Questa
fanfiction non tiene conto di tutte le informazioni contenute in
interviste, articoli e altre pubblicazioni, perché sono
dell'opinione che se io scrivo una fanfic su una saga, tutto quel che
non è scritto nella saga non
è canon. Inoltre, per ragioni
evidenti di trama, non tiene conto neanche dell'epilogo dei Doni
della Morte.
Non
ho mai scritto praticamente nulla su questi personaggi –
particolarmente Malfoy – e non ho alcuna pretesa di dar vita
a un
racconto credibile e strutturato. Tutto questo è
semplicemente un
gentile omaggio alla sempre stimatissima sourcreamandonions,
con affetto. Spero di rivederti presto.
A
tutti gli altri, auguro una buona lettura.
_______________________________________
Harry
fece appena in tempo a vederli, giusto un attimo prima d'imboccare il
portone della Gringott per uscirne. Fu una vera fortuna, considerato
che avrebbe preferito finire in pasto agli Inferius che nelle grinfie
di quella torma.
Giornalisti,
assiepato tutt'intorno alle scale, occhieggianti in ogni direzione,
ansiosi, pronti a scattare. Qualcuno doveva aver spifferato che
l'Eroe del mondo magico si era presentato a Diagon Alley, quella
mattina, ed erano arrivati in branco, come feroci Giganti.
Harry
si appiattì nervosamente capelli sulla fronte, inquieto, e i
suoi
occhi verdi dardeggiarono per un paio di secondi in direzione
dell'uscita, mentre raggiungeva un'unica, inevitabile conclusione.
Doveva
proprio smaterializzarsi.
After
is before
I.
Colazione da Muggles
Non
era mai stato facile essere Harry Potter. Continuava a non esserlo a
dispetto del fatto che Voldemort fosse ormai soltanto un ricordo, e
dunque teoricamente ogni cosa avrebbe dovuto tornare alla
normalità.
Ma non c'era proprio niente di normale nel comparire sulle copertine
dei giornali un giorno sì e l'altro pure da sei mesi, o
nell'essere
perseguitato da truppe di giornalisti affamati di pettegolezzo o da
sedicenti affaristi che lo volevano come testimonial, da streghette
desiderose di un'avventura con la star del momento, da fans
assatanati disposti a qualunque psicosi per un autografo e da un
incontrollabile, fastidiosissimo brusio ad ogni comparsa in un
qualunque luogo pubblico.
Prima,
almeno, doveva preoccuparsi soltanto di Voldemort e
dei Death
Eaters. Adesso invece sembrava che il paese intero si fosse votato a
un'unica missione: tirarlo scemo.
Per
questo, appena sparito dal Ministero, Harry si barricò a
Grimmauld
Place attivando tutte le protezioni magiche della dimora dei Black,
nella ferma e decisa convinzione di non riemergerne per nessuna
ragione fino almeno alla settimana successiva. Fosse dipeso da lui,
non si sarebbe mosso da lì per almeno due anni, ma
probabilmente in
quel modo avrebbe ottenuto soltanto l'effetto di far accorrere tutti
lì a preoccuparsi per lui. Era odioso.
Voleva
soltanto essere lasciato in pace, finalmente.
“Kreacher,
il tè.”
Sprofondò
in poltrona con un sospiro estenuato. Mentre aspettava che l'Elfo
adempisse alla sua richiesta, si sfilò di malo modo il
mantello,
rimuginando cupamente sul fatto che nemmeno nei periodi più
bui e
disperati della lotta si era mai sentito tanto solo.
Ron
sembrava non capire il suo problema. A lui non dispiaceva affatto
quell'improvvisa notorietà, e non capiva perché
mai dovesse essere
considerata solo negativamente. Hermione invece, da quella roccia che
era, se ne disinteressava alla grande. Continuava a fare le cose che
aveva sempre fatto, come prima, e se qualcuno la intralciava tanto
peggio per lui. Ginny era a scuola, beata lei, e la sua massima
difficoltà consisteva nell'ascoltare il brusio degli altri
studenti
al suo passaggio.
Harry
era solo.
Completamente
solo con i suoi pensieri.
E
fu in quel momento, mentre Kreacher gli portava la tazza, che
realizzò drammaticamente di non poter rimanere affatto
chiuso in
casa fino alla settimana successiva: perché quella sera
c'era la
serata per la celebrazione dei sei mesi dalla caduta dell'Oscuro,
appunto, e lui non poteva assolutamente mancare.
Sospirò
stancamente, abbandonò la tazza di tè a se stessa
e Kreacher alle
sue proclamazioni di cieca obbedienza, avviandosi verso la vasca da
bagno con una mezza idea di annegarsi.
“Merlino,
adesso ammazzo qualcuno. Non ne posso più, giuro, non ne
posso
proprio più.”
Era
arrivato da un'ora e mezza, ma gli sembrava ne fossero passate almeno
otto. Un'ora e mezza ad ascoltare convenevoli, complimenti, domande
sconvenienti, a posare per fotografie insulse con questo e quel
personaggio di spicco, a farsi stringere la mano tante volte da
rischiare la slogatura del polso – con tutte le simpatiche
battute
a sfondo sessuale che ne sarebbero seguite – e a ricevere
pacche e
congratulazioni da perfetti estranei. Dozzine e dozzine di occhi
puntati sulla sua cicatrice.
Si
era appena rifugiato nell'angolo più invisibile della sala,
mezzo
nascosto da un'ampia tenda in broccato, pregando ardentemente che
nessuno si ricordasse mai più di lui – ed era
impossibile,
purtroppo. Gli stava venendo da piangere.
Odiava
che tutti fossero lì a festeggiarlo ed osannarlo, spesso con
ipocrisia, mentre c'era tutto quell'orrore dietro ogni suo gesto. Non
dovevano guardarlo come se fosse stato così speciale. E
Sirius?
Remus? Dumbledore? Snape, Fred, Tonks e tutti gli altri? Possibile
che tutta quella gente li avesse già dimenticati? Lui non ci
riusciva per un solo istante della giornata, aveva ancora le loro
facce davanti agli occhi come se fossero stati lì con lui. E
avrebbero dovuto esserci, sarebbe stato giusto così.
Occhieggiò
Ron, che conversava con suo padre e Kinglsely Shaklebolt mentre
Hermione, accanto a lui, sfoggiava un'espressione compita che
però,
agli occhi di Harry, risultava falsata dalla vacuità dello
sguardo
della sua migliore amica. Evidentemente non le importava nulla di
essere lì e lui era quasi sicuro che stesse concentrandosi
mentalmente su qualche volume che stava studiando.
