Autore:
Any Ikisy
Personaggi principali: Kaworu Nagisa, Shinji Ikari
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico, Slice of
Life
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yaoi, AU, Lime
Citazione Baricco: “Stava
lì, come
una candela accesa in un granaio che brucia.” [12]
Introduzione: Nonostante sembri impossibile, la
solitudine permette di distinguere il silenzio da una pesante assenza
di suono;
i battiti di un solo cuore non sono sufficienti a scandire il tempo.
Note dell'autore (non obbligatoria): Questa è il seguito di Sottile
scambio
di Favori, a chiunque possa
interessare; sarebbe meglio leggerle entrambe, potendo: aiuterebbe la
comprensione.
COME
la PRIMA VOLTA
Lungo
le strade del centro, affollate da mendicanti
disillusi e uomini incravattati, si percepiva distintamente
l’aroma dolciastro
tipico delle pasticcerie, trasportato da una brezza prettamente
autunnale che
accompagnava le foglie accartocciate prima che giungessero il suolo.
Il
profumo di cannella e vaniglia si mescolava ai passi
frettolosi e disordinati, ai respiri che si tramutavano in condensa e
parole
non appena esordivano dalle labbra dei passanti; la temperatura rigida
giustificava i loro cappotti pesanti o i guanti attorno ai cellulari
che
tenevano tra le mani infreddolite.
Fermo
di fronte ad un semaforo pedonale spento, Kaworu notò
come si affollasse la fermata dell’autobus, nonostante
fossero le sette di
sera: in molti, senza distinzione d’età,
s’affaccendavano per salire a bordo del
veicolo. Alcuni indifferenti, altri incuriositi da ciò che
rimaneva alle loro
spalle, fuori dal finestrino e ormai parte del passato.
Qualche
tempo addietro, Kaworu avrebbe sicuramente trovato suggestivo
un simile scenario; probabilmente non si sarebbe disturbato ad
attraversare le
strisce bianche che lo separavano dall’altro lato della
strada –in cui avevano
da poco smesso di sfrecciare motori di grossa cilindrata. Ma le sue
scarpe da
ginnastica bianche mossero comunque i primi passi lungo un tracciato
che
riconobbe familiare.
Avere
una meta era totalmente differente dal passeggio fine
a se stesso, come semplice passatempo; non rimpiangeva il tempo libero
che
trascorreva con Shinji, tuttavia riconosceva una certa nostalgia in
momenti
come quello.
Affondò
le mani nelle tasche, tentando di ripararle dal
freddo che iniziava a pizzicargli la pelle; intercettò
alcuni dei sguardi
confusi che gli vennero rivolti lungo la via, senza realmente
interessarsene. In
breve tempo giunse a destinazione, ma non entrò subito: si
soffermò sulla
soglia, di fronte alla porta d’ingresso, e
avvicinò il proprio viso al vetro
trasparente di cui era maggiormente composta.
Riconobbe
il proprio respiro caldo condensarsi di fronte ai
suoi occhi e appannargli la vista, mentre osservava assorto il commesso
che
sistemava alcuni scatoloni dietro al bancone, immemore
dell’interesse che gli
rivolgeva.
Aveva
una postura malferma e un equilibrio alquanto precario,
ma riconobbe un’invidiabile naturalezza nei suoi movimenti;
si spostava senza
fretta fra le mura e gli scaffali dell’angusto negozio di
dischi.
Stava
lì, come una candela accesa in un granaio che brucia,
mentre fuori la gente rincasava e il sole tramontava; tutto ruotava
attorno a
lui senza che vi prestasse alcuna attenzione, assorto nei propri
pensieri –immerso
nella sua stessa oscurità, tingeva di luce intorno a
sé col fioco bagliore
della propria, piccola fiamma; un calore unico e indipendente.
«Il
più fragile e delicato…» e, forse
proprio per questo, il
più amabile e ricercato.
Diede
una lieve spinta alla porta, affinché il campanello
posto all’entrata non suonasse troppo bruscamente, muovendo i
primi passi
all’interno; l’orario di chiusura era da poco
passata ed ebbe l’impressione che
Shinji fosse sul punto di farglielo notare, prima di alzare gli occhi
sfuggenti
su di lui ed arrossire lievemente –in imbarazzo, presuppose.
