Giotto non era mai stato un tipo molto curioso.
Nonostante spesso le
menti dei giovani si ritrovassero a formulare le più strane
fantasie, lui a differenza degli altri cercava sempre di tenere i piedi
ben saldati al terreno; non che fosse privo di qualsiasi forma di
immaginazione o creatività, ma aveva sempre preferito
prendere le situazioni per quello che erano, senza mutarle per
aggradare una verità fraudolenta.
Tuttavia anche Giotto
era un ragazzo di quindici anni, e come tale sogni e aspirazioni
fluivano in bilico fra la chiarezza e l'incertezza nei suoi pensieri;
d'altronde come ogni essere umano.
Eppure, aveva sempre
creduto che ognuno, a modo suo, fosse destinato a fare qualcosa in
quella breve esistenza a loro concessa: bene o male che fosse era
impossibile da evincere.
- Ehi Giotto, ancora
con la testa fra le nuvole? - Dopo una breve scrollata alla spalla
destra ed un sussulto involontario il biondo riuscì a
focalizzare appieno il viso leggermente esitante di G. che l'osservava
quasi preoccupato.
Con un pigro movimento
del capo gli sorrise: - Più o meno. Stavo solo pensando. -
ammise senza troppi problemi, intuendo già l'occhiata grave
che gli avrebbe sicuramente rivolto.
- In questi giorni sei
parecchio strano: se non pensi sei distratto, se non sei distratto
sicuramente stai fantasticando su chissà che cosa. -
sospirò, stando bene attento a non farla sembrare un'accusa.
- Non dirmi che stai ancora pensando a quella "Squadra di vigilanza" di
cui mi hai parlato la volta scorsa. - chiese pazientemente.
Con la coda
dell'occhio lo vide corrucciare in modo lieve la fronte, segno del suo
disappunto. Non che fosse del tutto contrario a quell'idea
poichè a quel tempo trovare un passatempo degno di tale nome
risultava molto più complesso di quanto si sarebbe potuto
aspettare, ma l'enfasi con cui la prima volta gli aveva rivelato la sua
idea lo aveva lasciato fra l'interdetto e allo stesso tempo il
divertito.
Giotto non era quel
tipo di persona che viveva in mondi costruiti principalmente di
desideri irrealizzabili o futili fantasie: tutto ciò su cui
si basavano le sue convinzioni erano fondate con
razionalità, forse a volte anche troppa. E gli risultava
abbastanza incredulo venire a conoscenza di un pensiero del genere da
parte sua; non era impossibile da realizzare ci tenne a precisare
mentalmente, ma era quasi... insolito,
ecco.
- Se devo essere
sincero un po' sì. - confessò con un mezzo
sorriso bonario, rispecchiandosi nell'ennesimo sospiro che G. gli
rivolse prima di ricambiarlo serenamente. - Anche se da quanto vedo la
mia idea non ti ha mai interessato particolarmente. - ammise.
- Non è
questo. - si affrettò a smentire. - E' solo che, come posso
dire, siamo solo in due.
Che cosa potremo mai fare? Accompagnare una vecchietta dall'altro lato
della strada? - ironizzò senza alcuna cattiveria,
meritandosi comunque un'occhiata antistante da parte di Giotto.
Il biondo a braccia
conserte increspò le labbra, sfidandolo con uno sguardo
carico di soddisfazione: - E' per questo che dobbiamo andare in cerca
di altri membri per formare una "Squadra" - rispose semplicemente.
G. lo
studiò con attenzione: - Quindi stai dicendo che dobbiamo
trovare altri ragazzi? - domandò quasi più a
sè stesso. - Mh. Forse può funzionare, se la
mettiamo in questo modo. - annuì con una mezza convinzione.
Probabilmente se la situazione si poneva sotto quel punto di vista,
sarebbe potuto uscire fuori qualcosa di più vivido e
plausibile.
Giotto
puntò lo sguardo al cielo, lasciando pendere le braccia
lungo i fianchi: - Io dico che qualcuno si ricorderà di noi,
prima o poi. - sorrise ampiamente. Non ricordava neppure il giorno in
cui quell'idea si fece spazio nella sua mente senza una ragione o un
perchè; forse per il desiderio di proteggere le persone
accanto a lui, oppure a causa della sua indole benevola gli aveva
suggerito oculatamente G. senza peli sulla lingua. Era un pensiero che
aveva imparato a coltivare accuratamente, finendo quasi per studiarlo
nei minimi dettagli: ne aveva valutato persino pro e contro per poi
alla fine reputarli inutili poichè, qualunque fosse stato
l'esito, lui ci avrebbe provato ugualmente.