E
faceva solo bene.
“Basta,”
borbottò. “Non ce la faccio
più.”
“Potter.”
Era
una voce alla sua sinistra. Una voce sorpresa, infastidita e
tragicamente nota. Harry non mosse un solo muscolo, continuando a
fissare la sala nella sua più riuscita imitazione di
un'armatura di
Hogwarts.
“E
stranamente ti stai lamentando,”
proseguì la voce, il cui
proprietario evidentemente non si stava prendendo la briga di
considerare la sua mancanza di reazioni apparenti. Non che Harry si
fosse aspettato altro, conoscendolo.
“Malfoy.”
Si
voltò a guardare l'interlocutore con riluttanza.
Draco
era particolarmente pallido, particolarmente magro e particolarmente
elegante. Nonostante la postura signorile e rilassata della sua
figura, i suoi occhi grigi continuavano a spostarsi lentamente e
attentamente lungo la sala, senza trattenersi su di lui.
“Stavi
parlando da solo, Potter,” insistette, con una certa
soddisfazione.
Non
si erano più visti, dopo il processo in cui Harry aveva
testimoniato
a sua favore, contribuendo a farlo rilasciare, non assolto, ma in libertà vigilata. Doveva andare al Ministero a firmare dei documenti una volta alla settimana e la sua abitazione poteva essere sottoposta a perquisizioni liberamente, inoltre non aveva diritto ad usare la bacchetta magica per un certo tempo, diceva la sentenza. Era successo quattro mesi prima e lui non ricordava nemmeno più bene come fosse andata. Non se lo volevo ricordare, non gli riusciva di pensarci; non riusciva a pensare a un sacco di cose del periodo prima della fine della guerra e le settimane immediatamente successive: una erano le aule di tribunale, le voci che rimbombavano contro i muri, i singhiozzi delle mogli e dei figli dei maghi che venivano condannati. Colpevoli, ma pur sempre uomini.
Non si ricordava nemmeno bene il processo dei Malfoy. Era presente e aveva testimoniato, ma non conservava immagini precise di quella giornata. Aveva solo un vago ricordo del giudizio a Lucius, lui era seduto e stringeva i pugni, e quando si era alzato per raggiungere il banco dei testimoni gli tremavano le ginocchia. Non l'aveva nemmeno guardato, mentre parlava, intravedeva la lunga chioma bionda dell'uomo da qualche parte all'estremità del suo campo visivo, ma aveva rifiutato d'osservarlo.
A quanto ne
sapeva lui, comunque, Draco Malfoy se l'era svignata in una tenuta in campagna della
sua famiglia, indisegnabile, e secondo Harry aveva anche fatto bene.
Almeno, lui non doveva sopportare quel troiaio.
“E'
quello che fanno i disadattati, sai,” rispose d'impulso,
sistemando nervosamente il mantello piegato sul suo avambraccio.
“Se
non altro adesso ne sei consapevole,” concesse Draco,
storcendo le
labbra.
“Sì,
già,” borbottò Harry a disagio.
Pensò rapidamente a qualcosa da
dire, e si chiese anche perché mai Malfoy fosse venuto
lì
nell'angolo a dar noia a lui, anziché pavoneggiarsi davanti
alla
gente che contava. Nonostante la condanna di Lucius, gli restavano un
bel po' di grana e di proprietà di cui vantarsi.
“Comunque ti, mh,
trovo bene,” buttò lì, vago.
Draco
si limitò a fissarlo con aperto scetticismo, distendendo la
fronte.
Harry si chiese se la reazione fosse dovuta al suo patetico tentativo
di dialogo amichevole o al fatto che, effettivamente, Draco al
momento fosse davvero troppo pallido e troppo magro per poter avere
una bella cera.
“Sì,
ehn, segui una dieta particolare?” continuò
disperatamente,
cominciando a sperare che comparisse un giornalista, o qualche
impiegato del Ministero che doveva assolutamente accompagnarlo dal
suo superiore per sottoporgli un progetto del loro ufficio al quale
sarebbe stato in-te-res-sa-tis-si-mo.
“Potter,
cosa stai dicendo?” chiese Draco, glaciale.
“Non
lo so, veramente,” ammise lui scrollando le spalle.
“Immagino di
aver tentato di fare conversazione.”
“Non
sta funzionando,” osservò Draco, sistemandosi il
colletto
dell'abito.
“L'ho
notato,” confermò Harry, depresso. “Ma,
ecco, tu sei venuto qui,
e io ho pensato...”
“Non
ti avevo nemmeno visto quando mi sono...spostato qua nell'angolo.
Perciò puoi anche continuare a tacere, o a parlare da solo
come
stavi facendo.”
Draco
siglò quell'affermazione con un cenno minimo e secco della
mano
chiara. Harry lo guardò spiazzato, scompigliandosi
nervosamente i
capelli, poi annuì perplesso.
“Va
bene, allora io...vado avanti,” balbettò confuso.
“Eri
arrivato a non ce la faccio più,
Potter.”
“Ah.”
Rimase
immobile a fissare la sala, o meglio il vuoto, senza più
aprire
bocca. Comunque era questione di minuti prima che qualcuno lo
cercasse. E poi c'era ancora il discorso della autorità,
durante il
quale sicuramente gli sarebbe toccato prendere la parola. Ed Harry
era un disastro a parlare in pubblico. Gli partiva la voce e non era
capace a mettere in fila neanche più le lettere
dell'alfabeto.
“Allora,
Potter?”
Draco
lo stava fissando, quasi spazientito.
“Eh?”
“Non
stavi andando avanti col tuo affascinante
soliloquio?”
Quella
domanda lo punse sul vivo, tanto che raddrizzò la testa
d'impulso,
rabbioso, stringendo leggermente i pugni lungo i fianchi. Non se ne
rese conto, ma Draco indietreggiò impercettibilmente.
“Ma
insomma, Malfoy, a te che te ne frega?” chiese,
legittimamente.
Lo
Slytherin fece spallucce.
“Mi
sto annoiando. Questa serata è una schifezza, hai fatto
arrestare
metà della gente di classe e l'altra metà
è emigrata altrove, o
troppo schifata per venire qui,” spiegò
lentamente, altero.
“E
tu, allora?” ribatté Harry, infastidito.
