Jack Everman aspirò con calma il fumo dalla
sigaretta che stringeva fra le labbra, per poi soffiarlo via in una
nube grigiastra. Si concesse dello scotch ghiacciato per allentare la
tensione che lo stava attanagliando.
Fuori la pioggia tamburellava pigramente sulla
finestra del salotto, cadendo da un cielo scuro come l'umore di
Everman, il più celebre detective privato di Londra. Si
disse che da quando sua moglie Jane era morta lui non era
più lo stesso. I suoi occhi e il suo spirito da allora non
si erano più concessi al sonno, lasciandolo ogni notte in
balia delle tenebre dell'incoscienza.
Tutto per colpa del Loto Nero, l'uomo che l'aveva
privato dell'amore e della stabilità di una vita serena.
Lui l'aveva visto in faccia, la notte di quel
gelido inverno dell'anno prima, la notte in cui Jane chiuse per sempre
i suoi occhi color ambra. L'aveva visto il bastardo, avvolto nel suo
impermeabile scuro, fradicio per la pioggia,lo sguardo soddisfatto del
demonio ad accendergli il viso dai lineamenti delicati. Il suo volto,
eccezione fatta per gli occhi ardenti di euforia, si sarebbe detto una
maschera, l'icona assoluta dell'inespressività.
Lui era il Loto Nero, l'uomo degli omicidi passati
inosservati.
Da quell'inverno fino alla primavera successiva
erano morte almeno una decina di persone, tutte donne, tutte uccise
dallo stesso uomo. La polizia sembrava non badarci, non apriva nessun
caso, non indagava in nessun modo, pareva ignorasse completamente
l'esistenza di un serial killer in giro per Londra.
Eppure lui lo vedeva il maledetto, non faceva
nulla per nascondersi, era chiaro come la luce del sole. Lo potevi
vedere fare un giro a Covent Garden, Carnaby Street, Piccadilly Circus
magari...
Ogni volta che Jack si lanciava al suo
inseguimento Loto Nero spariva, ingoiato dalla folla, effimero come
fumo tra le dita.
Tutte le notti, prima che il povero detective
provasse a dormire, lo vedeva fuori in strada, intento a scrutare
all'interno di casa sua. Allora Jack si gettava prontamente in strada,
la pistola stretta in pugno, trovando ogni volta soltanto la solitudine
del suo vicolo privato.
Aveva troncato ogni rapporto con il mondo esterno,
non vedeva più gli amici, non riceveva più
clienti. L'unica persona con cui conversava era Tom, il suo barista di
fiducia, l'unico che potesse servirgli il miglior scotch di Londra, la
sua medicina preferita a quella malattia che Jack chiamava vita.
Dopo mesi di reclusione forzata avvenne la svolta,
proprio quando l'ormai fragile equilibrio mentale di Everman era
prossimo ad infrangersi.
La mattina della vigilia di Natale del 1869, una
lettera passò dalla buca della posta direttamente sulla sua
moquette.
Era il Loto.
Diceva che avrebbe posto fine ad ogni sua
sofferenza e che si sarebbe finalmente presentato come conviene ad uomo
del suo prestigio, dandogli appuntamento al pomeriggio del 31 dicembre.
Era per questo che Jack si trovava ora a
sorseggiare alcool e fumare una sigaretta dietro l'altra, per
distendere i nervi.
In bocca il sapore amaro del fumo e del rimpianto,
nel cuore l'eccitazione della vendetta, e nel pugno la pistola che
avrebbe scritto la parola fine a quella storia dell'orrore che era
divenuta la sua vita.
Improvvisamente le sue riflessioni furono
interrotte da un movimento, appena percettibile, alle sue spalle.
Si voltò e si sentì invadere
da un'ira sconfinata.
L'uomo del mistero, la persona che associava al
concetto stesso di male, si trovava davanti a lui nel suo salotto. Il
Loto nero lo stava fissando con occhi scuri come abissi senza fondo,
dai quali non vi era nessuna via di fuga.
Si mosse rapido e leggero come un soffio di vento,
immobilizzando il detective,lasciandolo inchiodato alla sua poltrona.
“Sai come andrà a finire, non
è vero Jack?”, chiese con voce atona.
Everman non rispose.
L'assassino gli passò una mano sulla
guancia, simile ad una carezza, eppure l'altro non ne
percepì il tocco.
“Immagino vorrai sapere come siano
andate veramente le cose quella notte..”
“Non voglio altro,brutto figlio di
puttana...”, fu la risposta dell'investigatore.
“Sarai lieto di sapere che tu sei mia
madre Jack... sei sia mia madre che mio padre”
“Spiegati meglio!”
“Hai mai sentito quella saggia credenza
popolare secondo la quale siamo noi stessi a crearci il nostro peggior
nemico? Ecco, io sono il tuo peggior nemico, nato dalle ombre della tua
mente”
“ Cosa diamine dici?”
“Ma come Jack? Non ricordi quella notte
di dicembre? Se non sbaglio c'era aria di crisi tra te e Jane... lei
era così insopportabile e tu così violento. Il
rhum diede una mano a buttarla giù dalla finestra del piano
di sopra senza ripensamenti. Fu allora che mi vedesti la prima volta.
La tua piccola e folle mente non accettava il fatto che un detective si
fosse macchiato di omicidio, assassinando sua moglie
addirittura!”
Il Loto Nero rise, o almeno così parve
ad Everman.
“E dato che non eri felice, hai
immaginato la morte di altre dieci donne mai esistite, tutto per mano
mia. Il fuggire dalla tua coscienza mi ha portato a questo mondo, e ora
sono qui per concludere ciò che tu hai cominciato al posto
mio”
“A cosa ti stai riferendo?”
Il viso inespressivo dell'altro si distese per un
breve istante in un sorriso impercettibile.
“Se non sbaglio stavi cercando
l'assassino di tua moglie. Ora sai chi è stato, la tua
vendetta può compiersi”
Jack rimase solo nella casa deserta.
Improvvisamente tutto appariva chiaro come mai
prima d'ora. Ci fu un lungo istante di silenzio, l'esplosione di uno
sparo e il tonfo sordo di un corpo.
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