- Chissà. -
G. roteò gli occhi lepidamente: - Comunque adesso
è meglio andare caro il mio Boss, si sta facendo tardi. - lo
incitò scherzosamente alzandosi e scrollandosi i granelli di
sabbia finiti nelle scarpe.
Giotto dopo un leggero
sospiro fece lo stesso, lanciando infine un ultimo breve sguardo al
mare lievemente increspato; spesso si ritrovavano entrambi in quel
posto, aveva sempre amato quel luogo silenzioso e pacifico, dal giorno
in cui lo scoprirono la baia divenne il loro posto preferito: gli
regalava il tempo necessario per riflettere e rinfrescarsi le idee.
Dopo aver calzato nuovamente le scarpe imboccarono la stradina
principale che riconduceva in paese con passo non molto veloce,
godendosi ancora per l'ultima volta la brezza marina rinfrescante.
- Sai una cosa, G.? -
lo interpellò improvvisamente Giotto: - Io sono sicuro che
ci riusciremo, se davvero lo desideriamo non rimarrà
soltanto una semplice fantasia di cui quando saremo grandi,
ripensandoci, ci rideremo su reputandola soltanto una sciocchezza. -
affermò con risolutezza, scambiando un lungo sguardo
d'intesa con il rosso che, gentilmente, lo sorprese con un leggero
sorriso.
- Prima
però dobbiamo cercare qualcuno che assecondi la tua "folle
idea". - scherzò con una velata ironia che
scatenò una piccola risata da parte di Giotto. - Poi il
resto verrà da sè. -
Trascorso
un'abbondante quarto d'ora fra piani e scherzi vari, finalmente
riuscirono a raggiungere il piccolo paese che abitavano ormai da una
quindicina di anni e più: non era né molto
modesto né esageratamente grande, si conviveva piuttosto
bene nel centro dove molto spesso si organizzavano feste, oppure i
ragazzi si riunivano per acclamare musicisti e professionisti vari di
passaggio che di tanto in tanto mostravano le proprie doti al pubblico.
Ma ciò che
Giotto non era mai riuscito a comprendere era qualcosa, o meglio, qualcuno. Prima che
si percorresse l'entrata del paese, era presente una fontana non molto
grande, non che fosse un luogo abbastanza frequentato, ma di tanto in
tanto c'era chi si fermava a riposare o a godersi il panorama; ma
ciò che da sempre riuscì a catturare l'attenzione
del biondo fu un ragazzo. Età approssimativa sconosciuta,
forse più grande; non lo aveva mai visto girare da quelle
parti, ricordava soltanto che ogni volta al ritorno dalla baia lui era
lì, seduto sul bordo della costruzione con un mazzo di carte
che disponeva periodicamente sulla pietra fredda.
Giotto lo aveva sempre
osservato con una certa curiosità, il che non si addiceva
molto alla sua persona, ma quella capigliatura, le iridi dello stesso
colore del mare lo...
attiravano, tutto qui.
- Ehi G. - con una
piccola gomitata fece ricadere l'attenzione su di lui: - Chi
è quel ragazzo? - domandò incerto, quasi temesse
una risposta.
- Chi? Quello? - il
rosso posò lo sguardo qualche metro più avanti,
riscontrando la figura che Giotto gli aveva citato poco prima. - Ah.
Lui? - rispose senza una particolare tonalità sorpresa
quando lo riconobbe. - Non conosco molto, ma da quel che ho sentito
è qualcuno a cui è meglio stare alla larga. -
precisò, arricciando appena il naso.
Giotto
inarcò un sopracciglio, un po' perplesso: - E
perchè? -
G. si
grattò confusamente la nuca: - Beh, è... strano. -
opinò. - Chi mai trascorrerebbe intere giornate a giocare a
carte? Per di più in un posto isolato del genere? -
puntualizzò, come se la situazione dovesse assumere una
piega negativa.
- Da quando inizi ad
avere pregiudizi sulla gente? - il biondo lo profilò
dubbioso, oscillando le sue attenzioni dal compagno fino al ragazzo
poco più distante; sembrava non essersi accorto della loro
presenza.
G. scrollò
il capo: - Non è questo il motivo. - specificò. -
Sin dalla prima volta che l'ho visto, l'impressione non è
stata delle migliori: ha sempre quello sguardo inespressivo e duro, le
sopracciglia aggrottate... insomma, non è il tipo che ti
accoglierebbe a braccia aperte. - riepilogò, seguendo con lo
sguardo la traiettoria delle iridi di Giotto che davano l'impressione
di studiarlo con insistenza.
