1- Das Auge- L'occhio
Rating: arancione
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, one-shot
Das Auge- L'occhio
"Hai dei begli occhi... occhi forti, che sembrano capaci di raggiungere distanze infinite."
(Scar, episodio 14)
Le giornate erano ancora fredde, ma i più attenti potevano
riuscire a percepire, annusando bene l'aria ghiacciata, un primo
sentore di primavera.
Ed era proprio quello che andava cercando una ragazzina sugli undici
anni dai capelli biondi e gli occhi scuri e sottili, camminando
allegramente per le vie di Berlino assieme ad una sua amica. Era un
pomeriggio d'aprile, quel giorno a scuola non avevano assegnato molti
compiti e lei era certa di aver sentito un inconfondibile profumo di
lillà passando accanto al giardino di una villa elegante.
Non stavano passeggiando nel quartiere in un cui abitavano, ma la
ragazzina bionda vi veniva spesso, a trovare uno zio che non era suo
zio, e lo conosceva bene. Sapeva anche che, girato l'angolo, avrebbero
trovato un meraviglioso negozietto di caramelle che poteva benissimo
essere paragonato alla casa di marzapane della strega di Hänsel e
Gretel, e non vedeva l'ora di entrarvi. Aveva conservato qualcosa della
sua ultima mancia, e pregustava già il sapore della liquirizia e
delle caramelle al latte che entro breve avrebbe custodito gelosamente
in un sacchetto di carta. Aveva anche in mente di fare un salto da suo
zio e offrirgliene un po'- ma non le caramelle al latte, quelle gli
davano il voltastomaco.
Avevano appena girato l'angolo che la sua amica Esther si bloccò
di botto sul marciapiede, tirandola per la manica del cappotto.
- Alba, ma sei impazzita? Lì non ci possiamo mica entrare! -.
La ragazzina bionda- che rispondeva per l'appunto al nome di Alba- si
trattenne a stento dallo sbuffare. Esther era la migliore amica che si
potesse trovare- i segreti che le venivano confidati li teneva per
sé ed era sempre disponibile nel momento del bisogno- ma in
quanto a fegato lasciava parecchio a desiderare.
- Andiamo, qui mica ci conoscono! Non corriamo alcun rischio! -.
- E se invece incontriamo qualcuno del nostro quartiere? E se il
padrone del negozio si insospettisce e ci chiede qualcosa? - la
incalzò Esther, che non era assolutamente in grado di mentire.
Stavolta Alba sospirò pesantemente, cercando in fretta una
soluzione che le permettesse di entrare nel negozio e allo stesso tempo
tranquillizzare l'amica.
- Senti, facciamo così – propose, rassicurante – Nel
negozio ci entro solo io: tu mi dai i tuoi soldi e mi dici cosa vuoi,
d'accordo? Non serve che siamo in due, per comprare qualcosa -.
- Ma... non possiamo! E se... -.
- Andiamo, non è mica la prima volta che lo faccio! E poi se
compriamo il negoziante ci guadagna soltanto; credi che gli importi
qualcos’altro? -.
- Però... - Esther fece un ultimo, debole tentativo, ma quando
Alba allungò una mano si decise a darle le monete che aveva con
sé e mormorò: - Del marzapane e qualche caramella alla
fragola -.
Alba annuì, le disse di aspettarla lì e attraversò
la strada, dirigendosi senza indugio verso l'entrata colorata e
accattivante del negozio. Nel varcare la soglia socchiuse gli occhi,
ignorando il cartello posto sulla vetrina e lasciandosi invadere da
quell'odore assolutamente divino che caratterizzava i negozi di
dolciumi. A parecchie persone poteva sembrare fin troppo dolciastro e
nauseabondo, ma lei era sicura che i cancelli del paradiso dovessero
avere una fragranza simile. I profumi dolci e delicati della fragola e
della vaniglia si mescolavano a quello più intenso del
cioccolato, con una punta dell'odore speziato del marzapane e dei
più stuzzicanti di menta e liquirizia.
C'era parecchia gente, ma se l'era aspettato: lì dentro c'era
comunque un piacevole tepore, e se Esther voleva stare fuori al
freddo... beh, se l'era voluto lei.
