Pinole Valley High School, 1989-1990, di Neal C_ (/viewuser.php?uid=101488)
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Dalle stelle alle stalle
Rodeo, California
31.08.1989
Dalle
stelle alle stalle. Ma perchè ci siamo trasferiti
in questo posto dimenticato da Dio?
Ricordo
ancora l'espressioni eccitate delle mie compagne di classe.
Lasciavo
Berlino e andavo in America. Wow l'America!
Quanto
rimpiango casa mia.
Tutto
questo semplicemente perchè a mamma mancava la sua adorata
California.
Tra
sette mesi nascerà Franz e mamma vuole
assolutamente che cresca dove è cresciuta lei.
Mio
padre ormai lavora in America da una vita e quindi ha insistito
perchè la mamma torni in California:
è più che contento di poterci vedere
più di una volta al mese.
Ha
una cattedra di Epidemiologia alla "School of Public Health", un
dipartimento della UCLA, "Univesity of California, Los Angeles".
In
effetti è grazie a lui che possiamo permetterci una vita
come si deve perchè la mamma non lavora.
Scrive
su un paio di settimanali, organizza corsi di giornalismo in inglese e
tedesco ma questo è tutto. La trovavo quasi sempre
a casa, quando tornavo da scuola.
Ma
adesso tutto cambia.
Adesso
siamo in questo posto terrificante. Fa caldo, è afoso,
sembra una periferia o una campagna. Le strade mi sembrano tutte
uguali, tutte villette con il prato all'italiana, non c'è
nessuno in giro, una desolazione!
Ci
fermiamo con la macchina davanti a casa.
2388
Ramona Street.
Oddio,
sembra davvero di stare in una di quelle ridicole commedie americane
strappalacrime tipo "Io & Marley" o nei telefilm tipo
"Desperate Housewives".
Qualcosa
mi dice che la mia vita sarà una palla.
******************
La
nostra casa è totalmente anonima, un blocco di cartongesso e
mattoncini basso, grigiastro con le imposte di legno bianche e le
finestre con i battenti.
Mein
Gott! *
Per
non parlare di quest'orrida porta che sembra quella della baita di
Heidi: ha due pannelli, uno superiore e uno inferiore e si possono
tenere aperti o chiusi separatamente.
Alle
finestre ci sono delle orride tendine panna a fiorellini beige, poi
c'è il tetto tegolato, tanto per aumentare il rischio di
rimanerci secchi, varcando la porta di casa.
Ma
che carino il camino!
Sono
sicura che la mamma non vedrà l'ora di provarlo, pretendendo
che l'aiuti e rovinandomi così la serata.
E,
invece di avere delle finestre sul tetto, come tutte le abitazioni
normali, ha due specie di casettine con il tetto spiovente, con
finestra sulla fiancata. Sembrano due grossi funghi che rendono tutto
più schifosamente americano.
Immancabile
il garage al lato, forse l'unica cosa buona che questa casupola abbia.
Almeno
là posso conservare le mie bici e l'honda di papà.
Ma
che ho fatto di male in questa vita, in quelle precedenti, in quelle
successivo o in qualunque altra per meritarmi questo?
"Virginia!
Was machst du? Heraus mit dir! " *
Ecco
la mamma che diventa isterica.
Calma.
Lei è incinta, ha tutte le ragioni per essere isterica.
E
io sono incazzata con lei...non ce le ho anche io?
“Sofort”
*
Mi
caccio fuori dall’auto, una Opel Zafira metallizzata*, che ci
etichetta subito come “famiglia felice e
incasinata, piena di robaccia sempre fra i piedi”. Per ora
siamo ancora solo tre con un quarto in arrivo, non è
granché come famiglia.
Mio
padre sta già armeggiando con bagagliaio, stipato di
valigie, due comodini, lampade varie, tende, tessuti, bustone
di asciugamani, piumini, copri piumini, federe, scatole di cartone con
piatti, posate, zuppiere e vettovaglie varie.
L’unica
cosa che mancano sono i libri. Quelli li consegna l’impresa
dei trasporti internazionali.