Il primo pensiero che
balenò nella mente del rosso non gli piacque per niente:
Giotto poteva anche essere un ragazzo meticoloso e responsabile, ma in
fatto di amici aveva dei gusti strani; il tutto era palesato
dall'interesse che mostrava nei confronti di quel giovane. Il carattere
sporadico del biondo lo aveva sempre lasciato un po' interdetto dalla
prima volta che si erano conosciuti, a partire dalle sue scelte estrose.
- Provare per credere,
no? - riprese poi con un sorriso abbozzato, lasciando G. fra l'attesa
costernazione di una risposta del genere e l'inopportuna
curiosità di Giotto che si dimostrava in tutto il suo
splendore nei momenti meno adeguati.
- Hm. Non capisco,
cosa vorresti fare? - domandò, rivolgendogli uno sguardo
serio.
- Andiamo. - Giotto si
incamminò senza dire altro verso la fontana, seguito
silenziosamente da G. che, come si sarebbe aspettato, non aveva neanche
provato a persuaderlo dal commettere un tale atto; in fondo si
conoscevano da anni, e sapeva quando arrendersi dinnanzi all'evidente
caparbietà del compagno.
Lentamente vide il
compagno avvicinarsi al bordo della fontana mentre sul suo viso si
dipingeva il tipico sorriso bonario con cui Giotto cercava di
avvicinare le persone a sè: solitamente riusciva sempre nel
suo intento; e c'era anche da aggiungere il rispetto che ogni
coabitante del paese gli serbava attentamente. Giotto non era una di
quelle persone che cercava di attirare l'attenzione, probabilmente
erano i suoi modi gentili, l'aspetto fiorente che non tradiva nessuna
aspettativa a renderlo così richiesto. Eppure, con quel
ragazzo, le migliori doti e qualità di approccio del biondo
non diedero i loro frutti.
Quando gli fu
abbastanza vicino, Giotto restò a guardarlo per un po',
più incuriosito e quasi affascinato dalla maestria con cui
riusciva ad armeggiare quel mazzo di carte che scivolava abilmente da
una mano all'altra.
- Wow. -
esordì affascinato: - Sei bravo. - si congratulò
infine con espressione imperturbabile, catturando, dopo vari tentenni,
l'attenzione completa del ragazzo che, a sua differenza, gli rivolse
un'occhiata di sbieco, quasi non gradisse la sua effettiva presenza.
- Se hai tempo da
perdere, non farlo qui. - gli rispose con un ringhio sommesso: - Alza i
tacchi e sparisci. - berciò con poca grazia, ritornando a
disporre le carte sulla pietra gelida della fontana incurante della
reazione di entrambi.
G. lo
fulminò indirettamente con un'occhiata; se lo aveva
avvertito di stargli alla larga, forse un valido motivo doveva esserci:
ciò comunque non lo arginava dal rivolgersi con modi
sfacciati e boriosi verso chiunque tentasse di affiancarlo.
Giotto
inarcò appena le sopracciglia: - Potresti insegnarmi a
giocare. - azzardò, lasciando il rosso nuovamente interdetto
a tale risposta.
Un sorriso cinico si
mostrò con fare altezzoso: - Cosa non ti è chiaro
dell'espressione "Alza i tacchi e sparisci"? -
sbottò, indirizzandogli uno sguardo poco promettente. -
Preferirei morire annegato in questa fontana piuttosto che insegnare
qualcosa ad uno come te. -
Se il quel momento
Giotto non l'avesse ammonito con una semplice scrollata di spalle, G.
lo avrebbe aiutato volentieri e con gli interessi. Tipi del genere
andavano soltanto tenuti alla larga e lui di certo non era degno di
ricevere un trattamento del genere da parte di qualcuno come il biondo.
- Giotto, non perdiamo
altro tempo. Abbiamo altro a cui pensare piuttosto che dare conto a... lui. - il disprezzo
con cui sottolineò l'ultima parola non fece ravvedere il
compagno dal rimproverarlo con l'ennesimo sguardo che, tuttavia, da
biasimare non aveva proprio niente.
Il ragazzo, questa
volta, fece passare le sue attenzioni su G.: - E' meglio se dai retta
al tuo cane. Non farti più vedere. - lo canzonò
con l'ennesimo sorriso arrogante.
La reazione che ebbe
G. stonò particolarmente con il sospiro che Giotto
lasciò liberare stancamente dalle sue labbra. Sotto alcuni
punti di vista erano completamente differenti; tuttavia, trattenne
l'impulso di lasciarlo a terra agonizzante scaricando l'irritazione
serrando i pugni lungo i fianchi.