Assistette
alla nascita in un sorriso genuino sulle sue
labbra e se ne prese orgogliosamente il merito. Si domandò
quanto tempo aveva
impiegato, nella speranza di suscitare quella spontanea reazione ad
ogni loro
incontro; quanto, prima di tramutare una maschera di cortesia da
rivolgere a
chiunque in un piccolo frammento di gioia da serbare solo a lui?
«Ciao!
Sei in anticipo!»
«Solo
un po’… avevo voglia di vederti.»
Posò
indolentemente una mano sul tavolo, percorrendolo
pigramente finché l’intero braccio non fu steso
sul mobile; il freddo della
superficie subito ricordò alla sua pelle esposta cosa
significasse non
indossare un cappotto nella stagione autunnale; un brivido lo scosse,
cogliendolo di sorpresa.
«Dov’è
la tua giacca?»
«Non
l’ho portata con me.»
«Cosa?
Non dirmi che sei venuto sin qui senza!»
«Prestamene
una, se ti rassicura. –sorrise, noncurante– Come
hai passato la giornata?»
«Niente
di particolare… ho appena finito; dammi un minuto.»
«D’accordo.»
Aggiustò
i capelli, scombinati poco prima dal vento, prima
di seguire con gli occhi la figura di Shinji allontanarsi;
inevitabilmente il
suo sguardo scivolò lungo la sua spina dorsale, delineando i
glutei dell’altro
in modo piuttosto dettagliato, compiaciuto –durò
poco, ma si concesse questo
piccolo lusso.
Shinji
era cambiato dalla prima volta che lo aveva
incontrato: aveva da tempo arginato la timidezza in qualche angolo
recondito
della sua mente, lontana da lui. Un po’ quasi ne aveva
nostalgia.
«Ah!
Prima che mi dimentichi…» udì uno
sbuffo, smorzato dalle parole che seguitarono.
«Toji mi ha chiesto di farti ascoltare una canzone.»
Vagamente
sorpreso, Kaworu si chiese da quando Suzuhara s’interessasse
della sua opinione
musicale; vide tra le mani di Ikari una custodia vuota, sulla cui
copertina era
riportata una raffigurazione tetra dalle tinte violacee, in netto
contrasto col
bianco delle lettere gotiche usate per il nome del gruppo.
In
un primo momento, riconobbe diffondersi nell’aria il
suono armonioso di un pianoforte, ma ben presto una chitarra elettrica
lo coprì
prepotentemente, impetuosamente; dei colpi energici di batteria
accompagnarono la
melodia che ne risultava, rendendola incalzante e quasi angosciante.
Ciò
che però lo colse alla sprovvista fu la voce del
cantante, che giunse dopo una ventina scarsa di secondi:
sbatté le palpebre un
paio di volte quando esordì, grave e fervente, dalle casse
poste poco sopra le
sue spalle.
Shinji
studiava il suo volto con discrezione mentre il
diaframma del cantante si contorceva e graffiava la gola con
insistenza;
immaginò l’ossigeno che veniva a mancare dai suoi
polmoni, la vibrazione che gli
scuoteva le membra…
Keep
this on your mind!
Keep it within your eyelids!
We have ascended countless stairs!
Perhaps it has interrupted our thoug–
Kaworu
non mancò di notare che, poco prima di piegarsi in avanti e
fermare
repentinamente la musica con un clic
della tastiera, Shinji aveva torturato nervosamente il proprio labbro
inferiore.
«Si
chiedeva se ti piacesse l’Hardcore e mi ha dato questo CD da
farti ascoltare,
ma non penso sia una buona idea andare avanti.»
Poté
immaginare il diverbio che sarebbe nato quasi certamente in breve
tempo, Shinji
pareva aver frainteso le intenzioni di Toji, sempre che non fosse lui a
sbagliare; «Gliel’avevo detto che non era il caso,
però ha insistito e…»
D’altro
canto, rimase meravigliato dal modo in cui Suzuhara mostrava
propensione nel
creare un legame con lui, nonostante una certa gelosia; Shinji aveva
davvero
dei buoni amici, anche se non sembrava esserne cosciente.
