"Right now,
I'm afraid of losing you.
Although my life hasn't
been very fortunate until
now, I'm glad if I caught your eye because of that misfortune.
Because of that, I was able
to fall for you.
So we'll definitely do
something, but I want to
wait just a bit.
So, right now, the last
thing I can offer you...
Is
this starry sky."
***
«Micio,
micio!»
Cozart sospirò esasperato,
lo sguardo rivolto verso l’alto dove Giotto, da quasi
più di un’ora, cercava di
acciuffare un gattino nero sul tetto di un’abitazione.
Con una mano andò a pararsi
gli occhi dal sole cocente, dovevano essere le quattro del pomeriggio
circa,
ormai era quasi estate e il caldo non risparmiava nessuno. Giotto non
sembrava
soffrire di quel caldo, con le maniche arrotolate fin sopra gli
avambracci e un
sorriso sicuro di sé stampato sul volto, correva a destra e
sinistra,
rischiando più volte di scivolare, comportando un principio
di attacco cardiaco
a Cozart ogni volta.
G. dormiva poco più in là,
disteso su una panchina ad abbrustolirsi al sole, d’intanto
in tanto sollevava
lo sguardo verso l’alto, ridendo per i continui fallimenti di
Giotto.
Conoscendo da più tempo Giotto, doveva essere abituato alle
sue performance;
Giotto poteva sembrare infantile, ma in quel paesino c’era
bisogno di qualcuno
come lui, Cozart l’aveva capito dal loro primo incontro, lui
era speciale.
Le ragazze del paese che
passavano d’intanto in tanto di fronte
all’abitazione, indicavano
sfacciatamente il ragazzo biondo, ridendo e confabulando qualcosa,
probabilmente
lo prendevano in giro.
Cozart arrossì al posto di
Giotto, salutando con riguardo le giovani. Da quando frequentava
Giotto,
difficilmente una ragazza gli si avvicinava, non era mai stata una sua
grande
preoccupazione poiché preferiva notevolmente la compagnia
del ragazzo a delle
ragazzine immature dal punto di vista umano.
Quando finalmente Giotto
tornò con i piedi a terra, Cozart sospirò alla
vista dei graffi e dei lividi,
probabilmente portati in seguito alle numerose cadute. Anche G. si
avvicinò,
stiracchiandosi e lanciando un’occhiata al campanile della
chiesa che iniziò a
suonare, indicando che si stavano per fare le cinque.
«Devo allontanarmi per un
po’, torno alla locanda per dare una mano al
proprietario.» Spiegò con aria
solenne, Giotto e Cozart si lanciarono un’occhiata
d’intesa, sapendo benissimo
che G. aveva ricevuto di recente un due di picche da una ragazza,
così per
dimenticare quell’accaduto aveva deciso di cercarsi un
lavoro, che alla fine
era diventato quasi uno sfogatoio. Sì, l’avevano
trovato più volte ubriaco
fradicio e si erano trovati costretti ad accompagnato fino a casa,
insomma…
Anche G. aveva i suoi punti deboli.
«Ci vediamo più tardi!»
Il ragazzo più grande si
allontanò, lasciando i due soli… non del tutto
però, in realtà c’era anche il
gatto che Giotto stava coccolando di fronte a Cozart.
Il gattino nero, con una
singola chiazza bianca sullo stomaco, fissò con i suoi occhi
dorati quelli
altrettanto particolari di Giotto e quando il biondo si
accostò per posargli un
bacio sul muso non si oppose, anzi, iniziò a ronfare
contento.
«Lui è Cozart, salutalo!»
Senza nemmeno avendo il tempo di spostarsi, Cozart si trovò
il gatto di fronte
a sé e il suo muso spiaccicato contro la propria bocca.
Cozart tentò di aprir
bocca, ma il gatto spaventato dalle sue particolari iridi, iniziò a
divincolarsi fra le mani di Giotto,
graffiandolo per liberarsi e fuggire il più lontano
possibile.
Giotto sobbalzò, portandosi
la mano sana a stringere quella lesionata e con
un’espressione imbronciata
fissò Cozart, che gli si avvicinò seriamente
dispiaciuto.
«Scusami, probabilmente non
gli piaccio quanto gli piaci tu.»
Si scusò con una risata
roca, afferrando fra le mani quella di Giotto e avvolgendola con un fazzoletto; Giotto
lo osservò
incuriosito: si trattava di un bel fazzolettino bianco con i ricami e
un’iniziale in oro, una M.
«Hai una ragazza e non me
l’hai detto?» Lo provocò per vedere la
sua reazione, era sicuro che quel
fazzoletto non potesse essere di Cozart. Il ragazzo dalla chioma rossa
arrossì
imbarazzato, scrollando le spalle larghe, poi arrossì.
«Ho avuto una ragazza, ma a
dirla tutta non era il mio tipo. Sai, era troppo egoista.»
Tagliò corto con quella
spiegazione, era una storia risalente al periodo arcaico e non aveva
voglia di spenderci
altre parole, piuttosto maledì quel fazzoletto che credeva
di aver gettato via.
«Sai Cozart, non piaci al
gatto, però a me piaci!»