Con un ultimo cenno
del capo il rosso gli fece segno di seguirlo, incamminandosi per primo
verso la stradina ciottolata: - Guarda che ci conto. - gli sorrise
quietamente Giotto prima di velocizzare il passo e raggiungere G. che,
con lo sguardo corrucciato, fissava un punto casuale di fronte a
sè. Non si sarebbe di certo aspettato una risposta; ma
nonostante tutto quel ragazzo lo incuriosiva, e allo stesso modo lo
lasciava con una sorta di amaro in bocca che forse neppure lui era in
grado di spiegarsi.
- Tch. Ma l'hai visto?
- borbottò G. piccato, infilandosi le mani in tasca: - Chi
si crede di essere? La prossima volta non ci sarai tu ad impedirmi di
pestarlo. - si lasciò scivolare con una cattiveria
incentivata sull'oltraggio subito. Anche lui aveva una
dignità, e di certo non sarebbe stato un tipo qualunque a
sbeffeggiarla come carta straccia.
Giotto
roteò gli occhi, soppressando ad ogni modo quel mezzo
sorriso divertito che comunque fu possibile udire: - In fondo, non
saresti male come cane da guardia G. - scherzò volutamente,
guadagnandosi un'occhiata fra l'indignato e la riflettuta
equanimità di quelle parole.
Alla fine si
ritrovarono entrambi a riderci su, imboccando senza ulteriori pensieri
la stradina che conduceva verso le loro case.
"L'hai visto piangere, non è così?"
"Sì."
"E
cos'hai fatto?"
"Nulla."
Giotto oltre ad essere una persona responsabile, cauta e
tranquilla, era riconosciuto anche per le sue eccezionali doti di
pervicacia: insomma, era uno di quei ragazzi che non si arrendeva
facilmente dinnanzi all'evidenza; piuttosto cercava di mutarla, ma non
grazie alla fantasia, ci provava con tutto sè stesso, e se
infine falliva, i suoi sforzi comunque non sarebbero risultati vani, in
fondo restava ancora il piacere di averci provato.
Per questa ragione
spesso G. finiva con il definirlo testardo: e spesso grazie a questa
caparbietà che la sua coscienziosità si tramutava
spesso in atti azzardati che di giudizio non avevano proprio niente.
Che fosse infine
l'innata curiosità sviluppata verso l'estraneo o qualcosa
che neppure lui seppe definire ma, il giorno dopo, si
ritrovò nuovamente dinnanzi la fontana ad osservare con la
coda dell'occhio lo stesso identico ragazzo che, ancora una volta,
disponeva quel mazzo di carte sul bordo della struttura.
Non negava comunque il
fascino che palesava, anzi, sotto quel punto di vista l'avrebbe
definito anche bello,
seppur i modi sgarbati ed i passatempi strani che si ritrovava ad avere.
Raramente Giotto
esprimeva e manifestava interesse con evidenza: solitamente si asteneva
dal commentare, ma non per questioni di carattere, solo
perchè lo riteneva ingiusto nei confronti della persona
interpellata. In fondo chi era lui per giudicare?
Riguardo tale motivo
si trattenne dal proferire parole in proposito del ragazzo,
specialmente di fronte G. che sembrava non averlo particolarmente in
simpatia; e fu anche per questo che quel giorno decise di non portarlo
con sè, liquidandolo mestamente con un sorriso gentile ma
senza nascondergli la verità. Non era mai stato bravo a
mentire e G. non sopportava bugie e tradimenti, ragion per cui la
stessa mattinata lo aveva stimato con occhio critico, ovviamente per
niente d'accordo con la sua decisione; ma alla fin fine con un sospiro
gli aveva raccomandato di stare attento e di rapportargli a una volta
tornato a casa vita, morte e miracolo di quel giorno.
Si concesse un sorriso
divertito ripensando al comportamento di G., puntualmente finiva per
assecondare ogni sua idea, come quella della "Squadra di Vigilanza" da
lui accuratamente ponderata.
Giotto, con le labbra
leggermente incurvate, si apprestò a raggiungere finalmente
il ragazzo: - Mi insegni a giocare? - d'improvviso, senza come e
perchè, ed evitando inutili convenevoli che sarebbero
serviti a ben poco, decise di andare subito al sodo, rispecchiandosi
ancora una volta nell'azzurro dei suoi occhi.
- Oh, no. Ancora tu? -
denigrò aggrottando la fronte: - Non ti avevo detto di
sparire? - lo apostrofò con la sua caratteriale
aggressività.
Giotto storse appena
un angolo della bocca, quasi ironico: - Che fai, adesso minaccerai di
suicidarti nella fontana pur di non vedermi? - chiese senza scrupoli.