“Io
dovevo per forza presentarmi, dal momento che tu
hai convinto
la gente che ti ho aiutato contro l'Oscuro. Tra parentesi, è
del
tutto falso,” osservò Draco, freddo.
Harry
sbuffò, ignorandolo.
“Comunque
ho visto la Parkinson, e anche Zabini e Nott,” gli fece
notare.
“Grazie,
li riconosco da solo,” lo zittì Draco.
“Allora?”
Harry
lo scrutò stizzito.
Ma
alla fine, poi, era meglio starsene nascosto in un angolo con il suo
vecchio rivale scolastico piuttosto che lì in mezzo alla
fossa dei
leoni.
“Non
ce la faccio più. Sono stanco di essere guardato come se
avessi due
teste, e di dover leggere sui quotidiani anche quante volte vado al
cesso. Vorrei solo che tornasse tutto normale. No...”
“Normale?”
ripeté Malfoy atono, interrompendolo.
“Normale,
sì. Come quando non sei nessuno e la gente non ti fissa la
fronte.”
“Quando
è stata l'ultima volta che per te tutto è stato normale?”
La
domanda di Draco lo lasciò basito, con la bocca semiaperta e
lo
sguardo vacuo.
“Beh...”
“Non
sforzarti troppo, Potter, potrebbe esserti fatale.”
Harry
fulminò il coetaneo con un'occhiata risentita.
“Non
è questo il punto,” sentenziò.
“Non
è colpa mia se ti esprimi come un troll.”
“Malfoy...
Che cosa vuoi?”
“Una
poltrona, o tornarmene a casa.”
“...Da
me?”
“Che
tu sparisca per sempre, ma se non è stato possibile
finora...”
“E
allora perché mi stai parlando?”
“Credevo
di avertelo detto in maniera sufficientemente elementare. Mi
annoio.”
“Malfoy!”
Draco
lo osservò interrogativo.
Harry
sbuffò rabbiosamente.
“Se
davvero vuoi che sparisca, non faresti meglio a far finta che io non
esista, e tra l'altro sarebbe una piacevole novità,
anziché stare
qua a punzecchiarmi?” sbottò irritato.
“Infatti
non intendevo avvicinarti.”
“Oh,
certo.”
Draco
s'inalberò, rigido.
“Senti,
io mi sono solo nascosto dietro una ten...”
Harry
sgranò gli occhi nel momento stesso in cui Draco, facendo
altrettanto, s'interrompeva e impallidiva ulteriormente. Lo
scrutò
allibito.
“Cosa?
Tu?”
“No...n...
E tu, allora?” lo rimbeccò Draco, dominando
l'imbarazzo.
“Io
te l'ho appena spiegato! Seriamente, Malfoy, perché mai tu
staresti
nascondendoti?”
Lo
Slytherin emise un sospiro rassegnato.
“Davvero,
Potter, non so più come dirtelo. Mi sto annoiando. Questa
gente mi
tedia.”
“E
staresti qui nascosto anziché farlo notare a tutti
quanti?”
“Fammici
pensare... Sì.”
Harry
storse il naso, scettico, prima di sistemarsi meglio gli occhiali.
Stava per protestare di non essere affatto convinto, quando
sentì
risuonare il proprio nome nel salone. Il discorso, per Godric.
“Ti
chiamano, Eroe,” gli fece notare Draco,
maligno.
“Vaffanculo,
Malfoy.”
Si
stropicciò un altro po' i capelli, già
sufficientemente
terremotati, prima di uscire allo scoperto rassegnato, senza
più
voltarsi indietro.
“...In
ogni caso, Harry, dovresti darti una regolata.”
Hermione
lo guardava un po' severamente, benevola, al di sopra della tazza di
tè. Lui si arrotolò la manica impacciato, con uno
sbuffo. Lì alla
Testa di Porco si sentiva abbastanza al sicuro dai curiosi,
perché
non era un posto dove ci fosse un gran passaggio di gente, ma non si
poteva mai sapere. L'ansia non lo mollava.
“Ma
senti...”
“Dico
sul serio. Devi mangiare meglio, e dormire di più. Hai certe
occhiaie... io davvero ultimamente non ti capisco. E Ginny mi ha
detto che non le scrivi.”
“E
cosa vuoi che le dica! Oggi sono sfuggito al
seicentotrentesimo
agguato di un reporter?” protestò lui,
esasperato.
“Non
usare quel tono con me,” ribatté l'amica,
aggrottando la fronte.
“Forse potresti andare in vacanza. Ti rilasseresti, anche se
a mio
avviso faresti meglio a deciderti ed accettare uno dei, fammi
ricordare, ventisette lavori che ti hanno...”
proseguì
implacabile.
“Ne
abbiamo già parlato,” le ricordò Harry
più mite, sporgendosi
leggermente in avanti. “E' solo che vorrei passare un po' di
tempo
in pace.”
“Va
bene, ma allora fai qualcosa di piacevole,”
osservò la maga,
pratica, prima di gettare l'occhio all'orologio. “Devo
andare, Ron
mi sta aspettando. Harry, promettimi che...”
“...Andrò
a dormire più presto la sera.”
“E...”
“...Mangerò
meglio. Va bene.”
Hermione
gli sorrise, affezionata.
“Va
bene. Ci sentiamo al camino.”
“Ciao,”
salutò lui, agitando una mano.
Rimase
a guardarla allontanarsi frettolosamente, con la chioma scompigliata
illuminata dai bagliori del sole. Sospirò tra sé,
pronto a scattare
per pagare il conto e fuggire via se qualcuno l'avesse notato, quando
intravide una sagoma ben nota fare il suo ingresso nel locale insieme
a qualcun altro.
Hermione
era appena andata via, ed Harry ricordava benissimo quanto l'avesse
rimproverato della sua ripetitività nello spiare Malfoy, al
sesto
anno, ma alla fine era venuto fuori che non aveva avuto poi tutti i
torti. Perciò rimase lì seduto, appiattendosi
leggermente sul
tavolo, mentre il Pureblood e il suo accompagnatore prendevano posto.
In fondo, vedere il rampollo più snob della
società magica in quel
locale da due soldi era piuttosto insolito.
L'uomo
che stava lì con Draco Malfoy era un ometto di
mezz'età con
occhialetti dorati e abiti anonimi, da impiegato. Sembrava il
perfetto ritratto di un burocrate.
