afferrò una busta, adagiata sullo scrittoio allungandola
nella sua direzione. Non poteva accettarlo, non voleva. Come poteva lei
aver pensato a lui in un momento del genere? Per tutti i Maghi, non si
parlavano da dieci anni, non si parlavano da..
Non fece in tempo a formulare quel pensiero, i suoi occhi, essendosi
alzato di scatto per evitare di afferrare quella busta e da tutto il
peso delle sue colpe, si concentrarono sul giardino.
Smise di respirare.
Due bambini si inseguivano felici nel prato fiorito, due bambini
bellissimi.
Appoggiò il palmo della mano al vetro tiepido, lievemente
scaldato dal sole primaverile che invadeva quella casa.
Forse anche le pareti erano diventate calde. Forse era stata lei a
scaldare tutto.
Per la prima volta dopo otto anni ammise a se stesso che poteva aver
fatto un errore. Per la prima volta, dopo aver visto quei due bambini
biondissimi e ricciuti abbracciarsi nel prato felici ammise che
Hermione le era mancata.
“Signor Potter, la prego.”
Si voltò lentamente, come se non volesse abbandonare quel
piccolo siparietto di pace a cui aveva appena assistito.
“E’ necessario che lei legga la lettera, queste
sono le esplicite richieste di Lady Malfoy!”
Afferrò la busta questa volta, facendo scorrere lievemente
le dita sul sigillo posto a chiusura, fermandosi solo un momento per
osservare quello stemma inciso nella ceralacca che sigillava la carta
delicata. Poi con uno strappo netto l’aprì.
Il suo profumo lo pervase, quanto le era mancata.
“Harry, mi
dispiace doverti scrivere queste poche righe veloci dopo le tante
parole che invece volevo dirti ma non ci siamo detti, ma la situazione
è più grave di quello che pensavo.
qualcuno ci da la
caccia, o per lo meno la sta dando a Draco, e temo per la nostra
incolumità.
Harry, ti prego, in nome
di quanto mi è più caro, di superare la tua
rabbia, di superare tutto il rancore e di pensare a quanto ti voglio
bene. Te ne ho sempre voluto, te ne vorrò sempre.
Sei come un fratello,
sei stato la mia famiglia fino a quando non hai voluto farne
più parte, ma per me non è cambiato niente. Per
questo ti chiedo di pensare a loro, è la mia famiglia. Sono
tutto. So che capirai.
ti voglio bene
Hermione.”
Lanciò un’altra occhiata fuori dal vetro. Poi si
rivolse all’avvocato, in piedi accanto ad un alta finestra
intento a scrutare l’orizzonte, probabilmente per lasciargli
la privacy che si concerne in quelle occasioni.
“Loro lo sanno?”
“Non gli è stato ancora detto niente, ma spesso i
loro genitori viaggiano per lavoro, probabilmente non hanno notato
stranezze”
Annuì impercettibilmente. “Penso che
dovrò essere io a farlo.”
L’avvocato rispose a sua volta con un cenno affermativo.
Dopo essersi congedato, ripercorse il corridoio, questa volta da solo.
Si soffermò solo un momento al termine delle scale, davanti
al salone principale. Sulla parete più lontana, sopra un
camino scoppiettante, faceva bella mostra di se un ritratto di
famiglia.
Sorrise pensando a quanto Hermione doveva essersi lamentata di
quell’usanza arcaica delle famiglie magiche. Avrebbe voluto
sentire quelle lamentele.
Notando che nessuno gli veniva incontro decise di trovare da solo la
strada per il giardino interno, fu più semplice di quello
che pensava, la vetrata del salone dava direttamente
sull’estero.
Sentì degli schiamazzi e si avvicinò al rumore,
dietro una siepe trovò immediatamente quello che stava
cercando.
“Io lo so chi sei tu” il bambino, con uno sguardo
austero gli si era avvicinando, osservandolo dall’alto verso
il basso nonostante fosse decisamente alto come un soldo di cacio. Si
avvicinò alla sorella afferrandole una mano, protettivo, poi
affermò dopo un ulteriore analisi e un cenno affermativo del
capo “tu devi essere Harry Potter!”
La bambina improvvisamente s’illuminò e lasciando
la manina del fratello gli corse incontro per controllare che fosse
veramente lui.Gli fece segno con l’indice della mano di
abbassarsi, come se volesse che si avvicinasse ulteriormente per
controllare la sua autenticità.
Era sconvolto. Quel sorriso.. Se il bambino lo aveva appena squadrato
come l’allora Draco Malfoy su quella famosa scalinata durante
quel primo incontro ad Hogwarts, adesso era la bambina a stupirlo.
L’esatta copia di Hermione, il suo stesso sorriso.
Posò un ginocchio per terra, come attratto, arrivando alla
sua altezza, e le sue manine avvolsero il suo viso
scrutandolo ancora più da vicino.
“Non ci sono dubbi, tu sei lo zio Harry!”
“Violet, non chiamarlo così, lo sai che
papà si arrabbia ogni volta!” Il bambino con le
braccia incrociate restava immobile e manteneva le distanze. Lei si
voltò inondandolo con il profumo di quei riccioli ribelli,
così simili ma così diversi da quelli di sua
madre.
“Fa silenzio Severus, sai benissimo che è la mamma
ad avere ragione, ogni volta!”
Era un dèjà vu. non c’erano dubbi. Se
avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto pensare di essere tornato
bambino. Quelle voci, quel modo di litigare, una giornata qualsiasi in
un corridoio di Hogwarts.
“Lo scusi tanto, mia madre dice sempre che dobbiamo lavorarci
su, sui suoi metodi d’approccio, in ogni caso faccio le
presentazioni, io sono Violet e quello e mio fratello Severus..
piuttosto, cosa ci fai qui, signor Potter?” La bambina si
voltò nuovamente, i suoi profondi occhi castani lo
scrutarono pieni di curiosità, poi la sua espressione
mutò improvvisamente, piena di preoccupazione.
“Oh ma perché stai piangendo zio Harry? Scusaci,
mio fratello non voleva essere scortese, è che quando non ci
sono i nostri genitori è convinto di essere il padrone di
casa e di doversi comportare da scorbutico, come dice sempre la
mamma”
“Visto Violet, ha ragione papà, è il
signor Potter quello scorbutico! Solo gli scorbutici frignano per
niente!” affermò con convinzione.
Il sopracciglio leggermente sollevato del bambino lo fece sorridere,e
Violet perplessa inclinò la testa con un improvvisa
decisione.
“Zio Harry, temo tu abbia bisogno di una cioccolata
calda.”
“Temo anche io, Violet.”
Lo afferrò per la mano, trascinandolo verso
l’ingresso principale, Severus li seguiva a passo lento a
pochi metri di distanza, curioso di sentire cosa si stessero dicendo ma
non volendo apparire troppo interessato.
Doveva occuparsene, doveva farlo per Hermione.
Lo avrebbe fatto per lei, solo per lei.
E li avrebbe ritrovati, per vedere coi i suoi occhi quella famiglia a
cui non aveva mai voluto credere.
parti pomeridiani cervelloticamente sconclusionati, come al solito del
resto.
miky è tutta per te, adoratrice di momenti gne gne che
continuo a non comprendere.
basta che non mi chiedi di J&N non ce la posso fare ( e poi lo
sai che non vado oltre le 30 parole scarse!)
^__^
|