Il ragazzo si morse
con forza il labbro, incenerendolo con un'occhiata truce. - Si
può sapere cosa diavolo vuoi da me? - ringhiò
stringendo i pugni e senza smettere di fissarlo con intenti
fuorchè bonari.
- Voglio che mi
insegni a giocare a carte. - puntò nuovamente sull'argomento
principale, scatenando una risata sarcastica da parte del coetaneo.
- Chi ti dice che lo
farò? - poi parve rifletterci su con l'identico sorriso
cinico: - O se il tuo cane da guardia me lo permetterà? -
rispose con falsa voce dispiaciuta, prima di far riacquistare la
primaria impassibilità al suo viso.
Giotto
scrollò il capo, sedendosi anch'esso sul bordo della
struttura: - Oggi l'ho lasciato a casa, ma non preoccuparti, non
è cattivo. E' soltanto diffidente con gli estranei. Come si
vuol dire can che abbaia non morde, e lui è più o
meno tutto fumo e niente arrosto. - fece finta di pensarci con aria
apparentemente interessata, prima di sorridergli.
Lo vide digrignare i
denti con percepibile irritazione, non accogliendo la sua ironia: - Sei
più fastidioso e seccante di chiunque altro abbia mai
incontrato. - berciò, raggiungendo la soglia della sua
massima indisponenza.
- Mi fa piacere
saperlo. - si mobilitò a concludere: - Allora, mi insegni a
giocare? - con la stessa pertinenza precedente si limitò ad
osservarlo con sguardo placido, senza trasmettergli alcuna emozione
superficiale.
Il ragazzo
serrò le labbra, stringendo fra le dita i pantaloni di
stoffa morbida e senza emettere alcun suono particolare: - Solo se dopo
sparirai dalla mia vista per il resto della tua vita. -
sbuffò in malo modo, raccogliendo le carte e cominciando a
mischiarle attentamente.
Giotto sorrise
soddisfatto: - Va bene. - gli promise con tranquillità,
lasciandosi ancora una volta catturare dalla maestria con cui
destreggiava e mescolava il mazzo da gioco.
Non che fosse
realmente interessato ad imparare ciò, lo aveva soltanto
reputato l'unico modo per avvicinarsi a lui date le conoscenze riguardo
il carattere scontroso e poco propenso all'amicizia. Al resto ci
avrebbe pensato più tardi.
Dopo qualche minuto di
quieto silenzio, notò che aveva diviso le carte in altri due
piccoli mazzetti: - Cosa vuoi sapere? Ci sono un'infinità di
cose che puoi fare con queste. - precisò senza donare un
determinato tono alla sua voce.
Giotto si strinse
nelle spalle: - L'esperto sei tu. Lascio la decisione a te. -
conferì deciso, poggiando una mano sulla pietra della
fontana per equilibrare il peso.
Non ricevette
un'effettiva risposta, lo osservò prendere soltanto le prime
due carte e posizionarle di fronte a lui.
- Hai mai pensato al
tuo futuro? - chiese questa volta più controllato, studiando
le successive carte e guardandole con aria che in quel momento Giotto
avrebbe definito fra il serio e l'ironico.
- Non proprio. -
ammise: - Non ci è dato sapere cosa faremo. Il futuro
è soggetto alle nostre decisioni e comportamenti. - propose
con incertezza, continuando a guardare la serie di carte che disponeva
un po' ovunque. Non fu mai in grado di capire con quale criterio le
posizionasse, e neanche dove volesse arrivare con quella domanda.
Lo vide soltanto
sorridere sarcastico: - Immaginavo. -
Giotto
inarcò un sopracciglio. - Vuoi per caso predirmi il futuro?
- chiese, senza mostrare apparente curiosità o interesse.
Ora che ci rifletteva
con più attenzione, non ci aveva mai pensato direttamente al
suo futuro poichè G. gli aveva sempre rimembrato che era
inutile pianificare l'avvenire perfetto, niente era prestabilito e con
il tempo tutto sarebbe cambiato, finendo infine per lasciare solamente
l'insoddisfazione di un desiderio non realizzato. Se qualcosa doveva accadere, a
loro non restava altro che accettarla così com'era.
Il ragazzo
inclinò il capo: - No. Quel che accadrà
sarà solo frutto delle nostre azioni. - constatò:
- Le passate come le
future. -
In quel momento non
seppe se restare lì a fissarlo in totale silenzio, oppure
rispondergli. Infine optò nuovamente per la seconda. -
Quindi, dalle tue parole stai affermando implicitamente che il nostro
incontro non è stato solo una coincidenza? - Neppure lui
credeva fermamente a quelle parole, non era abituato a vederla sotto
quel punto di vista.