Prima di mettersi in coda volle dare un'occhiata a cosa offriva il
negozio quel giorno: sul pesante bancone in legno massiccio erano
disposte, in un piccolo espositore, decine di tavolette di cioccolato
dai gusti più disparati, mentre gli scaffali addossati alla
parete ospitavano enormi contenitori in vetro, che le caramelle
vivacizzavano con i loro colori vividi e allegri.
Anche il negoziante era un uomo allegro: stava servendo quella che
doveva essere una cliente abituale, perché gettò in un
sacchetto una manciata di gelatine senza nemmeno pesarle, e la donna
annuì con un sorriso. Oh, anche lei voleva aprire un negozio di
caramelle da grande, così da poter rallegrare tutti coloro che
vi sarebbero entrati. Era una grande osservatrice, e fin da piccola si
era resa conto che la gente sorride sempre- forse inconsciamente-
quando si trova davanti alle sue leccornie preferite.
Aveva ormai deciso cosa prendere, per sé e per Esther, e stava per mettersi in coda, quando si accorse che nel negozio c'era
in effetti qualcuno che la conosceva. Non se n'era accorta subito
perché l'individuo in questione era un bambino la cui presenza
di solito nemmeno si notava, tanto era magro e quasi rachitico. Il
cappotto era più logoro di un cencio e i capelli non sembravano
nemmeno biondi tanto erano sporchi; Alba lo conosceva perché
veniva spesso in quel quartiere a trovare suo zio, e si ricordava di
lui perché gli aveva rifilato una sonora sberla una volta che le
aveva allungato un mazzetto di margheritine smunte e cercato di
baciarla.
Ma in fin dei conti le stava anche simpatico, e se continuò ad
osservarlo era perché le sembrava che avesse un'aria troppo
circospetta mentre adocchiava una tavoletta di cioccolato al latte e
faceva correre lo sguardo verso l'uomo dietro il bancone, tenendo
d'occhio ogni sua mossa.
Alba temeva di sapere che cosa avrebbe cercato di fare, e il timore si
tramutò in realtà non appena il ragazzino allungò
una mano e afferrò avidamente la tavoletta tanto bramata.
Esther, sul marciapiede dall'altra parte della strada, cominciava ad
avere freddo standosene lì in piedi senza muoversi. Ma non
sarebbe entrata in quel negozio per tutto l'oro del mondo, figurarsi
per un po' di marzapane e caramelle. Però sentiva già
l'acquolina in bocca, e sperava con tutto il cuore che Alba si
spicciasse e uscisse di lì il più presto possibile,
auspicabilmente con un dolce bottino fra le braccia.
Teneva lo sguardo fisso sul negozio, passando dal cartello che
occhieggiava dall'entrata alla vetrina che mostrava tutto ciò
che avveniva all'interno.
Cartello-Alba che si guardava intorno, cartello-Alba che stava per
mettersi in fila, cartello-Alba che si fermava a fissare qualcosa o
qualcuno, cartello-strano ragazzino che prendeva qualcosa dal bancone,
cartello-...
Esther ammutolì, fissando con occhi sbarrati quel che accadde
nel giro di pochi minuti e che le fece completamente dimenticare il
cartello affisso all'entrata.
“Vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei”.
Era successo tutto a una velocità incredibile: il ragazzino- che
Alba sapeva chiamarsi Folker- non aveva fatto in tempo a ritirare la
mano con la tavoletta di cioccolato che il proprietario l'aveva
brutalmente afferrato per un polso, chiudendolo in una stretta ferrea.
Alba aveva visto il terrore negli occhi azzurri di Folker, terrore che
gli fece lasciare subito la tavoletta e divincolare convulsamente, ma
senza risultato.
- Ecco un altro piccolo ladruncolo – commentò a denti
stretti il proprietario, che con la stazza che si ritrovava non
sembrava fare alcuna fatica a tenere saldamente lo sparuto ragazzino
– Sono stufo marcio di quelli come te, adesso ti insegno io -.
Il servizio ai clienti si era momentaneamente arrestato, ma Alba
percepì il clima di assoluta solidarietà di tutti i
presenti: i ladri andavano severamente puniti, soprattutto se piccoli e
cenciosi.
- Lo sai che cosa facevano un tempo a chi rubava? - tuonò nel
frattempo l'omone, gli occhi azzurri e acquosi che mandavano piccoli
lampi di rabbia. Si allungò verso il mou che stava tagliando e
afferrò il grosso coltello usato fino a poco prima – Gli
venivano tagliate le mani! -.
