«Mamma, ti
prego.»
Fisso mia madre dritto negli occhi, senza muovere un muscolo, mentre i
battiti rallentano drasticamente. Capirà,
deve capire.
«Te lo chiedo per il mio matrimonio, voglio far avverare
questo sogno prima di sposarmi. Non puoi fare finta di niente ancora,
ora sono grande abbastanza da capire cosa voglio fare. E tu lo
sai» aggiungo dopo una breve pausa.
Lei mi guarda ancora per qualche istante, poi si abbandona alla
poltrona in salotto, con un sospiro. «E va bene,
tesoro. Ti dirò tutto quello che so.»
Sorrido, soddisfatta, poi a mia volta mi siedo sul divano di fronte a
lei, in attesa che inizi a raccontarmi.
«Io e Tom, come ben sai, dopo cinque anni di matrimonio ci
siamo resi conto di non poter aver figli. Allora io ho proposto di
adottarne uno, in modo da poter aver comunque l'affetto che ci
mancava... Diciamo che volevamo consolidare la famiglia una volta per
tutte. Così, un week-end, Tom mi ha portato a Venezia per
una breve vacanza, lontani dal tram tram quotidiano di Milano. Siamo
arrivati sabato, e la domenica mattina mi ha portata all'ospedale
Civile di Venezia dicendomi che gli avevano comunicato che c'era ancora
qualche neonato in fasce in adozione. Io ovviamente ne ero felicissima.
E se lo vuoi sapere, oltre a te c'erano altri due splendidi maschietti,
ma noi volevamo una bella bambina, così abbiamo scelto te.
Abbiamo firmato i documenti in presenza di due testimoni,
dopodiché ti abbiamo portata con noi a casa. Tutto
qui.»
Annuisco un paio di volte, persa con lo sguardo nel vuoto.
«E... sai come si chiama la mia vera madre? E mio padre? Che
tipi erano, li hai conosciuti?»
«No, non direttamente. Di loro so ben poco» mi
risponde, tormentandosi una ciocca di capelli biondi.
«Cosa sai?» le chiedo, senza alcuna esitazione.
Prima di rispondermi, espira fortemente. «Lo vuoi proprio
sapere?»
«Certo!»
«La tua mamma biologica aveva diciassette anni quando ti ha
partorita. E tuo padre qualche anno in più di lei, si erano
appena sposati.»
Chiudo gli occhi e faccio aderire completamente la schiena contro lo
schienale del divano. «Oh mio Dio» mormoro poi,
tirando un forte sospiro.
Mia madre rimane in silenzio, ancora con la ciocca di capelli tra le
dita. Fa sempre così quando è nervosa.
Dopo qualche minuto, ho la forza di domandarle: «Non sai
nient'altro?»
Scuote la testa. «So solo che non abitavano a Venezia, erano
lì in vacanza.»
«Basta?»
«Basta.»
Silenzio. Un silenzio che sembra durare una vita.
«Posso... posso farti una domanda?» balbetto dopo
alcuni minuti.
«Dimmi, tesoro» dice lei, mostrandomi un sorriso
forzato.
«Perché mi avete tenuto nascosto tutto
questo?» sputo fuori tutto d'un fiato.
Non mi risponde subito, probabilmente ha bisogno di qualche istante per
decidere bene che parole usare. «Avevamo paura che tu ti
dimenticassi di noi, e di tutto quello che abbiamo fatto per
te.»
«Ma questo non potrebbe mai accadere, lo sai, vero
mamma?» replico io, seria.
«Lo spero» fa lei, sforzandosi di sorridere.
A questo punto mi alzo e l'abbraccio d'impulso. Mi fa tenerezza e so
che in questo momento ha tanto bisogno di affetto, di essere
rassicurata. La conosco troppo bene.
«Ti voglio bene mamma, e non mi importa un accidente se sei
la mia madre biologica o no. Tu sei e sarai per sempre la mia vera
mamma. Quella che mi ha cresciuto, quella che mi ha saputo
amare» le sussurro all'orecchio, mentre con una mano le
accarezzo la schiena con dolcezza.
«Oh, quanto ti voglio bene, tesoro mio» mormora
lei, scoppiando in forti singhiozzi.