Quell’affermazione rischiò
di mandare in iperventilazione Cozart; il rosso lasciò
andare di scatto il
braccio di Giotto, voltando il viso dall’altra parte.
Probabilmente Giotto non
aveva idea di quanto importanti fossero quelle parole per lui, forse
non poteva
immaginare da quale punto di vista lui considerava quel
“piacere”.
«M-mi fa piacere! Anche tu
mi piaci!»
Avrebbe voluto prendersi a
schiaffi da solo. Perché gli era così
dannatamente difficile confidare i propri
sentimenti a Giotto?!
Forse era colpa sua, alla
fine avrebbe smesso di vivere con il terrore che qualsiasi sua azione
rivolta
verso Giotto potesse rischiare di ferirlo?
Diversi
anni più tardi,
Giotto si recò alla Residenza di Cozart. I loro incontri
erano sempre molto
rari, a causa degli impegni e della distanza, ma nessuno dei due aveva
dimenticato l’altro.
Considerando che si stava
facendo tardi, Cozart ricordò di una cosa che doveva far
vedere da parecchio
tempo a Giotto. Lo invitò a casa sua e lì gli
mostrò un vecchio telescopio
appartenente a suo padre,
l’aveva
trovato pochi giorni prima e subito si era adoperato per farlo
funzionare.
«Cozart! Si vede il
triangolo estivo!» Esclamò entusiasta Giotto,
Cozart ridacchiò; normalmente in
quel periodo dell’anno era possibile vederlo anche ad occhio
nudo, ma
evidentemente Giotto non ci aveva mai fatto caso. Cozart la
considerò una
fortuna, ne avrebbe approfittato per provare a parlargli.
«La conosci la leggenda di Altair
e Vega?» Domandò tutto d’un tratto
Cozart, attirando l’attenzione visiva di
Giotto.
«Certo! Ho letto un libro di
astronomia, dove ne parlavano! Altair e Vega erano due abitanti del
Cielo,
innamorandosi persero di vista i propri doveri imposti dagli Dei che
per
dividerli misero la Via Lattea di mezzo. Vega ne soffri
particolarmente, riuscì
quindi ad ottenere il permesso di poter vedere almeno una volta
all’anno
Altair.»
Cozart annuì a ogni singola
parola, assumendo poi un’espressione un po’ cupa.
«C’era un problema: in caso
di pioggia, se il fiume si riempiva, per i due amanti era impossibile
vedersi…
Quindi l’unico modo che avevano per tenersi in contatto era
scriversi dei Tanzaku, come vuole
tutt’oggi la
tradizione.»
Giotto spalancò le iridi
color miele, incontrando lo sguardo compiaciuto di Cozart, felice che
avesse
capito cosa intendeva dire.
«Sono come noi due! Anche
loro si scrivono!»
«Esattamente, anche se la
nostra lontananza, diversamente da Altair e Vega, è proprio
dovuta agli
impegni.» Puntualizzò; fosse per lui, non si
sarebbe mai separato da Giotto!
Il giovane Boss dei Vongola
annuì, pensieroso per le parole di Cozart. Pensandoci bene,
dall’adolescenza
passata assieme a Cozart, fino a quel momento, non era mai riuscito a
fare a
meno di lui.
Da ragazzino spesso aveva
detto a Cozart “Mi piaci” senza dare un particolare
peso al senso che potevano
avere quelle parole. Ora invece era un’altra storia. Forse il
suo piacere era
lo stesso sentimento che Vega provava per Altair.
«Cozart, tu mi piaci.»
«Ah si? E cos’è che ti piace
di me?»
«Sei sempre pronto a correre
in mio aiuto, riesci a sopportarmi in qualsiasi circostanza e
condividiamo molto
di più che una semplice amicizia. E’
sufficiente?»
Cozart ridacchiò; circondò
il viso di Giotto con le mani, specchiandosi nei suoi occhi color miele
che
anche con il passare degli anni non cambiavano mai.
«Penso di
sì, anche se vorrei una cosa da te,
se è possibile.»
«Cosa?»
«Un bacio.»
L’espressione sorpresa di
Giotto riuscì a intenerire Cozart; lui osservò
ogni singolo cambiamento sul suo
viso, incurvando le labbra in un sorriso.
Giotto aveva assunto
un’espressione mista fra imbarazzo e broncio, avrebbe dovuto
dire a Cozart che
certe cose si fanno e basta, senza chiedere?
E
così Altair incontrò la
sua Vega.
Dedicata
a Amber, la
mia adorabile Cozart (<3)
che mi ha dato sostegno, mi ha fatta sorridere e ha sopportato le corna
di Giotto! u_u' <3
Note:
-La
frase iniziale in
corsivo è tratta dall’anime Bakemonogatari.
-Tanzaku:
preghiere
e poesie in lunghe strisce rettangolari di carta, appese poi al vento
su tralci
e foglie di bambù. Questi bambù decorati da
foglie coloratissimi, scritti un
tempo con molta cura, vengono chiamati TANABATA SASA KAZARI, ,
sorta
di alberi di Natale estivi. La gente si ferma per strada a leggere
quello che
gli altri hanno scritto e a loro volta lasciano il loro messaggio. Ora
la gente
chiede cose per sè, cose come trovare un buon lavoro o
vincere alla lotteria.
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