Il terrore divenne un pozzo profondo negli occhi del ragazzino, e il
suo viso si trasformò in una maschera di orrore. Alba sapeva che
in teoria il massimo che l'uomo poteva fare era denunciarlo alla
polizia, ma a undici anni non era del tutto sicura di cosa fosse o non
fosse permesso agli adulti.
Davanti a quella minaccia nessuno aveva mosso un dito, e Alba
cominciava a temere che quel che capitava a un ragazzino povero e
cencioso non interessasse più di tanto alla polizia.
- La pago io! - strillò, quasi senza accorgersene.
Tutti i presenti si voltarono a fissarla, negoziante e ragazzino
compresi, e a quest'ultimo guizzarono gli occhi quando la riconobbe.
Alba si fece coraggio; stringendo le monete in pugno, non pensò
che avrebbe dovuto rinunciare alla sua liquirizia e alle caramelle al
latte, e avanzò di un passo. Finita quella brutta avventura
sarebbe andata di corsa a casa dello zio Ed, e lui avrebbe saputo far
passare tutto quanto; forse avrebbe anche denunciato quell'uomo alla
polizia, perché non si potevano dire certe cose ad un bambino.
Forte di quel pensiero, si era ormai avvicinata al bancone, al coltello
e ai due che continuavano a fissarla. Allungò la mano e la
aprì, mostrando le monete sul palmo.
- La pago io – ripeté.
L'uomo guardò prima lei e poi le monete, e quando parlò il tono di voce era un po' meno brusco.
- Conosci questo piccolo ladruncolo, signorina? -.
Lei annuì timidamente. Aveva addosso il suo miglior cappotto e i
capelli erano puliti e ben pettinati: quell'uomo aveva tutto
l'interesse a trattar bene una ragazzina che poteva spendere qualche
soldo nel suo negozio. Alba tentò di non pensare al fatto che in
quel posto non ci sarebbe nemmeno potuta entrare, e cercò di
sorridere, allungando ancor di più la mano.
Senza lasciare il polso ossuto del ragazzino, il negoziante posò
il coltello e con la mano libera fece per prendere le monete che Alba
gli porgeva.
Sembrava che tutto dovesse risolversi per il meglio, ma in quel momento
qualcosa scattò nella mente del piccolo Folker. Forse fu la
vergogna di farsi vedere così dalla bambina che gli piaceva,
forse l'orgoglio ferito dal dover accettare la sua pietà; fatto
sta che sentì come un punteruolo pungergli la lingua e l'istante
successivo sputò delle parole che ad Alba sembrarono più
affilate del coltello per il mou.
- Sta' ferma, stupida ebrea! -.
Alba lo sentì. Sentì l'intero negozio trattenere il fiato, e si rese conto di essere in un mare di guai.
In seguito rivide quell'episodio tante e tante volte, con gli occhi
della memoria: e ogni volta tutto si svolgeva sempre più al
rallentatore, come una pellicola difettosa in cui il tempo si dilatava
a dismisura. Risentiva le parole di Folker e rivedeva l'espressione del
proprietario del negozio: si era fatta dapprima incredula, per poi
lasciare il posto alla furia cieca di colui che si sente preso in giro
da chi meno potrebbe permetterselo.
La mano che si stava allungando a prendere le monete si fermò a
mezz'aria, per poi voltarsi con un movimento fluido del polso e
assestare ad Alba un manrovescio così potente da farla finire
direttamente addosso al bancone.
Alba ricordava perfettamente il tintinnio prodotto dalle monete che
caddero a terra in una cascata metallica, mentre lei non capiva che
cosa fosse andato storto: lo zio Ed le aveva detto tante volte che i
più deboli e indifesi andavano protetti, ed era quello che aveva
fatto.
Ma anche lei era debole e indifesa: quando se n'era resa conto e aveva
capito che nessun altro dei presenti aveva uno zio Ed capace di
inculcare tali idee di giustizia, il sapore ferroso del sangue le stava
già pizzicando la lingua e l'occhio sinistro le era finito
proprio contro lo spigolo del massiccio bancone in legno.
Esther non aveva capito più niente. Attraverso la vetrina del
negozio, al di là della strada, aveva visto Alba sbattere
violentemente, colpita dall'uomo, e poi accasciarsi al suolo.