«Mi
piace.»
«Non
gli darò– cosa?»
«Ho
detto, mi piac–»
«Sì,
ho capito questo ma… che intendi?»
Inarcò
le labbra, affascinato dall’espressione disorientata sul suo
volto.
Vi
lesse
tuttavia una forte diffidenza, oltre che rammarico.
«Trovo
sia un genere poco apprezzato, ma non per questo meno raffinato.
Immagino siano
necessari anni di pratica per raggiungere una tale padronanza del
suono.»
«Ma…
sai scherzando?»
«Affatto.
Non è il tipo di musica che ascolto ma, senza togliergli
niente, lo trovo comunque
una forma d’arte canora singolare.»
«Sei
serio? Voglio dire, non si capisce–»
Non
resistette oltre alle labbra frenetiche di Shinji e si
allungò verso il bancone
per baciarlo, ma non gli lasciò il tempo per domandarsi se
lo avesse fatto per
metterlo a tacere o meno.
«Shinji,
non dovevamo uscire?»
«…
Giusto!
Arrivo subito!»
Regret
is an inception,
regret is a beginning…
Miles and miles of wires build the apparatus,
but don’t mistake power lines for shelter!
Non
era un caso che Shinji lavorasse come commesso in quel
negozio di dischi, dato che la sua tutrice legale ne era la
proprietaria;
entrambi vivevano per altro nell’appartamento al piano
immediatamente superiore,
per comodità.
Probabilmente
la signorina Misato aveva adibito il locale in
dislivello appositamente perché Shinji vi trascorresse in
maniera costruttiva
gran parte dei pomeriggi lavorando e, al contempo, si creasse
un’esperienza utile
per il futuro, visto che non ve n’era alcuna esigenza
economica. Aveva discorso
a lungo con Katsuragi, in proposito, deducendo che la mancanza di
attenzioni
che la donna poteva dedicare al ragazzo sotto la sua custodia
costituisse
un’ulteriore motivazione.
Non
le nascondeva il proprio desiderio di farsi assumere a
sua volta, per restare più a lungo al fianco di Shinji e
sostenerlo, in caso di
necessità.
Sul
retro del locale era stata edificata una scala antincendio per
agevolare il
passaggio da un piano all’altro; un lampione lì
vicino definiva le loro ombre
unite, mentre salivano gli scalini metallici con calma. La porta di
legno
consunta di fronte a loro stonava col design sofisticato ed essenziale
del
corrimano della ringhiera laterale, ma nessuno dei due vi fece
particolarmente
caso –avvezzi ormai all’ossimoro.
L’attenzione
di Kaworu venne colta, per lo più, dalle mani di Shinji, che
rovistavano
all’interno delle tasche alla ricerca delle chiavi per aprire
la porta –solitamente
non le teneva altrove, ma pareva piuttosto evidente che non ricordasse
precisamente dove le avesse messe.
Non
riusciva a scorgere il suo volto, ma probabilmente era contratto in una
smorfia
di disappunto che, col trascorrere dei minuti, sarebbe andato
accentuandosi;
aveva un viso molto espressivo, peccato non sorridesse poi molto spesso
ultimamente.
Non
si chiese come mai Shinji
sembrasse aver dimenticato quale chiave aprisse il proprio
appartamento, quando
poi tenne il mazzo in mano: preferì studiare i giochi di
luce che risultavano
sulle sue spalle e sui pantaloni, poco sotto la cintura; spostando il
peso da
un piede all’altro, le pieghe scorrevano lungo la stoffa in
modo curioso,
attirando la sua totale attenzione –un invito al tatto che
rifiutava con
riluttanza.
Però
ammise che sarebbe stato interessante costringere Shinji a godere
sull’entrata
di casa, a dispetto dei passanti disinteressanti che percorrevano la
strada
dietro le loro spalle.
Le
ombre sulla giacca variavano in base all’angolatura della
luce e seguivano i movimenti meccanici delle braccia –ancora
non aveva trovato
le chiavi.
Allungò
una mano, anticipando la sua espressione combattuta
tra il piacere ed il terrore di veder comparire Misato sulla soglia a
momenti
–quando scattò la serratura.