Mentre
conversavano Harry rimase a guardarli, anche se non poteva
minimamente capire di cosa parlavano. Li osservò ordinando
un altro
tè, poi un terzo, una burrobirra, un'altra e per finire pure
una
mirtograppa. Sembravano avere un sacco di cose di cui discutere,
Malfoy era nervoso, brusco e accigliato. Pallido quanto la settimana
prima, alla serata del Ministero.
Quando
li vide alzarsi si precipitò fuori al loro seguito,
lasciando una
sostanziosa manata di galeoni sul tavolino. Scattò fuori
giusto in
tempo per vederli salutarsi stringendosi la mano e prendere ciascuno
una direzione diversa.
“Malfoy!
Ehi! Draco!”
L'interpellato
si voltò indietro di scatto, allarmato, poi
aggrottò la fronte nel
riconoscerlo.
“Potter,”
esordì, senza alcun entusiasmo. “Cosa ci fai tu
qui?”
Harry
frenò bruscamente, interdetto.
“Ero
nella Testa... Tu, piuttosto. Ti credevo tornato al tuo maniero di
campagna.”
“Devo
sbrigare degli affari.”
“Alla
Testa di Porco?” fece Harry, scettico.
Draco
lo guardò con sospetto.
“Potter,
mi stai ancora spiando?”
“No!”
esclamò lui, con foga. “Ero solo lì
seduto, e ti ho visto
entrare...”
Draco
allargò gli occhi.
“Entrare?
Due ore fa? E saresti rimasto lì da solo per due, uscendo
casualmente in contemporanea a me...?” soffiò,
sdegnoso.
“No,
aspetta, stai travisando la situaz...” si difese Harry.
L'altro
incrociò le braccia al petto.
“Ah
sì?” ribatté gelido. “E quale
sarebbe?”
Harry
socchiuse le labbra, smarrito.
“...Ero
curioso.”
Draco
sgranò gli occhi.
“Come,
prego?”
Harry
fece spallucce.
“Non
so, mi ha stupito vederti lì, e così mi sono
chiesto cosa ci
facessi, e non avevo niente da fare.”
Draco
lo squadrò ostile, arricciando le labbra.
“Questo
si chiama spiare.”
“No,”
insistette Harry, caparbio. Non aveva cercato di spiarlo,
realizzò
in quel momento, aveva solo aspettato che uscisse per chiedere
direttamente a lui cosa ci facesse lì. Era sostanzialmente
del tutto
diverso.
Poi
si accigliò. Era tutto diverso, perché lui era
diverso. Non era più
un bambinetto. Aveva guardato nell'abisso e affrontato l'uomo nero, e
l'aveva anche sconfitto. Aveva imparato cose che avrebbe preferito
non sapere, e altre estremamente utili. Non si sentiva nemmeno un po'
meno inadeguato di prima, ma sapeva di essere un individuo cresciuto.
“Anche
se fosse, sarebbe legittimo, non credi?” osservò
duro.
Draco
storse il viso in una smorfia, sciogliendo le braccia lungo i
fianchi.
“Sai
che, Potter? Questa volta ti ci mando io, a fare in culo.”
Si
voltò elegantemente indietro per allontanarsi lungo la
strada,
ignorandolo.
Harry
ne fu preso in contropiede, fisso per un istante la sua schiena,
considerando di aver rimestato un argomento delicato, sbuffò
sentendosi vagamente e stupidamente in torto, quindi scrollò
le
spalle e lo seguì.
“Non
mi sembra il caso di prendersela. Io non mi sono veramente
arrabbiato, l'altra sera,” osservò, raggiungendolo.
“Bravo.
Perché tu sei l'Eroe.”
“Piantala.”
“Perché
mi stai seguendo, Potter?”
La
domanda poteva avere una sua logica, ma Harry deliberò
d'ignorarla.
In fondo, non aveva fatto niente di male.
“Perché
mi hai frainteso, e...”
“Oh,
per Salazar!” sbottò Draco, voltandosi verso di
lui. “Veramente,
dopo che ci siamo massacrati a vicenda per anni, te ne frega qualcosa
che io ti fraintenda? Dopo il naso rotto e il sectumsempra e tutto il
resto? Potter, ma allora sei veramente un coglione!”
“Shhh...”
sibilò Harry, consapevole che quella piazzata stava
attirando un po'
troppo l'attenzione. Draco dovette rendersene conto a sua volta,
perché tacque di botto e si guardò intorno con
circospezione.
“E'
vero, non importa se mi fraintendi. E poi, almeno ci sarà
qualcuno
che non mi considera lo splendido Harry Potter,” ammise il
Gryffndor, scrollando il busto.
“Sta'
tranquillo, non sono l'unico,” brontolò Draco
sarcastico.
“Vittimista del cazzo.”
“Già.
Beh, ciao, allora,” concluse Harry, facendo per voltarsi.
“...E
adesso dove staresti andando?” fece Draco, perplesso.
Harry
si raddrizzò gli occhiali sul naso.
“A
casa,” rispose semplicemente. “Prima che un
giornalista mi
aggredisca.”
Draco
annuì.
“Fa'
attenzione, mi hanno detto che sono più pericolosi dei
dorsorugosi,”
suggerì canzonatorio.
Harry
gli sorrise, a mo' di congedo.
“Imbecille,”
sentì mormorare con rassegnazione, smaterializzandosi.
Naturalmente,
in quello stato di cose, quando Harry era stufo marcio di starsene
chiuso in casa con una serie di ritratti aggressivi degli antenati
del suo padrino e un Elfo psicolabile, si trovava costretto a
vagabondare per la Londra Muggle, che era assai più sicura
di quella
magica per un Eroe che non volesse essere riconosciuto come tale.
Ad
Harry piaceva andare in giro per Londra senza meta, vagabondare tra i
passanti senza attirare l'attenzione di nessuno e comportarsi come
una persona comunissima. Gli dava una sensazione quasi inebriante di
leggerezza, tanto che persino le facce dei suoi morti sparivano per
un po' e si dimenticava di essere quello che aveva salvato il mondo,
diventando soltanto, finalmente, Harry.
Quel
che preferiva era trascinarsi fino a Notting Hill, vagabondare per
Portobello Road e tutto il quartiere intorno, percorrere le viuzze,
attraversare i parchi. Ogni tanto saltava su un autobus a caso e
scendeva dopo qualche fermata. Era molto più rilassante del
Nottetempo, e poi spesso non pagava nemmeno il biglietto.
