Anche
questa va a
ribrib20. Per la
sua infinita pazienza
nel riportarmi, ogni benedetta volta, nel mondo reale. Grazie.
‡
Beautiful Novel ‡
Finalmente
un po’ d’aria.
-
NO! HERMES, BASTA COSì! –
Lily,
ma che diavolo ti prende?! Lily? LILY!
-
Non muoverò un altro passo da qui, sia chiaro! Io non mi
muovo!
–
Urlavo
a squarciagola contro il vuoto, disperatamente, anche se mi
faceva male la gola e sentivo in bocca il sapore del sangue.
Ci
trovavamo in un quartiere di Atene che non conoscevo, ma che
non doveva essere molto distante dal centro. Per fortuna era notte
fonda e in
strada non c’era nessuno, altrimenti avrei passato dei guai.
Alzai
la testa al cielo, cercando un briciolo di conforto in
quelle stelle che Milo ammirava ogni sera prima di addormentarsi, ma
non ve ne
trovai traccia. Sopra di me c’era solo una fitta coltre di
tenebre, un’oscurità
così densa che se mi ci fossi immersa ne sarei stata
inghiottita. A quanto
pareva, quella sera anche il cielo mi aveva voltato le spalle.
Che
vuol dire che non ti muovi? Non puoi stare in mezzo alla
strada con indosso l’Armatura!
Ancora
la voce di Hermes a torturare i miei poveri nervi, già
sufficientemente logorati da tutte le prove di quella notte. Anche il
dio
doveva essere piuttosto frustrato, o quantomeno esausto,
perché non aveva mai
avuto un tono così stridente.
Singhiozzai
senza lacrime prima di urlargli addosso.
-
Mio Dio Hermes, che hai fatto? Che ho fatto? – caddi a terra
sbattendo le ginocchia con violenza, ma non mi curai del dolore. Con un
gesto
fiacco mi sfilai l’elmo e mi passai una mano tra i capelli, e
solo allora le
lacrime cominciarono a scendere copiose.
Allora
mi investirono i ricordi di quella notte, e un’ennesima
piaga, profonda e pulsante, si aprì sul mio cuore
già lacerato.
Pochi
attimi prima ci trovavamo alla Clara Domus, la mia vecchia
casa.
Hermes
aveva preso pieno possesso del mio corpo, perché sosteneva
che dopo l’addio a Milo io fossi troppo sconvolta per
mantenere il controllo
della situazione.
Mio
malgrado mi ero trovata d’accordo con lui, così
avevo obbedito
senza protestare.
Sotto
forma di coscienza mi ero ripiegata su me stessa e avevo
trovato un anfratto della mia anima in cui riposare. Da lì
potevo vedere tutto
senza agire, ero come spettatrice della mia stessa vita.
Hermes
si muoveva veloce, con grazia, usava il mio corpo alla
perfezione, mortale veicolo dei suoi gesti sublimi.
Arrivammo
alla Clara Domus in un attimo, e senza esitare
penetrammo nel suo antico cuore di marmo. Trovammo Brain quasi subito,
non ci
fu nemmeno bisogno di cercarlo. Non so se lui si aspettasse una nostra
visita o
se si trattò di un incontro casuale, ma il fatto che
indossasse una vestaglia
da notte mi fece pensare che uno scontro ravvicinato con Hermes non
fosse
esattamente nei suoi piani.
Inutile
dire che i suoi scagnozzi arrivarono subito dopo, avvolti
nelle loro Armature tintinnanti e fasulle, che sfavillavano di una luce
illegittima.
Anche
loro sembravano sorpresi di vedermi.
Hermes
agì subito, senza dar loro il tempo di riaversi dalla
sorpresa.
Pronunciò un discorsetto ironico e pomposo, uno di quelli
che era solito fare,
e che le forti emozioni di quella sera mi avevano fatto scordare; poi
cominciò
a bruciare il suo Cosmo immenso.
Quei
poveri diavoli provarono a sferrare qualche attacco, ma ogni
resistenza si dimostrò vana, e dovettero presto piegarsi
alla forza impetuosa
sprigionata dal dio.
La
concentrazione di Hermes era all’apice, così come
la sua furia,
potevo percepirlo benissimo. Aprì il palmo della mano destra
e contrasse
leggermente le dita: si materializzò una sfera densa di
luce, che proiettava
riflessi ramati lungo le pareti. Di qualunque diavoleria si trattasse,
sembrava
non costare troppo sforzo al dio, che in cuor suo si rallegrava, ed io
potevo
sentirlo, di poter ottenere la sua vendetta senza nemmeno sforzarsi di
sfoderare il caduceo.
Notai
che il viso di Brain aveva perso colore, e gli occhi dei
suoi scagnozzi erano sgranati per la paura. Anche Hermes se ne accorse
e
ghignò, per poi scagliare contro di loro quel concentrato di
pura energia. Ci
fu un grido quasi disumano, poi i tre uomini scomparvero senza lasciare
traccia.