Non
sarebbero entrati nemmeno in quindici Opel Zafira e poi sono la cosa
più preziosa per i miei.
Ad
esempio, io mi chiamo Virginia come Virginia Woolf, scrittrice
dell’Inghilterra Vittoriana, grazie all’entusiasmo
giovanile di una cara mamma femminista.
Virginia
Foster.
A
parte la storia del mio nome, direi che il mio cognome è di
quanto più anonimo ci sia. Meglio così.
“Tesoro,
comincia con gli scatoloni dei piatti...”
Magnifico.
Sono davvero gentilissimi a chiedermi se mi piace il posto, se penso
che mi ambienterò bene, se sono contenta di essere in
America...
Sto
oltrepassando la soglia di casa con uno scatolone in mano e un
espressione tetra sul volto quando sento Josh Foster chiedermi, con uno
di quei suoi sorrisi bianchi a trentadue denti:
“Allora,
Vig, che ne pensi? Non è magnifica?”
Ma
và a quel paese, và.
“Mhmm...”
Non
voglio aggiungere altro. Intorno a me un orrenda carta da parati beige
e bianca, in tinta con le tendine.
Almeno
la casa è arredata. Un salone spazioso con camino in pietra,
due divani e due poltrone a fiorellini, sempre stile tendina,
sul davanzale della finestra dei vasetti di gerani bianchi e rossi,
quelli lunghi, bassi e in terracotta.
Mi
sento male.
Passo
alla cucina, arredata con un bancone bianco e gli sgabelli, con al
centro una lunga tavola ovale da pranzo e l’ennesima orribile
incerata a fiori.
Oddio
ma chi è il deficiente che ha arredato questa casa? In
cucina la carta da parati no!
E
a terra piastrelle beige chiaro.
Calma,
Vig.
Appoggio
lo scatolone per terra in cucina e decido di fare un giro prima di
tornare ad aiutare mamma e papà.
Due
bagni al piano terra, con piastrelle rigorosamente a fiorellini, uno
piccolo bianco e l’altro beige.
Tutto
questo beige mi farà vomitare prima o poi.
Un
ripostiglio che sembra la mia camera da letto a Berlino.
MA
A CHE CAVOLO SERVE UN RIPOSTIGLIO DI 2 X 6 METRIQUADRI?!?!?!?
Mio
Dio, che spreco di spazi.
Salgo
al piano superiore, la zona letto. Finalmente una cosa decente in tutta
la casa!
La
scala di legno: è senza fiorellini, è un bel
legno scuro, color mogano e non color cacca, liscio al tatto e persino
lucido dove non è impolverato. Un miraggio.
Il
piano di sopra si riduce ad un corridoio con cinque camere da letto.
La
mia è quella in fondo.
Passi
la carta da parati: la distruggerò appena posso.
Passi
il letto a castello di legno di casa Heidi: costringerò la
mamma a cambiarmelo.
Passi
la scrivania per bambinetti delle medie: devo proprio cercare un
negozio di arredamento.
Ma
la Moquette...NO!
“MUUUUTTIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
*
Urlo
come una pazza. Mi precipito per le scale alla ricerca di mia madre,
con gli occhi assetati di sangue.
“MAMMA!
C’è LA MOQUETTE IN CAMERA MIA! CHE CACCHIO CI FA
LA MOQUETTE IN CAMERA MIA?”
“Tesoro,
non urlare, per favore, ho mal di testa. Vai ad aiutare tuo padre, io
mi stendo un attimo.”
*************
Dopo
sei ore di lavoro questa casa sembra un po’ meno americana e
un po’ più incasinata.
Io
proprio non capisco. Mamma sembra adorare questa casa. Mio padre adora
mia madre e quindi della casa gliene importa poco. Ma sono tutti e due
ciechi?
“Vig,
tesoro, vieni qui”
Mia
madre mi abbraccia e sorride come una bambina il giorno del suo
compleanno.
“Mamma,
tu vivevi qui?”
Mi
fa un sorriso furbetto e fa cenno di sederci sul divano. Un divano a
fiorellini. Censuriamo.
