Responsabilità
1
novembre 1981.
“Hai
saputo?” L'uomo non diede segno di aver ascoltato la
domanda. Trascinò la poltrona su cui sedeva, avvicinandosi al
fuoco. Allungò le mani, strofinandole con gesti lenti. La loro
ombra iniziò a danzare alla luce calda delle fiamme. “Fa
freddo, oggi. Non riesco a scaldarmi.” “Papà.” “C'è
qualcuno che non ha saputo?” “Non ho bisogno
della tua ironia.” “E io non ho bisogno che mi
ricordi che mio nipote sta per finire ad Azkaban.” Pollux Black
osservò una sottile voluta di fumo azzurrognolo uscire dalla
sua vecchia pipa. Sul legno era inciso il motto di famiglia, vergato
dai suoi antenati. Walburga Black si scostò dallo stipite
della porta. Mentre si avvicinava al camino, ricordò i
giorni in cui, da bambina, entrava in quella stanza. Erano trascorsi
quasi cinquant'anni, ma i mobili imponenti, le pareti rivestite di
legno e le ombre disegnate dalle fiamme erano gli stessi di
allora. Solo suo padre, nascosto dallo schienale rivestito di
velluto, era cambiato: era ancora capace di incuterle soggezione, ma
quell'aura di intoccabile severità si era affievolita. Ormai
trascorreva la maggior parte del suo tempo a leggere o fumare, e
centellinava le apparizioni in pubblico. I suoi capelli erano
diventati candidi, e le mani, un tempo affusolate e sicure, erano
nodose, a tratti esitanti. A sessantanove anni, aveva lasciato le
redini della famiglia in mano ai figli, e non sembrava rimpiangere la
propria decisione. Walburga si lasciò cadere sul vecchio e
scomodo divano, concedendosi un sospiro. L'espressione risoluta, che
solitamente sfoggiava con orgoglio, si era trasformata in una
maschera che le irrigidiva il volto. “Cosa devo fare?”
Mentre la pronunciava, non sapeva se quella domanda fosse rivolta al
padre o piuttosto a se stessa. “Stai chiedendo a me cosa
devi fare?” Pollux spostò lo sguardo sulla figura che
gli stava di fronte. “Pensavo che fossi diventata
adulta.” “Papà, per favore.” Walburga non
riuscì a nascondere la sfumatura d'urgenza della propria voce,
e si rimproverò per quella debolezza. “Se proprio ci
tieni, ti darò un consiglio.” “Sono venuta per
questo,” ammise, con riluttanza. Pollux non era cambiato,
almeno in quello: continuava a dispensare il suo aiuto con
parsimonia, e provava un sottile piacere nel farsi pregare. “Vai
ad Azkaban, corrompi chi dev'essere corrotto e tiralo fuori,”
sentenziò il padre, freddamente. “Cosa?” “Non
fare la finta tonta, hai capito benissimo,” rispose. “Fallo
liberare, e portalo qui. Poi decideremo come comportarci.” “Credi
che sarebbe semplice? Voldemort è caduto, l'hai dimenticato?
Il Ministero è nel caos, i nostri contatti non servono più.
Nessuno sarà disposto ad ascoltare dei Purosangue, in questo
momento.” Walburga fece una breve pausa, per raccogliere le
parole. “Nessuno sarà così stupido da farsi
corrompere. Chi era dalla parte di Voldemort non ha niente da temere.
Sono tutti troppo felici, troppo stupidi. Crederanno a qualsiasi
storiella sulla maledizione Imperius, e tanti non vedranno la
prigione neanche da lontano.” “Si trova sempre
qualcuno che ha bisogno di soldi.” Pollux appoggiò la
pipa, ormai spenta. “E ti ricordo che c'è un motivo per
cui ho insistito sulla necessità di rimanere neutrali. Saremo
anche degli spregevoli Purosangue, ma non abbiamo mai sostenuto
apertamente Voldemort. Nessuno potrà negarlo.” “Regulus...”