- Non esistono
coincidenze a questo mondo. - replicò incolore: - ...Esiste
solo l'inevitabile. - asserì, bloccandosi dopo aver
distribuito altre carte, che avevano già una buona parte
della piattaforma gelida della fontana.
- L'inevitabile? -
Giotto non sembrava sorpreso a quelle risposte. Condividevano un
pensiero piuttosto simile a riguardo, ma nella sua costruzione c'era
qualcosa di diverso che probabilmente solo lui era riuscito a cogliere.
Il ragazzo lo
studiò con le sue iridi color del mare: - I nostri gesti
costruiscono il futuro, i pensieri lo modellano, a noi non resta altro
che accettarlo. - si espresse atono, rigirandosi fra le mani una carta
che raffigurava un Jolly. - Qualunque esso sia, ovunque ci porti, noi
non possiamo farci niente. - le sue attenzioni mulinarono ancora una
volta sul biondo.
- Ma si è
sempre in tempo per cambiarlo. - Giotto lo aveva compreso, in un certo
senso lo aveva appreso molto prima di quanto se ne fosse accorto lui
stesso: in quelle parole vi era una sorta di rassegnazione. Qualcosa
che aveva riconosciuto come un "Mi
dispiace per quello che sono. Ma non posso farci niente."
e lo inquietava in un certo senso. Come se lui si fosse arreso dinnanzi
ad un destino che non si attendeva, come se lui già sapesse
quale fosse.
Lo sguardo di
disappunto che gli rivolse fu tangibile: - Come puoi combattere un
futuro già formato? E' come distruggere sè
stessi. Non si ha il tempo per ricominciare, e non ti resta altro che
continuare a seguire quella strada. - ne convenne con mordacia. - Che
ti porti sulla buona o sulla cattiva strada non puoi saperlo. Lo
accetti e ci convivi. Non puoi fare altro. - replicò
increspando le labbra.
Eppure Giotto non la
pensava così. Per lui il destino poteva mutare sino
all'ultimo. E forse era quella accettazione che non riuscivano a
condividere.
Non
sempre la vita va come la si immagina. Lui ha fatto la sua scelta. E tu
la tua.
"Ti sei
mai chiesto il perchè?"
"Non
mi importa."
"Ha
fatto male. Molto più di quanto tu possa immaginare."
Giotto nelle sue convinzioni ci aveva sempre creduto fermamente:
secondo il suo pensiero con la calma e la risolutezza si poteva
ottenere quasi tutto, anche cose che un tempo altri avrebbero potuto
definire "sciocche".
Nonostante fossero
trascorsi anni, le sue idee erano mutate ben poco, forse l'ostinazione
aveva fatto il suo corso scemando leggermente; ma i suoi gusti strani
avevano finito per non abbandonarlo mai. Non riusciva a ricordare un
giorno in cui G. non gli avesse implicitamente rinfacciato la sua
"amicizia" con Daemon Spade. Come le sue convinzioni non erano
cambiate, tantomeno quelle del suo Guardiano della Tempesta si erano
alterate.
Ma a Giotto in un
certo senso andava bene così; con il tempo aveva imparato ad
essere soddisfatto delle sue scelte, qualunque esse fossero: e fu
grazie alla sua determinazione che in quel futuro riuscì a
formare la sua "Squadra di Vigilanza"; solo che adesso rassomigliava
più ad una grande famiglia.
- Ehi Giotto, ancora
con la testa fra le nuvole? - dopo una leggera scrollata di spalle,
avvertì il suo amico d'infanzia affiancarlo con la tipica
espressione divertita che gli rivolgeva in più occasioni.
L'altro scosse il
capo: - Non proprio. Pensavo. - ammise senza i dovuti particolari,
provocando l'ennesima risata sciolta da parte di G.
Il Guardiano
incrociò le braccia sopra la balconata, osservando con
apparente interesse il manto di alberi che si stagliava sotto i loro
occhi: - ...Questo mi ricorda un Déjà-vu, felice
e non. - si passò una mano fra i capelli, badando
poco all'occhiata di rimprovero che Giotto gli rivolse.
- Arriverà
il giorno in cui la smetterai? - sospirò con una nota
divertita; in fondo G. era così, perennemente preoccupato
per la sua salute, e sempre lo sarebbe stato.