Non era corsa a vedere cosa fosse successo: anche se aveva potuto solo
vedere senza sentire, come in un film muto, aveva compreso fin troppo
bene che il proprietario doveva aver intuito la verità su Alba,
perché non avrebbe mai osato colpire una ragazzina ariana.
Era scappata col cuore in gola, certa che da un momento all'altro
l'uomo sarebbe uscito e l'avrebbe rincorsa per quelle vie che lei
nemmeno conosceva, perché era stata Alba a volerci venire, e
senza di lei non sarebbe stata capace di tornare a casa.
Ma in quel momento le importava soltanto di non venire picchiata a
propria volta e, anche se col cuore in gola e il fiato mozzato,
continuò a correre a rotta di collo per la strada. Quando
voltò un angolo alla massima velocità e finì col
sedere a terra, ci mise una decina di secondi a capire che aveva
sbattuto contro qualcuno: un adulto che si stava chinando su di lei,
chiamandola per nome perché l'aveva riconosciuta.
- Esther? Sei Esther, non è vero? L'amica di Alba? -.
Anche lei lo riconobbe: era lo zio di Alba, quello che voleva andare a
trovare una volta uscita dal negozio. Quello che non era suo zio, in
effetti: la sua amica una volta le aveva spiegato che lo chiamava
così anche se non era fratello di nessuno dei suoi genitori...
ma in quel momento non se lo ricordava più. Continuava a
respirare affannosamente, senza parlare, mentre lui la fissava con
degli occhi di un castano così chiaro da sembrare giallo e le
chiedeva cosa le fosse successo.
La aiutò a rimettersi in piedi, e le suggerì gentilmente di calmarsi.
- Io... io non volevo... non è stata colpa mia! - strillò
finalmente all'indirizzo di un Edward Elric che si stava ormai
avvicinando alla trentina – Io le ho detto di non entrare... ma
lei non mi ha ascoltato... -.
- Lei? Lei chi? Alba? - domandò Ed, corrugando la fronte – Sei con lei? Ma dov'è? Cos'è successo? -.
Esther pigolò ancora una volta che non era stata colpa sua, e a
mozziconi spiegò cos'aveva visto attraverso lo schermo della
vetrina del negozio. A Ed bastò sentire le parole "Alba" e
"colpita" per lasciar perdere la ragazzina e correre nel negozio di
dolciumi del suo quartiere.
Non appena mise piede oltre la soglia, sentì il sangue defluire
e il respiro mozzarsi; non tanto per l'orribile spettacolo che gli si
presentava davanti, quanto per chi ne era la protagonista.
- Al... - mormorò, dimenticandosi il finale "ba" come faceva
spesso, chiamando quella che non era suo fratello ma una ragazzina
nemmeno sua parente. La soccorse all'istante, chiamandola stavolta per
intero, ma lei giaceva al suolo priva di sensi. Il pavimento di legno
del negozio, spazzato quella mattina dal garzone, era coperto di
sangue; sangue che si era ormai rappreso sul bordo del bancone e tra i
capelli di Alba.
I pochi clienti presenti sembravano bloccati dall'orrore e il
proprietario, dal canto suo, non si era di certo aspettato una
conseguenza del genere.
Intanto Ed, inginocchiato per terra, si era sentito per un momento
sollevato nel constatare che Alba era soltanto svenuta; ma il sollievo
svanì nel nulla non appena le voltò la testa e si rese
conto che la ferita non era sulla testa, ma proprio sull'occhio. Nell'occhio.
Ed non aveva lo stomaco delicato; non l'aveva mai avuto. Non aveva
avuto nemmeno un conato di vomito quando si era ritrovato con due
moncherini sanguinolenti al posto di un braccio e di una gamba,
all'età di undici anni. Ma non poté sopprimere un moto di
orrore quando tolse un po' di sangue dalle palpebre e le scostò
il più delicatamente possibile: quell'occhio nero come la pece e
profondo come il cielo notturno non c'era più; al suo posto vi
si trovava un grumo molle e informe, una sostanza viscosa resa ancor
più viscida da tutto il sangue che stava uscendo.
Ed allontanò subito le dita da quell'orrore, voltandosi verso il
padrone del negozio, sorprendendolo alle proprie spalle con il viso
stravolto di chi aveva visto ogni dettaglio.
- Mi porti un paio di bende, si muova! - gli intimò, in una
manciata di parole che nel silenzio che era calato sembrarono quasi un
ruggito.