La donna esitò. Pronunciare il nome del figlio minore le
faceva ancora bruciare gli occhi, di tanto in tanto. In quel momento
di particolare debolezza, lottò per impedire alle lacrime di
fuoriuscire. “Nessuno si ricorda più di Regulus. Era
solo un ragazzino troppo stupido per capire quello che faceva. Ha
tentato di scappare, in ogni caso. Si può solo provare pena
per lui.” Le labbra di Pollux si piegarono in una
smorfia. Regulus era sempre stato il suo nipote prediletto, e
avevano trascorso numerosi pomeriggi in quella stessa
stanza. Ricordava bene quel bambino calmo, introverso, che lo
scrutava con un misto di timore reverenziale e curiosità. Gli
poneva molte domande, e di tanto in tanto riusciva a strappargli un
sorriso divertito. Gli piaceva giocare con gli scacchi magici, e
l'aveva tenuto impegnato in interminabili partite davanti al fuoco.
Poi era cresciuto, troppo in fretta per poterlo fermare, e si era
fatto ammazzare. Prima un Mangiamorte, poi un codardo in fuga. Una
lapide spoglia, e neanche un corpo a cui portare un fiore. Scosse
il capo, nel tentativo di allontanare quei pensieri. “Sirius
non fa più parte di questa famiglia, ormai. Perché
dovremmo esporci per aiutarlo? La nostra reputazione non ne trarrebbe
vantaggio, anzi.” “Sirius rimarrà sempre un
Black, agli occhi degli altri. Non puoi negarlo, Walburga. Lui è
uno di noi. Come Marius. Come Andromeda. Non puoi andare a prendere
un tè da quelle oche che chiami amiche senza che casualmente
ti chiedano di uno di loro, o sbaglio? Nascondi
una macchia, e il mondo immaginerà il peggio.” “Ti
diverti a vedermi in difficoltà. L'hai sempre fatto,”
ribatté Walburga, bruscamente. “Ho solo fatto in
modo che imparassi dai tuoi errori. Spero che non commetterai
l'ennesimo, lasciando l'unico figlio che ti è rimasto a
marcire in una cella. Devi aiutarlo.” La risata amara della
donna lo investì. “Come lui ha aiutato noi. Finendo a
Grifondoro, disonorando il suo cognome, facendo amicizia con i
babbani, persino con quel lurido Mezzogigante! Abbandonandoci, senza
il minimo rimorso...” pronunciò le ultime parole a
fatica, mentre sentiva il respiro diventare più
affannoso. “Sirius non ha il mio affetto, e tanto meno la
mia stima. Lo disprezzo, e disprezzo la gente di cui si è
sempre circondato. Ma adesso bisogna pensare alla nostra famiglia, o
a quel che ne è rimasto. Lo manderemo dove i miei genitori
avevano mandato Marius.” Corrugò la fronte. Non aveva
notizie del fratello da più di mezzo secolo, ma non aveva
dimenticato l'espressione sul quel viso di undicenne. Calma, quasi
serena, consapevole di un destino da reietto. Prima che la madre
lo trascinasse via con sé, oltre la soglia di casa, Marius
aveva rivolto lo sguardo verso di lui, il fratello maggiore. Pollux
aveva percepito con chiarezza una morsa dolorosa annodargli lo
stomaco. Era solo riuscito ad alzare la mano, in un esitante gesto di
saluto, prima di voltarsi e rientrare. Marius non aveva parlato,
ed era sparito nella luce di un'estate morente. “Era una
situazione diversa. Zio Marius era un Magonò, ed ha accettato
di sparire...” “Aveva undici anni,” la
interruppe Pollux, quasi con rabbia. “Non ha accettato
di sparire.” “Avrebbe
potuto tornare, ma non l'ha fatto. Sirius mi riderebbe in faccia, se
gli proponessi di fargli lasciare Azkaban.” “Nessuno è
così pazzo da non voler lasciare Azkaban.” “Lui
lo è!” All'improvviso,
la voce di Walburga si trasformò in un grido. “Sarebbe
anche disposto a rimanere lì dentro per l'eternità, pur
di non accettare il mio aiuto!” “Walburga.” “Non
ci provare, papà,” lo prevenne lei. “Sirius è
mio figlio, e non puoi
comportarti come se fosse un particolare insignificante. Rimarrà
in prigione, e per quanto mi riguarda è già morto.”
Si alzò, lanciandogli un'occhiata furente. Pollux sollevò
la mano, in un gesto di resa. “Non capisco perché hai
voluto incontrarmi, se non hai nemmeno intenzione di considerare la
mia idea. Comunque hai la mia parola, non mi intrometterò
più.” “Ora devo andare.” “Quando
capirai di aver sbagliato, potrai incolpare solo te stessa. Spero che
il peso di questa responsabilità non ti distrugga.” “Questa
discussione è finita, per quanto mi riguarda.” Abbassò
la maniglia, che scricchiolò rumorosamente. “Buona
giornata, papà.” Si chiuse la porta alle spalle, e
nello studio tornò un silenzio opprimente. Pollux scosse il
capo, osservando le braci incandescenti nel camino. Pensò a
Sirius, e al gelo delle celle di Azkaban.