- Forse. Devo prima
sbollire ancora. - borbottò arricciando il naso: -
Ciò comunque non elargisce i tuoi gusti strani: fra un
sociopatico e un pazzo davvero non saprei chi scegliere. Anzi, forse
Alaude è meglio. Almeno lui non sproloquia sciocchezze e non
si veste in quel modo terrificante. - rammentò ancora una
volta la sua idea riguardo Daemon.
Giotto alzò
gli occhi al cielo. Non ricordava neppure come lo aveva convinto ad
entrare in quella "Famiglia", a lui andava bene così, tanto
Alaude quanto Daemon Spade. Entrambi nei loro caratteri erano particolari.
- Mi chiedo dove sia
nata la tua secolare avversione nei confronti di Daemon. -
parlò a voce bassa, godendosi la vista e la brezza tiepida
che scuoteva tranquillamente il suo mantello.
- Non so te ma
qualcuno che minaccia di annegarsi nella fontana pur di non stare in
compagnia non credo sia normale. Contando anche il suo orrendo
carattere altezzoso che ha sviluppato con gli anni. -
enfatizzò dondolando il capo, come se stesse parlando di un
essere non propriamente identificato.
La prima volta che G.
venne a conoscenza dell'idea di Giotto nell'erogare anche Daemon nella
loro "Squadra di Vigilanza", si racchiuse in un tale silenzio tanto da
fargli credere che fosse primariamente d'accordo: fu ciò che
venne dopo a contrastare evidentemente con i suoi pensieri.
Arrivò a pensare anche che fosse impazzito nel voler
accogliere un idiota che alla prima occasione avrebbe voltato le spalle
a tutti.
Ma lui si era limitato
a guardarlo e a sorridergli, ricordandogli sempre che alla fin fine ne
sarebbe valsa la pena. Eppure G. non era mai arrivato a pensarla
così.
- Staremo a vedere. -
lo stesso medesimo sospiro modellò le labbra di Giotto.
Infine, dopo un saluto ed un altro sorriso rincuorante
lasciò che la sua figura si eclissasse dalla visione del
Guardiano della Tempesta, voltando verso il lungo corridoio che
conduceva alla sala Riunioni.
Con l'abituale passo
felpato che aveva acquisito con gli anni procedette lungo l'antro
illuminato dal sole pomeridiano, quel posto di certo con peccava di
tranquillità e Lampo durante quelle ore aveva imparato a
ravvedersi dal lamentarsi.
Evitando altri sprechi
di tempo, con una mano si apprestò ad aprire la porta della
sala, senza meravigliarsi quando riscontrò la figura
familiare di Daemon accomodato placido a capotavola, con l'immancabile
mazzo di carte disposto sul legno curato.
In un certo senso
aveva cominciato ad apprendere già un po' di tempo fa le
fissazioni o abitudini quotidiane di Daemon, come appunto le carte da
cui non si separava mai sin da quando lo conobbe presso quella fontana.
Lo aveva sempre
considerato un soggetto a sè, differente dalle persone che
lo circondavano: iniziando dai suoi comportamenti quasi sempre schivi
nei confronti di chiunque, spesso anche con lui assumeva questo
determinato atteggiamento.
- Immaginavo fossi
qui. - lo sorprese con calme parole Giotto, sorridendogli di rimando.
Daemon alzò
appena il capo, inarcando un sopracciglio: - Primo. Quale onore mi
concede la vostra presenza? - chiese, alzando il mento e poggiandolo
sul palmo aperto della mano.
Il sorriso di Giotto
venne smorzato da quel rispetto ironico che aveva imparato a lasciarsi
scivolare addosso: - Assolutamente nulla. Sono venuto a dare
un'occhiata in giro. - confessò con una banale alzata di
spalle, avvicinandosi ad una delle sedie libere e disponibili accanto a
Daemon.
- Preoccupato? -
domandò, scoprendo successivamente un re di picche.
- Parli sempre come se
io non facessi altro. - mormorò incrociando pigramente le
braccia al petto.
Daemon
scrollò sarcasticamente il capo: - Beh, non riesco ancora a
comprendere la sua paternale costernazione nei confronti dei suoi
Guardiani. - spiegò con semplicità.
Giotto
sospirò: - Non riesci ad accogliere i miei ideali? -
- Hm. Sì,
vediamola in questo modo. -
Ci fu un lungo
silenzio contrapposto da ambo le parti in cui Giotto restò
ad osservarlo tacitamente mentre giocherellava abilmente con le carte:
il che gli fece rimembrare la prima volta che lo incontrò.
Le stesse parole, espressioni che si alternavano come una disposizione
di maschere.
Daemon era un'abile
illusionista; e a volte aveva creduto anche che la sua stessa presenza
in quella magione fosse una vaga illusione destinata a perire prima o
poi.