“Due
strade più avanti. Mi sembra di essere tornata bambina.
Anche io abitavo in una di queste villette un
po’...rustiche”
Alla
faccia del rustico!
“Ma
ho la sensazione...insomma non era un po’ monotona come
vita?”
“Affatto!
Avevo un gruppo di amici con cui andavo in giro per la
città, dalle tre del pomeriggio alle otto di sera. Poi mi
toccava tornare dalla nonna altrimenti c’erano i paccheri del
nonno ad aspettarmi.”
“Avevi
tanti amici?”
“Si,
ma i miei migliori amici erano Joe Richardson e Katia Dawson. E poi
ovviamente c’era il mio ragazzo, Max Callaghan. Eravamo i
Last Days ed eravamo unitissimi.”
“Last...che?”
“Formammo
una band blues-jazz.”
“Una
band?!?! Sul serio?!?”
Mi
girai a guardarla. Non stava scherzando. Perché non mi aveva
mai detto queste cose?
Lei
era assolutamente rilassata, con la schiena appoggiata allo schienale
del divano e guardava nel vuoto con un sorriso ebete sulla faccia.
“Katia
era la voce, io ero la seconda voce e l’elettrica, Joe era la
troba, Max era il piano e ogni tanto abbiamo anche ingaggiato Jamie
perché fosse il nostro sassofono.”
“Oddio,
mamma, Jamie?!?! Quel Jamie?!?!”
“Si
tesoro, Jamie Falker, il tuo padrino. Quello che ha fatto incontrare me
e Josh.”
“Ma
lui...non faceva il conservatorio a Los Angeles?”
“Infatti
componeva per noi durante l’inverno e veniva a suonare con
noi d’estate.”
Oddio.
Questo voleva dire che anche d’estate mia madre era rinchiusa
in questa cittadina sperduta nel far west?
“Ma...non
andavate in vacanza d’estate?”
“Tesoro,
i miei erano squattrinati e io avevo i miei amici. Non avevo
possibilità né voglia di andare in vacanza. Il
nostro sogno era raggiungere Jamie a Los Angeles e suonare in un vero
locale. Sai com’è... Ai miei tempi non ce n'erano
molti come ora, ci voleva più di un qualsiasi bar per fare
un concerto. Noi suonavamo in piazza davanti a tutti.”
Pazzesco.
Sto conoscendo mia madre. O forse si sta facendo uno strano film. Forse
è questo posto malefico che le fa questo effetto.
“Ma
non ti vergognavi?”
“All’inizio
da morire. Poi pian piano cominciavamo ad avere qualche fan. In
realtà ho avuto davvero poco tempo per abituarmi,
è durata un annetto e mezzo. Poi sono partiti tutti, me
compresa.”
“E
dove sei andata?”
Scoppia
a ridere e, con il pugno, mi picchietta sulla tempia.
“E
dove sarei potuta andare? A Berlino ovviamente! Accompagnai Jamie e poi
andai a studiare Lettere alla Frei Universität. Per il
resto... niente di nuovo.”
Era
chiuso il discorso. Si capiva dal suo tono sbrigativo.
Danielle
Foster si alza e a passo svelto si dirige in cucina mentre mugugna fra
sé e sé.
“Stasera
che si mangia...”
“Pizza!”
Salto
in piedi.
Io
AMO la pizza.
Il
mio sogno è fare un giro gastronomico dell’Italia.
Beh,
in realtà amo mangiare, in generale. Sono una di quelle
secche secche, con un metabolismo accelerato che fa invidia a un
colibrì e, soprattutto, a tutte le ragazze che ho conosciuto.
Quindi
mangio qualsiasi cosa mi capiti a tiro in quantità mostruose.
Wihlelmina
Meyer, in terza media, mi chiese ben tre volte che dieta facessi per
mantenermi sempre così “in forma”.
Però basta mezzo bicchiere di Champagne per farmi ubriacare.
Tanto
non berrei mai mezzo bicchiere di Champagne né altre
schifezze alcoliche.
Non
mi piacciono, sono amare e pungono la lingua.
