Prologo
La
città di Midgard era in fiamme. Nel cielo rosso del tramonto
si
stagliavano a centinaia le scie delle meteore che cadevano dal cielo,
ogni loro impatto creava un boato assordante. Urla aghiaccianti si
levavano dalla folla presa dal panico totale. Vie di fuga non ce
n'erano, l'unica salvezza era usufruire delle aereonavi il
più in
fretta possibile.
"Presto
da questa parte!!" Una donna dai lunghi capelli neri tentava di
incanalare quante più persone poteva verso l'entrata di un
grande
mezzo di trasporto. Ma il fagotto che stringeva fra le braccia le
rendeva difficile il compito. Un uomo sui 35 anni, biondo e
dall'aspetto alto e robusto, si affacciò da un
oblò attirando
l'attenzione della donna
"Tifa!
L'aereonave è arrivata al massimo del carico! Non
decollerà mai se
facciamo salire altra gente!!" le urlò. Gli occhi della
ragazza
si rivolsero disperatamente verso i volti sconvolti di chi, in cuor
suo, sapeva non avrebbe più rivisto la luce di un nuovo
giorno.
Lacrime amare iniziarono a scendere copiose. Per quanto l'impotenza
di fronte alla tragedia imminente le dilaniava il cuore, distolse con
enorme sforzo lo sguardo e corse velocemente all'interno della nave,
pregando che i suoi piedi continuassero ad avanzare senza mai
voltarsi indietro. La porta automatica si chiuse dietro di lei con un
breve sibilo. Percorrendo il lungo corridoio che conduceva alla
cabina di pilotaggio, sentì le urla farsi più
acute. Si rifiutò di
ascoltarle. L'uomo che fino a poco fa si sbracciava dal finestrino,
si era già proiettato sul posto di guida. Con
velocità e destrezza
incredibili azionò diverse leve e pulsanti e l'aereonave
prese vita.
Il rombo del motore crebbe d'intensità: era pronta. Il
capitano
impugnò i comandi come pistole pronte a sparare. La nave si
sollevò
da terra e appena prese sufficiente quota, tirò a
sè violentemente
la cloche sfrecciando nel cielo. Con il fragore delle esplosioni che
si allontanava sempre più, Tifa ed il capitano Cid Highwind
sfrecciarono a velocità massima verso il cielo, portando con
sè
quante più vite erano stati in grado di salvare. Finalmente
fuori
pericolo, non c'era un attimo in cui, con la mente, non si giravano a
guardare la città ormai perduta, con la cocente sensazione
di non
aver fatto abbastanza per la loro gente. Mille angosce che potevano
trovare sfogo solo in pesanti sospiri.
L'aereonave
volava già da diverse ore attraverso un cielo notturno che
si
rifletteva su un mare sconosciuto. La guida del macchinario era
stata affidata al copilota Stilzkin, mentre Cid si riposava sulla
branda in fondo alla cabina. Tutti i passeggeri avevano seguito lo
stesso esempio, dormendo profondamente sui loro posti. Amici,
fratelli, genitori, fidanzati...coloro che avevano perso la vita
riapparivano nei loro sogni, illudendosi di stringere ancora le loro
mani. Tifa osservava la distesa d'acqua vibrare sotto una pallida
luna piena. Non poteva dormire. I suoi pensieri le rubavano il sonno
ed erano fastidiosi come i capelli che le finivano sul viso. Il
fagotto, che non aveva fatto altro che dimenarsi e strillare per
tutto il tempo, smise di piangere. Con delicatezza spostò la
copertina che aveva coperto il morbido visino del piccolo. Nonostante
tutto, non potè fare a meno di guardarlo con dolcezza. Si
chinò un
poco fino a sfiorargli la fronte con le labbra. Per un'istante si
distrasse pensando ad un nome da dargli, ma venne presto interrotta
da un piccolo esserino, molto simile ad un lanoso leprotto, che
levitava grazie ad un paio di aluccie violastre.
"Signorina
Lockheart mogu, il capitano Cid mi ha chiesto di riferirle che
atterreremo a breve mogu" Tifa sorrise al piccolo moguri,
affaticata dal lungo viaggio e sotto il peso dei terribili eventi che
in quel giorno le avevano segnato l'esistenza.
Come
predetto da Stilzkin, l'aereonave approdò poco dopo su
un'isola
distante svariate centinaia di chilometri dal continente. Poco alla
volta, ogni passeggero si ridestò dal proprio dormiveglia
sbarcando
dall'aereonave. Gli arti ancora intorpiditi, e le menti lasciate a
Midgard assieme ai loro cuori. Tifa fu l'ultima a scendere. L'aria
fresca della notte la carezzava delicatamente, facendole credere di
essere stata immersa nelle fiamme fino ad un attimo prima. Quasi non
osservava il paesaggio circostante da quanto le pesava la stanchezza.
Si tolse d'istinto le scarpe, sperando forse che la sabbia soffice in
cui sprofondavano i piedi nudi le donasse un pò di sollievo.
