Author's notes: A
dover essere sincera, non avevo alcuna intenzione di scrivere un
secondo capitolo. Nessuna intenzione volontaria di
mettermi volontariamente
a scriverlo. Eppure, stavo guardando il video di Jesus of
Suburbia per l'infinitesima volta, un po' per un senso di nostalgia
improvviso che m'era venuto.. E ho cominciato a scrivere.
E' più lontano dallo stile di Holden, me ne rendo conto.. Ma
lo stile di Salinger sarebbe stato poco adatto a questa circostanza.
E' breve, è uno sfogo, ma ha un suo perché. Se mi
andrà, quando mi andrà, ogni tanto
posterò qualche capitolo.. Ma non sarà mai una
storia unitaria, mai una trama che si svolgerà. Non per ora,
almeno.
PS: Non intendo offendere nessuno con l'uso improprio di nomi o
riferimenti religiosi. Fate un po' come vi pare.
Titolo: Save your own god.
Soundtrack: Jesus of Suburbia,
Green Day
It was that kind of a
crazy afternoon, terrifically cold, and no sun out or anything,
and you felt like you were disappearing every time you crossed a
road.
~J.D. Salinger, The Catcher in the Rye
Il Cristo perduto, strappato via a quella divinità suo
padre, votato all’odio e figlio dell’amore, dove i
miei genitori però non si sono mai veramente amati.
Forse
è del mio sangue che devo lasciare qualche traccia in questo
lurido mondo, forse è me che vogliono, vedere la mia anima
sfracassata sul ciglio della strada come fosse poesia per gli
analfabeti.
Vostro martire,
per una causa in cui neanche credo.
Un mondo in cui
mi lascio marcire tra cocci, stracci, braccia, mille volti che tanto
non rivedrò mai, cento parole che non mi dicono nulla,
troppi suoni che non sono che assenza di silenzio, troppi dolori che
sono gli unici a risvegliarti il corpo.
Un coccio dopo
l’altro, mi rispecchio in questo bicchiere caduto.. No,
aspetta. Non caduto. Gettato contro quel muro, quello della sua stanza.
E ora delira.
Ora urla, piange, singhiozza, ride.
Come quel matto che sta al parco centrale, solo che quello quando gli
è passata la sbronza potrebbe star meglio, se non fosse che
non si da neanche il tempo di diventare sobrio.
Un coccio dopo
l’altro, sento le mani scricchiolare tra i vetri.
Forse è così che si è sentita tutta
quella gente lapidata, crocifissa, bruciata viva. O tutti e tre insieme.
No, forse no.
Loro almeno non si dovevano preoccupare di raccogliere i pezzi di loro
stessi, dopo, quando avevano finito di morire.
Che importa, io
sono già morto, ma la faticata non me la toglie nessuno.
Chi sono io?
Chi mi ha crocifisso a questa città, a questa vita?
Chi mi ha appeso al collo il giogo di una vita di nulla?
Eccola, la mia
vita.
La mia fottutissima vita è come un bicchiere, come i cocci
rotti di un bicchiere.
Ti rendi conto
di vivere solo quando uno di quei maledettissimi cocci ti lacera la
mano; solo quando soffri, vivi, solo quando ritrovi quei cocci sparsi
allora vivi.
Quando ne trovi uno sotto al tavolo, uno quasi invisibile, uno di
quelli che ti si conficca nell’indice e non lo riesci a
togliere, e stai per il resto della tua vita con questo affare che ti
punge e ti graffia. Oppure ci sono i cocci grossi, quelli che ti
tagliano proprio la mano. Ma quelli sono talmente grossi che li vedi..
Eppure non li eviti. Non li puoi evitare. Come la morte. Mica la puoi
evitare, quella.
Eppure, sta
sotto al naso di tutti.
Grande, grossa,
sta sempre là. Siamo stati messi al mondo mortali, no?
Eppure ce ne freghiamo.
C’è
un coccio sotto alla sedia. Chissà se quello mi
farà finalmente mandare a fanculo tutto e scapparmene via.
Prima,
però, mi toccherà ripulire questo casino di vita.
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