“Uhm...in
effetti non è che ci sia qualcos’altro in
casa.”
Ho
vinto. Mamma sta prendendo il telefono e l’elenco.
“Amore...sarebbe
bene che cominciassimo a comunicare solo in inglese così ti
abitui. Poi c’è la scuola...”
Ecco
mia madre che attacca a parlare il suo perfetto inglese con accento
americano.
Ordina
la pizza, si fa una chiacchierata con un certo Frank che deve essere un
amico di vecchia data, forse un suo compagno ai tempi del liceo.
“Mamma,
per me una quattro stagioni, mezza al pomodoro e mozzarella, una coca e
un pezzo di torta di mele.”
Mamma
blatera che è una bellezza. Decisamente un vecchio compagno
di liceo.
Quando
mette giù il telefono sembra emozionatissima.
“Vig,
domani ti accompagnano a scuola Frank e Dominick.”
“Chi?”
Ok,
se mi vedessi allo specchio potrei dire di aver fatto la mia solita
faccia allarmata, quella di chi fiuta guai.
“Frank
era il mio compagno di corso al Liceo. Allora non pensavo sarebbe
rimasto qui, e tanto meno che avrebbe gestito una pizzeria. Aveva tutte
le carte in regola per espatriare e andare a studiare ingegneria da
qualche parte. E Dominick è ovviamente il figlio ed un tuo
compagno di scuola! ”
Adesso
comincia a mettermi ansia questo fatto della scuola. Guardo
l’orologio sul muro. Sono ancora le nove e mezzo. Ho ancora
una notte prima di dovermi preoccupare di fare amicizie o di risultare
simpatica a chicchessia.
“Tesoro,
come ti vesti?”
Sbuffo.
“E
che ne so...”
Cosa
pensa che potrei mettermi per il mio primo giorno di scuola in
California?
Odio
le domande a sproposito.
“Mettiti
quella camicetta bianca che ti sta così bene, un paio di
jeans, quelli scuri a sigaretta e sopra una giacchetta di cotone,
quella blu. È andata?”
Alla
fine farò come dice lei.
Non
è il mio ideale di abbigliamento perfetto ma è la
vecchia tattica della “brava ragazza innocente”.
Almeno finchè non mi danno l'uniforme.
“Ti
ho lasciato una lista dei tuoi compagni di corso sulla scrivania. Siete
diciassette se non mi sbaglio.”
Adesso
si che mi sta esasperando.
“Mamma!
E piantala! Non è mica la prima volta che metto piede in una
scuola.”
“Oh
non ti preoccupare anche io ero emozionatissima! Non andare a letto
troppo tardi, mi raccomando.
Devi
essere in forma!”
Mi
sono stufata di sentire luoghi comuni.
Salirò
in camera e tornerò a leggere “il
profumo”.
E
non avrò un concentrato di ansia mammesca addosso per tutta
la serata.
“Non
ti preoccupare. Vado subito a letto.”
Le
rubo un bacio e in fretta mi arrampico sulle scale.
Dal
corridoio posso sentire mio padre che russa in camera.
Poveretto,
si è svegliato alle quattro del mattino, ha preso il volo
per Berlino, ci ha aiutato a mettere a posto le ultime cose e poi ha
volato con noi a Los Angeles e ha guidato fino a
qui. E, con qualche mio aiuto, è stato lui a rendere
vivibile questa casa.
Mi
chiudo in camera, mi butto sul letto e mi metto a sfogliare Suskind.
Non
ho voglia di leggere.
Mi
tremano un po’ le mani e vorrei poter chiamare Hanna ma lei
in questo momento starà ancora dormendo e mi ucciderebbe.
E
poi non si chiama la gente alle sei della mattina.
Lancio
un’occhiata ai fogli di carta poggiati sulla scrivania. Non
ho molta curiosità di conoscere i miei compagni ma non ho
nient’altro da fare quindi, pigramente mi allungo fino alla
scrivania e afferro i fogli.