Si
fermava sovente in un piccolo bar, proprio accanto al mercato, e
chiacchierava un po' con la cameriera, una ragazza un po'
più
vecchia di lui che si chiamava Carol e sembrava considerarlo un tipo
assolutamente anonimo; poi percorreva tutta la via di Portobello e
scendeva giù verso i Kensigton Gardens. Poteva passare anche
la
giornata intera lì seduto sulla panchina, o lungo le rive
del lago,
senza fare niente di particolare. Sorrideva ai passanti, stava seduto
a godersi l'ozio, a volte giocava a pallone coi ragazzini e finiva
regolarmente per farsi dare della schiappa. Per uno che veniva
applaudito ogni volta che si avvicinava a un campo da Quidditch,
prima ancora di aver iniziato la partita, era favoloso.
Lì
riusciva sempre a trovare un angoletto nascosto in cui
smaterializzarsi, o se non aveva fretta, e voleva ancora andare in
giro, prendeva un altro autobus per tornare verso casa.
Era
abituato così.
I
Kensington Gardens erano sì un luogo particolare, in cui
vivevano
ancora alcune fate, ed i dintorni erano abitati da qualche mago; ma
Harry non ne aveva mai incontrato nessuno, e confidava che avrebbe
continuato ad essere così in eterno.
In
ogni modo, non si aspettava di certo di trovarci quel
mago in
particolare.
Era
statisticamente impossibile, pensò quel martedì
mattina, con la
brioche della colazione in mano e un'aranciata nell'altra, osservando
vacuo Draco Malfoy che, lui, guardava assorto la statua di Peter Pan
come se stesse studiandone precisamente le fattezze. Londra era una
città enorme, in cui era praticamente impossibile incontrare
per
caso gli amici più intimi, figurarsi uno che nemmeno ci
viveva.
Sembrava una barzelletta, ma non faceva ridere.
Fu
estremamente tentato di girarsi discretamente indietro e andare a
consumare la sua colazione altrove – tipo nascosto in un
cespuglio,
all'altro capo del parco-, invece in quella Malfoy spostò lo
sguardo e lo riconobbe, accigliandosi. Ad Harry non restò
altro che
sventolare mogio la sua brioche a mo' di saluto.
Malfoy
sembrava ancora meno contento del solito di vederlo, e al Gryffndor
non fu difficile capire perché: l'aveva appena beccato in
piena
Londra Muggle, vestito come un comune individuo Muggle – un
comune
individuo Muggle e pieno di soldi, con un cappotto che costava
sicuramente più di tutti i vestiti che Harry possedeva messi
insieme, ma comunque – a guardare la statua del personaggio
di un
racconto Muggle.
Comunque
fosse, il Pureblood marciò quasi subito verso di lui, ostile.
“Tu
mi stai pedinando,” affermò in un sibilo.
Harry
sgranò gli occhi, allibito.
“Non
essere paranoico, Malfoy. Io vengo qui tutte le settimane,”
si
difese, onesto.
“Non
venire a parlare a me di paranoici, Potter,”
ribatté seccamente
Draco. “Vuoi farmi credere che sarebbe una
coincidenza?” aggiunse
sarcastico.
“Non
sarebbe, è,” ribadì Harry, cui
sfuggì suo malgrado un sorriso.
Draco
lo studiò penetrante, socchiudendo le palpebre sugli occhi
grigi. La
cristallina onestà del viso di Harry, che d'altra parte era
in
assoluta buona fede, dovette fargli almeno accettare l'idea che si
potesse trattare davvero di un caso. Ancora diffidente,
scrutò le
sue mani occupate.
“Cos'è
quella roba?”
“La
mia colazione. Brioche e aranciata. Vengo spesso a mangiare
qui.”
“Dammene
metà.”
Harry
spalancò gli occhi esterrefatto, prima di storcere il naso.
“Si
chiede per favore, Malfoy.”
“Dammene
metà lo stesso.”
Harry
ridacchiò incredulo.
“Scordatelo,
e comunque è roba Muggle. Potrebbe ucciderti.”
“Le
brioche le facciamo anche noi.”
“Lo
stesso no, se non me lo chiedi per favore.”
“Potter.”
“Malfoy?”
“Potter,
mi dai metà di quella colazione?”
Harry
sospirò, scrollando la testa.
“Almeno
l'hai chiesto. E va bene, dai, sediamoci,”
acconsentì, facendo
buon viso a cattivo gioco.
“Cosa?
Non ho mai detto di voler mangiare la mia metà insieme a
te,”
protestò Draco.
Harry
lo scrutò minaccioso. Questa volta, il suo leggero ritrarsi
fu
visibile.
“Allora
vai a comprarti da mangiare.”
“Non
ho i loro soldi,” obiettò Draco, disgustato.
Harry
sospirò rumorosamente.
“Io
mi siedo,” stabilì, avviandosi verso una panchina.
Quando
ebbe preso posto, di faccia al sole, Draco era immobile dove l'aveva
lasciato. Un paio di secondi dopo, però, eccolo dirigersi
verso di
lui e venire a sedersi nell'angolo più lontano della
panchina.
“La
mia metà, Potter.”
“Oooh,”
bofonchiò lui, stracciando via la carta e spezzando in due
il
cornetto. “Tieni, sanguisuga.”
“Non
prenderti certe confidenze.”
“Sta'
zitto e mangia, Malfoy.”
Draco
sembrò piuttosto risentito, ma non rispose e diede un morso
alla
brioche, esattamente in contemporanea a lui.
“Ehi,”
osservò Harry, con un sorriso. “Chi l'avrebbe mai
detto, io e te
che dividiamo la colazione.”
Draco
lo guardò con spregio.
“Era
il genere di commento idiota che mi aspettavo da un Gryffindor. Sto
solo approfittando del tuo pasto, noi non dividiamo proprio
nulla.”
“Intanto
la mia roba la mangi!” commentò Harry,
ridacchiando. E poi,
rifacendosi serio: “Noi ci siamo salvati la vita a vicenda,
però.”
“Io
non ho mai fatto assolutamente niente del genere, e ci terrei che tu
non mi ricordassi più che mi hai salvato,”
obiettò Draco
glaciale.
Harry
lo guardò gravemente, bevendo un sorso di aranciata.
“Malfoy,”
disse lentamente, “tu mi avevi riconosciuto. Ci avevi
riconosciuti
tutti e tre.”
Draco
aggrottò la fronte, guardando fisso davanti a sé.
Aveva le labbra
serrate strette, la mascella contratta.