L'uomo deglutì lentamente, verde in faccia, e annuì. Si
diresse dietro il banco, barcollando leggermente, e tornò
porgendo a Ed un paio di pezze pulite.
- Venga qui e le tenga la testa - ordinò poi Ed, al che l'uomo
rispose con un'espressione ancor più terrificata. Non aveva
alcuna intenzione di avvicinarsi a quell'abominio che dietro al sangue
nascondeva un occhio profondamente ferito, ma quell'uomo che ebreo non
era affatto lo stava guardando come se avesse voluto ucciderlo seduta
stante, con due occhi che- lui non lo sapeva, ma in qualche modo lo
intuì- sembravano aver visto le cose più orribili di
questo mondo. E dell'altro, in effetti.
Prima che il proprietario del negozio si decidesse a muovere un
muscolo, a farsi avanti fu un ragazzino che Ed conosceva di vista,
smunto e sporco. In realtà l'aveva già conosciuto: era
una delle tante persone identiche alle loro controparti dell'altro
mondo, identiche nell'aspetto fisico ma non in tutto il resto.
Quello che nell'altro mondo si chiamava Fletcher- il ragazzino che si
era spacciato per Al, assieme a suo fratello, per portare avanti le
ricerche sulla pietra rossa- aveva l'aria di uno che sta per vomitare
da un momento all'altro. Ma si avvicinò in silenzio, si
inginocchiò dietro ad Alba- senza preoccuparsi di stare
inzuppando i pantaloni laceri proprio dentro la pozza di sangue- e le
prese delicatamente la testa. Ed non fece domande, anche se a stare al
racconto mozzato di Esther quel ragazzino era la causa di tutto, e
bendò velocemente Alba in modo da coprire l'occhio.
Poi la prese fra le braccia e uscì senza dire una parola- non
servì, bastò un'occhiata e il proprietario, anche qualche
anno dopo, ci avrebbe pensato due volte prima di colpire chiunque,
persino una ragazzina ebrea. Folker rimase inginocchiato nel sangue per
qualche istante, e se Ed si fosse dato la pena di guardarlo forse
avrebbe rivisto in lui quel ragazzino che tanti anni prima- e in un
altro mondo- si era sentito un mostro per aver causato la perdita del
corpo a suo fratello.
Ma non lo guardò, e quando uscì non si stupì
più di tanto nel vedere la piccola Esther che lo aspettava,
appoggiata a un lampione che sembrava quasi sorreggerla. Ed le fece un
cenno e lei lo seguì, mentre si dirigevano verso l'ambulatorio
medico più vicino.
* * *
Tre giorni dopo Alba stava cominciando a capire che i pirati con una benda sull'occhio non dovevano fare una bella vita.
Vedere il mondo con un occhio solo era estremamente faticoso: l'occhio
destro le si stancava in fretta, soprattutto se provava a leggere; dopo
un po' non riusciva più a mettere a fuoco e le veniva un gran
mal di testa.
Stava anche iniziando a chiedersi se, dato che d'ora in poi avrebbe
visto solo metà del mondo alla volta, ciò non avrebbe
inevitabilmente influenzato i suoi pensieri e il suo modo di vivere.
Avrebbe capito solo la metà delle cose? O quella selezione
forzata l'avrebbe portata a riflettere di più, cosa che d'altra
parte faceva da quando era nata e osservava il padre con occhi identici
ai suoi, mentre la teneva fra le braccia? Le era sempre piaciuto il
fatto di aver ereditato da lui quegli occhi scuri e sottili, anche se
era bionda come la madre: pochissime persone potevano vantare un simile
accostamento, e il fatto di non essere geneticamente comune l'aveva
sempre fatta sentire speciale.
Beh, quanti suoi coetanei potevano esibire una benda su un occhio che
in realtà non c'era più? A conti fatti, poteva anche
fingere di essere la figlia maledetta del pirata Morgan.
Ridacchiò guardando il soffitto, persa nelle sue fantasticherie,
ma il sorriso le morì sulle labbra: le aveva fatto male, quando
si era risvegliata dall'anestesia e aveva trovato lo zio Ed accanto a
lei, che le aveva spiegato come il medico avesse dovuto asportare
l'intero bulbo oculare per il semplice motivo che il bulbo oculare non
c'era più. Non che le avesse raccontato nei dettagli come
ciò che era rimasto fosse più simile a un grumo informe
che a una sostanza fibrosa, ma non era servito perché Alba non
aveva più chiesto niente. Né aveva accennato al
perché fosse entrata in quel negozio pur sapendo che le era
vietato, e non aveva nemmeno chiesto che fine avesse fatto Folker.