Sorrido un poco, senza smettere un attimo di accarezzarle la schiena.
«Anche io, mamma, anche io.»
Un'ora dopo sono di rientro a casa. Apro la porta d'ingresso con la
chiave e me la richiudo alle spalle dicendo: «Sono
tornata.»
«Oh, eccoti, amore.»
Mi giro e mi ritrovo a pochi metri di distanza Danny, che mi mostra uno
dei suoi sorrisi angelici.
Alzo un angolo della bocca. «Ciao» lo saluto, poi
gli scocco un bacio sulle labbra.
«E' passato poco fa Riki. Voleva congratularsi con noi, solo
che non c'eri, allora mi ha detto di salutarti» mi informa
poi, mentre io inizio a togliermi le scarpe e a riporle al loro posto.
«Oh, grazie» borbotto, mettendomi un paio di
infradito.
«Ho una voglia di essere tuo marito che nemmeno
immagini» inizia, avvicinandosi a me e prendendomi dolcemente
i fianchi.
«Ma è come se lo fossi già, per quanto
mi riguarda» rispondo, con un sorriso.
«Intendevo ufficialmente, ho voglia di essere veramente tuo
marito. Voglio sposarti, dire “sì, lo
voglio” di fronte a cento persone.»
Scoppio in una risata. «Così tante?»
«Potremmo invitarne anche mille, sempre che sia di tuo
gradimento» ribatte, sfregando il suo naso con il mio.
Percepisco il suo profumo di dopobarba che mi piace tanto e non posso
fare a meno di sorridere, anche se non so esattamente
perché. «Si può fare» lo
stuzzico poi.
«Comunque ho apparecchiato la tavola, e pensavo di fare una
pasta veloce, così ho messo sul fornello l'acqua»
dice, «è che vado un po' di fretta... Dopo ho la
partita, ricordi?»
Mi metto una mano sulla fronte, sospirando. «No, onestamente
mi era passato di mente.»
Lui mi lancia una finta occhiata ammonitrice. «Ci vieni
però, vero?»
«Ehm, sì, volentieri» mento io,
sforzandomi di sorridere. In realtà odio con tutto il mio
cuore il rugby, solo che a lui non l'ho mai confessato. Insomma, non
posso mica dirgli che detesto il suo sport preferito, o sbaglio?
Lui a sua volta mi sorride. «Ottimo.»
«Però vedi di non disfarti qualcosa un'altra
volta, okay?» aggiungo io.
«Tranquilla, farò il bravo bambino.»
Io in tutta risposta gli scompiglio i capelli
affettuosamente.
«Noo, avevo appena messo il gel!» protesta lui,
sistemandoseli alla belle-meglio con le mani.
«Bah, secondo me non è cambiato nulla»
affermo, sbattendo le ciglia innocentemente.
Danny sorride un poco. «Oggi è sabato»
annuncia, dopo alcuni istanti.
«Lo so.»
«E domani è domenica.»
«Lo so!»
«Ciò vuol dire che abbiamo tutto il giorno a
disposizione» aggiunge, guardandomi negli occhi.
«Lo so» ripeto per la terza volta, sorridendo
appena.
«Pensavo di portarti in un posto speciale.»
«Altra partita di rugby?» scherzo io.
«No, in un posto ancora più bello.»
Oh, fantastico allora.
«Comunque io avrei fame» dice, dopo una breve pausa.
Annuisco un paio di volte. «Butto la pasta, l'acqua
bollirà sicuramente» affermo, dirigendomi in
cucina con passo stanco.
«Com'è andata da tua madre?» mi domanda
lui cinque minuti dopo, appoggiandosi allo stipite della porta,
facendosi improvvisamente serio.
«Uh, bene» rispondo io, vaga.
«Hai voglia di parlarmene?»
Faccio spalline. «Non è che ci sia molto da
dire» faccio, iniziando a fare il sugo per la pasta.
Danny rimane in silenzio, in attesa che io aggiunga altro.
«Non sapeva molto, a dire la verità»
ammetto poi, «però quello che mi ha detto
è stato abbastanza un colpo al cuore.»
«Cioè?»
«Tipo che mia madre ha solo diciassette anni in
più di me.»