Non
realizzai subito cosa fosse accaduto. Mi sentivo frastornata,
come se mi trovassi dentro ad un sogno, o chiusa dentro ad una campana
di
vetro, ermetica al mondo.
Poi
la realtà mi colpì, improvvisa come lo scoppio di
un petardo.
Avevo
ucciso.
Sentii
un brivido scivolarmi lungo le membra,e nelle mie orecchie
si diffuse il suono sgradevole che emette il ghiaccio quando viene
perforato.
Ebbi come la sensazione che in me qualcosa si rompesse. Una crepa
nell’anima,
ecco cos’era. Una crepa che andava a poco a poco
allargandosi, trasformandosi
in un baratro.
All’improvviso
mi tornarono le forze, mi sentivo vuota e
invincibile allo stesso tempo, come una brocca che non teme di essere
rotta.
Gonfiai
la coscienza fino a che la mia anima, espandendosi, non
riuscì ad occupare lo spazio originario. Hermes
tentò di imporsi ma non ci fu
verso, ero più forte perfino di lui. Lo relegai ad un
brandello di subconscio,
poi bruciai il Cosmo, azionai le ali dei calzari e volai via da quel
posto
maledetto.
Non
pensavo di essere in grado di fare cose del genere; in
effetti, tutte le azioni che compii quella sera andavano al di
là di ogni mia
immaginazione.
Ma
quando stavo sorvolando un viottolo poco lontano dal centro la
misteriosa energia che mi aveva mosso venne meno, e
all’improvviso precipitai.
Fu
Hermes ad impedire la caduta, prendendo ancora una volta il
controllo. Ostinata, però, io mi imposi di nuovo,
rivendicando la legittima
proprietà del mio corpo e delle mie azioni.
Non
sarebbe accaduto mai più.
Nessuno
mi avrebbe più usata per fare del male.
Avevo
lasciato che gli altri manovrassero la mia volontà, che
decidessero per me, e alla fine ero diventata così passiva
da lasciare che un
omicidio si consumasse davanti a me senza che avessi il coraggio di
fare nulla.
Come
avevo fatto a cadere così in basso senza rendermene conto?
-
NO! HERMES, BASTA COSì! –urlai.
Lily,
ma che diavolo ti prende? Lily? LILY!
-
Non muoverò un altro passo da qui, sia chiaro! Io non mi
muovo!
– singhiozzai.
Che
vuol dire che non ti muovi? Non puoi stare in mezzo alla
strada con indosso l’Armatura!
-
Mio Dio, Hermes, che hai fatto? Che ho fatto? –
Caddi
in ginocchio, senza neanche trovare la forza di curarmi dei
singhiozzi che stavano trasformandosi in asma.
L’elmo
non mi lasciava respirare. Me lo sfilai dalla testa, e con
le lacrime che scorrevano senza freni lo scagliai lontano, sul selciato
pietroso. Osservai il cimiero scarlatto ondeggiare nella polvere per
poi
fermarsi, come un serpente esotico che riposa.
Il
colore di quelle piume ornamentali mi ricordò quello del
sangue, e dovetti reprimere un conato per non rimettere.
Vidi
le ali dei calzari agitarsi, segno che ancora una volta il
dio cercava di prendere il sopravvento.
Bestemmiai
mentalmente tutte le divinità che conoscevo, e di
nuovo, con uno sforzo sovrumano, sovrastai la coscienza di Hermes.
Nemmeno
ora riesco a spiegarmi come quella sera sia riuscita a tenerlo
sottomesso per tanto tempo. Ma ormai evito di chiedermelo: quella notte
le
stelle, al riparo sotto la loro coltre di nuvole, assistettero a scene
impensabili ed uniche, quasi si trattasse di pura magia.
In
quel momento, però, non riuscivo a pensare lucidamente. Il
mio
turbamento non faceva altro che crescere, assieme alla moltitudine di
domande
che mi affollava la testa. Come faceva Hermes a non comprendere
l’entità della
mia angoscia? Come poteva pensare che io fossi d’accordo con
lui, che
acconsentissi ad uccidere un uomo, per quanto meschino?
Io
pensavo che volesse limitarsi a rendere Brain innocuo, magari
cancellandogli la memoria o esiliandolo in qualche universo parallelo.
Mi
aspettavo che gli infliggesse una di quelle punizioni tipiche degli
eroi buoni,
di quelli che sconfiggono i nemici ma non li annientano.
Invece
l’aveva ucciso. Con le mie mani, poi.
Più
ci pensavo e più saliva l’indignazione, che si
trasformava
prima in rabbia e poi in frustrazione, quando realizzavo che ero troppo
piccola
e troppo debole per gestire ciò che mi stava accadendo.