Esther era lì accanto a lei che piangeva, e aveva cercato di sorriderle, scusandosi per la sua assurda testa dura.
Lo zio Ed si era poi occupato di tutto, mentre lei riposava: aveva
riaccompagnato Esther a casa e aveva avvertito suo padre e sua madre,
anche se Alba si stava ancora chiedendo come avesse fatto a raccontare
loro una cosa del genere. Quando si era svegliata di nuovo sua madre
era accanto a lei, con i muscoli del viso tesi e gli occhi lucidi ma
asciutti; suo padre era seduto vicino al muro, e la stava guardando con
quello stesso sguardo che apparteneva anche a lei, ma che da quel
momento si sarebbe ridotto di metà.
Si era resa conto di aver cominciato ad osservare gli occhi di chiunque
come mai aveva fatto prima di allora: a registrarne il colore, sondarne
i guizzi, rimanere affascinata a guardarne ogni singolo movimento e
impercettibile cambiamento.
E si era resa conto che chiunque avesse detto "Gli occhi sono lo specchio dell'anima" aveva perfettamente ragione.
Ed si trovava in cucina con il signor Rod, che in quel mondo era il
padre di Alba ma nell'altro un ex-colonnello dell'esercito che
rispondeva al nome di Mustang, e non aveva ancora detto una parola.
Continuava a ripensare ad Alba, a quella benda che le nascondeva
praticamente un quarto del viso, e al fatto che quando l'aveva vista si
era sentito catapultato in un punto del tempo confuso, tra passato e
presente e mondi speculari che si intersecavano fra loro.
Il periodo che aveva trascorso in quel mondo e in quello da cui veniva
ormai si equivalevano, ma c'erano ancora momenti in cui si sentiva di
nuovo come se fosse stato sul punto di tornare indietro. Come quando
aveva visto Alba con la benda sull'occhio, mentre osservava lui e il
mondo con lo stesso sguardo a metà che ricordava essere
appartenuto a Mustang.
Chissà se faceva sempre parte di quell'onnipresente principio
dello scambio equivalente: il Mustang di questo mondo non aveva perso
un occhio come la sua controparte di Amestris, ma in compenso era
accaduto a sua figlia.
E anche lui aveva perso un paio di parti del corpo all'età di
undici anni, ma era stato qualcosa di profondamente diverso: lui se
l'era cercata, la sua era stata la punizione del peccatore. Ma Alba era
un'innocente: non aveva fatto niente, assolutamente niente per meritare una cosa simile.
- Tutto questo è disgustoso. Semplicemente disgustoso –
esordì finalmente Ed, sputando quelle parole come se fossero
state dei brandelli di cibo andati a male.
- Lo sai che sono d'accordo con te – rispose il signor Rod
continuando a guardare il tavolo – Ma il fatto è che non
possiamo farci niente -.
- Potreste andarvene – suggerì Ed senza peli sulla lingua,
brusco come lo era tutta quella situazione – Al si trova in
Irlanda, ma ha contatti anche in Inghilterra e sono sicuro che
riuscirebbe a... -.
- No – lo interruppe il signor Rod – Non ce ne andremo. È questa casa nostra, non l'Inghilterra -.
Ed poteva essere d'accordo, ma non del tutto.
- Casa è un posto dove ci si dovrebbe sentire al sicuro – disse.
- Casa è il luogo a cui si è legati, anche se noi stessi
gli abbiamo dato fuoco – ribatté lui con uno sguardo
penetrante. Ed gli aveva raccontato- ormai parecchi anni prima- tutte
le avventure sue e di Al nel mondo da cui venivano, e ogni volta si
stupiva di come il signor Rod riuscisse a ricordarne ogni particolare.
- Anche dopo... - Ed represse un nuovo moto di orrore nel ripensare a
come era stata ridotta Alba - … anche dopo quello che è
successo? -.
Vide il signor Rod stringere le labbra e assottigliare gli occhi.
- Appunto. Credi che possa succedere qualcosa di peggio? -.