Danny strabuzza gli occhi. «Oddio» borbotta, e solo
dopo una pausa si avvicina a me e mi circonda la vita con le braccia.
«Ma tanto ce li hai già dei genitori che ti
vogliono bene, non hai bisogno di quelli biologici per sentirti amata,
non è così?» chiede, appoggiando il
mento sulla mia spalla.
«Sì» rispondo, con un fil di voce.
E va bene, non sono stata del tutto sincera. Non è vero che
non mi importa nulla dei miei genitori naturali, anzi. Sono
praticamente ossessionata da loro.
«Danny» affermo, dopo alcuni istanti di assoluto
silenzio.
«Dimmi» mi incita lui, baciandomi delicatamente il
collo.
«Cosa faresti se ti dicessi che voglio partire per
Venezia?»
«Beh, ti chiederei innanzitutto quanto staresti via, e poi se
mi vorresti con te.»
«Perché ho intenzione di farlo»
aggiungo, chiudendo un occhio, scongiurando nella mia testa che non si
preoccupi o cose del genere.
«Ah, sì? E per quale motivo, gita in piazza san
Marco?» azzarda, ridendo un poco.
«E' che vorrei conoscere i miei genitori.»
Sento che si stacca da me improvvisamente. Poi, dopo pochi secondi,
mormora: «Non me l'avevi mai detto.»
«E' sempre stato il mio sogno più grande, fin da
quando ho saputo di essere stata adottata, e volevo farlo avverare
prima di sposarmi» gli racconto io,
«capisci?»
«Sì, credo di capire» risponde, a bassa
voce e parlando lentamente. «Ma se poi ne rimani delusa? O
se, corna facendo, sono morti, o malati, o cose del genere?»
«Penso di poterlo affrontare, e poi in fondo è
come se fossero degli perfetti sconosciuti, no?»
«E allora perché ci tieni così tanto a
conoscerli?»
«Sono curiosa, mi conosci! Voglio vedere il volto di mia
madre, il carattere di mio padre, se è più alta
lei di lui, a chi assomiglio di più dei due, se bevono il
caffè o il tè la mattina, se hanno un cane o un
gatto o nessuno dei due, se hanno fatto altri figli, se i miei nonni
sono ancora in vita... cose di questo tipo. Cose elementari, ma a cui
penso sempre.»
Lui mi stringe un poco, poi mi bacia la testa.
«Capito» dice. «Quindi vuoi metterti in
viaggio.»
«Già.»
«E cosa sai ancora di loro?»
«Che non abitano a Venezia, mia madre mi ha partorita a
quell'ospedale perché era lì in vacanza con mio
padre.»
«Capito» ripete per l'ennesima volta. «E
quanto tempo pensi di stare via circa?»
«Non lo so, dipende loro dove abitano, e in quanto riesco a
raccogliere tutte le informazioni che mi servono.»
Annuisce leggermente. «E vuoi andarci da sola, o ti posso
accompagnare?»
«Mmh, francamente preferirei andare da sola. E poi, come
faresti con il lavoro?»
«Beh, come fai tu, lo salto!»
«Per colpa mia» preciso io.
Fa spalline. «Si possono chiamare anche ferie.»
Rimango zitta, non sapendo cos'altro aggiungere.
«Però se vuoi rimanere sola, non preoccuparti,
rimango qui, io.»
Sorrido, poi mi volto fino a ritrovarmi il suo viso a pochi centimetri
dal mio. «Grazie per avermi capita.»
Appena finisco la pasta che ho nel piatto, mi alzo e apro il frigo,
sentendo ancora un leggero brontolio alla pancia a causa della fame.
«Non saprei cosa mangiare» borbotto, più
a me stessa che a Danny.
«Dovresti mangiare più verdura, o frutta, te lo
dico ogni santo giorno!»
Ecco, lo sapevo che non dovevo riflettere ad alta voce.
«Madonna Danny mi sembri mio padre!» esclamo,
alzando gli occhi al cielo e richiudendo il frigo spazientita.
«Basta, mi è passata la poca fame che
avevo.»
Il mio fidanzato scuote la testa, con aria di rimprovero. «Lo
sai che mangiare troppi carboidrati non ti fa bene.»