Lily,
dammi retta…
-
Vaffanculo, Hermes. –
In
un attimo mi ritrovai con la faccia a terra, tutte le membra
schiacciate da una forza invisibile e un braccio piegato
all’indietro, in
maniera innaturale. Gemetti per il dolore.
Ascoltami
bene, mortale. Solo per il fatto che mi sono affezionato
alla tua stupidità, non puoi permetterti tutto. Sono
comunque un dio, portami
rispetto! A denti stretti ho sopportato che tu, per capriccio,
scagliassi via
le mie Sacre Vestigia. Ma adesso è troppo! Non osare
ingiuriarmi, Pecora! Non
osare.
Non
risposi nulla, mi limitai a tirare su con il naso. Avvertii
che la tensione che mi avvolgeva gli arti andava sciogliendosi, e anche
l’asma
andava a poco a poco svanendo.
Ora
ci teletrasportiamo dove dico io, e non azzardarti a
protestare.
Tacqui
ancora. Fu il buio attorno a me, e un istante dopo si aprì
una luce lontana. Poi di nuovo il buio.
Sognai
Milo quella notte, ma non fu un sonno lieto. Mi rovesciava
addosso il suo colpo segreto, lo Scarlet Needle, come se fossi il suo
peggior
nemico. Io non avevo ancora visto quell’attacco di persona,
ma lo sognai come
un fiotto di scintille che mi avviluppava ustionandomi.
Lentamente,
il rosso cominciò ad avvolgermi. Mi vorticava intorno
feroce, e a poco a poco il volto di Milo scomparve, inghiottito da quel
gorgo
sanguigno.
Riaprii
di colpo gli occhi, e subito fui costretta a richiuderli,
perché mi colpì un intenso mal di testa, poco
diverso da quelli che seguono
un’ubriacatura. Ironia della sorte, mi ritrovai distesa in un
letto con le
lenzuola color porpora; anche le pareti della stanza in cui mi trovavo
erano
tinteggiate di una tonalità molto scura di rosso, e come se
non bastasse dalla
finestra potevo scorgere il mare, così ingiustamente
azzurro, umido come lo sguardo
di Milo quando mi aveva vista scappare in quel modo così
vigliacco.
Andatevene
tutti al diavolo, pensai.
Come
facevo a dimenticare il Cavaliere di Scorpio, se lo vedevo in
ogni cosa? Sembrava quasi che ogni dettaglio della mia ridicola,
sciocca vita
traboccasse di lui.
Serrai
gli occhi con forza e sentii una lacrima vibrare tra le
ciglia chiuse. Sarei certamente scoppiata a piangere se una voce
sconosciuta
non avesse interrotto quel patetico attimo di autocompatimento.
-
Vedo che ti sei svegliata. Ti senti bene? –
Mi
drizzai a sedere e subito, per via delle lacrime, non potei
scorgere con esattezza i lineamenti di chi aveva parlato. Intuii
però una
figura esile e slanciata, con una macchia molto chiara in
corrispondenza dei
capelli.
Se
ne stava ritta in mezzo alla stanza, combattuta tra la
curiosità di avvicinarsi al letto e il timore di farmi una
scortesia.
Alla fine decise di mettere
da parte l’imbarazzo, e camminando in maniera piuttosto
impacciata arrivò fino
al mio letto e si sedette sulla sponda. Aveva un modo bizzarro di stare
seduto:
la schiena leggermente sbilanciata all’indietro, le braccia
tese a sostenere il
peso del corpo e le gambe lunghe distese davanti a sé.
Era
così alto che si comportava come se non sapesse dove
mettersi
per non dare fastidio, e le fattezze del suo corpo lo mettevano
chiaramente a
disagio. Provai per quello sconosciuto un moto improvviso di
comprensione e
simpatia.
Quando
mi chiese ancora una volta se stavo bene, mi pulii gli
occhi con il dorso della mano per scrutarlo meglio in viso.
I
capelli luminosi e lisci incorniciavano un ovale diafano, in cui
erano incastonati due occhi plumbei, di madreperla. Il cromatismo di
quel viso
era straordinario, delicato e indelebile allo stesso tempo.
Il
naso era elegante e ben proporzionato, le labbra piccole ma
piene. Aveva dei lineamenti soavi, quasi femminili dopotutto, ma la
voce con
cui mi aveva parlato, per quanto argentina, era senza dubbio quella di
un uomo.
Arrivai
a dubitare seriamente della sua sessualità quando scorsi
una traccia di rimmel sulle ciglia, già nere e folte per
loro natura. Non che
avessi dei pregiudizi, per carità, ma
quell’individuo era una contraddizione
continua. Dire che fosse stravagante era niente.
-
Chi sei? – chiesi allora, completamente dimentica
dell’educazione
e delle domande che mi aveva rivolto poco fa.