Ed non rispose. Sperava con tutto se stesso che avesse ragione, ma il
suo sesto senso- quello che non si fidava mai di niente e di nessuno, e
che negli ultimi tempi era più attivo e sospettoso che mai- non
gli credeva.
Qualcosa gli diceva che si era solo all'inizio.
La piccola Alba era sempre stata una bambina riflessiva, sin da quando,
appena nata, squadrava suo padre con occhi identici a quelli di lui,
con immenso divertimento di quest'ultimo.
Vedere le reazioni di coloro che le stavano più vicino la fece
riflettere su cose di cui i suoi coetanei non sospettavano nemmeno
l'esistenza, ma il comportamento che la sorprese di più fu
quello di sua cugina Win.
Forse ormai l'orologiaia più esperta di Berlino, a quasi
trent'anni Win era ancora nubile e viveva in un alloggio per conto suo,
con annesso laboratorio. Le malelingue del quartiere commentavano che
sarebbe rimasta zitella per il resto della vita, ma a lei non sembrava
importare granché.
Per Alba sua cugina era una specie di maga che viveva nel suo antro di
stregonerie, dove invece che paioli fumanti si potevano trovare orologi
ticchettanti, molle e ingranaggi in una cacofonia estremamente
affascinante.
Quando la vide entrare nella sua camera, una settimana dopo
l'incidente, pensò che poteva approfittarne per farsi leggere
qualche pagina del suo libro preferito, ma non fece in tempo ad aprire
bocca che Win le porse uno strano involto di stoffa nera.
- Voglio che lo porti sempre con te, ma fa' in modo che tuo padre e tua madre non lo trovino mai – le disse.
Alba non chiese che cosa fosse: srotolò il tessuto scuro e
scoprì un coltello infilato in un fodero di pelle. Lo tolse e
poté constatare che la lama non era più lunga di dieci
centimetri, piatta e appuntita.
- È molto affilato, perciò sta' attenta a non tagliarti.
Me l'ha fatto avere Schrott dopo che gli ho riparato di nascosto
l'orologio preferito di sua moglie: l'aveva fatto cadere e non voleva
che lei se ne accorgesse – raccontò Win – Segreto
per segreto -.
Schrott aveva un negozio di coltelleria ed era un abile arrotino, ma Alba era ancora confusa.
- Io... cosa... -.
- Voglio che lo usi – le spiegò Win, seria come non
l'aveva mai vista – Se dovesse succedere ancora una cosa del
genere -.
- Ma... -.
- Sai, Alba, sono stanca di veder andarsene le persone a cui tengo di
più senza che possano fare nulla per difendersi. I miei genitori
sono morti sotto le bombe e il mio migliore amico di tubercolosi: se
capitasse qualcosa anche a te, non riuscirei a sopportarlo -.
Alba studiò la lama, suo malgrado affascinata: era affilata e
luccicante come la luna, e pensare che avrebbe potuto macchiarsi di
sangue umano le fece correre un brivido lungo la schiena.
- Ma non è pericoloso? - domandò un'ultima volta – Io non lo so usare, e non... -.
- Credimi, Alba – rispose Win con un sorriso stanco, scostandole
i capelli dalla benda – Ti stupirebbe sapere quanta gente ha in
mano cose che non sa usare -.
Quando Ed rivide Alba, costei era giunta ad una sua personale conclusione:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba
era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due
fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una
spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la
fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma
leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che
compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e
lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua
Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie
lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non
riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie
simili.
Alba si era zittita un momento, persa in una riflessione che le era
appena venuta in mente: si stava chiedendo se sarebbe ancora riuscita a
piangere anche dalla parte senza occhio. Da dove sarebbero scese le
lacrime?
Ma stava parlando con Ed, per cui tenne questo dubbio per dopo. Sorrise
di un sorriso birichino, sentendo tendersi in maniera strana i muscoli
sul lato sinistro del volto, attorno a un'orbita ormai vuota.
- Se ti fai crescere i capelli un altro po', magari la prossima volta vengo io a salvarti – concluse soddisfatta.
Tecnicamente questa storia è
arrivata terza ad un contest a cui ho partecipato un po' di tempo fa,
però da allora ne ho cambiato qualche parte, quindi non so se
è un discorso ancora valido.