«Entriamo?»
A
dispetto dei propositi di pochi attimi prima, lo seguì
sommessamente all’interno –si vide costretto a
posticipare le proprie
intenzioni, magari conservarle per un’occasione migliore.
Nell’appartamento
l’aria era pesante ma, se avessero provato
ad aprire la finestra per farla cambiare, sarebbe entrato solo un vento
freddo
e il gas di scarico delle macchine che sfrecciavano ad alta
velocità poco
distante; il ronzio continuo della lampada a risparmio energetico si
propagò
lungo il corridoio, mentre la luce artificiale ne scaldava gradualmente
le
pareti ingiallite.
Per
il resto, le stanze erano immerse in un religioso
silenzio; Shinji stesso pareva trasudarne, di fatti la sua camera era
senz’altro la più spoglia ed impersonale,
nonostante Misato praticamente non
abitasse lì e non avesse modo di sistemare
l’arredamento di proprio gusto.
Kaworu
non disprezzava il silenzio, se non gravava in quel modo sulle spalle.
«Suoneresti
il violoncello per me, Shinji?»
Si
accostò ad una sedia, allo stesso tempo, offrendola come
sostegno durante l’uso dello strumento; colse lo stupore sul
suo volto, la
tacita replica giunse poi quando annuì nonostante non ne
capisse l’esigenza
–come avrebbe potuto, in ogni caso? Era lui stesso
l’ignaro artefice di un tale
mortorio.
Lisciò
le striature del legno con il dorso della mano mentre
attendeva che Shinji tornasse, poi lo aiutò ad estrarre il
violoncello dalla
custodia e a sistemarlo tra le gambe; stette in piedi, di fronte a lui,
con le
mani in tasca, e chiuse gli occhi, attendendo che il silenzio si
disperdesse.
La
scelta del brano ricadde casualmente su un testo di
esercitazione piuttosto consueto; Shinji si limitò ad
eseguirlo facendo
scorrere l’archetto lungo le quattro corde e modulando il
suono greve con tocco
fermo e delicato delle dita.
Era
la stessa disinvoltura a rendere il brano ineccepibile;
Ikari non suonava per chi diceva che il suo fosse un talento da
incentivare: lo
faceva perché rendeva tutto più semplice e
sopportabile, di modo da recuperare calma
e serenità nei momenti in cui normalmente
l’avrebbe persa.
Shinji
si rilassava, suonando, almeno quanto passeggiare
rasserenava Kaworu.
«Sai…»
Fermò
le sue note.
«Trovo
che l’aria si sia fatta più respirabile. Il
silenzio non è più solo assenza di
suono, quanto invece diletto nella contemplazione reciproca.»
«Non…
credo di seguirti.»
«Sono
troppo assorto dalla tua presenza per concentrarmi su ciò
che ci circonda.»
I
forgot and it will
more than likely happen again.
Drink and binge the waters of the sea.
Keep this on your mind,
keep it within your eyelids…
Quando
riuscì a stendere Shinji sul morbido letto in camera con
ancora le scarpe addosso, non pensò a spegnere
l’interruttore appena in parte
all’entrata. Poteva avvertire il respiro greve di Ikari che
s’infrangeva contro
il proprio collo, le sue mani tra i capelli, la sua pelle contro la
propria;
desiderò solamente per un attimo di non aver bisogno di una
cintura, nel
momento in cui si accorse quanto fosse complicato dover togliere la
propria e
quella dell’altro ragazzo quanto più velocemente
possibile, specialmente se le
mani continuavano a tremare in quel modo. E Shinji non era
d’aiuto.
Tentò
di sedersi sul suo busto e bloccargli i polsi per
impedire che ostacolasse i suoi intenti con quelle mani oziose, ma
finì per
gettarsi sulle sue labbra ed iniziare a strusciarsi contro il suo corpo
senza
pensare ad altro che alla frizione creata dai loro pantaloni
–delizioso,
stuzzicante contatto che non faceva altro che incrementare la loro
necessità,
seppur donando loro in parte sollievo.
Frappose
una mano tra i loro corpi accaldati, portandola sul
cavallo dei pantaloni perché li sbottonasse e vi entrasse;
si stupì della
tensione che percepì tra le dita una volta che ci
riuscì.