Quel
tipo destava la mia curiosità molto più del posto
in cui mi
trovavo, per quanto anch’esso fosse piuttosto stravagante.
La
creatura davanti a me parve colpita, sgranò per un attimo
gli
occhioni perlacei e infine sorrise, dando mostra di una perfetta fila
di denti
piccoli e lucidi.
-
Il mio nome è Richard, ora ti trovi a casa mia.
E…beh, in teoria
sono tuo figlio.- rispose candidamente.
-
E in teoria ti sbagli, perché non è possibile.-
risi io, completamente
convinta che si trattasse di uno sciroccato.
-
In effetti non sono proprio figlio tuo. Hermes è mio padre,
tutto qui. –
A
sentire il nome di Hermes mi rabbuiai.
Richard
dovette accorgersene, e si affrettò a dire:
-
Oh, non preoccuparti. Il divino Hermes sta riposando ora, era
molto stanco. Il suo Cosmo è appena stato risvegliato e si
è già trovato
costretto ad abusarne. –
Annuii
meccanicamente, appena rinfrancata dal pensiero che per un
po’ il dio non avrebbe interferito con i miei pensieri. Dopo
quello che era
successo lo sentivo come un traditore, un corpo estraneo che desideravo
espellere il prima possibile.
-
E così, tu saresti Lily. –
Annuii
ancora. Non avevo alcuna voglia di intavolare una
conversazione con quell’insolita creatura, ma le circostanza
non mi
permettevano di essere scortese. E a dirla tutta, avevo bisogno di
distrarmi
dal pensiero di Milo e degli altri Gold Saints.
Mi
resi conto solo in quel momento di non averli nemmeno salutati
tutti. Aldebaran mi avrebbe uccisa, se fossi tornata senza una scusa
decente.
-
Non sapevo che Hermes avesse figli – mugugnai con la voce un
po’
roca, anche se mi sforzavo in tutti i modi di risultare amichevole.
-
Il fatto è che non va molto fiero di questa cosa. Comunque,
oltre a me ha messo al mondo altri due disgraziati. Per rispondere ai
tuoi
interrogativi sul mio aspetto, io sono la reincarnazione di
Ermafrodito.-
Inarcai
un sopracciglio, scettica.
-
Ermafrodito, figlio di Hermes e di Afrodite. –
Benissimo,
ora lo conoscevo. Peccato che la cosa non mi
interessasse quasi per niente. Ma lui continuò, imperterrito:
-
Ho ereditato da mio padre la scaltrezza e l’intelligenza, i
miei
pregi migliori. Da mia madre, invece, ho preso tutte le debolezze.
-
Davvero? – domandai. Va bene che di lui non mi importava
nulla,
ma un po’ di curiosità non mi avrebbe certo fatto
male.
In
risposta Richard mi sorrise, malizioso, eppure in qualche modo
sincero.
-
Vedo che la nostra conversazione comincia ad interessarti, mia
cara. E’ proprio vero che la curiosità
è donna! –
-
E’ solo cortesia. – mentii.
-
Ah, ingenua e bugiarda. Ora capisco perché mio padre ha
scelto
di reincarnarsi in te, è una mescolanza di
qualità che lo diverte molto. E non
nego che affascina anche me.-
-
Quando Hermes si è reincarnato in me non poteva certo
prevedere
quale sarebbe diventato il mio carattere – replicai,
vagamente risentita.
Richard
inclinò appena un angolo della sua bocca delicata in una
smorfia che poteva sembrare un ghigno. In quell’istante le
sue labbra mi
sembrarono petali sgualciti, i suoi occhi scrigni di vetro vuotati del
contenuto. Era dotato di una bellezza innaturale ed inspiegabile, il
suo volto
era un componimento di parole vuote ma dolcissime. Non riuscivo a
smettere di
contemplarlo.
-
Ho ereditato da mia madre la capacità di amare. –
continuò,
riprendendo il discorso da dove era stato interrotto.
-
E perché sarebbe una debolezza? – domandai,
convinta di non
voler conoscere davvero la risposta.
-
Lo è, quando ami il Creato e l’Amore sopra ogni
cosa. –
-
Quindi vuoi dirmi che tu…ami l’amore? –
-
Amo l’amore, e non solo. –
-
Senti, ho avuto una serataccia. Ho un mal di testa terribile, mi
sono svegliata in un posto che non ho mai visto e sto conversando da
parecchi
minuti con una persona che non conosco. Puoi, per pietà,
farmi il favore di
risparmiarmi queste rispostine enigmatiche? –
Una
vaga smorfia di delusione deformò il volto del mio
interlocutore, appena un attimo, poi su quei lineamenti perfetti
tornò la pace.