«E tu lo sai che mi fai solo girare le palle ad elica quando
mi tratti come se fossi tua figlia. So gestirmi da sola!»
ribatto io, dopodiché senza aspettare una sua risposta,
metto nel lavabo le stoviglie e filo al piano di sopra, in camera, dove
mi butto a peso morto sul letto.
Dio, che nervoso quando fa così.
Dopo pochi minuti, sento che bussa un paio di volte alla porta che
avevo sbattuto con forza alle mie spalle. «Posso?»
chiede, con un fil di voce, aprendo piano la porta.
«Tanto sei già entrato» gli faccio
notare.
Lui sorride un poco e poi si avvicina ai piedi del letto, dove inizia a
farmi un massaggio ai piedi. Fa sempre così quando vuole
farsi perdonare e sa di essere nel torto, quasi fosse un cane con la
coda tra le gambe.
«Scusami per prima, ma lo sai che lo faccio solo per il tuo
bene» inizia, in un sussurro.
Io mi metto su un fianco in modo da non guardarlo in faccia. Rimango in
silenzio, forse sperando che continui a parlare lui.
«Mi perdoni?» aggiunge, dieci secondi dopo.
«Okay.»
«Convinta?»
Non gli rispondo subito.
«Credo di sì.»
«Credi?» domanda, senza togliere le mani dai miei
piedi.
«Credo» sussurro, con franchezza.
Silenzio. Lui smette di massaggiarmi, e si siede al bordo del letto.
«Mi impegno a non farlo più» fa poi, con
un fil di voce.
«Me lo prometti?» gli chiedo io, fissando davanti a
me.
«Te lo prometto.»
A queste parole, mi volto e cerco il suo sguardo, lui ricambia
l'occhiata e mi sorride.
«Ti amo» dichiaro, mettendomi a sedere.
«Anche io» afferma avvicinandosi a me, poi mi bacia
con trasporto. Io dischiudo le labbra e rispondo al suo bacio, mentre
con le mani gli accarezzo dolcemente i capelli. Dio, da quanto non ci
baciavamo così...
«Facciamo l'amore» dico improvvisamente.
«Adesso.»
«Adesso?!» ripete lui, ridendo con naturalezza.
«Tra non molto devo andare alla partita.»
«Dai» aggiungo, cercando di assumere il tono di
voce – e la faccia – più dolce e
convincente che posso.
«Va bene» accetta poi, lanciandomi un'occhiata
maliziosa che io ho definito più volte “il leone
affamato in gabbia”.
Io getto la testa all'indietro e scoppio a ridere, poi torno a baciarlo
sulle labbra, mentre con le mani inizio a sfilargli la camicia scozzese
maledettamente sexy. Lui aspetta che io finisca di spogliarlo,
dopodiché mi toglie la maglia e i pantaloni neri che
indossavo pochi secondi fa.
«Aspetta» dice, d'un tratto, staccandosi dalla mia
bocca.
«Cosa?»
«Metto la sveglia tra un'ora, se arrivo in ritardo il coach
mi ammazza.»
Che palle, perché deve avere la partita proprio oggi
pomeriggio?
Al fischio dell'arbitro, la squadra di Danny calcia nel campo della
squadra avversaria – che hanno un nome a dir poco strano,
qualcosa tipo “I Petrarchi.”
Okay Evelyn, puoi farcela. Si tratta solo di resistere un'ora e venti
minuti, più i dieci minuti di pausa a metà
partita. Facile.
Durante i primi due minuti, fisso il campo di gioco cercando di capirci
qualcosa. Lo so che il rugby possiede delle regole tutte sue
– come quella che le porte sono a forma di H, il pallone
è ovale ed è vietato passare la palla in avanti
– però ogni volta che vengo a vedere le partite di
Danny, che detto chiaramente saranno due o tre al massimo –
le volte in cui non sono riuscita a inventare una scusa in tempo
–, mi confondo ancora di più le idee e ci capisco
sempre meno.
«Forza Josh, corri!» urla il tipo accanto a me,
mentre tra le dita stringe un recipiente enorme che strabocca di pop
corn super salati. Ho la sensazione che Josh sia suo figlio, e che ogni
volta che va a vederlo in partita si compri sempre la stessa porzione
maxi di pop corn.