*
* * * *
NOTE
Secondo
il Lexicon, Pollux Black, padre di Walburga, è morto nel 1990.
Di conseguenza era ancora vivo e vegeto, quando il nipote è
stato mandato ad Azkaban: ho provato semplicemente ad immaginare una
sua reazione alla notizia. Marius, cancellato dall'albero dei
Black perché era un Magonò, era appunto suo
fratello. Questa storia partecipa al contest “Perché
vecchio è meglio”, di LazioNelCuore1711, sul forum
di EFP. Si poteva usare una citazione libera, e ho scelto “Conceal
a flaw, and the world will imagine the worst” (frase di
Marziale che ho trovato vagando su un sito inglese... l'ho tradotta
in italiano, probabilmente in modo penoso e piuttosto liberamente
^^').
Commenti
e critiche sono bene accetti, come sempre!
Alla
prossima, Flea.
Grammatica 15/15 Perfetta, non ho trovato alcun errore!
Lessico e Stile 9.45/10
Soltanto due piccoli accorgimenti:
Prima che la madre lo trascinasse via con sé, oltre la soglia di casa, Marius aveva rivolto lo sguardo verso di lui, il fratello maggiore.
Pollux (sarebbe migliore non andare a capo, stai continuando a narrare la stessa vicenda -0.25) aveva percepito con chiarezza una morsa dolorosa annodargli lo stomaco.
“Sirius è mio figlio, e (accettata stilisticamente solo in alcuni casi ove sia necessaria più enfasi, tuttavia qui un po’ ridondante -0.10) non puoi comportarti come se fosse un particolare insignificante.
“Sirius non ha il mio affetto, e tanto meno la mia stima. Lo disprezzo, e disprezzo (ripetizione forse stilistica, ma suonerebbe meglio senza -0.25) la gente di cui si è sempre circondato.
Lo stile che hai scelto di utilizzare è fluido e scorrevole, essendo la tua storia incentrata su un dialogo padre-figlia, quindi la lettura non crea problemi di alcun tipo. Piccola notazione (su cui non ho voluto togliere punti): non mi è piaciuto l’utilizzo di “braci” nell’ultima frase… è un po’ artificioso, avrebbe funzionato meglio “tizzoni” o “ceneri”, non so…
Caratterizzazione 8.5/10
Il personaggio di Pollux Black è ben caratterizzato, rappresenta bene il carattere della famiglia Black: sopra ogni suo valore c’è l’alto nome della casata. Il modo con cui tratta i suoi parenti è quasi quello di un capofamiglia ottocentesco: pacato ma autoritario, vigile ma comprensivo. Per essere un personaggio a malapena citato nell’arazzo di famiglia Black, ne hai dato un ottimo ritratto: complimenti! Ciò che non mi convince, purtroppo, è il personaggio di Walburga: è eccessivamente sottomesso e insicuro per essere la stessa donna autoritaria, arrogante e fastidiosa che è ritratta a Grimmauld Palace. Inoltre cambia opinione decisamente troppo rapidamente, senza un motivo abbastanza chiaro: è intrappolata in un vortice di pensieri, sembra solo attendere il giudizio di suo padre per contraddirlo… decisamente poco coerente con la descrizione della madre-padrona che ci dà Sirius nel 5° libro.
Punti bonus: 5/5 suddivisi in:
1 Prompt -> viene citato sia come titolo sia nella storia
2 Citazione -> ben inserita e coerente con il testo
2 Coppia -> ottima scelta del ‘passo a due’ padre-figlia, non sempre una coppia dev’essere di amanti!
Gradimento personale 4/5
L’idea è indubbiamente originale e ben strutturata e ho apprezzato molto il paragone tra i due reietti della famiglia, Marius e Sirius. Tuttavia avrei apprezzato molto di più una Walburga IC, ritratta nell’odio profondo verso il figlio che ha voltato le spalle alla sua famiglia… magari il confronto con un Pollux ragionevole e calmo sarebbe stato più interessante.
Totale 41.95/45 Voto--> 9.3
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