-
Ti credevo un’entusiasta. E’ un peccato che la mia
esibizione da
vate sibillino non ti sia piaciuta. –
-
Sono cose che mi danno i nervi. – stavolta sorrisi,
sinceramente
cordiale: Richard cominciava a starmi simpatico.
-
Ad ogni modo – continuò – quello che
stavo cercando di dirti è
che anch’io, pur essendo figlio di Afrodite, sacerdote
dell’Amore e devoto ad
Eros più che a mia madre stessa, ebbene, anche io mi sono
innamorato, e di una
donna, una soltanto. –
-
Oh. – sussurrai appena, rapita più
dall’enfasi con cui Richard
raccontava che dalla storia stessa.
-
A dire la verità non era proprio una donna,era una ninfa. Si
chiamava Salmace, ed era bellissima. Aveva dita sottili, e labbra rosse
come le
ciliegie. Come ti ho già detto, me ne innamorai
perdutamente.-
Qui
Richard si fermò a prendere fiato, passandosi una mano tra i
capelli. Lo sguardo perso nella memoria e la malinconia della sua
espressione
avrebbero dovuto obbligarmi ad un rispettoso silenzio, ma la
curiosità di
conoscere la fine della storia era così tanta che mi
ritrovai a sfiorargli un
braccio, senza pensare, con l’attesa dipinta in volto.
-
Amai lei. – riprese lui – Solo lei, lei e basta.
L’amai di
giorno, di notte, nel corpo e nell’anima. L’amore
che per natura provavo verso
il resto del mondo non era affatto diminuito, e questo era curioso, ma
ciò che
provavo per Salmace era un sentimento che andava oltre, trascendeva
regole e
obblighi. –
Il
mio interlocutore fece una nuova pausa, seppur breve, per
leccarsi le labbra riarse. Era di una lentezza sfibrante.
-
Quando il mio cuore fu così pieno d’amore che
pensavo sarebbe
esploso, il Fato ci colpì sotto forma di dèi
capricciosi.-
Annuii.
Dèi capricciosi. Ne sapevo qualcosa.
-
Erano invidiosi del nostro amore, e quando chiedemmo loro di
restare uniti per sempre ci presero in parola. Saldarono insieme le
nostre
membra, con il preciso intento di farci il peggiore dei torti. Ma non
sanno che
da quel momento il nostro amore non fece che crescere, e anzi,
benedimmo
quell’unione che ci rendeva tanto vicini da non poter
più distinguere dove
finissi io e dove iniziasse lei.-
-
Vuoi dire che gli dèi hanno fuso i vostri due corpi?
–
-
Tanto che adesso non è più possibile distinguere
il mio sesso da
quello di Salmace, proprio così. –
-
Ma è abominevole. –
-
Da fuori lo può sembrare, e così sperarono gli
dèi invidiosi.
Invece da quel momento il nostro sentimento è completo.-
La
leggenda di Ermafrodito, la creatura senza sesso.
Colui
a cui avevo sempre pensato come ad un errore, un aborto
della natura, ora si rivelava essere la più alta espressione
d’amore.
Amore
senza confini, amore senza giudizio, amore senza paura.
Da
quella creatura avrei imparato molto più di quel che pensavo.
A
quel punto mi sembrò doveroso chiedergli perché
aveva deciso di
raccontarmi una storia tanto intima.
-
Perché nel tuo amore ho intravisto l’ombra del mio
– rispose – e
voglio aiutarti. E perché mio padre ha dimenticato da troppo
tempo qual è il
vero sapore dei sentimenti. E’ ora che ricordi, e spero nel
tuo sostegno.-
Non
feci altre domande, perché mi sembrava che quelle parole
sgorgassero da una ferita interiore molto antica, ma ancora pulsante e
viva.
-
Dimmi cosa devo fare, Richard. Come posso insegnargli ad amare?
–
-
Non devi insegnargli – precisò lui –
devi aiutarlo a ricordare.
Non sarà difficile, la sola cosa che ti chiedo è
di ritornare ad uno stato
primordiale.-
-
Scusa ma non capisco… - farfugliai.
-
Come chi ha appena imparato a parlare, devi descrivergli ciò
che
senti, vedi, desideri e speri.-
-
Non credo proprio che sarà sufficiente.- replicai, piuttosto
scettica.
-
Sì, se sarai sincera. Il suo cuore non è ancora
del tutto
impermeabile ai sentimenti. Capirà, vedrai.-
Detto
questo, Richard mi congedò con un timido inchino. Disse che
aveva la sensazione che molto presto Hermes si sarebbe svegliato, e
temeva che potesse
scoprire i nostri piani, mandandoli all’aria.
Rimasta
sola, cominciai ad esplorare un po’ la stanza in cui mi
trovavo. Era a pianta rettangolare, con le pareti di un insolito color
porpora;
anche le lunghe tende erano della stessa tonalità di rosso,
perciò non c’era da
stupirsi se quando mi ero svegliata la prima cosa che mi era balzata
agli occhi
era stata quella tinta inusuale.