“Non
me lo ricordo. Non stavo molto bene.”
“Malfoy.”
“Non
ero sicuro che foste voi.”
“Malfoy.”
“Piantala
di ripeterlo, finirai per sciuparlo.”
Harry
socchiuse le labbra per replicare piccato, ma finì per
reprimere un
sorriso. Sua grazia Lord Malfoy aveva appena inghiottito un quarto di
brioche in un solo, enorme boccone.
“Ma
è la verità,” aggiunse poi, deciso.
“La
verità?” ribatté Draco velenoso.
“La vuoi sapere la verità,
Potter? La verità è che su quella maledetta torre
ho capito di
essere troppo vigliacco per poter diventare responsabile della morte
di qualcuno. La verità è che quando vi ho visti
in casa mia me la
sono fatta sotto all'idea che una mia semplice parola avrebbe
spezzato tre vite,” soffiò con malevolenza.
“Anche se si
trattava solo delle vostre.”
Harry
rimase silenzioso, guardando la sua aranciata. Draco respirò
un paio
di volte rumorosamente, prima di battersi una mano sulla gamba.
“E'
questa la verità, Potter. Io non sono un eroe. Quello sei
tu, non
fare confusione,” aggiunse aggressivo. “Buona
giornata,”
concluse, alzandosi per andarsene.
“Non
è mica una cosa brutta,” mormorò Harry,
amaro. “Non voler
uccidere.”
Draco
si voltò di scatto. Gli si erano rosate vagamente le guance,
certo
per la collera.
“Allora
non capisci veramente un cazzo. Non è per qualche nobile
sentimento
idealista che l'ho fatto. Era solo per me. Perché io avevo
paura. E
poi tu ti sei buttato nelle fiamme per salvarmi e...e vaffanculo di
nuovo, Potter! Per quel che valeva, poi!”
“Per
quel che valeva? Sei ancora vivo, no?” replicò
Harry, punto sul
vivo.
“Oh,
sì, grazie. Se non altro.”
Il
tono indifferente di Draco lo ferì. Lui aveva fatto del suo
meglio
per salvare tutti quelli che poteva, e non è che avesse mai
desiderato ricoprire quel ruolo. Purtroppo tante persone erano morte
comunque, ma gli dispiaceva l'idea che almeno quelle che aveva potuto
aiutare disprezzassero quella fortuna, se non altro in memoria di chi
invece non ce l'aveva fatta.
“D'accordo.
Ho capito. La prossima volta ti lascerò lì.
Chissà, magari in quel
momento avrei potuto essere con Fred Weasley,”
bisbigliò
amareggiato.
Lo
sentì salire dallo stomaco, mentre Draco lo guardava
interdetto.
Seppe esattamente quando la sua mano stava per iniziare a tremare e
posò bruscamente l'aranciata accanto a sé, sulla
panchina. Aveva
voglia di vomitare e sentiva quella cosa chiudergli la gola.
“Ehi,
Potter?”
Scosse
la testa, come per scacciarlo.
“Non
abbiamo altro da dirci,” soffiò fuori con un alito
di voce.
Draco
corrugò la fronte, certo perché lui doveva essere
diventato bianco
e tremante, ma fece un passo indietro.
“Va
bene.”
Harry
aspettò che si fosse allontanato con gli occhi chiusi, prima
di
raccogliere le ginocchia e appoggiarvi il viso, cercando di respirare
profondamente, senza riuscire nemmeno a deglutire. Non aveva mai
voluto essere un eroe. Non aveva mai voluto la
responsabilità di
tutte quelle vite e tutte quelle morti.
Ma,
a differenza di Malfoy, lui non aveva mai potuto scegliere di essere
vigliacco.
A
Harry piaceva quando lui e Ron cenavano da soli a Grimmauld Place. La
fama e tutte le altre cose sparivano, lasciando lì nel
salotto
soltanto due vecchi amici che ne avevano passate tante e che per
buona parte del tempo parlavano di Quidditch, o della buffa e
variegata clientela dei Tiri Vispi.
Ron
portava sempre il dolce, e si sedevano in poltrona a masticare
allegramente finché l'intera torta, o qualunque cosa fosse,
spariva.
Quella sera si trattava di un dolce al cioccolato che fondeva un po',
lasciando dita e labbra piacevolmente marroni e impastate.
“L'ha
fatto Molly?” chiese Harry, ammirato.
“Nah,”
rispose Ron, succhiandosi un polpastrello. “L'ho preso a
Diagon
Alley dopo aver chiuso il negozio.”
“E'
ottimo,” aggiunse lui, servendosi un'altra porzione.
“E
come...sta George?”
Esitò
prima di porre quella domanda. Lo chiedeva spesso, ma a malincuore.
Perché ovviamente George non poteva stare bene. Aveva perso
il
gemello da pochi mesi e tutti erano già stupiti che fosse
sopravvissuto al colpo. Harry non aveva mai pensato che potesse
succedere qualcosa a quei due. Non aveva mai voluto che niente di
male succedesse a due persone tanto luminose, voleva bene ai gemelli
Weasley. Lo stato di George lo deprimeva.
Quella
sera, invece, Ron lo sorprese con un accenno di sorriso.
“Oggi
è stato per più di due ore in negozio!”
annunciò con entusiasmo.
“Mi ha aiutato a sistemare gli ordini per Natale, e
pen...”
Ron
si era interrotto per voltarsi a guardare la finestra, con un cenno
del capo, ed Harry fece altrettanto nell'udire un frullio d'ali.
Non
aveva mai visto prima quel gufo. Era un esemplare maestoso e molto
bello di Reale, dal piumaggio folto e il becco aguzzo. Sbatteva le
ali contro la finestra chiusa con quella che sembrava indignazione, e
quando Harry si avvicinò e si affrettò ad aprire
l'animale tentò
di beccarlo.
“Ehi!”
protestò, ritraendo la mano.
Ron
ridacchiò divertito.
“Ed
ecco il grande Harry Potter confrontarsi con il temibile gufo di...di
chi è?”
“E
che no so i...ahio!” sbottò lui, sfuggendo
un'altra beccata mentre
cercava di recuperare la lettera e poi prendendosi in pieno la terza.
“Non
sembri essergli molto simpatico, amico,” constatò
Ron con una
sghignazzata.
“E
allora potrebbe lasciarmi la lettera e andarsene invece di...ma
insomma, uffa,” brontolò Harry stizzito, mentre il
gufo continuava
a sottrarsi alla sua presa e tentare di beccarlo.