- Dalla prima volta
che hai letto quelle carte, sapevi che sarebbe finita in questo modo.
Non è vero? - con le palpebre socchiuse chinò
appena il capo, evitando di scorgere l'effettiva reazione di Daemon.
- Chissà. -
lo udì rispondere, probabilmente con un sorriso. - Come le
ho già detto, non esistono coincidenze. Solo l'inevitabile.
- terminò con chiara serietà, riprendendo a
mescolare i mazzi.
- Questo era
inevitabile? - chiese.
Daemon si
bloccò per un attimo, guardandolo intensamente: - I gesti
riflettono le nostre decisioni, i pensieri le moltiplicano, e mentre
avverti la tua vita trascorrere avanti che si diventa più
fragili. - rispose. - Per questo motivo, Primo, non si ha tempo di
proteggere gli altri. Si deve pensare solo a sè stessi e a
diventare più forti. -
Giotto si morse un
labbro: - Hai ancora l'abitudine di non rispondere chiaramente alle
domande che ti vengono porte, a quanto vedo. - constatò
effettivo, rispecchiandosi in una valida occhiata.
Daemon rise
compiaciuto: - Per quanto si possa sforzare, lei non può
cambiare le persone. Buone o cattive che siano, la loro strada
è già segnata. Cosa si può fare se non
accettarlo il proprio destino? -
- Si è
sempre in tempo per cambiare, se lo si desidera. - confermò
deciso Giotto.
- Lei pretende che
tutto debba seguire un unico filo? Che tutti le giurino eterna
fedeltà nonostante siano altri i loro ideali? Non
può contrastare il destino. Deve soltanto accettarlo. -
Mi
dispiace per quello che sono. Ma non posso farci niente.
E forse questo faceva
davvero male a Giotto. L'idea che Daemon si fosse prefissato un futuro
che forse neppure lui avrebbe desiderato, in fondo.
Probabilmente quel
giorno, vicino la fontana, aveva già avuto chiaro lo
svolgersi dei fatti. Adesso li stava solo modellando a suo piacimento.
Il Guardiano della Tempesta lo aveva guardato, gli aveva
sorriso ed infine rassicurato con i suoi modi amichevoli che riservava
appieno solo a lui.
Eppure Giotto lo
sapeva, quante volte non aveva guardato in faccia alla
realtà? Si era rifiutato persino di dare atto alle parole di
G.
E faceva male: mentre
gli altri si disperavano per trovare una soluzione e lui si limitava a
sorridergli ricordandogli che sarebbe andato tutto per il meglio.
Giotto non avrebbe
potuto cambiare l'inevitabile. Gli restava soltanto da accettarlo
seppure con la stessa violenza di una pugnalata in pieno petto.
Perchè continuava a fare male come una ferita aperta.
Vedere quella stanza
in cui non c'era, ad ogni modo, doleva nella sua effimera illusione.
Giotto non poteva
cambiare il destino. Si
accetta e si convive. Non si può fare altro.
- Sapevi anche questo,
non è così...? -
"Credimi. Sapere che alla fine di questa vita non ci
sarà più un posto per me, fa molto più
male.
Un'esistenza
nel nulla, questa è la mia punizione. Io non voglio essere
perdonato.
Non
voglio sapere neanche cosa farà.
Mi
è sempre bastato guardarlo per capire che ai demoni non
è permesso piangere o essere deboli.
E
questo sai cosa significa?
Se
non fossero così duri, a loro non resterebbe altro che la
disperazione."
"Eppure
tu sapevi che lui ti avrebbe perdonato..."
Non lo
credevo possibile, ma alla fine l'ho scritta.
E'
stato un parto piacevole e non, cioè, insomma descrivere la
Prima Generazione è estremamente complesso, e più
o meno uno non riesce mai a basarsi sulle poche conoscenze che ha.
Ragion
per cui con molta probabilità ho creato un papocchio D: Ma
non odiatemi, è la prima volta che tratto su di loro.
Preciso
che questa storia è dedicata a Raindrops che mi ha
ispirata inizialmente con le 6927, ed infine anche alle Daemon x
Giotto. <3
Non mi perdo in descrizioni sul papiro, spero solo che il significato
intrinseco (?) della storia sia uscito fuori. Soprattutto spero di
averli caratterizzati decentemente.
Comunque
ci tengo a dire che le frasi di inizio\metà\fine capitolo
sono questa volta di mia invenzione. Non riguarda direttamente la
storia ma in un certo senso è come se lo fosse. *la fucilano*
Detto
questo, posso evaporare e santificare chiunque abbia letto. <3
Golden Brown
|