*
< Nec diu nec noctu
licet
Iudices quiescant >
*
1.
Non era mai stato così vicino a credere a un sogno. Di
solito i sogni non lo interessavano, eppure, in quel momento, lei
sembrava reale.
- Sei un sogno?
- Secondo te?
Si fece ancora più vicina. Emergeva fresca e splendente dal
fondo scuro della stanza illuminata solo da un debole tepore di luna.
- Sei proprio tu? - deglutì, piano, il Giudice. Aveva la
gola secca.
- Secondo te?
Si avvicinò, sorridendo del sorriso vago e maligno che hanno
le statue. Era bellissima.
- Secondo te?
Un dito le scivolò pian piano dal bordo di mogano del letto
alle prime cortine. Poi la coperta, tracciò disegni sul
ricamo, si fermò un istante sopra un fiore rosso. Al Giudice
venne fatto di pensare che - se era un sogno - lui voleva che
continuasse in eterno.
Il dito lieve, un poco abbronzato, dall'unghia liscia come una perla
appena nata scorse il pesante strato di stoffa fino al monticello che
nascondeva il piede di lui. Si insinuò piano sotto le
coperte, fece il solletico.
- Allora? Credi ancora che io sia un sogno?
A lui venne voglia di ridere. Di ridere come forse non faceva da
decenni. Inarcò la schiena, rapito da quell'assurda e
potentissima sensazione di piacere.
- Che cosa sei venuta a fare? Cosa vuoi?
Lei all'istante arrestò il dito sull'incavo del piede. Mise
il broncio.
- Cos'è, non mi vuoi?
Lui stava ancora ridacchiando, piano.
- No. Ti voglio, eccome.
- Ah, bene, ecco.
- Continua, per favore.
Lei ci pensò.
- Non so se voglio.
- Te ne prego.
- Che cosa? Non ho sentito. Di' più forte.
- Te ne prego.
Lei fece un sorrisetto soddisfatto. Ricominciò a fargli il
solletico.
- Meglio.
La mano salì appena, alla caviglia. Lui avvertì
che scostava la stoffa laddove era la camicia da notte.
Sentì un brivido, non per il freddo - pure era freddo, e lei
stava così - ma perché quel tocco era il primo,
di una donna, da tanti anni in quello strano posto. Gli venne di nuovo
da ridere.
- Che cosa fai? Sei impazzito? - chiese lei.
Lui smise subito.
- Perdonami.
- Bravo.
Il dito salì ancora, alle ginocchia. Quando
incontrò la pelle più tenue nell'incavo del
ginocchio, il Giudice esalò una specie di brivido. Nessuno
mai, nessuno mai gli aveva accarezzato un ginocchio in quel modo.
- Certo che sei proprio strano.
Ma stavolta rideva anche lei.
Era bella, bellissima come un mattino di sole pieno. Aveva ancora la
vesticciola lacera che le avevano messo quando era entrata in carcere,
dopo che lui l'aveva salvata perché lei aveva scelto lui,
alla fine. E poi tutto era stato così veloce, lei che non
vuole neanche guardarlo, che lo odia, gli sputa in faccia, in carrozza.
Umiliazione. Questa parola bruciava ancora tantissimo tra le pallide
labbra del Giudice. Per questo non l'aveva più voluta, per
questo avrebbe lasciato che marcisse nonostante le tenebre e il freddo
della cella fossero quasi una tortura per lui quanto dovevano esserlo
per lei. Avevano dormito già quasi un mese intero sotto lo
stesso tetto, al Palazzo. Lui annidato nelle sue corpete di ombra,
morbide, opache, a tormentarsi sognandola dentro il segreto guscio
delle cortine. Lei in una cella, a morire di freddo. Sperando anzi di
morire prima che piegarsi alle lusinghe di lui.
- Perché adesso sei venuta? - le chiese, in un soffio. Ma
sapeva che non avrebbe risposto, quella zingara
imprevedibile. Stava per chiederle come aveva fatto a liberarsi dalle
segrete, ma lei, con la punta del suo dito diabolico, era arrivata
all'interno della coscia, aveva allargato la palma,
e ora aderiva con la mano alla carne.
- Ti sta piacendo? - chiese lei, chinandosi come in un soffio sulle
coperte. Il seno tiepido e i fianchi generosi, la pelle morbida e la
cascata disordinata dei capelli, tutto a non più di qualche
centimetro da lui, dalla sua bocca.
Lui pensava di poter sopportare quasi tutto, ma non il suo alito di
zafferano. Mosse una mano, impcercettibilmente. Cercò di
toccarla, ma lei rise.
- No, no, no, no - sussurrò roca, assestandogli una
minuscola pacca sul naso, come si fa coi cani disubbedienti - No, no,
no, no. Sono io, qui, che faccio le Regole. Sempre se vuoi giocare,
ovviamente.