Si
sollevò appena per guardare il viso sconvolto dal piacere
di Shinji non appena iniziò a pompare lentamente; sempre
più velocemente,
gradualmente, insistentemente.
«Kaworu–»
invocava il suo nome come se ne dipendesse il suo
amplesso, rendendo semplici, tacite preghiere come nettare per le sue
orecchie
fameliche, senza tuttavia saziarle mai: avrebbe continuato ad
ascoltarlo ancora
ed ancora, fin quando la sua esasperazione non fosse giunta al culmine.
Il
braccio ormai gli doleva, se doveva essere sincero, ma
Kaworu convenne che avrebbe sopportato il fastidio fintanto fosse stato
necessario per assistere a quel espressione stravolta, godendo al solo
pensiero
di esserne la causa. Non credeva di avere un tale ascendente
–forse si sarebbe
comportato allo stesso modo se Shinji avesse provato a farlo godere in
quel
modo.
Un
leggero tremore dato dall’eccitazione scuoteva il bacino
del ragazzo e donava un colorito più rosato alla sua pelle,
segno che il sangue
stava affiorando in superficie –un meccanismo di dispersione
del calore
interno.
Pausò
il bacio, raccogliendo la saliva che rimase in sospeso
tra le loro bocche, prima di slittare a sua volta in sostituzione della
mano;
Shinji protestò e si lamentò appena, visto che
aveva smesso di pompare, ma
annaspò vistosamente quando le sue labbra sostituirono le
dita che circondavano
il suo membro. Ormai disfatti, i capelli chiari ondeggiarono assieme
alle
spinte che involontariamente Shinji assestava per andare incontro al
calore di
quella lingua umida, mentre Kaworu accarezzava col proprio respiro
caldo i peli
serici che ricoprivano il suo pube.
Avrebbe
voluto non percepire la stessa necessità
attanagliare il proprio basso ventre, da cui giungevano dolorose fitte
per
l’insoddisfazione, ma dovette toccarsi con la mano libera per
lenire almeno in
parte l’eccitazione provocata dai gemiti incontrollati del
ragazzo; sostenne lo
sguardo finché non si concentrò a raccogliere con
la lingua gli umori biancastri
fuoriusciti dalla fessura posta all’apice, sorprendendosi
dell’odore che gli
pervase le narici.
Distingueva
ancora perfettamente la sua essenza.
Una
scia di saliva mista a sperma scivolò dalle sue labbra,
mentre la schiena inarcata del suo amante si rilassava contro le
lenzuola
sfatte.
Si
sollevò, incespicando sui propri passi, e tornò
ai suoi
occhi offuscati dal piacere.
Presupponendo
avesse la gola secca, si arrischiò a baciarlo
per risolvere il problema.
«Ti
è
piaciuto?»
«È
stato… imbarazzante…»
«Come
la prima volta.»
Aveva
riempito la stanza spoglia e vuota coi loro respiri
affannati.
Sentì
il sangue scorrere nelle vene, misto a irreprensibile
felicità e profonda soddisfazione; prima che Kaworu ne fosse
vagamente
cosciente, aveva trasformato la loro relazione in
un’esigenza. Il bisogno di
restare al fianco l’uno dell’altro,
incondizionatamente e reciprocamente.
Esitò
con gli avambracci distesi, leccò lascivamente il
collo di Shinji per imprimervi poi un segno rosso che testimoniasse il
passaggio della sua bocca e ne decretasse la proprietà. Poi
ripeté il gesto,
poco sotto all’orecchio, dando al ragazzo una motivazione per
indossare una
sciarpa il giorno seguente.
Kaworu
riscoprì il desiderio di porre presto fine alle
aspettative del proprio corpo, con un certo fastidio, così
lo costrinse a
spogliarsi totalmente continuando ad affondare la lingua nella sua
bocca.
Shinji
non opponeva più alcuna resistenza, semplicemente
lasciava che le sue mani ricercassero i capezzoli del ragazzo che lo
sovrastava
–aveva preso l’abitudine di disturbare almeno in
parte l’operato di chi
mostrava piacere nel creargli fastidi per il gusto di farlo.