L'isola era tutt'altro che disabitata e gli abitanti, avvertiti in
precedenza del loro arrivo dal signor Highwind con un mayday,
prestavano soccorso ai poveri sventurati come vittime di un
naufragio. Ci furono molte parole di ringraziamento anche se Tifa non
partecipò. Restava sulla riva fissando l'oceano con ancora
in
braccio il pargoletto.
"Tifa
io vado, ho finito qui" Disse Cid"Stanno già sistemando la
maggior parte dei nostri nelle case-rifugio in attesa di avere una
casa propria, faresti meglio ad andare anche tu, non hai una bella
cera" l'uomo si era avvicinato senza che lei se ne accorgesse,
presa com'era dal suono creato dalla risacca delle onde.
"Cid..com'è
potuto capitare tutto questo..?" sentiva le lacrime salire per
l'ennesmia volta. Cid sbuffò.
"Quel
che è stato è stato. E' stupido pensare che la
vita sia quella cosa
che ci capita mentre noi siamo indaffarati a realizzare altri
progetti....piuttosto, che hai intenzione di fare?"indicò il
neonato con un cenno del capo.
La
giovane si concentrò nuovamente sul bambino assumendo
un'espressione
completamente diversa, come se quella piccola presenza fosse apparsa
solo ora.
"Ne
abbiamo parlato già troppe volte..e comunque ora non abbiamo
molte
opzioni. Lo terrò con me, non me la sento di abbandonarlo..e
qui
chiudiamo il discorso" nelle sue ultime parole, Tifa fu incisiva
ed irremovibile. Il capitano alzò gli occhi al cielo,
grattandosi
nervosamente il capo. C'erano molte cose per cui non avrebbe
assolutamente lasciato che la discussione si chiudesse in questo
modo. Ma in quel momento lasciò perdere.
"Vabbè..senti,
gli darai pure un nome a questo demonietto?" il tono della sua
voce era decisamente più sarcastico che non affetuoso,
tuttavia la
ragazza sorvolò e iniziò a pensarci sopra.
Il
piccolo dormiva profondamente, inconsapevole del suo futuro, se ne
avesse avuto uno, inconsapevole di ciò che era successo e
del peso
immane che aleggiava sul nome che l'avrebbe segnato per il resto
della sua vita. Un riflesso involontario lo costrinse a voltare
lievemente la testa, giusto quel poco per fare in modo che un piccolo
ciuffo di capelli argentei facesse capolino dal fagotto.
"Lo
chiamerò come lui...avrà il suo stesso nome..."
Cid
si incupì udendo quel nome. Il nome più
terrificante per qualsiasi
orecchio umano e non che abitasse sulla terra. Ma pronunciato da lei,
lei che in fondo era riuscita a comprenderlo e perdonarlo poco prima
che l'ultimo bagliore di vita svanisse dalle sue iridi verde acqua,
aveva lo stesso dolce suono delle onde dell'oceano.
"Sephiroth"
17
anni dopo.
Destiny
Islands. Un arcipelago di pace e tranquillità, dove i raggi
di un
sole eternamente estivo illuminano il tuo viso e la brezza marina ti
sfiora i capelli. Il verso dei gabbiani annuncerà il tuo
mattino e
il fragore delle onde è la musica più sublime che
ascolterai. L’arrivo del popolo continentale, i reduci di
Midgard, non avevano
urtato quell’equilibrio perfetto di armonia fra uomo e
natura.
Tutti si erano adattati a questa nuova vita e, dopo diciassette
lunghi anni, ognuno aveva ricostruito qualcosa sopra le ceneri del
proprio passato. Era il seguito della loro tragica storia, il nuovo
capitolo che aspettavano da molto. Ma ciò che era il
paradiso per
alcuni, era l’inferno per altri. L’aumento
demografico fu notevole, e questo significava nuove
abitazioni, edifici, la vita non era poi cosi serena come appariva.
Movimento, folla, rumore.
-Sparite
dalla mia vista, mi bloccate la visuale- un ragazzo sui diciassette
urtò un passante fra i tanti ammassati nella piazza. Non si
voltò,
non chiese scusa. Mille voci si mischiavano fra loro, i venditori
urlavano i loro slogan pubblicitari, alcune ragazze ridevano
scioccamente fra loro, le scarpe dei passanti colpivano i ciottoli
della strada, un padre chiamava sonoramente suo figlio.
-Basta,
state zitti!! Finitela di parlare!!- il giovane si faceva largo tra i
pedoni, gli occhi bassi, scuro in volto.
-Fuori
dai piedi, tutti quanti!!!- nella sua fantasia avrebbe voluto essere
invisibile, in totale solitudine. Almeno cosi nessuno si sarebbe
più
girato a guardare quei suoi bizzarri capelli argentati, quasi fosse
un mostro ripugnante.
-Ho
già le mie idee ed i miei valori...perciò, tutto
ciò di cui ho
bisogno sono solo io - riuscì finalmente ad uscire da quella
fiumana umana. Comunque non sarebbe servito, dovunque andasse era
incatenato a quel posto. Senza via d’uscita.
-Io
non sopporto le persone…..non ne ho mai avuto
bisogno… e mai ne
avrò-
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