Lui chiuse gli occhi. Non sapeva come, ma la mano di lei adesso era
magicamente scivolata sul suo petto, aveva disfatto i lacci della
camicia, si era insinuata tra le pieghe della tela ... non aveva mai
provato niente di simile. E credeva di non poterlo provare. E invece
lei, abbondante, meravigliosa, china sopra il suo petto cominciava a
stampigliargli minuscole miriadi di baci praticamente dovunque. Alla
base del collo, vicino all'orecchio, sulle spalle ...
- Esmeralda. Ti prego.
Un sussurro. Un mugolio pietoso, ovviamente. Niente a che fare con la
voce dura che gli usciva dal petto ogni giorno. In quel momento lui non
era niente, cera liquida tra lei sue mani. Un bambolotto che poteva
essere distrutto in un attimo.
- Esmeralda ...
- Che cosa?
Lei, ridendo, gli scivolò accanto, nel letto. Come pervase
da un istinto di vita che non poteva che essere inumano, la stoffe
sovrapposte, i vecchi lini inamidati, il broccato rigido divvennero
come di panna. Panna freschissima e incredebilmente morbida, panna in
cui tuffare le labbra e morire.
- Oh ...
Ma non fece in tempo a dire altro, perché lei era a
cavalcioni su di lui.
- Oh? - rise piano - Non mi dire che è tutto quel che ti
viene in mente ...
Glie lo aveva soffiato in un orecchio, con la sua voce atroce di
colomba, mentre con dita lente e torturatrici giocava con gli ultimi
legacci che trattenevano la virtù di lui.
- Non dirmi che è tutto qui quello che sai dire. Tu facevo
più loquace, amore mio.
Quello era troppo. Amore mio? D'istinto le sue mani si mossero. Non
riusciva più a stare fermo, anche se muoversi, forse,
equivaleva a far scivolare via per sempre quel sogno. Ma lo strazio era
troppo. Doveva, doveva correre quel rischio.
- Amore mio - ripetè lei, in un sussurro, mentre le labbra
rosse di ciliegia scendevano piano dalla sua gola al petto, e
dal petto poi all'ombelico ... ma poi, prima di scendere oltre, si
fermarono. Con una mana gli accarezzò la curva che dalle
costole scende alla pancia. Lui, mugolò, pianissimo, a occhi
chiusi.
- Amore mio ... amore ... ti prego ...
Lei rise, di una rista come mille sonagli d'oro.
- Ti piace?
- Oh, santo cielo, amore mio, amore mio ...
- Ti piace sì o no?
- Mia adorata, mia piccola, splendida ...
- Allora? Non ti ho chiesto come mi chiamo. Ti ho chiesto se ti piace.
Lui aprì piano gli occhi. Talmente accaldato e fremente che
un battito, un battito di ciglia qualunque avrebbe potuto farlo
impazzire.
- Mi stai facendo morire - sussurrò, roco.
Lei lo fisso, un istante, coi suoi occhi immensi e vellutati di
cerbiatta.
- Benissimo - scoppiò a ridere - Proprio quello che speravo
di ottenre.
Poi si alzò, come se niente fosse stato. I piedi nudi
sfiorarono di nuovo il pavimento.
- Buona notte - disse avviandosi, leggera, verso la porta.
- Eh? Che cosa?
Anche lui si tirò su a sedere.
- Esmeralda, dove vai ... ma cosa?
Stava mettendo fuori un piede anche lui. Ma lei lo trattenne con uno
sguardo. Uno sguardo tremendamente reale.
- Non farlo. Non farlo oppure romperai l'incanto. Non
tornerò più, se tocchi terra.
- Che cosa devo fare? - chiese lui, annichilito. Il desiderio di
prenderla, rincorrerla, trascinarla sul letto lo stava letteralmente
soverchiando. Come poteva quella splendida gitana, quella regina
maledetta, quella bambina pretendere di torturarlo in quel modo ... ma
poi pensò a che cosa aveva appena detto.
- Ritornerai? - chiese con un filo di voce.
Lei si portò un dito alla bocca in un'atroce, paradisiaca
pantomima di indecisione. Poi rise, rise di nuovo.
La porta si richiuse in un soffio, prima che il Giudice potesse capire
se era stato solo un sogno o no, a visitarlo.
*
<Angolo Autrice:
carissimi, un piccolo divertissement che avevo scritto qualche tempo fa
e che per caso mi è ricomparso davanti questa sera ... i
personaggi sono sempre i soliti, le situazioni mutano. Stavolta mi sono
chiesta cosa accadrebbe se Esmeralda, prigioniera a Palazzo del
Giudice, decidesse di aprire con lui una sorta di danza notturna
d'incerto esito. Una danza per fuggire o decidere che cosa fare di una
strana ossessione che ha incominciato a impadronirsi di lei ...
Spero di poter scrivere presto il secondo capitolo, comunque
non sarà una cosa troppo lunga, non temete. Nel frattempo,
come al solito, vi abbraccio, sempre vostra Minimelania <3 >
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