Comunque, nel contest in questione
avevo scelto la tabella “Non per stomaci delicati”: dovevo
quindi utilizzare come elementi importanti il coltello e il negozio di
caramelle, ed inserire la frase: “Tutto questo è
disgustoso”.
È in assoluto la prima volta
che scrivo una fic del genere, e prima che possiate muovermi la stessa
critica fatta dalle giudici del contest dico che mi sono informata: so
che è possibile, se il colpo inferto è violento e nel
punto giusto, ridurre un occhio in questo stato, vista la sostanza
fibrosa e delicatissima che lo compone. Ho letto di gente che ha fatto
la stessa fine perché si è vista lanciare contro un
cavolo, credetemi.
Poi mi sembrava in linea con la
storia di “Full Metal Alchemist”, dove più di un
bambino viene mutilato in modo orrendo, o peggio ancora.
Questa raccolta vuole essere in
ordine temporale, anche se non ho ancora ben deciso come strutturarla:
avrete forse capito, però, che in ogni capitolo ci saranno dei
riferimenti ad una favola dei Grimm, e nel prossimo capirete
perché. Anche il titolo della serie è una citazione del
loro libro, che personalmente adoro- e ormai qualcuno l'avrà
anche capito.
Nella prossima storia ci sarà
un ulteriore scarto temporale, e comparirà di nuovo una faccia
nota- una faccia notissima, personalmente uno dei miei personaggi
preferiti nella serie. Chi, secondo voi?
Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di “Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon”:
Shatzy:
a dire il vero il motivo per cui Eliza sa dell'altro mondo è
perché- anche se non l'ho specificato- ha torchiato Rod e se
l'è fatto dire. XD Sennò credo che difficilmente uno
potrebbe immaginarsi una cosa simile... è un po' fuori dalla
portata di qualsiasi intuito, penso.
Sono contentissima che la bambina ti
piaccia: anche nel caratterizzarla in seguito, ho cercato di mescolare
elementi presi da entrambi i genitori con un carattere che sia suo e
solo suo. Non so se l'esperimento è riuscito, in fondo è
il primo vero OC di questa storia. ^^
Ah, Ed dev'essere Ed; e comunque
credo che, dopo tutto quello che hanno passato, certi pensieri per lui
siano talmente naturali che non deve nemmeno sforzarsi. È Al
quello che sa trovare aspetti positivi dappertutto, è
soprattutto per questo che si compensano.
Anche se tutto ciò che
riguarda i vari luoghi in cui è ambientata la storia me lo sono
in gran parte inventato, se trovo qualcosa di simile in Germania ti
faccio un fischio! ^^
Come ho già detto, poi, i veri
Roy e Riza sono soltanto tuoi, io non mi ci provo neanche a prenderli
in mano. Non dopo che qui me li sono rigirati come volevo in modo tanto
libero!
E... ehm... com'è andata la
lettura di questa one-shot? Ti avviso che saremo sul drammatico anche
nella prossima- meno cruento, comunque- però è una storia
a cui tengo particolarmente, perciò mi farebbe molto piacere ricevere un tuo commento... sappi che è tanto, tanto triste.
CioccoMenta:
pensa che la chiacchierata tra Ed e Liza non era neanche prevista, l'ho
inventata man mano che scrivevo perché all'inizio volevo
semplicemente raggiungere la consueta lunghezza del capitolo. XD
Però poi dev'essere venuto fuori bene, visto che l'avete
apprezzato tutti- perlomeno chi mi ha lasciato un commento. Sono
contenta anche che Rod neo-padre ti sia piaciuto. ^^
MusaTalia:
caspita, non pensavo che Rod padre avrebbe seminato il terrore in
questo modo! Sì, era un po' esaltato, ma chi non lo sarebbe? A
differenza di Hughes, lui poi si è calmato...
La battuta dell'alchimia me la
ricordavo anch'io, in non so che puntata di FMA... infatti ho anche
pensato di tirarci fuori qualcosa, ma vedremo.
Riguardo la fic che mi hai consigliato, non appena ho un po' di tempo ci farò sicuramente un salto, grazie. ^^
Per quanto riguarda i capitoli dell'altra storia, ecco la “soluzione”:
1- Dove un cane è l'inizio di tutto
2- Refoli di cenere
3- Misteri svelati
4- Faville in musica
5- Solo un ticchettio in più
6- L'alba di settembre
… chissà l'ultimo, come si intitolerà! XD
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