Forza, se continui a distrarti in questo modo il tempo
passerà velocemente.
Facendo i diritti scongiuri, guardo che ore sono sul mio cellulare.
Bene, sono già passati quattro minuti dall'inizio della
partita.
Il minuto seguente lo passo a rimirarmi un'unghia, maledicendomi di non
aver portato la pinzetta per le pellicine.
Chiudo gli occhi e sussurro tra me e me: «Evelyn, guarda
questa cazzo di partita e basta. Danny è il tuo futuro
marito, e dato che passerai il resto della tua esistenza in sua
compagnia dovrai andarlo a vedere a tutte le partite, e non puoi
comportarti in questo modo...»
Quando realizzo veramente ciò che ho appena detto, mi sale
un coniato di vomito. Non ce la posso fare. Passare così
un'ora e mezza alla settimana? Vedendo in campo 30 persone che si
ammazzano per una palla? Cioè, stiamo scherzando.
«Fallo secco, Joshi!» grida la moglie del ciccione
– cicciona anche lei –, alla sua destra, stringendo
in una mano un fazzoletto e serrando forte la mascella.
«Sì, fagli vedere chi sei!» aggiunge
lui, indicando un punto non definito.
Oh mio Dio, questi qua sono assatanati.
Afferro il cellulare disperatamente e compongo in pochi secondi il
numero di Katie, la mia migliore amica che ho conosciuto giusto qualche
annetto fa in prima liceo.
«Pronto?» risponde al terzo squillo.
Oddio, la sua voce dolce e tranquilla mi fa già sentire
meglio.
«Katie, tesoro!» esclamo io.
«Ev! Come stai?»
Mi guardo attorno e socchiudo gli occhi. La famiglia bomba è
troppo intenta a seguire la partita per ascoltare quello che sto
dicendo. «Tutto bene» mento poi, cercando di
assumere un tono di voce normale. «Tu invece?»
«Anche io, grazie» mi risponde lei, e dopo un po'
aggiunge: «Ma dove sei, scusa? Ti sento male.»
«Ehm, sono...» inizio, pensando a cosa potrei
inventare di convincente. Ma poi mi interrompo. Insomma, è
la mia migliore amica, quella a cui potrei confidare tutto di me,
perché mai dovrei raccontarle una balla? «Sono a
una partita di Danny» ammetto poi, con riluttanza.
«Oddio, rugby?» fa lei, seriamente preoccupata.
Ecco perché è la mia migliore amica, in qualunque
situazione mi capisce.
«Esattamente» confermo io, sospirando. «E
credo di non essermi mai annoiata tanto in tutta la mia...»
Ma non faccio in tempo a finire la frase, che un urlo di gioia mi
interrompe: «Evvai, Josh, sei il re del mondo!»
esultano i ciccioni accanto a me, alzandosi in piedi, mentre tutta la
folla li imita.
«Oh mio Dio» mormora Katie, come se non ci volesse
credere. «Ci sei andata davvero?»
«Eh già» rispondo, facendo una smorfia.
«E non sai chi ho accanto, porca miseria.»
«Chi?!»
«Due tipi completamente svitati... sono...» e nel
parlare mi giro verso di loro per controllare che stanno facendo e noto
– con mio grande orrore – che mi stanno guardando.
«Due tipi abbastanza a posto, educati e simpatici.
Sì, insomma, non potrei chiedere di meglio!» e
detto questo, sfodero uno dei sorrisi più angelici che abbia
mai fatto.
«Ev? Che sta succedendo?» domanda la mia amica,
allarmata.
«Ho bisogno di te, di questo passo impazzisco»
sussurro al microfono del telefono, per non farmi sentire da nessuno.
«Dove sei, che ti raggiungo?» domanda, dopo una
breve pausa.
Se non ci fosse Katie credo che sarei morta da un bel pezzo.
Fortunatamente lo stadio non è troppo lontano da casa sua,
così in quindici minuti è qui, trafelata, appena
uscita dalla doccia, con i capelli biondi ancora umidi e il fiato corto.
Questa è la mia Katie, che affronta gelidi venti e torridi
deserti per me.