“Sembra
che si diverta così,” aggiunse Ron, che pareva
continuare a
trovare il tutto molto comico.
“Grazie
dell'aiuto,” sibilò Harry, prendendosi un'altra
beccata. Poi,
finalmente, il rapace sembrò decidersi a collaborare e si
depositò
sul trespolo dirimpetto alla finestra con magnificenza.
“Oh,
finalmente,” borbottò Harry, recuperando la busta
che gli veniva
recapitata.
Harry
Potter, 12 Grimmauld Place, Londra, scriveva una mano dalla grafia
sottile ed elegante, che a lui non sembrava di riconoscere.
Aprì la
busta, per trovarci dentro solo un biglietto minimalista.
Potter,
Ci
vediamo domattina al parco.
Draco
La
sua faccia dovette sembrare così allibita, e in certo senso
sconvolta, che Ron raddrizzò la schiena e si sporse
leggermente in
avanti.
“Tutto
bene, Harry?” domandò circospetto.
Harry
fissò la lettera ancora per qualche secondo, incredulo.
Draco Malfoy
gli aveva mandato un gufo, a quanto pareva – e già
questo di per
sé, a raccontarlo, sarebbe sembrato demenziale. Per giunta,
nella
lettera recapitata da detto gufo, gli chiedeva di incontrarlo
l'indomani. Sì, tecnicamente non lo chiedeva
e quello
sembrava più un ordine tassativo, ma per sempre di richiesta
si
trattava.
Scrollò
la testa, tornando a guardare l'amico.
“Certo.
Niente di speciale, sai, altre scocciature dal Ministero,”
tagliò
corto. Non aveva affatto parlato con Ron, e nemmeno con Hermione, dei
suoi casuali incontri con Malfoy, perché non ne valeva la
pena.
Figurarsi se andava a parlargli del successivo, che a quel punto non
sarebbe poi nemmeno stato tanto casuale. Senza contare che
probabilmente non ci sarebbe nemmeno andato, l'indomani, ai
Kensington.
Ron
scrollò la testa, lontano anni luce da quei pensieri.
“Non
capisco perché tu lo prenda così male,”
commentò, riprendendo a
mangiare. “In fondo...”
Venne
interrotto dallo stridio risentito del gufo, che tentò di nuovo di
attaccarlo.
“Ma
che... Ehi! Oh, va bene, va bene!”
“Ma
che gufi stanno usando al Ministero..?” borbottò
Ron, perplesso,
mentre Harry si affrettava a voltare il biglietto e cercare una penna
d'oca, per rispondere prima che quell'indisponente volatile tentasse
di porre fine ai suoi giorni. Non poteva che trattarsi del gufo di
Malfoy, a ben pensarci.
Non
so se posso venire.
Comunque,
simpatico uccello.
Harry.
Contemplò
per un secondo il biglietto, assorto. Dopotutto, non era tenuto a
fare proprio niente di quel che diceva Malfoy. Era molto strano che
lo volesse vedere, e da un lato lo incuriosiva, ma ci avrebbe pensato
l'indomani. Il gufo riprese a protestare per l'attesa e lui fu ben
felice di congedarlo il più in fretta possibile, prima di
tornare
verso la poltrona – e la torta di Ron.
“Dicevi?”
bofonchiò, sedendosi.
“Ah,
sì. Dicevo che in fondo la gente vuole solo dimostrarti
riconoscenza. Non dovresti...”
“Ron,
non è la riconoscenza il problema, “lo interruppe
lui, e non era
vero. “Il problema è tutto questo gran polverone.
Mi...mi...”
“Perché
non ti limiti a godertelo? In fondo te lo meriti.”
Harry
lo guardò vacuo, senza convinzione.
“Non
più di altri che non...sono qui a prendere gli
applausi.”
Ron
si rabbuiò, poggiando i gomiti sulle gambe.
“Guarda
che anche io ci penso,” brontolò, con una smorfia.
“Lo sai.”
Certo
che lo sapeva. Ron aveva perso un fratello, in quella guerra. Non era facile nemmeno per lui, che aveva cercato di far fronte al dolore per la sua famiglia: stava lavorando al negozio al posto di Fred, si occupava di George come poteva e cercava di non farlo pesare a nessuno. Dopotutto, l'incubo era finito e non restava che raccogliere i cocci e ricominciare in modo migliore: era molto nella personalità di Ron, di una bella semplicità concreta. A Harry quella visione faceva bene, riusciva a riequilibrare in parte la sua angoscia.
“Sì.
Mi dispiace. Non volevo dire che...” si affrettò a
correggersi.
“Ma
non è questo il punto, amico. Sai, ne ho parlato anche con
Hermione,
e...”
“Di
me?”
Ron
lo guardò stralunato.
“Che
c'è di strano?” ribatté.
“Pensiamo che forse dovresti prenderti
una bella vacanza. Andare da qualche parte per un bel viaggetto,
e...”
Harry
sospirò. Certo, l'idea era allettante. Sparire dalla
circolazione
per un po', liberarsi del codazzo di ammiratori e di tutto il resto,
come quando andava in giro per Londra. Ma già immaginava le
facce di
Kingsley e degli altri.
“Ci
penserò,” rispose.
Ron
non insistette oltre, annuendo.
Harry
si allungò contro lo schienale della poltrona, satollo.
“Sai
che Malfoy è a Londra?” esordì, vago.
“L'ho intravisto la sera
delle celebrazioni.”
Ron
storse il naso con disgusto.
“Poteva
anche rimanersene a casa,” borbottò aggressivo.
“Non sentivamo
la sua mancanza.”
Harry
ridacchiò, prima di raddrizzare la testa.
“Beh,
quella volta al Manor ci ha aiutati.”
“Aiutati?”
ripeté Ron, arrossendo intorno alle orecchie.
“Quel cagasotto si è
preso paura, ecco cosa!”
Harry
strinse le labbra, pensoso. Era la stessa cosa che aveva detto Malfoy
stesso. Forse non c'era davvero altro da capire.
Il
cielo minacciava pioggia, ma Harry stazionava ugualmente davanti alla
statua di Peter Pan con un bicchiere di caffè da asporto e
un
panino. Erano le undici, più o meno la stessa ora del suo
incontro
con Draco Malfoy di tre giorni prima, ma del Pureblood non c'erano
ancora tracce. Magari non sarebbe nemmeno arrivato.