Ora
che me ne accorgevo, però, anche l’arredamento non
aveva nulla
di ordinario. Soprammobili dal design moderno erano affiancati in
maniera
stridente ad antichi ornamenti di stampo orientale, mentre un camino
decorato
in marmo verde dava lugubre mostra delle sue ceneri spente in un angolo
della
sala.
Quattro
semicolonne sottili definivano
l’architettura dell’intera stanza, che aveva un
soffitto molto alto e terminava
con una volta a crociera. Notai che, all’interno della volta,
le quattro
lunette delimitate dai costoloni erano decorate con un ciclo di
affreschi,
mentre nelle vele, poco più piccole, potevo scorgere dei
bassorilievi che
raffiguravano dei falli.
Imparai
dopo che quello era il simbolo di Hermes, ma sul momento
preferii non farmi domande.
Non
feci in tempo a interessarmi del contenuto degli affreschi,
perché la mia attenzione fu catturata da un’enorme
libreria che prima non avevo
notato.
Avevo
delle conoscenze di filologia molto essenziali, ma sapevo
certamente riconoscere quando un tomo era antico; e sono sicura che in
quella
biblioteca fossero racchiuse opere rarissime, in edizioni che
risalivano ai
primi anni dell’Umanesimo. Ero affascinata.
Senza
pensarci, presi in mano una copia de “La Gerusalemme
Liberata”.
Sopra la pergamena della copertina, annerita dal tempo, era posta
un’etichetta
sicuramente moderna, su cui erano appuntate le cifre 1581.
Ingenuamente, per
prima cosa pensai che si trattasse del prezzo.
Non
è il prezzo, stupida. E’ l’anno della
prima edizione
integrale, e tu sei pregata di mettere a posto quel tomo prima di
disintegrarlo. Non puoi nemmeno immaginarne il valore.
Rabbrividii,
mentre due pensieri mi folgorarono: stavo toccando un
tomo raro, il cui valore superava il mio peso in oro. Wow.
La
seconda cosa che pensai fu che Hermes si era svegliato davvero
di pessimo umore. Per riuscire a combinare qualcosa di buono con lui
avrei
dovuto fare appello a tutta la mia pazienza.
Appoggiai
il tomo su un tavolino di vetro, poi mi avvicinai a
grandi passi verso uno specchio che prima non avevo notato.
Hey,
Pecora! Rimettilo subito dov’era!
Ignorai
gli strepitii di Hermes, che giudicai piuttosto come una
richiesta di attenzioni, e cominciai a scrutare l’immagine
che mi restituiva lo
specchio.
Ero
sempre io, né più grassa né
più magra, alta esattamente come
prima. L’unica differenza con la Lily
di qualche giorno fa erano solo le occhiaie più marcate
e il colorito insano della pelle e dei capelli. Ma per il resto non ero
assolutamente cambiata.
Non
nego la delusione che provai per questo.
Andiamo,
avevo fatto una scelta importante, il cuore mi si era
spaccato a metà, stavo dando una svolta radicale alla mia
vita e mi sembrava
doveroso, da parte del mio corpo, cambiare in base alle mie esigenze.
Non so,
speravo di avere gli occhi più luminosi, le spalle
più ampie…un cambiamento, di
qualsiasi tipo. E invece niente.
Ti
conviene lavarti. In fondo alla stanza c’è una
tenda, e dietro
quella una vasca. Dentro uno scrigno troverai un olio a base di
ambrosia, usa
quello, diventerai più bella. Anche se per
un miracolo così mi chiedo se l’ambrosia sia
sufficiente…
Sempre
più ostinata ad ignorare ogni tipo di provocazione mi recai
verso la tenda indicatami dal dio. Mi ritrovai a sorridere,
perché nonostante
l’assurdità della situazione il pensiero di una
doccia rigenerante non poteva
che mettermi di buonumore.
Dopo
la doccia, mi ero vestita con una tunica bianca, semplice ma
preziosa, che Richard aveva lasciato sul letto assieme ad alcuni
bracciali
dorati e un nastro per i capelli. Mi guardai allo specchio
così agghindata, non
ero niente male! Sembravo completamente rinata, l’ambrosia
faceva davvero
miracoli.
Trovai
in un angolo della stanza una sacca contenente alcuni
medicinali, un cappello dalla tesa molto larga e qualche altro oggetto
strano
che non identificai. Ripiegato sul tavolo di vetro c’erano
anche un mantello
dall’ampio cappuccio e una sciarpa blu.
Mi
sfuggì un risolino entusiasta: Richard non aveva lasciato
niente al caso, non c’era un dettaglio che potesse andare
storto.
Qui
c’è qualcosa che mi puzza. Cosa diavolo stai
tramando?