Dimostrava
in parte che Kaworu faceva il primo passo, il
secondo, ma già al terzo erano in due a camminare lungo lo
stesso tracciato,
seguendo la stessa meta.
Mentre
gli sbottonava la camicia, avvertì la passione
ardente sprigionata dalle sue carni e, istintivamente, si chiese se la
sua
fiamma sarebbe mai stata alla sua altezza.
Dubitò
per un secondo che fosse stato un caso il loro incontro,
contrariamente alle apparenze, perché mai prima di allora
aveva creduto di
poter entrare in armonia con qualcuno come lui.
«Chissà,
può darsi che io sia nato proprio per incontrarti ¹.»
Don’t
climb for a lifetime only to fall short of infinity;
everything
is left.
With faith, some minds are sand
but
I prefer concrete.
A ben vedersi,
Kaworu doveva ringraziare Shinji per
avergli mostrato la
distinzione tra grida ed urla; per quanto la grammatica li indicasse
sinonimi,
non avrebbe mai paragonato i gemiti voluttuosi di estasi al ringhio
graffiante
e mordace proveniente dalle casse acustiche poste ai quattro angoli del
negozio
di dischi.
Si
chiese quale sarebbe stata la reazione di Misato, entrando nel locale
in quel
momento.
«Puoi
passarmi il nastro adesivo?»
Distogliendo
l’attenzione dallo ‘Scream’
–così si
chiamava il presunto tipo di canto
per cui aveva riscoperto una forte antipatia– tentando di
celare il proprio
distacco, fece come gli era stato chiesto.
La
mattina stessa Shinji aveva mostrato di non essere in condizione di
occuparsi
del negozio, per via di alcuni dolori lombari riscontrati in seguito
alla
serata con Nagisa –la sciarpa attorno al suo collo faceva
pensare ad un mal di
gola, comunque.
«Grazie
per l’aiuto…»
«Figurati,
non mi è di alcun disturbo. Mi fa piacere
aiutarti.»
Svolse
uno scatolone e ne ripose il contenuto nella sezione di musica
straniera,
seguendo le direttive di Shinji, il quale restava in piedi dietro il
bancone
cercando di compiere solo i movimenti strettamente indispensabili.
«…
comunque non ci credo, che ti piace l’Hardcore.»
Soggiunse
Ikari, riportandolo rudemente al discorso del giorno prima;
sogghignò poco
dopo, pronto a puntualizzare riguardo alla pertinenza
dell’affermazione, ma non
ne ebbe il tempo, visto che la porta del locale si aprì,
percuotendo il
campanello che vi era posto sopra con una certa
tempestività, ed entrarono
Suzuhara ed Aida.
Aggiustò
i pantaloni e la maglietta, riportandosi velocemente in posizione
eretta per
andare loro incontro, supponendo che fosse stato Shinji a chiamarli per
trasformare il loro casuale
incontro
nella presentazione ufficiale che attendeva trepidante ormai da tempo.
¹ citazione di Kaworu, puntata
ventiquattro.
Si
ringraziano _ALE2_
per il banner meraviglioso di testata; LoLLy_DeAdGirL
e Tifa_Lockheart90
per i gioiellini in fondo.
Gimme Half
© The Devil wears Prada
Credo
che l’unica ragione valida per cui la storia sia
arrivata prima -ehi, ma quando è successo?- sia da imputare
all’inesperienza
della giudice; non è un’offesa o altro…
semplicemente non me ne capacito, dev’esserci
qualche errore. Se davvero le è piaciuta così
tanto, comunque, non le
dispiacerà se gliela dedico;
Grazie per aver premiato
la
storia non una, ma due volte.
Potrà non
sembrare molto, ma lo
scritto è dedicato a te!
Spero riuscirai ad
apprezzare
nuovamente il genere, in futuro…
per Shige
Ciò
non toglie che sia felice di questo posto. Non sento mi
appartenga, ma non ho mai rotolato tanto dalla gioia; è
gratificante, una
sensazione che non penso proverò ancora, ma
ricorderò ogni volta che mi sentirò
chiedere ‘Perché perdi
tempo dietro a quel
sito?’
Non
smetterò di provarci, comunque.
Any
Ikisy ♥
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