Alla
fine si era detto che, dopotutto, le possibilità che sarebbe
andato
comunque ai giardini quel giorno erano alte, quindi ci era tornato.
Era uscito di buona mattina, ficcandosi nella tasca interna
dell'eskimo il Cavillo, l'unico giornale che parlasse poco di lui,
per leggerla al parco nel caso in cui Malfoy non si fosse visto, e si
era fermato al solito bar per prendersi la colazione.
Lo
vide da lontano, mentre percorreva la riva del Serpentine nella sua
direzione. Indossava un cappotto nero e aveva una sciarpa verde
intorno al collo, si muoveva quasi a scatti. Quando gli
arrivò più
vicino Harry mosse una mano, non tanto in saluto quanto per farsi
individuare. Malfoy rallentò il passò per qualche
secondo, poi si
diresse verso di lui.
“Potter,”
esordì raggiungendolo, con voce strascicata, “sono
lusingato che
tu sia riuscito a trovare del tempo nella tua fittissima
agenda.”
Harry
gli lanciò un'occhiataccia.
“Ciao,
Malfoy,” rispose laconico. “Ho portato un
panino,” aggiunse,
mostrando il pacchetto.
“Non
ho fame,” replicò l'altro, sostenuto.
“Quello?” aggiunse,
indicando col capo il suo bicchiere.
“Caffè.”
“Mi
va.”
Harry
sospirò rumorosamente, guardandosi intorno. Le panchine
erano tutte
occupate.
“Ci
sediamo nel prato?” propose.
Draco
lo guardò come fosse stato sterco attaccato alla suola della
sua
scarpa.
“Come
non detto...” mormorò Harry, incamminandosi per
cercare un posto
libero un po' più in là.
“Non
c'è bisogno che ci sediamo. Sarò
sintetico,” osservò Malfoy,
sfilandogli di mano il caffè.
“Ehi!”
Lo
Slytherin fece spallucce, bevendo un sorso.
“Mi
serve un garante per un contratto di vendita.”
Harry
lo osservò a bocca aperta, sbalordito.
“Eh?”
Draco
sospirò.
“Ho
bisogno di qualcuno che garantisca per me per un contratto di
vendita, per le credenziali e cose del genere. Una semplice bagatella
burocratica che non starò a spiegarti adesso.”
Harry
continuò ad osservarlo con aria ugualmente rarefatta, senza
riuscire
a capacitarsi del fatto.
“E
lo stai chiedendo a me?” rispose, senza riuscire a frenare
del
tutto un risolino di stupore.
Draco
aggrottò la fronte.
“E
allora?” commentò asciutto.
Harry
rise più apertamente.
“Perché
a me?”
Draco
s'incupì, infastidito.
“Tu
proprio non li leggi i giornali,” mormorò.
“No!”
confermò Harry con foga. “Parlano sempre di
me!” aggiunse
candido. “Cos'è che vuoi vendere?”
Draco
incassò leggermente la testa tra le spalle, fissando
distrattamente
la statua.
“Il
Manor.”
La
mandibola di Harry precipitò verso il basso.
“Il...
Malfoy Manor, vuoi dire? Casa tua? Cosa? Perché?”
sbottò,
disorientato.
Malfoy
scosse la testa.
Harry
sgranò leggermente gli occhi. Aveva supposto che Malfoy se
la
cavasse bene, ma forse dopo l'arresto del padre e tutto il resto si
trovava in difficoltà.
“Sei...cioè,
ti servono..?” balbettò.
“Non
ho bisogno di soldi!” soffiò Malfoy adirato,
guardandolo con
sprezzo. “Come ti viene anche solo in mente...?”
“E
che ne so!” lo placò Harry, sollevando le mani.
“Ma allora
perché?”
“Questi
non sono fatti tuoi, Potter,” scandì lo Slytherin
altero. “Tu
dovresti unicamente firmare dei documenti che attestano la
regolarità
dell'atto di vendita.”
“Perché
io?” ribadì Harry, sospettoso. “Potevi
chiederlo alla Parkinson
o a uno qualunque dei tuoi amichet...”
“Perché
la tua garanzia vale oro, no?” replicò Malfoy,
ripassandogli il
bicchiere svuotato a metà.
Harry
ristette, pensoso. Non ci credeva nemmeno un po', a quella storia.
Era vero che la sua parola, al momento, pesava più di
qualunque
altra, ma una semplice firma di Pansy o di Gregory avrebbero fatto
comunque l'affare, e lui non riusciva a indovinare una sola ragione
per cui Malfoy avrebbe dovuto abbassarsi a rivolgersi a lui, quando
sarebbe bastato domandarlo ai suoi sodali.
“Dimmi
prima perché vuoi vendere casa tua,” insistette
serio.
Draco
emise un gemito esasperato.
“Non
ti riguarda,” ribadì. “Non è
niente di losco, va bene? È un
contratto perfettamente regolare, non c'è nulla
di...”
“Perché,
Malfoy?”
Draco
fissò il vuoto con gli occhi vitrei.
“Non
ci vive più nessuno, lì dentro. Narcissa e io
abitiamo nello
Yorkshire, adesso.”
“E
allora? Vuoi farmi credere che avere più di una casa vi
dà
improvvisamente noia?” osservò Harry, soddisfatto
dell'obiezione.
Draco
si passò una mano tra i capelli biondi, irritato.
“Non
ci arrivi proprio? Non la vogliamo più quella casa, senza
mio
padre.”
“Oh.”
Harry
non si sforzò nemmeno di avere un'aria contrita, dal momento
che non
gli dispiaceva minimamente di aver fatto spedire Lucius Malfoy ad
Azkaban: se c'era uno che meritava di finire i propri giorni chiuso
là dentro, quello era lui. Tuttavia si rammaricò
un po' per Draco,
che aveva pur sempre perso il padre.
“Capisco,”
commentò neutro.
L'altro
scrollò le spalle con uno sbuffo, ad indicare che sapeva
benissimo
quanto la cosa non gli interessasse.
“Allora?”
Harry
prese una sorsata di caffè, ormai tiepido.
“Ci
penserò su.”
“Ho
bisogno di una risposta entro venerdì.”
“La
avrai,” assicurò lui, deciso.
Draco
lo osservò penetrante, senza dir nulla per qualche istante.
Evidentemente si era aspettato di ottenere subito una risposta
affermativa.
“Va
bene, Potter. Non ti ruberò altro tempo, quindi buona
giornata.”
“Anche
a te.”
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