Io mi alzo in piedi e sventolo le braccia per farmi vedere, con un
sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
«Katie!» la chiamo.
Lei appena mi vede, mi saluta con la mano e corre verso di me.
«Come procede?» chiede poi, sedendosi alla mia
sinistra.
«Oh, bene» faccio io, fissando il campo con finta
aria critica. «Anche se non so nemmeno chi sta
vincendo» aggiungo, abbassando la voce per non farmi sentire
dalla famiglia bomba in parte a me.
Katie scoppia a ridere. «Certo che sposare un marito fanatico
del rugby, cioè lo sport che tu odi di più al
mondo, è proprio il colmo» commenta, divertita.
«Mi ci dovrò abituare» dico, facendo una
smorfia.
«Dai, prima o poi inizierai a capirci qualcosa e ti
piacerà» cerca di consolarmi lei.
«Non credo proprio che potrà mai piacermi uno
sport in cui fanno a botte per una palla. Insomma, è uno
sport decisamente troppo aggressivo» affermo, stringendo le
palpebre. «Ti vorrei ricordare che lo scorso mese Danny aveva
un livido enorme sull'avambraccio.»
«Lo so» sospira Katie. «Comunque, sei
andata stamattina da tua mamma?»
«Sì» rispondo io, evitando il suo
sguardo. «E ho deciso che lunedì vado a
Venezia.»
Con la coda dell'occhio vedo che spalanca la bocca. «Come
mai?!»
«La mia mamma biologica mi ha partorita lì quando
era lì in vacanza» le spiego. «E voglio
scoprire dove abitano per conoscerli.»
«Stai scherzando?» sbotta, incredula.
Io in tutta risposta scuoto la testa.
«E... il lavoro?»
«Dirò di essere andata in ferie all'ultimo
momento.»
«Puoi farlo?!»
«Credo di sì» dico, facendo spalline.
«Sono troppo decisa a conoscerli, e prima del mio matrimonio
voglio assolutamente farlo.»
«Ho capito» afferma lei, annuendo un poco.
Proseguono alcuni minuti di pausa, in cui rimaniamo tutte e due in
silenzio a fissare il campo di fronte a noi.
«Quando finisce?» domanda Katie, con impazienza.
«Tra poco dovrebbe scadere il primo tempo, poi ci sono dieci
minuti di pausa e ricomincia il secondo tempo, che dura quaranta
minuti.»
«Gesù» mormora lei.
«Evelyn!» la voce del mio fidanzato proviene da
dietro le mie spalle, così mi volto raggiante fino a
incontrare i suoi occhi scuri. Gli sorrido, mentre dentro di me penso a
quanto sia bello con i capelli bagnati.
«Eccolo qui, il campione!» lo saluta Katie, ridendo
leggermente.
Lui mostra un sorriso più che orgoglioso.
«Finalmente abbiamo vinto!» esclama, poi mi stampa
un bacio sulle labbra. «Sarà perché
c'eri tu a vedermi.»
«Secondo me è il campo fortunato»
replico io, arrossendo.
Danny sfrega il suo naso con il mio con dolcezza, poi si rivolge a
Katie, corrugando le sopracciglia confusamente: «Non credevo
che venissi anche tu.»
«Veramente lei era già qui» mi
intrometto io, dicendo la prima cosa che mi capita per la mente.
«Un suo amico gioca nella squadra avversaria»
aggiungo, poi mi volto verso di lei e allargo le palpebre, facendole
capire di reggermi il gioco.
«Oh» fa Katie, presa alla sprovvista. Poi
rapidamente improvvisa qualcosa: «Sì, si chiama
Ronald, ed è veramente bravo!»
Io faccio una risata che si avvicina ben poco a qualcosa di naturale.
«Esattamente!»
«Ronald? Non mi sembra di aver sentito il suo nome in
campo» afferma Danny, confuso.
«No, è che era in panchina» si affretta
ad aggiungere lei.
«Ah» annuisce lui. «Riserva?»
«Sì, qualcosa del genere» borbotta
Katie, facendo una risata forzata.
«E ora dov'è?» chiede Danny, guardandosi
attorno. «C'è il rinfresco offerto dalla
casa!»