Il
mondo reale era scomparso, e un mondo onirico aveva preso il
suo posto. Lo scenario della nostra battaglia sarebbe stato quello,
dunque.
-
Non voglio nasconderti niente, Hermes. Torno al Santuario di
Athena, voglio dire a Milo che lo amo e che sono stata
un’idiota. –
Tu
sei impazzita. Mi sembrava che ne avessimo già parlato.
-
Il fatto è che nel profondo del mio cuore non ho avuto il
coraggio di contraddirti. –
Ma
che…? Pensavo che non volessi metterlo in pericolo, Lily!
Credevo che le mie ragioni fossero abbastanza valide!
-
Le ragioni del cuore lo sono di più! –
“Le
ragioni del cuore”, ma certo. Hai incontrato quella checca di
mio figlio, vero? E’ stato lui ad infilarti in testa certe
idee! Se lo prendo,
per Zeus…
-
Richard non c’entra niente! L’idea di tornare al
Santuario è
solo mia. E tra parentesi, è una persona eccezionale ed
intelligente. Non
dovresti darlo così per scontato. –
Talmente
intelligente che ora si ritrova fuso con una sgualdrina.
-
Quella che tu chiami sgualdrina è la donna che lui ama!-
Sì,
certo, certo. Dunque questo stupido atto di ribellione sarebbe
un’idea tua, eh?
-
Proprio così. –
Va
bene, allora...tu ami Milo, non è così?
-
Sì. –
Però
l’hai lasciato solo.
-
Contro la mia volontà.-
Se
l’avessi amato davvero saresti rimasta con lui.
-
Lo so. E’ per questo che voglio tornare al Santuario.
–
E
una volta al Santuario, cosa farai?
-
Gli dirò quanto lo amo. -
Ma
non è la verità, Lily. Senza di lui mangi, dormi
e respiri
comunque. La vita ti è cara anche se lui non
c’è, il pensiero di togliertela
per amore non ti ha mai nemmeno sfiorata. Non è vero che lo
ami, sei diventata
bugiarda anche tu.
-
Sei tu che menti, Hermes, e lo sai. Il mio sentimento non è
una
bella veste, non è una ferita da mostrare con orgoglio.
E’ uno scorrere
impetuoso, un gorgo ardente, un desiderio intimo. E’ segreto,
è sacro, è
nostro. –
Sei
solo una Pecora che vomita luoghi comuni.
-
Ma non lo vedi il mio amore, tu che vivi in me? -
Non
vedo proprio niente.
-
Allora sei cieco, oltre che bugiardo. -
Stai
diventando patetica.
-
Amo Milo. Amo il rumore dei suoi passi sul marmo del tempio, amo
ogni singola cosa che mi ha insegnato; amo il modo in cui le sue mani
mi
sfiorano mentre camminiamo, amo tutte le parole che non mi ha detto;
amo il
suono del suo nome, amo il modo in cui i suoi occhi luccicano mentre
facciamo
l’amore; amo il suo profumo, amo i momenti in cui i nostri
sguardi si
incrociano, amo tutto ciò che vede quando guarda lontano. Io
lo amo, e se tu
non sei disposto ad accettarlo sei un vigliacco. Tu, che sei fuggito
dall’amore, ora fuggi via da me, perché io ho
deciso di arrendermi, di
arrendermi a Milo, e se tu non sei d’accordo sigillati in me,
chiudi la tua
coscienza per non aprirla mai più, lascia che la tua stella
si spenga e che
tutte le persone che ti sono care si dimentichino di te. Va’
via, vincitore,
colpevole di non aver avuto il coraggio di accettare la resa. -
Il
mondo onirico in cui mi ero trovata immersa si dileguò, e mi
ritrovai supina sul letto dalle lenzuola color porpora.
Il
mio petto si alzava e abbassava a scatti irregolari, scosso dai
singhiozzi, e gli occhi erano talmente incrostati di lacrime che
faticavo ad
aprirli; sulla tempia una vena mi pulsava dolorosamente.
Sentivo
una mano tremante accarezzarmi i capelli con una dolcezza
insicura, come se volesse consolarmi ma fosse trattenuta da qualche
timore. La
discussione con Hermes doveva essere stata terrificante a vedersi, se
perfino
il calmissimo Richard versava in quello stato di panico.
Con
uno sforzo eroico aprii totalmente gli occhi e mi sollevai.
Vedere che la stanza era in condizioni disastrose, con i vetri
infranti, i
soprammobili a pezzi e qualche buco nel muro non mi stupì
più di tanto. Del
resto, durante il nostro confronto avevo percepito il Cosmo del dio
ribollire
di sdegno e rabbia, soprattutto alla fine. Era ovvio che sarebbe
esploso,
dovevo aspettarmelo.