Allen
Leona
Anderson
Charlie
Armstrong
Billie Joe
Baker
Charles
Barbera
Collin
Campbell
Anthony
Carter
Josephine
Collins
Fanny
Diaz
Manuela
Edwards
Michael
Foster
Virginia
Green
Thomas
Lopez
Alejandra
Morgan
Margarita
Numba
Malika
Phillips
Jack
Ramirez
Sabina
Il
diciassette porta sfortuna.
Ricordo
che questo è il mio ultimo pensiero prima di chiudere gli
occhi.
Poi
il buio.
Glossario
*
Mein Gott! : oh mio Dio!
*
"Virginia! Was machst du? Heraus mit dir!
: Virginia! Che stai facendo? Vieni fuori di lì!
*
Sofort: eccomi
*
“MUUUUTTIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
: MAMIIIIIIIII!!!!!!!!!!!
L’angolo
dell’autrice
Ci
ripensavo l’altro ieri e mi è venuta voglia di
scriverla!
Diciamo
che mi sono ispirata a quella che è una tendenza diffusa,
almeno nella scuola italiana, cioè quella di mettere gli
studenti più scarsi accanto a quelli
più brillanti perché si stabilisca una
specie di solidarietà.
Purtroppo
so ben poco della scuola americana e tutta la mia istruzione sulle High
School viene da programmi televisivi americani (si, anche
cose come High School Musical... acqua passata <.<) e da
qualche informazione che ho cercato sul web. Non ho la pretesa di
scrivere da esperta della scuola americana ma in una fan fiction, ogni
tanto bisogna saper perdonare!
Per
il resto spero di non risultare incoerente o troppo poco verosimile. Ma
siamo ancora agli inizi, è un po’ presto per cose
del genere.
A
titolo informativo: prima di scrivere mi sono andata a guardare su
google map qualche strada di Rodeo e di Berlino giusto per avere una
vaga idea di com’è l’atmosfera da quelle
parte (beh, in parte Berlino fa parte delle mie esperienze personali
quindi almeno su quella non dovrei fare gaff di sorta).
Ho
controllato che negli anni ‘50-60 il jazz fosse almeno un
po’ conosciuto in America, almeno quanto bastasse
perché giovani musicisti della generazione precedente agli
anni ‘80 si cimentassero in questo genere, benché
sia decisamente più complicato del rock.
A
proposito di Virginia Woolf che ho citato vi riporto qua un
interessante articolo su lei e le sue manie.
Se
vi interessa... xD
E,
a proposito del libro che Vig sta leggendo, “il
profumo” di Suskind, sappiate che è meraviglioso,
lo consiglio a tutti, perché attraverso le parole descrive
gli odori e il senso dell’olfatto di un profumiere, nella
Francia del XVIII secolo.
Beeeene!
Spero di avervi interessato almeno un pochino!
Anche
se vi avverto che non posso assicurare aggiornamenti costanti per
questa ff.
Vediamo
se ha più successo della One-shot sul concerto xD
Auf
wiedersehen,
Misa
p.s *Piccolo ANACRONISMO. Prima o poi rimedierò
<.<
Postfazione
alla prima modifica
è la seconda volta che scrivo questa dannata postfazione che
il pc prima non mi ha salvato e che non ho salvato, da brava idiota.
Dunque, volevo ritornare sul discorso della scuola americana (non sono
un'esperta, forse sono tutte c*****e ecc.) poichè ho pensato
che la High School americana non deve essere molto diversa dal college
inglese e potevo sfruttare una mia breve esperienza in quel contesto
per rendere più realistica questa storiella xD
Inanzitutto ho sostituito il "classe" con "corso", perchè
ricordo bene che le classi non erano fisse. Ognuno riceveva un'orario
che coincideva con un gruppo di altre venti persone massimo e quindi,
le classi non erano mai più numerose di quindici-venti
alunni (vedete come sono civili gli inglesi! Se penso alle nostre
classi di trenta-quaranta alunni mi viene il voltastomaco
<.<). Erano gli studenti a doversi muovere per cercare la
classe in cui si teneva la loro lezione e ovviamente i posti non erano
fissi. Facevano a chi arrivava primo!
Questa è anche un'introduzione al secondo capitolo: il primo
giorno di scuola.
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