«Aveva un impegno importante, allora è dovuto
scappare» spiega lei, annuendo con aria di chi la sa lunga.
«Uh, è un vero peccato, questa volta hanno
preparato di tutto!»
«Davvero?» domando io, fingendomi stupita.
«Cosa c'è di buono?» chiedo poi, per
cambiare argomento.
«Venite» propone lui, prendendomi per mano.
«E poi, Ev, devo presentarti a tutti i miei amici, sono
ansiosi di conoscere la mia futura moglie!»
«Uh, certo!» esclamo, tirando un sospiro di
sollievo. Poi mi volto verso Katie. “Grazie!” le
dico appena ho catturato la sua attenzione, in labiale.
Lei mi fa l'occhiolino. «Bene, io vado ora!»
annuncia dopo, ad alta voce. «Divertitevi.»
«Grazie, Katie, e salutami tanto Jared» la saluta
Danny, dandole un bacio sulla guancia.
Jared è il ragazzo di Katie, stanno insieme da cinque anni
ed hanno in programma anche loro di sposarsi. Almeno, lui ha intenzione
di farlo, ma lei non lo sa ancora. Non vedo l'ora che le faccia la
proposta per diventare la sua damigella d'onore. Cioè, non
lo voglio solo per questo, ovviamente: vedere la mia migliore amica che
si sposa sarà una forte emozione, ne sono più che
sicura.
*** Spazio Autrici ***
Ed eccoci qui con Drawing a Song 3, guys! :D
Qui Lalla, gente!
Come avevamo già accennato e come dice il sottotitoletto, la
storia è del tutto nuova! I personaggi sono diversi, le
avventure saranno diverse, e spero che anche il nostro modo di scrivere
sia cambiato in meglio... a me personalmente sembra di essere maturata
molto a scrivere, rileggendo i primi scritti di Ds storco il naso e
penso "ma l'ho scritta io 'sta schifezza?" (anche se se devo dirla
propria tutta spesso e volentieri mi ritrovo a pensarlo tutt'ora! xP)
Non so voi, ma io Ds3 la vedo molto come una "rivoluzione", a parte per
il fatto che ha personaggi molto diversi rispetto Ds2, io sento di
essere cambiata proprio dentro. E' vero, sono passati solo pochi anni
dalla pubblicazione di Ds, eppure a me sembra davvero un'altra era..
Beeene, ora chiudendo quest'argomento, spiegatemi quant'è
bello il logo u.u Cioè, io lo adoro letteralmente! Mi da una
sensazione di freschezza e libertà, e quando lo vedo nella
mia mente compaiono immagini di campi con le balle di fieno, un po'
come nel Mulino Bianco... Ahahahahah lo so, non sono normale :D Anzi,
vi avviso, se pensavate di seguire la fic, dovrete sopportarmi ancora a
luuungo! Tornando al logo, chiederei al pubblico un grande applauso a
Linda che ieri pomeriggio ci ha lavorato con impegno e amore <33
Per quanto riguarda il primo capitolo di Ds3, onestamente non
è che lo trovi troppo carino, anzi, non mi piace molto...
Comunque credo di rifarmi con i prossimi, l'ultimo che ho scritto (il
quinto per l'esattezza) mi piace già di più ;D
Il prossimo invece è scritto dalla mia socia ed è
di gran luuunga più bello! (sssh, zitta tu! ♥)
Come ultima cosa, ci tenevo a farvi vedere come mi immagino i miei
personaggi (e ovviamente non è detto che anche voi li
vediate così ^^):
Evelyn
Danny
Katie
(e anche per le immagini si ringrazia la dolce Linda!)
Non saprei cos'altro dire, se non ringraziarvi per la lettura,
chiedervi gentilmente (quando avete tempo) di lasciarci una recensione
positiva o negativa che sia che non potrebbe farci altro che bene, e
salutarvi! Noi torniamo il prossimo week-end con il secondo capitolo :))
Baciii,
Lalla and Leslie
PS. Vi siete accorti che abbiamo cambiato il nickname? Altro
cambiamento ;D
PPS. Come sono andati i risultati del concorso "Sarete
scrittori" per chi ha deciso di partecipare? ^^