Mi
alzai in piedi e cominciai ad aggirarmi per la stanza, sotto lo
sguardo preoccupato di Richard.
Mi
sentivo dentro un tenue sentimento di trionfo, come uno squillo
di tromba suonato a basso volume.
Mi
fermai di fronte al grande specchio, spaccato in una raggiera
di frammenti dal divampare del Cosmo divino.
Al
mio timido sguardo di vittoria Hermes ne sovrappose uno ferito,
furibondo. Il vetro mi restituiva l’immagine di un ragazzo
dai capelli
arruffati, le spalle esili, le gote pallide e i polsi sottili.
Hermes
non mi sembrava più imponente, la sua figura non mi
incuteva più il timore di un tempo. Eravamo alla pari,
adesso.
-
Ti odio – sibilò, ma per un secondo mi
sembrò di cogliere nel
suo sguardo una scintilla di divertimento e approvazione.
-
Odio te e le tue lacrime dannatamente giuste.- disse poi, a voce
più alta.
-
Avanti, adesso renditi presentabile, che dobbiamo andare. –
mi
intimò poi, infastidito dal mio silenzio.
-
Andare dove? –
-
Al Santuario di Athena, stupida. Sarò anche il signore degli
ingannatori, ma so riconoscere una sconfitta. E poi, è
arrivato il momento di
fare le cose come vanno fatte. –
Lanciai
un gridolino di vittoria, che lui smorzò subito con una
frase del tipo “Altrimenti chissà quanto frignerai
ancora!”.
Lo
stesso mi esibii nel più radioso dei miei sorrisi, cosa che
non
facevo veramente da tanto tempo, e so che anche Hermes fu tentato di
imitarmi.
Ma non lo fece, il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di
piegarsi anche
a questo.
Ce
l’avevo fatta, avevo sconfitto me stessa, il nemico
più grande.
La
ruota cominciava a girare, finalmente.
Alloraalloraallora?
Si capisce
bene? Com’è venuto? Atrocemente noioso? Roba da
maledirmi dopo due righe? *ansia!*
Cooomunque,
scusate il ritardo!
Sono un’animale, c’è poco da dire.
Vi
giuro però che non credevo
fossero già passati mesi dall’ultima volta che
avevo pubblicato! ( è meglio che
prenoti una visita neurologica, ne sono consapevole!
ç_ç)
Passiamo
ai DOVEROSI
ringraziamenti:
Ribrib20:
Niente rosa, per carità. Non volevo, giuro, ma per un
avvoltoio
mi sembrava un colore simpatico! XD Vada per il corvaccio nero, allora!
:D Come
vedi il capitolo è finalmente qui, non era proprio il caso
di perdere altro
tempo! Come ti sembra? E’ troppo complicato, anche a livello
di struttura e di
stile? Lily e gli altri sono odiosi e pallosi presi da soli?
E’ una sgradevole
sensazione che non riesco a levarmi di dosso! .-. Ormai non riesco
più a
trovare il modo di ringraziarti senza sembrare una disgustosa lecchina,
ma tu
sai quanto il tuo aiuto sia prezioso! J
Tsukuyomi:
Ciao! :D Ci hai visto giusto, direi. Hermes ha un passato molto
interessante che non tarderà ad emergere (
cercherò di inserire qualche spunto
originale senza allontanarmi troppo dal mito originale), e Lily deve
solo
svegliarsi. Ha tanto potenziale, ma lo scoprirà solo strada
facendo. Come ti
sembra questo passo verso il cambiamento? Banale, scontato? Oddio, mi
sento una
di quelle insostenibili madri ansiose! D: Grazie per aver seguito
questa storia
fino a qua, con i miei insopportabili alti e bassi! Spero che questo
capitolo
non ti deluda! ^_^
LoVe_PeAcE:
Ciao, che piacere sentirti! ;) Come vedi, Hermes aveva qualcosa
di nascosto, ma la verità non è ancora venuta del
tutto a galla! Dal prossimo
capitolo dovremmo avere anzi un po’ d’azione, spero
che la cosa non ti
dispiaccia! :D Grazie tante per la recensione, sei stata davvero molto
carina!
LadyVirgo:
Ciao! Mi dispiace tanto, ma alla fine quella fifona di Lily se
l’è svignata senza nemmeno salutare tutti i Saint!
Ma se tornerà al Santuario,
penso che qualcuno non gliela farà passare liscia! ;) Sono
veramente felice che
la mia storia ti emozioni, non sai che piacere! J
anche per te, vale lo stesso discorso: dimmi
assolutamente cos’hai trovato pesante o malfatto in questo
cap, perché non mi
convince! .-. Grazie ancora per la recensione!
Grazie
infinite anche a chi ha
letto questa storia fino a qui e chi l’ha inserita tra le
seguite o le
preferite! *scodinzola*
Ciao
Hitsu! :D
Un
bacio
stan
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