Vecchissimo progetto portato a termine
grazie al COW-T. E quando dico vecchissimo dico 2006 (contando che il
gioco è di fine 2005...). Un ennesimo atto d'amore verso
l'Ancient
Land, dovuto allora come oggi.
Al momento credo di aver finito le idee per Wanda, a meno che non
vogliate leggere del mio Colosso Mary Sue che se la scialla nelle
foreste nord-orientali, ma chissà. :) Poi col Grifoncino in
arrivo...
Nove pensieri dal confine del mondo
1.
La prima cosa che Wander aveva notato,
sconfinando in quella terra alla fine del mondo, era che il cielo era
più grande. La consapevolezza della diversa lucentezza,
dell’estraneità del vento sarebbero venute dopo;
in quel momento
era solo più grande. Gli spazi acquisivano un significato
diverso
sotto quella cupola sconfinata, le nuvole stesse potevano perdersi.
In un cielo così grande doveva per
forza esserci spazio per un miracolo.
Ma il corpo di Mono era freddo e
pesante.
2.
Esitò ad abbandonare la protezione del
tempio. Camminò nel suo ventre osservando la doppia fila di
statue
che simboleggiava il percorso che avrebbe intrapreso – o
c'era un
legame più sottile, e il mostro era il simbolo e la statua
l'essenza, ma a Wander non serviva la risposta. Vide che Agro si
abbeverava nel fonte che avevano oltrepassato all'ingresso e lo
imitò, storcendo la bocca per il sapore di ferro e di fermo.
Il buio
era sicurezza, un luogo di inizi, una speranza intonsa. Era Mono
immobile sulla soglia dell'altare.
Il muro di luce al di fuori lo
attendeva.
3.
Respirò l'aria fresca di quella terra,
che sapeva di erba umida e muschio e imprese impossibili. La luce del
giorno lo accecò e gli fece aprire gli occhi oltre alla
disperazione
della sua missione: Wander si buttò in sella ad Agro, si
lanciò al
galoppo nella piana e per la prima volta, col vento che gli fischiava
nelle orecchie, sentì di poter toccare con mano i fantasmi
che aveva
inseguito. La possibilità era concreta ed era reale e le
parole di
Dormin riecheggiavano ancora nella sua testa: avrebbe trionfato o
sarebbe perito nell'intento e qualunque esito l'avrebbe portato, alla
fine del viaggio, fra le braccia della sua Mono.
4.
C'era calore nella pietra, c'era calore
nella terra. I suoi occhi non riuscivano ad abituarsi al chiarore del
cielo, con il suo sole nascosto dietro a una cortina di foschia che
lo rifletteva fino all'orizzonte. Sembrava un giorno eterno e
artefatto, ma sentiva il calore dei sassi su cui si sedeva nelle
pause del viaggio. Il sole di casa faceva lo stesso. Era lo stesso.
Cercò di non dimenticarlo.
5.
E quel giorno che pareva eterno non
poteva che essere incastonato nello scorrere del tempo, in qualunque
modo esso scorresse sotto la maledizione di quelle terre,
perché
trovava frutta matura sugli alberi, assieme a germogli e foglie
secche.
6.
Le lucertole potevano permettersi di
oziare al caldo, non lui. Si rialzò e montò in
sella.
7.
Aveva visto le nuvole per la prima
volta dal grande ponte che collegava quelle terre al continente. Non
erano meno imponenti se osservate dalla base dei suoi pilastri, da
una spiaggia o seduto con la schiena appoggiata ad Agro. La volta
celeste era più grande e conteneva più nuvole:
non c'era altra
spiegazione. Un angolo bianco veniva segnato dalla riga netta di un
cumulo più denso, illuminato dal sole, mentre il vento
disperdeva
alte linee sottili. La terra al di sotto (anch'essa più
vasta, per
reggere così tanto cielo) conteneva altrettanti strati di
misteri.
8.
Era sicuro di aver preso una direzione
errata. Si trovò a contemplare il mare, che non si buttava
nell'abisso oltre le spiagge della fine del mondo ma continuava la
sua distesa fino a un altro orizzonte. Era possibile che contenesse
altre terre oltre a quell'ultima? E che segreti terribili dovevano
contenere, per essere state così segregate dal mondo degli
uomini?
Credette di aver visto una macchia
scura in lontananza, ma era solo il riflesso del sole sugli occhi.
9.
Si risvegliò al tempio dolente,
lottando contro i suoi stessi muscoli per rimettersi in piedi, senza
poter pensare, senza voler pensare, inebetito dal fetore di cui era
intriso e di cui serbava ricordi troppo vaghi. Aveva vinto. Un nemico
era caduto. Il resto era nebbia.
Zoppicò fino all'altare appoggiando
sulla spada il peso dei suoi passi sbilenchi e crollò in
ginocchio a
braccia conserte al fianco di Mono. Una colomba si levò in
volo.
Fuori era sera. Una colonna di luce si levava solitaria dagli
altipiani meridionali.
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